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PubblicatoMirella Giorgiana Gatto Modificato 9 anni fa
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L’esperienza della salvezza può dare gioia autentica, in quanto tutta l’esistenza assume allora un significato nuovo, riconoscendo nella presenza di Dio ciò che è davvero importante, anzi essenziale. Chi si appoggia sulla forza del Signore gode della pienezza di vita. Si tratta di una gioia che non si chiude in sé o in noi, ma chiede di essere comunicata, perché anche altri incontrino la bellezza di una vita alla presenza di Dio.
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La III Domenica di Avvento ci propone la continuazione della narrazione lucana di Domenica scorsa. L’evangelista sottolinea la dimensione sociale della predicazione di Giovanni Alla domanda: “Che cosa dobbiamo fare?”, egli risponde concretamente… Esemplificando il comportamento che ognuno è chiamato a tenere. L’esigenza di conversione può essere riassunta come esigenza di carità solidale ed esprime la vera natura della legge veterotestamentaria. A coloro che si sono messi in cammino lungo le rive desertiche del Giordano, è chiesta attenzione a chi è nel bisogno.
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“Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Il profeta del Giordano invita alla condivisione e alla solidarietà: La seconda tunica Le provviste alimentari per il viaggio. In questo modo, nella semplice ma preziosa solidarietà tra pellegrini, si sperimenta la fraternità.
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“Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: Maestro, che cosa dobbiamo fare?”. “Ed egli disse loro: Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Così anche ai pubblicani, odiati dal popolo e considerati sullo stesso piano degli stranieri idolatri, è chiesto di non cambiare lavoro. Piuttosto, Giovanni chiede loro di non sfruttare nessuno, esigendo il giusto. Come accadrà a Zaccheo è data loro la possibilità di essere considerati di nuovo parte di un popolo, di una comunità.
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“Lo interrogavano anche alcuni soldati…” “Rispose loro: Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”. Ai soldati viene proposto di non fare violenza né di estorcere con la forza, ma di svolgere il proprio lavoro, accontentandosi della paga concordata. Questi tali, probabilmente mercenari stranieri al soldo di Erode, possono a buon diritto occupare un posto nella comunità.
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“Viene colui che è più forte di me…” Nelle parole di Giovanni avvertiamo la dimensione apocalittica di questa attesa. Le immagini del fuoco, del vento che separa la pula dal grano, dicono l’imminenza dell’eschaton, la prossimità del giudizio divino. Un giudizio teso a separare definitivamente il bene e il male, a purificare ciò che non appartiene a Dio e al suo regno. Per questa opera imminente si rende però necessaria la presenza di un “Più-forte”.
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Giovanni afferma perentoriamente che non egli non è degno di “slegare i lacci dei sandali” al “Più- forte”. L’immagine fa pensare a un ruolo di servizio nei confronti di un superiore. Oppure, suggerisce una lettura di carattere sponsale, secondo la quale nessuno può spodestare il Messia-Sposo di Israele, nemmeno Giovanni, che qui dunque assume il ruolo di amico dello Sposo
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Il vangelo di oggi si conclude in maniera davvero sorprendente! “Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo” (3,18): L’uso del verbo, derivato dal termine ‘euanghélion’, stupisce i lettori di Luca, a questo punto del racconto. Sembra quasi un’anticipazione indebita. In realtà, Luca ama giocare d’anticipo. Raccontando di Giovanni e del suo battesimo con acqua, Luca vuole già alludere al battesimo in nome di Gesù Cristo.
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