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PFIII. IL MULINO DEL PO ANNO SCOLASTICO
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CREDITI ANNO SCOLASTICO 2006-2007
SULLE ORME DEGLI ESTENSI TRA TERRA E ACQUA docente di riferimento Silvana Onofri. PFIII 1 : classe III F, indirizzo scientifico–tecnologico, Liceo Classico “L. Ariosto”. Docente referente: Cinzia Solera. Hanno collaborato Silvana Onofri e Silvia Malagò. PFIII 2, 3: classe IV G e IV C, Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “O. Vergani”. Docente referente: Maura Tortonesi. Hanno collaborato: Edda Tugnoli, Rossana Bonfatti, Donatella Benetti.
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Quella loro Madonna era assai “milagrosa”, e coperta di doni.
PFIII 1. PRIMA GIORNATA Lazzaro in città: il tesoro della Madonna di Spagna Quella loro Madonna era assai “milagrosa”, e coperta di doni. In bicicletta, insieme a Lazzaro, andremo alla ricerca del tesoro della Madonna di Spagna negli stretti vicoli del ghetto, assisteremo all’esecuzione di Fratognone nella piazza Travaglio, ci recheremo al convento delle Orsoline per ottenere lo scioglimento del “sortilegio”; infine, insieme a lui, sotto le mura degli Angeli ci parrà di sentire le grida strazianti dell’Urlon del Barco, il diavolo sconfitto dai Gesuiti e di vedere l’ingegnere idraulico Chiozzino che, protetto dai frati esorcisti di San Domenico, continua a irregimentare le acque del Po.
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PFIII – RICCARDO BACCHELLI: Il MULINO DEL PO Tre giorni
Accompagnati dalle parole di Bacchelli seguiremo le tracce di Lazzaro Scacerni a Ferrara e sul Po, visiteremo una città caratterizzata dal suo ancestrale rapporto con il fiume, con i suoi miti (Fetonte) e le sue leggende (Chiozzino). In bicicletta ripercorreremo le tappe delle giornate ferraresi di Lazzaro Scacerni, reduce dalla campagna napoleonica di Russia, alla ricerca del tesoro della Madonna di Spagna; ne ritroveremo le tracce nella città moderna, nei suoi monumenti e luoghi d’arte e, alla ricerca dell’origine del nome Scacerni, visiteremo i palazzi cinquecenteschi della Ferrara rinascimentale. E saranno ancora le parole di Bacchelli ad accompagnarci dalla Darsena ferrarese al Mulino sul Po. Dal mulino, costruito dagli ultimi maestri d'ascia, in legno robusto con il tetto, come una volta, fatto con le canne di palude, si effettuerà, in bicicletta, il Percorso letterario Bacchelliano tra casolari e terre coltivate. Seguiremo la storia del pane ferrarese, dal chicco di grano, alla macinatura nei mulini sul Po, alla modellazione della coppia, il “pan ritorto” così chiamato dal conte palatino Cristoforo da Messisbugo, lo scalco degli estensi che lo aveva pensato per i banchetti di corte.
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PFIII-1 Percorso di visita In bicicletta
MATTINA: 1. Accoglienza all’Ariosto: distribuzione di materiali didattici e della caccia al tesoro. 2. Il Barco e le mura degli Angeli tra mito e storia. 3. Le mura e la Porta di San Giovanni 4. Dalla Porta S. Giovanni alla Piazza. 5. Tra le strade del ghetto, alla ricerca del tesoro della Madonna di Spagna. La Sinagoga. 6. P.zza Travaglio e l’esecuzione di Fratognone. 7. Il Palazzo del Chiozzino e il patto col Diavolo. 8. La Chiesa degli inquisitori: S.Domenico e l’impronta del diavolo Magrino. Il Raguseo e il mistero del Palazzaccio. La colpa di Lazzaro. 9. Sosta pranzo: (cestino Vergani) al Parco Massari. POMERIGGIO: 10. Il Duomo e i suoi mostri: troviamo Coniglio Mannaro. Il Duomo, la Madonna miracolosa e l’assoluzione dal “sacrilegio” 11. Il Castello Estense e le rotte del Po: il “padimetro”. 12. Suor Eurosia e lo scioglimento del sortilegio. 13. Il cerchio si chiude: “Urlon del Barco” alla Porta degli Angeli. Cena con degustazione di piatti tipici; pernottamento in ostello o albergo a tre stelle, prima colazione. Ariosto di sera: I Motimmoti: Lungo il filo dell'acqua, rappresentazione teatrale ispirata al Mulino del Po.
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SVILUPPO URBANISTICO DI FERRARA
Città lineare – sec. VIII-XI Città murata - sec. XI -XIV I Addizione di Niccolò II- - 1386 II Addizione di Borso - 1451 III Addizione di Ercole I - 1492 Interventi successivi CACCIA AL TESORO Gli studenti divisi in squadre, dovranno trovare edifici, oggetti, iscrizioni… che sono lungo il percorso di visita… Vincerà la squadra che … e mura di Borso. 1451
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1-3. Le Mura, porta S. Giovanni, tra campagna e città
Porta di San Giovanni Cencioso indosso, magro e irsuto, pallido in viso del pallore di chi vive in palude, Lazzaro Scacerni poteva ben dare il sospetto d’aver il male nelle vene, quando comparve alla porta di San Giovanni. Faceva già buio, benchè la sera fosse ancor lontana, causa il folto nebbione. Sembrava d’accostare, attraverso l’invisibile campagna silenziosa, per la strada deserta, una città di morti. Gli sorsero innanzi, vicine, nella nebbia le torri cupe della antica porta fortificata, rotonde e massicc[i]e.
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4. Dalla porta S. Giovanni alla piazza
Camminava lungo il muro per una strada larga senz’ un’ anima e senza voci; e la nebbia non lasciava scorger tre passi distante; e non trapelava lume dalle finestre chiuse. Soltanto dagli orti, abbondanti in quel quartiere, la campanella d’un convento o d’un oratorio squillava… LA COPPIA Da una bottega aperta, parecchie lucerne gettavano sulla strada un chiarore vivido…il fornaio voleva garantirsi che nessuno allungasse le mani ai panetti senza pagare…
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5. Il ghetto Così si trovò dietro il Duomo e imboccò la strada dei Sabbioni. […] Il ghetto era popoloso, e strada dei Sabbioni, che vi menava, era piena di mormorio fitto e trito, e di saluti dei solleciti rincasanti. Si sentiva odore della cucina ebraica. Le campane gravi del Duomo e di San Paolo annunciavano l’or di notte…
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La Sinagoga Erano state rimesse in vigore da poco alcune delle antiche interdizioni contro gli ebrei. Se non la rotella di fettuccia gialla cucita dalla parte del cuore, le autorità promettevano di rimettere le porte sulle tre entrate del ghetto ferrarese, e gli ebrei dovevano esser rientrati per l’ora del coprifuoco…
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Il tesoro Così discorrendo […] era arrivato all’angolo di Vignatagliata…. Bussò alla porta chiodata della casa antica degli Annobon… Tornò l’Annobon con un sacchettino di cuoio: “Riscontrate. Io me ne lavo le mani”. La cupidigia, mentre scorrevano gli ori e le gemme fra le dita, le faceva tremanti, e accendeva gli occhi di Scacerni…
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Dal tesoro al patibolo … si meravigliò tra San Romano e San Paolo, che dalle imposte di qualche osteria filtrasse ancora un lume, poiché si credeva a notte tarda…dalle osterie trapelava una fragranza ghiotta e grassa… …e di qui, più pomposo che mai, entrava sotto gli archi bassi e sotto quella specie di ballatoi e di balconi, che ancora si vedono attraversare e cavalcare la strada delle Volte. […] Era in città vecchia, tra le volte basse, i chiassuoli stretti e torti, i vicoli angusti, per lo più abitati da gente di malaffare…
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6. La punizione: l’esecuzione di Fratognone a Piazza Travaglio
PORTA PAOLA Si seppe la sentenza di Giovanni Rizzoli, detto Fratognone... : la morte mediante taglio della testa da eseguirsi nella solita piazza del Travaglio a porta San Paolo…Il Travaglio… rintronava di martellate sul legno. Gi aiutanti dell’esecutore finivano di inchiodare il palco e vi drizzavano, quadra e tozza, la macchina da decapitare, introdotta dai Francesi e rimasta usuale a Ferrara. Il palco non arrivava al petto di un uomo della statura di Scacerni. La città dormiva ancora…
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7. Il mago Chiozzino, dal libro degli incanti al patto col diavolo
…Si vuole che Urlone abitasse già in Barco e vi si facesse sentire, specie nelle notti tempestose, anni e secol prima che il cabalista e astrologo Chiozzini si trasferisse dalla nativa Mantova a Ferrara, comprando, per andarci a stare con la famiglia, palazzo Palmiroli in Ripagrande, dietro il ramparo di Piangipane. E qui il Chiozzini diventò anche mago, scavando in cantina, dove trovò una cassetta con dentro il libro degli incanti, e la formola per chiamare il diavolo…un omiciattolo…storto, sbilenco da tutte le parti, panciuto su gambette esili, di pelo rosso che gli mangiava la fronte, rinselvava gli occhi volpini, riempiva gli orecchi.
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8. La Chiesa degli inquisitori: San Domenico e l’impronta del diavolo Magrino
Il Chiozzino aveva varcata la soglia della vicina chiesa di San Domenico, con tale sforzo da cadere ansante e quasi esamine sopra la prima panca. Era salvo.Magrino, o piuttosto ormai col suo vero nome Urlone, girava vorticosamente attorno alla chiesa. Chiozzini, esorcizzato dai domenicani, pentito, sostenne poi con lui una disputa in sillogismi e in tutte le lingue; resistette a tutte le tentazioni e persecuzioni; e lo confinò nel Barco deserto… SAN DOMENICO
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Il Raguseo e il mistero del Palazzaccio. La colpa di Lazzaro.
