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PubblicatoBernardo Monaco Modificato 9 anni fa
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Migranti 4.235.059 abitanti Migranti 4.235.059 abitanti
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Le prime cinque collettività incidono per il 50% Circa 1 milione: i romeni Circa mezzo milione: gli albanesi e i marocchini Circa 200 mila: i cinesi e gli ucraini
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Residenti registrati presso i comuni: 4.235.000 Regolari non ancora registrati: 684.000 (stima) Incidenza donne: 51,3% Stima presenza regolare complessiva 4.919.000 Presenza (2009) nei 27 stati UE: 29.690.000 In Italia vive poco meno di 1/6 degli immigrati presenti in Europa Nel 2009 gli irregolari sono una percentuale ridotta della presenza immigrata (500/750 mila: stima OCSE)
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Un dato certamente importante e superiore alla media nazionale (7,0%) e che fa registrare alla regione il 7° posto, dietro ad alcune regioni del centro e ad alcune del nord. Lazio. Residenti Stranieri per Provincia (2010) Il grande incremento del flusso migratorio nel Lazio si è registrato tra il 2002 e il 2008, concentrando la sua attenzione sulle province minori: Latina occupa il primo posto, seguita Viterbo, da Rieti, Frosinone ed infine da Roma. Roma, che è stata a lungo la provincia con il maggior numero di immigrati, perde il primato rispetto a Milano (405.657 rispetto a 407.191) Nel corso degli anni, a partire dalle prime ondate migratorie (1971) dove la prevalenza di stranieri proveniva dall’Europa e dall’America, il flusso oggigiorno ha invertito i dati facendo classificare ai primi posti la presenza massiccia degli asiatici. Si registra, inoltre, una fortissima componente romena (prima collettività a livello regionale).
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I dati raccolti (fino al termine del 2009) permettono di mettere in luce alcune caratteristiche del flusso migratorio nel Lazio e soprattutto a Roma. Emergono chiaramente i motivi che portano gli immigrati a scegliere Roma come meta: sono fattori essenzialmente legati allo studio, alla religione ed infine alla richiesta di asilo. Di 19.707 permessi di oggiorno rilasciati nel 2009 nel Lazio l’11,4 % ha come motivazione il fattore religioso a cui segue quello di studio. Concentrandoci, poi, su Roma e relativa provincia ecco sinteticamente i dati emersi dal dossier Caritas/Migrantes 2010: i residenti stranieri sono 405.657 (aggiornato al 1/12/09) con aumento del 10, 7% rispetto al 2009. La percentuale di incidenza straniera sul totale della popolazione residente ( 4.154.684) è di 9,8. Dei 405.657 residenti stranieri il 53% sono donne (217.195) e il 16,7% sono minori di cui (67.906); l’11,2% nati in Italia 45.244). 20.651 sono i titolari di aziende straniere su 213.267 italiane, 32.122 sono le domande di regolarizzazione su 295.112 e 27.706 i nuovi assunti stranieri, a cui si affiancano i 237.367 occupati stranieri. Il saldo chiude in positivo con 2.315 unità rispetto al 2008 e al 2009.
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Le potenzialità di integrazione sono maggiori dove si coniugano le migliori condizioni di inserimento occupazionale e sociale; il dossier, inoltre, conferma che i processi di integrazione sono favoriti nei contesti più piccoli, dalle famiglie, alle piccole imprese, alle città a dimensione più umana. Parma risulta prima rispetto all’indice d’inserimento sociale mentre Roma si colloca al 27esimo posto preceduta da Milano e seguita da città come Palermo e Firenze. Nella graduatoria differenziale in cui si analizza come gli immigrati vengono trattati rispetto agli autoctoni. Roma, infatti, si piazza all’undicesimo posto. Sulla base dell'indice di inserimento lavorativo e sociale sono costruiti l’indice finale assoluto (riferito ai soli immigrati) e l’indice finale relativo (comparativo tra immigrati e italiani) che fanno la graduatoria delle regioni e delle province rispettivamente con condizioni più o meno favorevoli ai processi di integrazione e con condizioni di inserimento socio occupazionale più o meno paritarie tra italiani ed immigrati.
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Ciò che viene offerto per ''trattenere'' e dunque far rimanere gli immigrati. Roma in questa classifica si piazza al 35esimo posto. A poca distanza troviamo città come Genova e Bologna. Con Milano lo scarto invece è rilevante: si trova al 6° posto. Indice di attrattività territoriale a Roma = Potenzialità di attrazione del territorio: Indice di attrattività territoriale a Roma = Potenzialità di attrazione del territorio: l'indice di accesso al mercato immobiliare, la dispersione scolastica, la devianza e l'accesso alla cittadinanza.