…il Palazzaccio aveva conosciuto tempi migliori … Scacerni salì i gradini consunti dello scalone, e sul loggiato s’indirizzò a una porta…un uomo in zimarra turchesca, con una papalina alla schiavona in capo, apparve …Scacerni si vide deprezzar l’oro di dodici carati e anche meno; disprezzare i diamanti …e le perle erano tutte scaramazze …tanto che quando il Raguseo gli offrì duemila scudi, fu un sollievo inaspettato… Quivi il Raguseo, pervenuto alla soglia del portone, mise un grido che giunse a Scacerni sull’ultimo gradino della scala…Fratognone e Scacerni l’avevano seguito passo passo…Come se una forza arcana e vetustissima lo legasse sull’ucciso all’uccisore, Scacerni allungò la destra a quella [di Fratognone] incrociandole sul morto che giaceva fra loro.
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9. Sosta pranzo al Parco Massari
PANINO ALL’OLIO CON SALAME ALL’AGLIO E FRUTTA DI STAGIONE INSALATA DI RISO, UN FRUTTO SFILATINO CON FORMAGGIO E VERDURE, UN FRUTTO
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FETONTE: UN MITO LEGATO AL PO
Tra i miti legati al territorio vi è quello che narra la tragica corsa attraverso il cielo di Fetonte, figlio del Sole. Questo mito fa parte di una serie di affreschi dipinti nel 1934 da Achille Funi, denominati “ IL mito di Ferrara” che si trovano nella Sala dell’Arengo del Palazzo Comunale. MITO DI FETONTE
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10. Il duomo e i suoi mostri: alla ricerca di Coniglio Mannaro
Trova il lupo tra i mostri del portale …durava un resto della strana fantasia, che all’antico scultore delle porte del duomo di Ferrara ha suggerito tante bestie semiumane e tanti uomini semibestiali; durava, segnatamente, il famoso e secolare spavento dell’uomo lupo. Allora, burlandosi del suo viso di coniglio feroce, la gente soprannominò Giuseppe Scacerni, piacevolmente, Coniglio mannaro; e giuravano ridendo che la notte, invece d’allupare diabolicamente, e di correre per le terre con l’urlo orrendo del lupo mannaro bramoso di sgozzare i viandanti attardati, si doveva accontentare, lui, di inconiglire, con una voce sottile, con uno squittio di “barbastèl”, ossia di pipistrello ed avventarsi alle galline sviate dal pollaio: Coniglio mannaro. ...
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Il Duomo, la Madonna miracolosa e l’assoluzione dal “sacrilegio”
Se ti accosti ai sacramenti, dopo che abbi accettato il mio lascito, li profani e ti danni: o ti piacciono i quattrini, o hai paura dell’inferno.-…Scaceni…ebbe la penitenza: atti di contrizione….Promise inoltre d’andare in pellegrinaggio… all’altare miracoloso della Madonna dell’Atrio, in Duomo di Ferrara, veneratissima, per offrire un ex voto per grazia ricevuta e in espiazione dell’oltraggio…
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11. Chiozzino e il “retto sentiero ”: le opere dell’ ingegnere idraulico
Chiozzini…, aveva indirizzata la mente e la scienza, tornato sul retto sentiero, a stendere un progetto per bonificare le valli; per rimandare ai bolognesi il Reno, già dalla costor malizia e da un antico errore immesso nel Po di Ferrara, che ne riuscì interrato; e per ridare acqua al Volano e commercio al porto di Ferrara e a tutti quelli del litorale, a dispetto dei veneziani, antichi e ostinati nemici e oppressori della prosperità fluviale e marittima ferrarese. IL PADIMETRO IL CASTELLO
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12. Madre Eurosia e la liberazione di Lazzaro dai”travagli” del diavolo
-Sentite, Madre, quella volta che fu ammazzato il Raguseo… -Figlio mio, non sono il vostro confessore. -Ho patito molto, e patisco. -Chi vi travaglia? …-Il diavolo,-disse Scacerni sommessamente… - Dite dunque su: chi sono quelli che il Signore tribola?... -Quelli a cui vuol bene…Possiamo ringraziarlo -E allora è già ringraziato …E quando sarete tentato e tribolato, non dite mai:” E’ troppo.” CONVENTO DELLE ORSOLINE
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13. Sulle mura: dalla città alla campagna
Salì sul bastione alberato, e si trovò all’altezza della nebbia, che sulla città stava dileguando, e lì fuori, sul vasto sterpeto e sulle basse boscaglie e sui maligni acquitrini del piano, dai bastioni, fino al Lagoscuro e al Po stagnava uguale, come un immenso lenzuolo. LA PORTA DEGLI ANGELI In quel terreno di fuori, in altri tempi, rinselvatichirono e affogarono i giardini coltissimi d’alcune fra le più famose “delizie” dei signori estensi,…La plaga si chiamava e si chiama ancora il Barco…il popolo collocò nel Barco tregende diaboliche, convegni maledetti … DELIZIE
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“…gli Scacerni, non nobili, non letterati, ma molinari del PO…”
VERGANI SECONDA GIORNATA P F III- 2 ALLA RICERCA DI UN NOME: GLI SCACERNI 14 Itinerario del mattino 13 Itinerario del pomeriggio 12 6 11 8 4-5 10 7 3 9 “…gli Scacerni, non nobili, non letterati, ma molinari del PO…” 2 1
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P F III- 2 ALLA RICERCA DI UN NOME: GLI SCACERNI
Andando alla ricerca delle origini e della dimora di una famiglia ferrarese, gli Scacerni, si potranno visitare significativi palazzi cinquecenteschi della città e contemporaneamente andare a scoprire i vari volti di Ferrara: S. Giorgio, il primo nucleo abitativo, la parte medievale, l’addizione Erculea e i palazzi rinascimentali, infine la Ferrara dell’800. Sarà un percorso intriso di miti, leggende, che affiancheranno la storia, la cultura, l’arte, le tradizioni di una città tutta da scoprire E una scoperta sarà anche il nome, Scacerni,che nella finzione letteraria di Bacchelli, nel romanzo “Il mulino del Po”, verrà dato ad una famiglia di vallaroli, in una significativa unione di città e campagna MATTINA Durante la mattina si va alla ricerca delle origini di una delle più note famiglie della Ferrara rinascimentale, gli Scacerni, percorso che porterà il visitatore dalla realtà storica e artistica alla finzione letteraria, scoprendo come da rappresentante di una nobile famiglia si possa diventare “vallarolo”, come è successo a Lazzaro, protagonista del romanzo di Bacchelli “ Il mulino del Po”. Sarà così possibile rivivere leggende e miti, attraverso un percorso suggestivo che va dalle origini della città ai palazzi Cinquecenteschi della Ferrara degli Estensi, mirabili nella loro cultura, arte, tradizione. Il vallarolo richiama poi l’arte dei mugnai e quindi il pane, “il pane più buono del mondo” Ore 9 – accoglienza visitatori a Palazzo Pendaglia, sede dell’IPSSAR “ Vergani”; distribuzione brochure e materiale cartaceo . San Giorgio . S. Romano . il duomo . palazzo Scacerni Ore 12,30 – pranzo con cestino salutare preparato dagli studenti dell’ IPSSAR Il cestino salutare offre tre tipi di menù, a scelta, leggeri, prelibati, con prodotti tipici locali Attività di laboratorio all’IPSSAR VERGANI Facciamo insieme il pane e diventiamo maestri dell’”arte bianca” POMERIGGIO In bicicletta, tra i palazzi ferraresi, alla ricerca di altre suggestive leggende, intrise di magia, di omicidi e di esotico tra la Ferrara rinascimentale e quella dell’800, in un percorso che sfocia nella campagna , “ variopinta in estate, lattea e silenziosa in inverno, quando la nebbia la avvolge. …” . il palazzo del Chiozzino . il palazzo del Raguseo . il castello Estense . la porta degli Angeli Ore 20 Cena di degustazione Attività ricreativa all’IPSSAR “ O. VERGANI” Spettacolo da parte degli sbandieratori del Palio, il più antico palio del mondo
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1. SAN GIORGIO: PRIMO NUCLEO DELLA CITTA’
RIPERCORRIAMO LA STORIA DI FERRARA MENTRE ANDIAMO ALLA RICERCA DELL’ ORIGINE DEGLI SCACERNI Dal “ducatus ferrariae il vero nucleo originale della città: San Giorgio. La Chiesa di San Giorgio fu la Cattedrale di Ferrara dal 657. Nel 1485 fu ultimato il campanile, la cui costruzione era stata affidata a Biagio Rossetti. All’ombra di questo, nel 1809, sotto il dominio napoleonico, avvenne il movimento insurrezionale “degli insorgenti” raccontato da Bacchelli.
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LA CATTEDRALE PERCORRENDO UN TRATTO DELLE MURA DELLA CITTA’, ATTRAVERSANDO IL GHETTO EBRAICO, SI ARRIVA ALL’ATTUALE CATTEDRALE CHE RISALE AL 1135, ANNO DELLA SUA CONSACRAZIONE A SAN GIORGIO. Impostata su austero stile romanico, alleggerito in gradevole simbiosi con lo stile gotico, contribuì all’ espansione verso Nord della Ferrara Medievale; attorno ad essa infatti furono via via costruiti i più importanti palazzi pubblici e la piazza divenne il centro di vita oltre che religioso e politico, anche commerciale. CORSO MARTIRI DELLA LIBERTA’
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6. PALAZZO SCACERNI “Nel romanzo si raccontano le vicende dell’immaginaria famiglia Scacerni, famiglia di mugnai, attraverso un secolo di storia del nostro paese: dagli albori dell’Ottocento alla fine della prima guerra mondiale … Nei fatti insurrezionali del 1809 a Ferrara scomparve un tal Scacerni di Ariano, traghettatore di mestiere e pescatore di frodo per passione … I suoi discendenti furono i proprietari del mulino sul fiume, parteciparono intensamente alla vita politica e sociale della città e della terra di Ferrara. Il dizionario del Pasini-Frassoni individua negli Scacerni una nobile famiglia ferrarese, che dal secolo XVII viveva nel piccolo centro di Consandolo dove Renata Di Francia soggiornava per molti mesi dell’anno nella sua ”magnifica e sontuosa delizia” circondata dalla sua corte di intellettuali. Nel 1707, in Ferrara, gli Scacerni acquistarono il palazzo costruito dalla duchessa Laura D’Este che era posto sulla bella via di Boccacanale: una delle tante vie così chiamate perchè si “imboccavano nei canali adducenti al Po”. Il palazzo,cinque-seicentesco degli Scacerni, sulla strada di San Guglielmo, ora chiamata via Palestro, presenta un composto movimento architettonico; l’opulenza, insomma, di una casa ferrarese di quel tempo. Anche se è scomparso in parte il grande parco fiorito sulla via Mentana, è rimasta l’opera d’arte della casa Scacerni nella sua semplice integrità.
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PER LA SOSTA PRANZO: CESTINO SALUTARE E PRODOTTI TIPICI DEL TERRITORIO
7. PARCO PARESCHI: pranzo al sacco Originario giardino del Palazzo Estense detto di San Francesco, fu costruito nella seconda metà del XV secolo da Pietro Benvenuto degli Ordini e ampliato poi da Biagio Rossetti. Alla metà del secolo successivo il palazzo e il giardino furono modificati per volere del cardinale Ippolito II d'Este e il muro di cinta del complesso venne ornato da merlature dipinte. Il parco deve il proprio nome ai Pareschi, che alla metà del XIX secolo acquisirono la proprietà del palazzo e reimpiantarono il giardino, ormai adibito ad orto, secondo la moda "all'inglese". PANINO ALL’OLIO CON SALAME ALL’AGLIO E FRUTTA DI STAGIONE PER LA SOSTA PRANZO: CESTINO SALUTARE E PRODOTTI TIPICI DEL TERRITORIO INSALATA DI RISO, UN FRUTTO SFILATINO CON FORMAGGIO E VERDURE, UN FRUTTO
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8. ATTIVITA’ DI LABORATORIO A PALAZZO PENDAGLIA
IMPARIAMO INSIEME ... -riscopriamo l’arte dei mugnai -facciamo il pane -assaggiamo “..il pane più buono del mondo” (Bacchelli) PANE
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9-10. IL CHIOZZINO:TRA LEGGENDA E REALTA’
Da Porta Paola al “Palazzo Chiozzino”. “Il palazzo è risultato un ingegnoso succedersi a catena di pieni e di vuoti: con l’ampio androne, il piccolo cortile sul quale si affaccia un unico locale tutto ad arco, ma senza finestre. Se si chiude la grande porta, questo locale rimane buio. Già in quel tempo varie sfumature di magia si imbastirono quando furono note certe caratteristiche dell’edificio.” Trascorso mezzo secolo, e forse più, il palazzo Palmiroli pervenne alla famiglia Chiozzi. Il suo discendente Bartolomeo di Antonio Chiozzi, più noto col nome di Chiozzini, sposò nel 1706 la bella Cecilia Camilli. Fu ingegnere e giudice di argini; si occupò, con spiccate attitudini, di scienze occulte, che coltivò sotto la guida di certo frate Lana, ed ebbe fama di stregone. Questa sua casa di Ripagrande ed il tetro vòlto sul fianco erano luoghi frequentati dal diavolo e dalle streghe. ECCO LE LEGGENDE DEL MAGO CHIOZZINO E DELL’URLON DEL BARCO.
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PALAZZO DEL RAGUSEO Visita al Castello Estense e successivamente al Palazzo del Raguseo. Il palazzo fu artisticamente l’ambiente dove si incontrarono due loschi personaggi, l’immaginario Lazzaro Scacerni con in tasca i gioielli rubati e lo strozzino Michele Bergando, detto il Raguseo. Entrando dal portone principale, fra luci di pavimenti, ampi cristalli e chiare pareti, spiccano quattro possenti colonne, sormontate da capitelli fioriti, nel bel mezzo dell’androne con archi a tutto sesto caricati sulle colonne stesse. Ci si rende conto di essere entrati in una casa del tardo Rinascimento ferrarese e nel suo caratteristico “loggiato passante”. “Nella notte fra il 29 ed il 30 luglio 1839 in questo ambiente si perpetrò l’assassinio del Raguseo, strozzato nel sonno. Il misfatto e i tre processi contro una masnada di banditi scappati dalla rocca di Cento e la presunta mandante, Caterina Baracchi Bergando, cognata della vittima, destarono profonda impressione in città e fuori.”
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13. PALAZZO PROSPERI-SACRATI
In Corso Ercole I d’ Este, di fronte al Palazzo dei Diamanti, si impone, e non solo per la sua posizione urbanistica che qualifica il “quadrivio degli Angeli”, il Palazzo Prosperi-Sacrati. I Prosperi divennero anche proprietari del Palazzo di Via Palestro perché gli Scacerni si estinsero nei Prosperi.
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14. PORTA DEGLI ANGELI -VERSO L’URLON DEL BARCO…
La Casa del Boia è il nome con cui viene comunemente identificata l'antica Porta degli Angeli, una costruzione posta lungo le Mura settentrionali della città, dalla quale, percorrendo Corso Ercole I d'Este, si raggiungeva direttamente il Castello Estense. E DALLA CAMPAGNA ECCO L’ECO DELL’ URLON DEL BARCO CHE CI ACCOMPAGNA FINO AL PO…
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CENA ALL’ I.P.S.S.A.R “ORIO VERGANI”
ORE 20.00 CENA ALL’ I.P.S.S.A.R “ORIO VERGANI” OPPURE IN UN RISTORANTE TIPICO FERRARESE. ORE 21.30 a scelta tra FILM O ESIBIZIONE DEGLI SBANDIERATORI
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TERZA GIORNATA P F III- 3 IL MULINO DEL PO
VERGANI Le acque del Po rappresentano un’importante e naturale fonte di energia che ha alimentato per secoli l’industria molinaria e ha diffuso il fascino dell’ “ Arte bianca dei Mugnai”. I MOLINARI erano gente speciale: più ricchi dei braccianti, senza dubbio, però con una vita altrettanto grama, sempre lavorare e fare la guardia. Il mulino era anche la loro casa però in questa non potevano nemmeno cucinare a fuoco vivo per non incendiare una struttura che era di legno e canne. Cuocevano le piade e il pesce, loro alimentazione quotidiana, fra due pietre scaldate sulle braci e dovevano vivere sempre sul fiume.
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P F III – 3 IL MULINO DEL PO MATTINA
La giornata inizia con un percorso suggestivo, in motonave, attraverso canale Boicelli, che immette nel Po Grande; lungo questo percorso si affianca la caratteristica Isola Bianca e si può rivivere il mito di Fetonte e la leggenda del Drago del fiume Il visitatore si troverà immerso in un grande silenzio, a contatto diretto con una natura seducente e pura, dove regnano una flora e una fauna singolari, che lo sapranno meravigliare: :gli sembrerà di percorrere una grande autostrada, , larga, baciata dal sole, solcata solo da rare imbarcazioni, fino alla sorprendente ricostruzione del mulino sul Po, a Ro . Ore 9 – accoglienza presso Darsena , porto turistico di Ferrara . Ore 11- arrivo a Ro e visita al mulino, rivivendo l’arte dei mugnai . Ore 13- pranzo con cestino salutare preparato dagli studenti dell’IPSSAR VERGANI POMERIGGIO . Ore 15 TREKKING Il territorio di Ro è attraversato da circa 30 KM di piste ciclabili, con aree di sosta e sentieri ciclo-pedonabili che collegano le varie località e i punti di interesse turistico . Al turista si propone il percorso letterario, itinerario ciclabile di circa 6 KM, attraverso i caratteristici luoghi Bacchelliani, i palazzi padronali, le case contadine e la chiesa di Guarda, paese posto in un luogo che al tempo degli Estensi assunse una funzione di dogana per il transito delle merci e una di controllo per il commercio del sale. Il sale, proveniente dalle saline adriatiche, fu motivo di conflitto tra la città estense e la serenissima repubblica di Venezia ( battaglia della Polesella) Ora il grande fiume rappresenta invece un punto di unione tra le popolazioni rivierasche. . chiesa di Guarda . Vallazza . Palazzone . villa Beicamina . Ore 17 – ritorno a Ferrara in motonave. Durante il percorso di ritorno è prevista un’ animazione con tecniche comunicative ideate dagli studenti del Vergani , finalizzata ad esplicitare ulteriormente la figura del vallarolo e quella del mugnaio
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MATTINA: IL PO “Nelle acque del Po galleggiavano pittoreschi mulini fin dal 1200”.
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Partenza da Darsena a Ferrara in motonave o con la traghettatrice Nena.
Attraverso il canale Boicelli, si passa per la conca di navigazione di Pontelagoscuro che consente di superare due livelli idrici diversi.
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Entrati nella conca, ci si trova la via sbarrata da una saracinesca a scorrimento verticale che separa il canale Boicelli dal PO. Dopo qualche minuto un’altra saracinesca scende alle spalle della barca. Tramite grosse pompe, viene immessa acqua in questo bacino chiuso. Quando viene raggiunto il livello idrometrico del fiume PO, si apre la saracinesca anteriore e si continua la navigazione nel grande fiume.
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ISOLA BIANCA Durante il tragitto si può ammirare l’Isola Bianca, piccola oasi naturalistica, accessibile solo in alcuni periodi dell’anno. Su di essa è presente un sentiero che permette il raggiungimento di un capanno per l’attività di birdwatching.
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“Passaggio del Sambuco”, uno dei passaggi che permette di visitare l’isola.