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Roma si colloca al 13esimo posto ( con valore centesimale di 47,4), ben lontana dalla prima in classifica Prato ma non distante da Milano che conquista il 4° posto con un valore di indice del 55,8. Il Lazio è tra le regioni che hanno registrato un incremento in termini assoluti delle imprese individuali femminili. Da dicembre 2009 a giugno 2010 il dato è cresciuto di cento unità, arrivando a quota 73.730, per una variazione percentuale dello 0,14%. Rispetto al mese di giugno 2005 – quindi prima della crisi economica e finanziaria che ha coinvolto anche l'Italia, quando le imprese erano 74.194 - oggi operano 464 imprese in meno (-0,63%). L'incidenza percentuale delle imprese individuali femminili sul totale delle imprese individuali a giugno 2010 era pari al 27,8%, su una media nazionale del 25,6%. Il tasso di dinamicità dell'imprenditoria femminile è spinto al rialzo dalla massiccia presenza di imprenditrici di origine immigrata. La regione preferita dalle donne immigrate per avviare un'attività imprenditoriale è la Lombardia, seguita dalla Toscana e dal Lazio. Nella nostra regione a giugno 2010 erano 5.032, contro le 4.826 del dicembre scorso, pari a 206 imprese in più e a un incremento del 4,27%. L'incidenza percentuale delle imprese individuali femminili extra-Ue sul totale delle imprese individuali femminili è del 6,8. L'incidenza delle imprese individuali femminili extra-Ue sul totale delle imprese individuali extra-Ue:22,3%.
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“Gli immigrati versano alle case pubbliche più di quanto prendono come prestazioni e servizi sociali.” Apporto di 7 miliardi di contributi previdenziali l’anno, che hanno portato al risanamento del bilancio dell’INPS. (pag.124 di “Mercato Occupazionale e Immigrazione”) Presenza di 5 milioni di immigrati regolari che aiutano 3 milioni di famiglie italiane come badanti, colf e domestiche rendendosi indispensabili e altri milioni nel campo dell’agricoltura, dell’ edilizia e dell’ industria.
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Due esempi nel dettaglio: I rischi dei lavori domestici e I C.I.E I rischi dei lavori domestici Abusi sessuali su donne Gravidanze indesiderate Figli minori C.I.E I rischi dei lavori domestici Abusi sessuali su donne Gravidanze indesiderate Figli minori C.I.E
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Ricerca ‘’Dar casa alla sicurezza. Rischi e prevenzione per i lavoratori domestici’’ (realizzata dal Censis con il contributo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali): il lavoro domestico si rivela estremamente pericoloso. Molteplicità rischi Sono 1,5 milioni le colf e badanti presenti nelle case degli italiani.. 2 milioni e 412mila famiglie italiane ricorrono ai servizi di collaboratori domestici (una su dieci), con un incremento del 42% rispetto al 2001. La donna migrante: centrale nel tessuto sociale italiano, sia sostegno indispensabile per una popolazione che invecchia. Si tratta di donne e stranieri provenienti dall’Europa dell’Est: Romania, Ucraina, Polonia e Moldavia. Numerosi sono anche i filippini. Più della metà di colf e badanti straniere ha meno di 40 anni ed ha un livello di istruzione mediamente più elevato delle colleghe italiane: il 37,6% possiede un diploma di scuola superiore e il 6,8% una laurea, contro rispettivamente il 23,2% e il 2,5% dei collaboratori domestici italiani. Il 26,5% alloggia presso la famiglia per cui lavora. Molto lavoro è irregolare: il 40% dei lavoratori che operano nel settore; una percentuale che sale i n alcune zone del Paese come il Sud e il Nord-Est, mentre scende al Nord”. L’irregolarità contrattuale rappresenta, infatti, una condizione piuttosto estesa per più del 60% del campione: tra di essi, gli italiani rappresentano più della metà. Gli stranieri, invece, accettano lavori in nero solo nel 30% dei casi, in quanto interessati ad avere un contratto per ottenere il permesso di soggiorno. Parlando di evasione contributiva, quasi 6 ore di lavoro su 10 risultano prive di qualsiasi forma di copertura previdenziale.