Questo è l’ingresso secondario, accessibile anche ai disabili attraverso una pedana mobile. “La vecchia casa”, l’unica abitazione ch’era presente sull’isola, distrutta dalle piene del fiume e dalla vegetazione.. “Il picchio rosso”, simbolo dell’isola Bianca.
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Sembra di percorrere un’interminabile autostrada solcata solo da rare imbarcazioni. Poi, ecco la curva a gomito di Zocca, che è stata teatro della cruenta battaglia di Polesella nel 1509 tra estensi e veneziani, poi il primo ponte, tra Ro e la sponda veneta, sotto il quale vi è l’attracco di Ro con il mulino natante. IL MULINO SUL PO ha una lunghezza di 12,2 m e una larghezza di 9,36 m.Si riferisce al modello più semplice: 2 scafi, 1 ruota, 1 macina. Per realizzarlo infatti, si è tenuto conto della tecnologia costruttiva di allora; le attrezzature sono fedeli a quelle in uso dai vecchi mulini. Dagl’anni ’20 si è registrata la lenta scomparsa dei mulini natanti.
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POMERIGGIO Dal mulino s’intraprende il percorso ciclabile, sull’argine della riva destra del Po, tra bosco coltivato e bosco naturale. Bosco coltivato: presenta più di 30 specie forestali tipiche della vegetazione delle aree boschive della pianura padana; e la ricostruzione di un ambiente naturale che ha lo scopo anche di produrre seme di origine certificata per l’utilizzo da parte del centro della biodiversità di peri (VR). 1 4 2 3 Bosco naturale: ecosistema complesso che ospita grande varietà di organismi vegetali, piante autoctone tra le più tipiche del territorio, com’era frequente trovare prima delle bonifiche del 1850, insieme ad animali ben inseriti nell’ambiente. Il percorso è di 6 km e richiede circa due ore e mezza di tempo.
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Pranzo al sacco o in agriturismo.
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1. CHIESA DI GUARDA Percorrendo l’argine della riva destra del Po s’arriva a Guarda ferrarese che evidenzia emergenze di interesse storico come la chiesa di Guarda che “ volta le spalle ai parrocchiani … il grosso delle case si raggruppò dietro la chiesa via via che il fiume serrava più da vicino, pare quasi le proteggesse , umili, come la chioccia con i pulcini quando avvistano il falco “. Da “Il Mulino del Po”
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2. IL PALAZZONE
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3. LA VALLAZZA La Vallazza è un grandioso fabbricato costruito verso il 1850 quale stazione di trebbiature. Bacchelli la immagina una casa padronale e la chiama villa Cattarusco. “…Gli sterratori della Vallazza e dei canali cantavano: A mezzanotte in punto/ si sente una tromba sonar:/ sono gli scariolanti, larì lerà, / che vanno a lavorar / volta, rivolta, / e torna a rivoltar…”
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4. LA BEICAMINA Nel romanzo è la dimora del marchese Macchiavelli “discendente dagli antichi banchieri Oriundi di Toscana nella Ferrara estense.” Il nome Beicamina venne dato da Bacchelli quando si intratteneva, ospite della proprietaria Carla Rivani, nelle sale ornate da bei camini.
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Il percorso ciclabile si conclude con il ritorno al mulino sul Po e poi…
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…alla Darsena.
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Sulle orme degli Estensi tra terra e acqua
E’ COSTITUITO DA TRE PERCORSI FORMATIVI FLESSIBILI personalizza il tuo percorso di visita e per il preventivo rivolgiti a Zainetto Verde puoi scegliere fra ostello e albergo a tre stelle IL PROGETTO PF I- NEREO ALFIERI: ARCHEOLOGIA E TERRITORIO PF II- GIORGIO BASSANI: IL GIARDINO CHE NON C’È PFIII – RICCARDO BACCHELLI: IL MULINO DEL PO
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RICCARDO BACCHELLI, IL MULINO DEL PO, PARTE PRIMA. SINTESI
Lazzaro Scacerni, figlio di un traghettatore di Ariano, sul Po, riceve in eredità dal capitano Mazzacorati, che detiene beni ecclesiastici sottratti in modo sacrilego, le sue sostanze, per averlo assistito in punto di morte. Con queste e con altro denaro avuto in prestito, egli costruisce, al suo ritorno in patria, il mulino detto "San Michele". Dopo il matrimonio con Dosolina, da cui nasce Giuseppe, poi detto "Coniglio mannaro“, Lazzaro si trova coinvolto in torbide vicende che mostrano la potenza della "mafia" ferrarese. Fra l'altro egli è coinvolto nell'uccisione di Raguseo, un ebreo usuraio di Ferrara, ad opera di un contrabbandiere, Fratognone che per questo delitto verrà giustiziato. Per fare ammenda dell’utilizzo del denaro sacrilego, su cui si fonda la sua ricchezza, Lazzaro si reca in pellegrinaggio all’altare della Madonna dell’Atrio, nel Duomo di Ferrara. Nel frattempo la “complicità” nel delitto di Fratognone travaglia il suo animo e, per avere conforto, si reca nel convento delle Orsoline dove madre Eurosia lo assolve dalla colpa.
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LA CAMPAGNA DI RUSSIA Intorno al 1805 Alessandro I di Russia aveva cominciato a temere Napoleone e rifiutò di collaborare con lui, riguardo al Blocco Continentale: si trattava di una serie di misure adottate da Napoleone tra il 1806 e il 1807, per replicare al blocco delle coste francesi, disposto dall'Inghilterra dal maggio In pratica veniva vietato alle navi provenienti dalla Gran Bretagna e dalle sue colonie l'accesso ai porti dei territori sottoposti al controllo dell'impero francese. Questa fu la principale causa che spinse Napoleone ad invadere la Russia nel 1812, con un colossale esercito, reclutato nei territori occupati dal suo impero: di esso, solo un terzo francesi. I Russi, comandati da Kutuzov, decisero la tattica della ritirata, piuttosto che scontrarsi contro il superiore esercito napoleonico. Il 12 settembre nei dintorni di Mosca ebbe luogo la Battaglia di Borodino. I Russi, sconfitti, ripiegarono e Napoleone entrò a Mosca, immaginando che Alessandro avrebbe negoziato la pace. Stabilitosi nel Cremlino, Napoleone non poteva immaginare però che la città completamente vuota nascondesse in realtà un'insidia: nella notte, Mosca cominciò a bruciare, essendo state appiccate le fiamme da alcuni russi nascosti nelle case. Napoleone, che aveva tentato a più riprese di venire a patti con Alessandro I senza riuscire neanche a far ricevere i suoi messaggeri, si rese conto della necessità di rinunciare all’impresa. Diede perciò ordine di iniziare il ritiro delle truppe; si era trattenuto a Mosca non più di trentacinque giorni. La Grande Armata francese soffrì gravi perdite nel corso della rovinosa ritirata; la spedizione era iniziata con circa uomini e cavalli ma alla fine della campagna poco più di uomini riuscirono a mettersi in salvo ( circa furono i morti e i prigionieri). Rimasero inoltre solo cavalli. Tra il 25 e il 29 novembre, infatti, i resti dell'armata, distrutta dal grande freddo (il "generale inverno") vennero in gran parte annientati dai russi durante il passaggio del fiume bielorusso Beresina. Intanto, Napoleone era stato messo a parte del fatto che a Parigi il generale Malet aveva diffuso la notizia della morte dell'imperatore e tentato un colpo di Stato. Angosciato da questa ed altre informazioni di tradimento (i suoi generali Talleyrand e Fouché stavano ormai tramando col nemico), Napoleone abbandonò precipitosamente la Russia lasciando il comando a Gioacchino Murat e ad Eugenio Beauharnais e tornando nella capitale, dove iniziava a ricostruire un nuovo esercito di uomini, in realtà giovanissimi e male addestrati. Le potenze europee, consce dell'atroce disfatta di Russia, sollevarono la testa e formarono una nuova coalizione.
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FERRARA, LE BONIFICHE E GLI ESTENSI
Ferrara è sorta nell’alto medioevo su una sponda del ramo del Po Grande come porto commerciale e si è sviluppata lentamente verso l’entroterra, strappando, con un sapiente lavoro di bonifica, la terra alle paludi. Le strade strette e tortuose della zona meridionale ricalcano il tracciato dei corsi d’acqua, altre, l’andamento lineare degli argini. Alcune mantengono nella toponomastica il rapporto con il fiume: Ripagrande, Boccacanale di Santo Stefano, Bonporto, o le tracce di antichi mestieri, Coramari, della Concia, Spadari. E’ in questa parte della città che si trova il primo insediamento, il castrum bizantino a forma di ferro di cavallo e il Ghetto, con le sue sinagoghe e le case alte e strette, dai piccoli balconi fioriti e il Duomo dai portali riccamente scolpiti. Nella piazza del Duomo, nel 1264, Obizzo II d’ Este viene acclamato, davanti al Palazzo del Comune, signore della città; qui è il Palazzo della Ragione, il tribunale alle cui finestre vengono esposti i corpi dei giustiziati; di fronte al Duomo viene eretto il Palazzo Ducale, dallo scenografico scalone marmoreo. Nella piazza si tengono giostre e tornei, ma anche il mercato, ed è nella piazzetta oltre il volto del Cavallo, quasi un cortile privato, che si recitano le commedie di Plauto. Al tipico agglomerato medioevale si affiancano le prime due addizioni estensi, quella di Niccolò II, del 1386, che congiunge il Castello di San Michele, la poderosa fortezza eretta a protezione della corte, alla Delizia di Schifanoia, luogo di svago e di rappresentanza, e quella di Borso del 1451, che ingloba nella città l’isola di Sant’ Antonio in Polesine, con il ricco monastero fondato da Beatrice d’Este. E’ in questa nuova parte della città che si insediano i proprietari terrieri, in case ampie dalle facciate affrescate, con cortili e orti interni. Il ramo del Po Grande è ormai ridotto a poco più di un canale, l’economia di Ferrara da commerciale si è trasformata in agricola e nel Salone dei Mesi, magistralmente dipinto dai pittori dell’Officina Ferrarese, nella delizia di Schifanoia appena ampliata, Borso d’Este ha voluto che fossero documentate, oltre ai fasti della corte, anche le attività agricole di quel territorio che le bonifiche estensi avevano strappato alle acque e reso fertile. E’ un canale, che ora scorre sotto viale Cavour e Corso Giovecca e che alimenta le acque del Castello, a dividere la città in due parti: quella medioevale a sud e quella rinascimentale, con cui Ercole I nel raddoppia l’estensione di Ferrara, verso nord. Siamo ormai nel pieno Rinascimento, la corte investe in immagine: artisti, letterati e musicisti vivacizzano l’ambiente culturale, le Delizie urbane ed extraurbane si arricchiscono di giardini all’italiana, chiese e palazzi sono affrescati da pittori di grido. E’ all’architetto ducale Biagio Rossetti che si deve la realizzazione della terza addizione, detta “erculea”, dalle strade ampie e rettilinee, con le sue imponenti dimore signorili immerse nel verde, la Piazza Nuova, le moderne chiese di San Benedetto e di San Cristoforo, i monasteri con i loro orti e la cerchia di mura che tutta la comprende. Definita la prima città moderna d’Europa per la pianificazione “aperta” dell’ impianto urbanistico, volta ad indirizzare gli interventi anche dei secoli successivi e per la capillare rete di collegamenti tra la parte vecchia e la “Terranova”, Ferrara è un organismo unitario, il cui centro storico si identifica ormai con la zona dentro le mura. Il sistema difensivo voluto dagli Estensi e, dopo la devoluzione di Ferrara allo stato Pontificio del 1598, potenziato dai Papi, cinge quasi ininterrottamente, per circa 9 km, la città e costituisce un singolare esempio di museo archeologico all’aperto immerso nel verde. Le mura, sottoposte negli anni ’80 ad un accurato restauro che Giorgio Bassani, presidente di Italia Nostra, ha fortemente voluto, sono ora luogo di ritrovo e di svago dei ferraresi e, percorse a piedi o in bicicletta dai turisti, possono costituire un punto di partenza per la visita alla città.
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LE MURA DI FERRARA Le mura estensi, lunghe 9 km., sono un anello di verde che cinge la città di Ferrara, o meglio il suo centro storico, quasi completamente. Di inestimabile valore urbanistico e paesaggistico, sintesi armonica tra natura, storia e archeologia, percorribili a piedi o in bicicletta, offrono un’eccezionale campionatura dei diversi sistemi di fortificazione presenti in Italia tra ‘400 e ‘600, alcuni dei quali indagati anche archeologicamente e tutti sottoposti ad un accurato restauro. Il percorso, che si sviluppa sia all’interno della cinta sia nel sottomura, ha inizio a nord ovest con le fortificazioni rossettiane volute da Ercole I d’ Este. Il sistema difensivo tardo quattrocentesco, compreso fra le antiche porte di San Benedetto e di San Giovanni, presenta 20 torrioni minori, di cui 11 in alzato, collegati tra loro da cortine con camminamenti di ronda dotati di oltre 200 feritoie. Le mura di AlfonsI, dalla Porta di San Giovanni alla Punta di S. Giorgio, sono caratterizzate dai bastioni “a freccia” cinquecenteschi, mentre il sistema difensivo nel tratto sud-est, presenta baluardi ad “asso di picche”, dovuti ad Alfonso II con le postazioni per le armi da fuoco pesanti, a rinforzo delle quattrocentesche mura di Borso d’Este. Il tratto sud ovest presenta solo tracce delle antiche mura e due imponenti baluardi, residuo della seicentesca fortezza pontificia.
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PORTA DI SAN GIOVANNI La Porta di San Giovanni Battista, insieme a quelle di San Benedetto e degli Angeli permetteva l’accesso all’ addizione erculea. Nel Settecento sostituisce alla funzione militare quella daziaria e di controllo dell’accesso alla città durante le epidemie. Della originaria struttura fortificata, rimane ora solo il torrione, in quanto la porta viene demolita nel 1908.
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Il GHETTO EBRAICO Con il nome di "Ghetto" si indica la zona che tra il 1624 ed il 1627 è stata chiusa da cinque cancelli e designata come unico spazio concesso agli ebrei residenti in città. Con tale provvedimento anche Ferrara si allineava alla politica papale vigente. I cancelli del ghetto vengono definitivamente abbattuti nel 1848, in seguito all'Unificazione italiana. L'area del ghetto comprende via Mazzini, via Vignatagliata, via Vittoria e piazzetta Lampronti; le finestre e le porte che davano su altre vie, mantengono ancora tracce delle tamponature attraverso cui il ghetto veniva ulteriormente isolato. La caratteristica principale degli edifici è di avere avuto uno sviluppo irregolare, dovuto all'aumentata concentrazione delle abitazioni, il cui fronte interno e le aree cortilizie, si affastellarono le une sulle altre. Le case presentano decorazioni in cotto di portali, finestre e cornicioni e sono impreziosite da balconcini in ferro battuto su cui, in occasione della festa delle capanne, ad ottobre, venivano costruite capanne con tetto di di frasche. Il ghetto, che ha ospitato fino a 1800 persone, era una piccola città autosufficiente all'interno della più grande città; le scuole, l'ospizio per i vecchi, il forno per i cibi rituali, le aule delle confraternite per l'assistenza, tutto era sotto il controllo di una amministrazione parsimoniosa che con l'autotassazione provvedeva ai bisogni delle vita di tutti. All'inizio del sec. XIX su 340 famiglie solo 3-4 erano ricche, 8-10 agiate e le altre povere, con un solo pasto al giorno. Nel secolo XIX e XX la comunità ebraica ferrarese ebbe illustri rappresentanti nelle professioni liberali e intellettuali, nella politica, nella elaborazione delle nuove idee. Tra i nomi più illustri nelle arti: Giorgio Bassani, Ciro Contini, Roberto Melli, Arrigo Minerbi, Vittore Veneziani. Nel centro del ghetto, nel 1481, il banchiere romano Ser Samuel Mele donò alla comunità l'edificio delle sinagoghe perché fosse destinato alla vita religiosa e culturale; vi coesistevano tre sinagoghe, dove si celebravano riti diversi: il tempio italiano, il tedesco, il fanese (da Fano nelle Marche). Dopo le distruzioni fasciste del 1944 l'edificio delle sinagoghe è stato restaurato dalla Comunità e dalla Sopraintendenza ai Beni Ambientali e architettonici di Ravenna, Ferrara e Forlì. Vi si svolge ancora la tradizionale attività religiosa e comunitaria. In parte è museo di se stesso, grazie a una convenzione tra Comunità Ebraica, Comune e Provincia di Ferrara, con il contributo della Regione Emilia - Romagna e della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
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LA SINAGOGA Dal 1485 la casa di via Mazzini è il centro della Ferrara ebraica. A quell‘ epoca gli ebrei non avevano ancora un luogo stabile dove riunirsi e pregare. Vi provvide (Mes)ser Mele (Melli), originario da Roma, figlio di Salomone, che da Mantova si era trasferito alla corte degli Estensi per svolgere attività finanziaria. Il benefattore, non avendo figli decise di impegnare tutto il suo patrimonio, 1000 ducati, per l'acquisto dell'edificio di via Mazzini (un tempo via Sabbioni), che alla sua morte fu destinato "per sempre a comune uso degli ebrei". Da allora l'edificio è rimasto il punto di riferimento ebraico della città, con le sue tre sinagoghe, la Scola tedesca e quella fanese, ancora in funzione, e quella Italiana. Ora ospita anche il Museo Ebraico. Sulla facciata sono state poste due lapidi con i nomi delle 96 vittime ferraresi dell’Olocausto. TRATTO DA:
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C’è scritto nella carta; v’è tutto in regola
C’è scritto nella carta; v’è tutto in regola. Ora ti ho pagato, ma ascolta bene: se sei cristiano, è roba scomunicata, rubata in convento, sull’altare stesso della Madonna. M’intendi? Erano doni di fedeli. E perché tu non abbia scuse vigliacche col dire che non sapevi, a Ferrara hai da cercare qualcuno di quel reggimento di linea, che chiamano dei “cappelletti”; meglio, se sarà ancora vivo, il capitano Antonio Roncaglia, che è di quel reggimento e fu con me a rubare su quell’altare. Ti sapranno dire che brava gente da corda, che buoni pendagli di forca erano i “cappelletti “ Da R. Bacchelli, Il mulino del Po
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LE MURA DEI PAPI E LA PORTA PAOLA
Dopo la devoluzione di Ferrara allo stato Pontificio, il tratto sud occidentale delle mura con le antiche porte di San Paolo e di San Romano e una parte della città con la delizia di Belvedere, vengono abbattuti per lasciar posto alla poderosa fortezza pentagonale, voluta dal Papa. Contemporaneamente, nel 1612 viene costruita, su progetto dell’ Aleotti, la Porta Paola, dedicata a Paolo V che, posta al termine della strada che da Bologna arrivava a Ferrara, doveva testimoniare la potenza del nuovo governo. A protezione della porta monumentale, ricoperta di marmo e sormontata da un timpano ricurvo, era stato costruito un rivellino a freccia e un ponte di collegamento in legno gettato sul fossato delle mura. Indagini archeologiche recenti hanno permesso il ripristino dell’antico livello di calpestio ed è stata costruita una passerella che richiama il ponte scomparso.