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I CPT (Centri di permanenza temporanea) sono strutture provvisorie, di breve durata, sorti con la legge ‘’Turno-Napolitano’’ (legge 40 /1998), a cui fece seguito la legge ‘’Bossi-Fini’’ (legge 189/200). Il trattenimento, secondo le vecchie disposizioni, doveva durare 30 giorni, e altri 30 con eventuale proroga. Finita tale scadenza, e qualora il detenuto/a non fosse stato rimpatriato, veniva rilasciato con l’obbligo di abbandonare l’Italia. Ma se, allo scadere dei 5 giorni successivi al rilascio, dovesse essere ancora in Italia, l’ex detenuto/a viene ritenuto colpevole del reato di clandestinità e arrestato. Con il governo Berlusconi (e le leggi ‘’Sicuritarie’’) i CPT cambiano nome. Ora vengono chiamati CIE, ovvero CENTRI DI INDENTIFICAZIONE E DI ESPULSIONE. Con il pacchetto sicurezza del 2009, inoltre, viene allungato il periodo di permanenza: non più due mesi ma sei. Questi mesi servono per identificare le persone: pratica non sempre facile da portare avanti. Il risultato è un centro colmo di detenuti e incapace di accogliere nuovi ‘’ospiti’’. Questo comporta un costante e crescente degrado non solo fisico: anche la dignità umana viene meno. Il problema dell’identificazione, poi, continua anche a causa della poca collaborazione offerta dai paesi di provenienza. A questo si aggiunge uno stato di precarietà del centro stesso, che ha visto cambiare cinque direttori in un solo anno. Nulla sembra migliorare. I CPT (Centri di permanenza temporanea) sono strutture provvisorie, di breve durata, sorti con la legge ‘’Turno-Napolitano’’ (legge 40 /1998), a cui fece seguito la legge ‘’Bossi-Fini’’ (legge 189/200). Il trattenimento, secondo le vecchie disposizioni, doveva durare 30 giorni, e altri 30 con eventuale proroga. Finita tale scadenza, e qualora il detenuto/a non fosse stato rimpatriato, veniva rilasciato con l’obbligo di abbandonare l’Italia. Ma se, allo scadere dei 5 giorni successivi al rilascio, dovesse essere ancora in Italia, l’ex detenuto/a viene ritenuto colpevole del reato di clandestinità e arrestato. Con il governo Berlusconi (e le leggi ‘’Sicuritarie’’) i CPT cambiano nome. Ora vengono chiamati CIE, ovvero CENTRI DI INDENTIFICAZIONE E DI ESPULSIONE. Con il pacchetto sicurezza del 2009, inoltre, viene allungato il periodo di permanenza: non più due mesi ma sei. Questi mesi servono per identificare le persone: pratica non sempre facile da portare avanti. Il risultato è un centro colmo di detenuti e incapace di accogliere nuovi ‘’ospiti’’. Questo comporta un costante e crescente degrado non solo fisico: anche la dignità umana viene meno. Il problema dell’identificazione, poi, continua anche a causa della poca collaborazione offerta dai paesi di provenienza. A questo si aggiunge uno stato di precarietà del centro stesso, che ha visto cambiare cinque direttori in un solo anno. Nulla sembra migliorare.
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Il Centro di Ponte Galeria (RM) ha due sezioni: una maschile e una femminile. Mentre i componenti della sezione maschile arrivano direttamente dal carcere, quelli della sezione femminile arrivano dal territorio nazionale. Varie sono le presenza nel centro: da quelle dell’Africa Subsahariana, a quella delle ragazze del Togo, Ghana, Senegal, Costa D’avorio e poi ancora Libia, Marocco. Dall’est europeo si hanno le presenze di Serbia, Croazia, Bosnia, Kosovo, Ucraina, Bielurussia, Moldavia, Russia e poi Cina e Mongolia. Inoltre, ancora presenze del sud America, dalla Polonia e dalla Romania.
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Nella Provincia di Roma ci sono 256 luoghi di incontro e di preghiera per gli immigrati, 208 solo nella Capitale, con un incremento di 34 centri di culto rispetto al 2008. Sono i dati contenuti nella quinta edizione della “Guida ai Luoghi di incontro e di preghiera degli immigrati a Roma”. IL XX secolo è stato caratterizzato per uno sforzo di unità tra le chiese cristiane (ecumenismo), anche se restano numerosi problemi sulla via dell’unità. Un segno molto significativo della ricerca di unità è stata la partecipazione, in qualità di osservatori, dei rappresentanti di queste chiese al Concilio Vaticano II (1962-65) cui hanno fatto seguito varie iniziative ecumeniche.
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Si può inquadrare in questo modo una realtà che sostiene la crescita dell’Italia?...e se il problema consistesse nella mancanza della cultura dell’altro?...e se il problema consistesse nella mancanza della cultura dell’altro?
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