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IL MAGO CHIOZZINO Come narra la storia, l’abile ingegnere Chiozzini, per la pura bramosia di allargare i suoi confini culturali, iniziò a studiare la Numerologia e la Cabala. I suoi studi lo portarono fino a Ferrara, dove si stabilì presso l’abitazione della famiglia Palmiroli in via San Michele (l’attuale Ripagrande). Qui egli, scavando nella cantina, a quanto si tramanda rinvenne una preziosa pergamena antica. Con questa, la notte del 19 novembre del 1700, il mago evocò un demonio, un tal Magrino, detto Urlon, col quale concluse un patto che doveva assicurare l’anima dell’uomo al demone, in cambia di onori e fama. Grazie al diavolo, Chiozzini divenne ben presto famoso per una ben lunga lista di prodigi,che compì a Ferrara e in varie città di tutta Europa, e per i fastosi banchetti organizzati in casa sua. Si dice, tra l’altro, che egli partecipò ad un convegno diabolico, dove venne a contatto con demoni sotto tutte le forme: serpenti, draghi, uccelli, spettri, lupi, scheletri, mostri, corpi umani rappresentanti luride e schifose vecchie e anche giovani d’ambo i sessi e di bell’aspetto, alcuni nudi altri ricoperti da splendide vesti. Ma ogni contratto ha un termine e, nel 1717, scadeva il patto tra il Chiozzini ed il demone. La suggestione dell’avvenuta costruzione della nuova chiesa di San Domenico a Ferrara produsse un tale pentimento nell’animo dell’uomo, che avvertì il bisogno di sciogliere il patto con Magrino. L’Inquisizione iniziava a nutrire dei sospetti nei suoi confronti, e spirava aria di denuncia. Il diavolo tentò vari stratagemmi e incantesimi, per evitare di perdere l’anima del suo protetto. Per sfuggire alle grinfie del maligno, il mago allontanò con una scusa il fedele servitore, passando di fronte alla chiesa di San Domenico, in modo tale da potersi rifugiare all’interno del tempio. Gli ecclesiastici, dopo aver udito il racconto dell’ingegnere, si adoperarono con un esorcismo che liberò la sua anima. In seguito, il diavolo fu relegato nel parco del Barco, dove si racconta che nelle notti di tempesta riecheggino ancora le sue terribili grida. Il Chiozzini si dedicò all’attuazione di buoni progetti nel campo dell’idraulica e scrisse diverse opere; morì ultrasettantenne e fu sepolto nella chiesa di San Michele. Tutti i suoi testi furono bruciati, probabilmente a causa dell’Inquisizione; ciò fece sorgere il dubbio sulla spontaneità della sua confessione, giacché nel manoscritto originale si afferma che egli fu portato nella chiesa di San Michele.
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IL TRIBUNALE D’ INQUISIZIONE E LA LOTTA ALLA MAGIA
Il clima politico e religioso fra 600 e 700 favorisce a Ferrara, quanto più la Santa Inquisizione stava operando contro le devianze ideologiche, tanto più il diffondersi di diverse leggende locali, tra le quali la storia del Mago Chiozzini. Il mondo dell’ occulto e la magia erano infatti considerati dalle istituzioni un pericolo sociale, che minava la stabilità politica; così, l’eresia, alla quale la magia fu equiparata, fu intesa come una minaccia alla conservazione dell’ordine religioso. Unificare le due accuse faceva sì che si congiungessero le forze del potere temporale e del potere spirituale contro un unico avversario: il mago eretico. La magia e l’eresia furono perseguitate con un impeto tale, da far accrescere nell’immaginario popolare l’interesse e la paura verso queste pratiche oscure. A Ferrara, vi furono un susseguirsi di eterodossie, partendo dai dualistici Catari fino ai misteriosi Templari,senza contare gli studi cabalistici tenuti dagli Ebrei, che spesso entrarono nella ricerca alchemica e, per questo, in sospetto di eresia. Il terribile tribunale della Santa Inquisizione, a Ferrara, fu stabilito presso la Chiesa di San Domenico, in Contrada Degli Spadari, dove si tenevano le procedure giudiziarie, le condanne e, spesso, le esecuzioni, che altre volte erano eseguite nella piazza centrale e di fronte all’oratorio di San Crispino. Proprio nel portale di accesso laterale della chiesa appare quello che la tradizione attribuì all’evidente segno del maligno: la famosa zampa del diavolo, inquietante simbolo di rivolta, urlo incessante di coloro che, per continuare a declamare nuove idee, furono perseguitati. Nella leggenda di Bartolomeo Chiozzi, il Chiozzino incarna il principio razionale ascritto alla Scienza Ufficiale di cui egli è l’araldo, mentre il demone Magrino dà corpo alla personificazione della Superstizione, combattuta con forza dal mondo illuminista. Inoltre, il connubio scienza-religione sottomette al proprio potere la credenza irrazionale, emarginando sempre più Urlon, spesso messo al servizio del mondo cristiano, come nell’episodio in cui, a Mantova, egli consiglia di celebrare una messa a favore del Purgatorio. La morale è scontata: la superstizione soccombe di fronte al trionfo della scienza, ed è relegata ai margini della realtà storica.
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SAN DOMENICO La chiesa di San Domenico sino alla fine del XVIII secolo era parte integrante dell’adiacente complesso architettonico del convento dei frati domenicani. Fino al 1235 fu utilizzata dai padri domenicani come edificio per le attività di culto, oltre che come convento. Lo schema planimetrico del tempio è quello della chiesa medievale: un’aula unica con tre absidi (una centrale più ampia e alta e due laterali di dimensioni minori), probabilmente intercalate tra due campanili. Nel 1570 fu danneggiata gravemente da un terremoto; a partire dal 1693 la grande chiesa, divenuta ormai fatiscente, venne demolita nonostante vi fossero affreschi di grandi artisti, quali Cosmé Tura ed Ercole De Roberti. La nuova fabbrica venne ricostruita, con orientamento opposto a quello precedente, dall’architetto ferrarese Gioseffo Balduini, il quale ben presto interruppe la costruzione, dopo aver realizzato la parte superiore del coro e del presbiterio. La chiesa fu, in seguito, eretta nel 1594 su un preesistente complesso francescano. La facciata in mattoni è scandita da lesene in marmo e cotto, e da ampie volte laterali. L’interno è a croce latina, a tre navate, con otto cappelle per lato e suscita un’impressione di grande armonia per le pure proporzioni geometriche rinascimentali. Si segnala, nella prima cappella di sinistra, lo splendido affresco della cattura di Cristo, del Garofalo (1524). L’altare accanto all’affresco presenta un raro esempio di ancona scolpita in pietra, rappresentante Cristo nell’orto del Gestemani, essa è fiancheggiata dai ritratti a fresco dei donatori. Nel transetto destro si trova l’imponente mausoleo barocco del marchese Ghiron Francesco Villa, mentre nel transetto sinistro si ammira un magnifico sarcofago romano-ravennate del V secolo. Dietro l’altare maggiore è collocato un grande trittico di Domenico Mona, del : Resurrezione, Ascensione e Deposizione. Nel 1700 la conduzione del cantiere venne lasciata all’architetto Vincenzo Santini, che modificò il disegno iniziale e portò a compimento il nuovo edificio ad aula con cinque cappelle per lato. I lavori architettonici si conclusero nel 1717, mentre per la sistemazione definitiva degli arredi interni e degli altari si deve attendere ancora alcuni anni. Fu costruita nelle sue forme attuali nel 1726, in luogo di una chiesa più antica, della quale sopravvivono una cappella ed il campanile, visibili sulla destra della facciata. Il pavimento è ricoperto di pietre tombali antiche, esempio di un uso un tempo frequente in tutte le chiese.
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PARCO MASSARI Il parco prende il nome dall'attiguo palazzo eretto alla fine del Cinquecento ed è il più vasto dei giardini pubblici entro le mura della città. La superficie è di circa 4 ettari. Progettato nel 1780 dall'architetto ferrarese Luigi Bertelli per il marchese Camillo Bevilacqua, era un significativo esempio di giardino neoclassico attraverso il quale si procedeva per itinerari: il primo si sviluppava su un viale fiancheggiato da cento statue, rappresentanti personaggi mitologici, tra filari di cedri aranci e fiori, conduce alla fonte dedicata a Nettuno e a un terrapieno sormontato da archi che formano la prospettiva finale; il secondo percorso giungeva alle terme, all'orto botanico, al boschetto quadrangolare con quattro tempietti agli angoli e alla serra di Proserpina; il terzo conduceva al "teatro di Verzura"e alla collinetta della grotta, prospiciente a Corso porta Mare. Acquistato dai conti Massari dopo il saccheggio delle truppe napoleoniche nel 1796, il parco venne trasformato in un asimmetrico “giardino all'inglese”. Il disegno delle aiuole è ancora quello ottocentesco e molti alberi sono più che secolari: oltre ai due cedri del Libano all'ingresso, ci sono alcuni tassi, un imponente ginkgo e la gigantesca farnia presso l'ingresso di Corso Ercole I d’Este. Dal 1936 è proprietà del Comune di Ferrara, che lo ha adibito a parco pubblico e dotato di bar e di servizi.
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IL MITO DI FETONTE Il mito di Fetonte, il giovane dio sprofondato nell’Eridano (antico nome del Po) con il carro del Sole, è stato celebrato dai più grandi poeti. Fetonte, figlio del Sole e di Climene, offeso da Epafo, altro giovane dio dell’Olimpo. Questi insinuava che Fetonte non era in realtà figlio del Sole. Fetonte in lacrime si recò dalla madre per supplicarla di fornirgli una prova che il Sole era veramente suo padre. Allora Climene, per calmare il figliolo, chiese al Sole che permettesse al figlio Fetonte di guidare almeno una volta il fiammeggiante carro solare, che dal principio dei secoli egli conduceva ogni giorno lungo l’arco del cielo. Il Sole sulle prime si oppose, conoscendo l’immane fatica e difficoltà che tale guida comportava. Ma poi dovette cedere alle preghiere della moglie e alla tormentata insistenza del figlio. Unse di sacri unguenti il volto del figlio perché potesse sopportare le fiamme e ordinò di aggiogare i quattro splendidi cavalli bianchi. Fetonte, bramoso di dimostrare il proprio valore, balzò sul carro. Ma ahimè, ben altro polso occorreva per trattenere sul giusto cammino la quadriga di fuoco! I cavalli presero la mano all’inesperto auriga, si avvicinarono troppo alla Terra. Arsero foreste e montagne; i fiumi e i laghi essiccarono. Fu così che le popolazioni dell’Etiopia divennero da allora scure di pelle; il Nilo, terrorizzato, per non restare interamente all’asciutto nascose le proprie sorgenti nel cavo dei monti. Così proseguendo nella sua corsa pazza il carro del Sole avrebbe distrutto tutta la Terra. Fu allora che Zeus, impietosito verso gli uomini, vibrò un fulmine sul carro e Fetonte in fiamme precipitò nel fiume Eridano. Accorsero le Eliadi, sorelle dell’infelice giovane, le quali tanto piansero l’amato fratello fino a che Zeus pietoso le trasformò in pioppi e le loro lacrime in ambra.
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MADONNA DELLE GRAZIE Subito sulla destra dell'ingresso del Duomo, si trova la piccola cappella dedicata alla Madonna delle Grazie, oggetto di devozione popolare. Viene qui gelosamente conservata, su di un ricco altare di marmo policromo, l’immagine della Vergine, attribuita ad Ettore Bonaccossi e che risale all'VIII secolo.
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IL PADIMETRO All’angolo fra il Palazzo Ducale e Piazza Savonarola, è stato da poco restaurato il “padimetro”, uno sorta di idrometro che segna le varie altezza a cui è arrivato il livello del Po nei momenti di piena
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IL CASTELLO ESTENSE Nel 1385 il marchese Niccolò II d’Este ordinò la costruzione di una fortezza difensiva, incaricando del progetto Bartolino da Novara. Di quel periodo restano la massiccia imponenza, il fossato, i ponti levatoi preceduti da rivellini in muratura, le torri. A partire dai tempi di Ercole I d’Este il Castello divenne la magnifica residenza della corte e fu arricchito ad opera di Girolamo da Carpi, che sostituì le merlature con eleganti balconate in pietra bianca, sopraelevando poi la costruzione di un piano, coperto da un tetto spiovente. Le torri furono ingentilite e slanciate dalla costruzione delle altane. Il cortile, oggi abbastanza austero, era affrescato, come si vede ancora in alcuni punti. In particolare, in alto erano ritratti tutti gli antenati (veri e leggendari) degli estensi: gli unici superstiti, molto rovinati ma leggibili, sono staccati e posti sotto il portico sul lato est del cortile. I pozzi erano destinati all'approvvigionamento d'acqua in caso di assedio, mentre le palle di pietra erano munizioni da catapulta. All'interno sono visitabili alcuni ambienti medievali al piano terra, dove si trovavano le cucine e le prigioni, e,al piano nobile, gli appartamenti ducali sontuosamente affrescati.
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MADRE EUROSIA Dosolina conosceva una monaca in voce di santità; anzi Princivalle diceva che erano parenti e una volta l’anno conduceva la famiglia al convento, in visita solenne -Sentite,Lazzaro: madre Eurosia, l’avete sentita nominare mai? - E‘ una santa. -Quattrini e santità… -Dicono tutti che è santa ma non si tratta di questo. Io la conosco, l’ho conosciuta da bambina, e vorrei da voi un favore domani: me lo farete? -Quando che si possa. -Oh, potete si, è una cosa da nulla: passar dal convento delle orsoline, e chiedere in parlatorio madre Eurosia -Ma ti dimentichi di dirmi dov’è il convento - disse sbadigliando. -Come? A Ferrara è, s’intende. R. Bacchelli, Il mulino del Po
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IL CONVENTO DELLE ORSOLINE E SANTA MARIA DEI SERVI
La storia del Collegio Sant ’Orsola di Ferrara, che inizia nel 1584, è il cammino e la vicenda di un gruppo di donne consacrate orsoline che donano la vita al servizio educativo delle giovani loro affidate dalle famiglie, cercando di farne donne in grado di affrontare con responsabilità e dignità la propria vita. L'ultima sede abitata dalle Orsoline, che dal 2003 hanno lasciato Ferrara,è il collegio di via Cosmè Tura. Si tratta di un edificio con linee severe e compatte, all’esterno, e con vasti spazi ariosi, all'interno. Le religiose traggono il nome dalla devozione per Sant’Orsola, la cui opera,con le sue undicimila compagnie ha ispirato cicli pittorici in tutto il mondo. La loro è una compagnia laica fondata all'inizio del sedicesimo secolo da Angela Merici, accettata e riconosciuta a Ferrara nel 1584 dal vescovo Paolo Leoni. Suore atipiche, soprattutto per quel periodo di controriforma, perché ponevano, anche nella nostra città, un'alternativa a quella che allora per le donne "oneste" era una scelta obbligata: matrimonio o convento di clausura. Infatti la loro vita si basava su un ruolo attivo nella custodia del proprio corpo e del proprio onore, partecipi del rinnovamento della Chiesa e della diffusione della dottrina cristiana, grazie ad un voto privato e mantenendo un inserimento, seppur vigile e misurato, nella società cittadina e del suo territorio. Un altro carattere innovativo del loro carisma fu quello che le vedeva e le vedrà impegnate nell'elevazione non solo religiosa, ma anche intellettuale e poi culturale della donna. Una vera conquista di spazi la loro, e non solo fisici, della città. Le ultime aree, quelle concrete del collegio di via Cosmè Tura le avevano occupate nel 1800, sostituendosi ai frati di Santa Maria dei Servi. Questi frati avevano già forzatamente abbandonato quel loro convento, a seguito delle soppressioni napoleoniche del 1797, mettendo così anche fine allo sviluppo di quella fabbrica che, iniziata nel 1635, aveva visto inglobare casette circostanti e occupare spazi verdi. Una sorte che quei religiosi avevano già vissuto prima di trasferirsi in via Cosmè Tura, allora via Colombara, quando, all'inizio del Seicento, erano stati obbligati ad abbandonare il loro primo convento, situato nel rione di Castel Tedaldo, per permettere una ben più importante e traumatica trasformazione della città: l'emergere della Fortezza Pontificia. D’altra parte, anche le Orsoline venivano da altra sede: quella che si erano date nel 1647, in via Alberto Lollio, allora via Spazzarusco, per vivere e operare insieme e che poi avevano appunto lasciato, perché non più funzionale, nel 1800. Lo spazio su cui era distribuito il nuovo convento delle Orsoline, a due passi dai simboli del potere maschile, il Castello Estense e il Palazzo Arcivescovile, sembrava mettere in discussione l'assetto della città, non corrispondendo affatto all’idea che fino ad allora si era avuta di un convento. Infatti alludeva esplicitamente all’impegno anche sociale delle religiose. Le religiose, infatti, anche nei rapidi e a volte traumatici eventi di questi ultimi due secoli, interpretavano i segni dei tempi e operavano di conseguenza, diventando lievito per la città. Oggi Ferrara ha mutato, come altre città, assetti, designazioni, abitanti e continuamente li muta. Anche il collegio delle Orsoline, abbandonato dalle suore, e ora in procinto di essere trasformato in residence, sarà costretto a divenire presenza muta e indecifrabile.
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LE DELIZIE ESTENSI Le delizie sono residenze in cui gli estensi amavano trascorrere lunghe giornate di svaghi e intrattenimenti. Esse furono anche luoghi di cerimonie, destinati al ricevimento di ospiti illustri, e così pure teatro dei momenti importanti della vita di corte. In realtà questi insediamenti nascondono anche ragioni geopolitiche, infatti, questo sistema di residenze permetteva di coordinare e controllare l’amministrazione dei beni agricoli, come pure lo sfruttamento delle riserve venatorie ( ad esempio il Boscone della Mesola), oppure della pesca, ricoprendo il territorio di baluardi del potere estense Le Delizie, realizzate in un arco di tempo che va dalla fine del Trecento fino alla devoluzione del Ducato di Ferrara (1598), appartengono, con la città di Ferrara e il Parco del Delta del Po, al patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO. Alcune sono tuttora intatte e in buone condizioni, alcune sono rovine mentre altre non esistono più. Fra le più note ricordiamo Schifanoia e Belriguardo. La maggior parte erano collegate all'allora capitale Ferrara per mezzo di canali e vie d'acqua.
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CON LAZZARO ALLA SCOPERTA DI UN TERRITORIO RICCO DI ARTE, STORIA, CULTURA
Il percorso bachelliano, in città, ha come figura di riferimento il protagonista del romanzo “ Il mulino del Po”, Lazzaro Scacerni, discendente da una nobile famiglia che dal sec. XVII viveva tra Consandolo ed Argenta. A Consandolo Renata di Francia soggiornava per molti mesi all’anno circondata da intellettuali e dignitari; tra i cortigiani autoritari e pretenziosi vi erano appunto gli Scacerni. E del resto costoro non potevano evitare l’attrazione della duchessa che nella zona aveva introdotto il virgulto dell’uva d’oro, il dolce pasticcio di maccheroni, insieme al calvinismo e all’amore per il francese. E’ così accertato che nel 1707 gli Scacerni erano cittadini a tutti gli effetti avendo acquistato il palazzo costruito dalla duchessa Laura d’Este, principessa della Mirandola, posto sulla via che prima si chiamava S, Guglielmo dei Villani e poi Boccacanale, perché si imboccava nei canali che si immettevano nel Po ( ora trattasi di via Palestro) E’ un palazzo cinquecentesco, circondato dal lussureggiante parco che non ha più l’originaria fontana di getti schioccanti ma una rinascimentale ghiera da pozzo presso la quale era solito indugiare il letterato Francesco Scacerni
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DUCATUS FERRARIAE Il “ducatus ferrariae” nasce lungo il corso principale del Po, dove dal Po di Volano nasce il Po di Primaro. Qui si pensa sia sorto il primo nucleo della città di Ferrara, attorno alla cattedrale di San Giorgio, nuova sede vescovile, dopo la decadenza di quella di Voghiera. Dopo questo “castrum” ne sorse un altro, quello bizantino (oggi quartiere S. Pietro), sulla riva opposta del fiume, a nord, dove esisteva un insediamento militare. La posizione favorevole di questi due “castra”, dal punto di vista strategico e militare, concorre allo sviluppo e alla nascita della città.
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CATTEDRALE La cattedrale risale al 1135, anno in cui essa fu consacrata a San Giorgio e sostituì quella ubicata nella zona di San Giorgio, prima sede vescovile della città. Essa contribuì all’espansione verso nord della città di Ferrara Si presenta in stile romanico, alleggerito dallo stile gotico. La facciata è divisa in tre parti, con tre porte di accesso. La tripartizione della facciata viene accentuata dal sistema cuspidato dei due contrafforti, mentre sul portone centrale c’è il protiro, costruito quest’ultimo nella prima metà del 1200 e sorretto da leoni e telamoni. La loggetta del protiro ospita tra le due bifore laterali una “ Madonna con Bambino”, eseguita da Cristoforo da Firenze, nel Nell’architrave otto formelle si ispirano alla nascita di Cristo; nei pennacchi ci sono le figure di S. Giovanni Battista,dell’Agnello divino e di un giovane che regge il libro evangelico. Nel timpano è raffigurato il “Giudizio Universale”, ispirato all’Apocalisse di San Giovanni. Di autore sconosciuto, rappresentata alla base c’è un corteo di dannati, sul lato destro, e dei beati, sull’altro lato, rivolti verso i lunettoni laterali sono raffigurati il pentolone infernale e Abramo; al vertice c’è un Cristo giudicante attorniato dagli Arcangeli, da San Giovanni e dalla Madonna. Nelle parti laterali della facciata si trovano una statua di Alberto d’Este, che ottenne dal papa Bonifacio IX la bolla di erezione dell’università nel 1391 e il busto di Clemente VIII, che nel 1598 venne a Ferrara e restaurò il potere della chiesa sulla città. Al termine della cattedrale c’è l’abside semicircolare, opera di Biagio Rossetti Il campanile della cattedrale fu costruito a partire dal 1412, su progetto dell’architetto Leon Battista Alberti. L’interno della cattedrale è frutto di una sistemazione settecentesca. opera dell’architetto Francesco Mazzarelli; esso presenta pregevoli opere tra cui, nel catino dell’abside, è degno di nota l’affresco del Giudizio Universale, eseguito dal Bastianino. Dall’atrio della cattedrale si accede al museo che conserva opere di grande interesse artistico, tra cui le tavole decorative dell’antico organo, gli arazzi del fiammingo Giovanni Karcher, un capitello proveniente dalla “ porta dei mesi”, ingresso meridionale del duomo, ornata a partire dal 1226.
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IL PANE DI FERRARA La copia o “ ciupeta” è la forma tipica del pane ferrarese, composta da due “ panitt”, legati a forma di nastro nel corpo, ciascuno con le estremità ritorte, in modo tale da formare un ventaglio di quattro “curnitt” ( cornetti), le cui punte sono chiamate “grustin” ( crostini). Questo pane, come dice R. Bacchelli ne “ Il mulino del Po”, è il migliore del mondo. Il segreto del pane ferrarese consiste nel combinato effetto di molti elementi naturali, quali l’aria e l’acqua, che favoriscono la soluzione degli amidi in destrina, la caramellizzazione, la torrefazione, che agiscono sui fermenti, sviluppando anidride e provocando la lievitazione L’origine della “ ciupeta” è da far risalire al 1287, infatti il libro secondo degli “Statuta Ferrariae” riporta in quell’epoca di pani con orletti. Nel sec. XVI si ha testimonianza precisa della evoluzione della copia. Infatti uno dei più prestigiosi scalchi degli Estensi, Cristoforo da Messisbugo, nel suo trattato “ Il modo di ordinare banchetti, apparecchiare tavole, fornire palazzi presso gli Estensi”, riporta che in una cena, offerta dal duca Messer Giglio, nel 1536, si pose in tavola un pane ritorto, uno intero per persona, cioè una ciupeta Nelle famiglie ferraresi, fino ad alcuni decenni fa, era abitudine confezionare il pane in casa. Era un rito, per lo più a scadenza settimanale, che coinvolgeva tutti i membri della famiglia. Gli strumenti di lavoro erano “ i sdazz” per setacciare la farina ( la migliore era quella macinata dai mulini sul Po, quella dell’acqua di fiume), le grame di legno, per lavorare la pasta, il “ tulier”, piano di lavoro su cui impastare. Il pane veniva poi cotto in forni a legna, dentro i quali veniva immesso con una pala. Anche la toponomastica ha avuto legami con il pane a Ferrara: esisteva, infatti, la via Panperso, la via Piangipane , la via Mulino del Po, la via Mulinetto.
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LA CASA DEL MAGO CHIOZZINI
La casa del mago Chozzini, ai tempi in cui viveva Lazzaro, si presentava molto alta, tanto che chi navigava in Po , verso Ferrara e arrivava alla Porta di San Paolo, la vedeva emergere con il suo portale a robusti pilastri, l’architrave in marmo e la cornice a modiglioni che dava su via Ripagrande. Il palazzo presentava un ampio androne e un unico locale, tutto ad arco, senza finestre che dava su un piccolo cortile al piano terra. Dalla scala, posta nell’ingresso, si accedeva al piano nobile, con soffitti a cassettoni ed un terrazzo con una scala ad arco, rampante, da cui si andava al terzo piano. La camera ad arco, tutta buia, favoriva nell’immaginario popolare la nascita di storie di magia. L’edificio fu commissionato dalla famiglia Palmiroli che lo cedette poi alla famiglia Chiozzi, originaria di Mantova. Uno dei discendenti di tale famiglia Bartolomeo, noto con il nome di Chiozzini, ingegnere, si occupava di scienze occulte, sotto la guida di un certo frate Lana, che ebbe fama di stregone. Chiozzi fece un patto con il diavolo: godere di grandi poteri magici in cambio dell’anima al diavolo. Per assicurarsi che Chiozzi mantenesse fede al patto, Magrino, il diavolo personificato, gli stava sempre vicino. Chiozzi si stancò ed un giorno riuscì ad entrare nella chiesa di S. Domenico, lasciando fuori Magrino e rompendo così il patto con il diavolo, il quale per la rabbia diede una zampata ad una parete della chiesa lasciandovi i segni, ancora oggi visibili.Magrino, poi, disperato finì verso il Barco e nelle sere di tempesta il suo grido disperato viene udito dagli abitanti che lo chiamano ancora oggi “ urlon del Barco”.
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PALAZZO DEL RAGUSEO “ In strada degli Armari il Palazzaccio del Raguseo aveva conosciuto tempi migliori…” ( da – Il mulino del Po- ) E del resto questo fatiscente palazzo è l’ambiente ideale di incontro tra Lazzaro Scacerni, con in tasca il tesoro della Madonna di Spagna rubato, e lo strozzino Michele Vergando, detto il Raguseo. Il palazzo è una casa del tardo rinascimento ferrarese, con un distinto loggiato nella parte posteriore riscontrabile anche nel palazzo Diamanti, in quello di Giulio d’Este e in quello di Prosperi Sacrati, tipico quindi dei palazzi ferraresi Il palazzo era la dimora della famiglia Andreasi, originaria di Mantova, che frequentava la corte di Alfonso d’Este. Subì alcune trasformazioni ai primi del 1800: fu innalzato a tre piani, la facciata assunse un carattere neoclassico, gli stipiti furono arricchiti di leggero bugnato e le finestre incorniciate. Questo palazzo fu abitato da un tale chiamato il Raguseo tra la fine dell’ottocento ed i primi del novecento Una volta a Ferrara si definiva Raguseo chi era nato e vissuto a Ragusa, la città dalmata Dubrovnich. Dopo l’assassinio del Raguseo tale termine viene ad indicare colui che è avaro o uno strozzino Il Raguseo del romanzo di Bacchelli proveniva dal Levante, perciò vestiva alla turca. Era un uomo basso, tarchiato dai traffici illeciti: aveva acquistato da Scacerni il tesoro rubato della Madonna di Spagna. Nella notte tra il 29 e il 30 luglio la leggenda narra che venne strozzato nel sonno, legato nelle braccia e nelle mani, punzecchiato da quattro ferite al ventre. In casa non c’era alcun segno di resistenza, le porte all’interno erano chiuse e solo due corde erano sospese ad una persiana, segno di fuga da parte degli assassini I colpevoli furono presi e giustiziati in Piazza Travaglio, dice Bacchelli; in realtà, dopo una condanna, avendo fatto ricorso, furono assolti.
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IL CASTELLO ESTENSE Fu voluto dal Marchese Nicolò II e fu costruito a partire dal Gli Estensi, che ebbero la signoria della città di Ferrara nel 1264, lo fecero erigere per difesa: le onerose tassazioni applicate ai loro sudditi avevano dato vita ad una violenta rivolta popolare, durante la quale venne ucciso anche Tommaso da Tortona, Giudice dei Savi e consigliere fiscale del marchese Nicolò. Il castello costituì così una valida protezione per la famiglia Estense, nonché un centro di potere militare e di controllo della città. L’opera fu commissionata all’architetto di corte Bartolino da Novara, esperto in costruzioni militari Il progetto originale inglobò nella costruzione una torre preesistente già fortificata e circondata da un fossato, la torre dei Leoni, facente parte del sistema difensivo a nord della città, allineato lungo gli attuali Corso Giovecca e Viale Cavour. Vennero poi costruite altre tre torri, a quadrilatero con la prima, riunite da corpi di fabbricati alti due piani e rafforzate da avancorpi per difendere le zone di accesso. Fu chiamato castello di S. Michele , perché i lavori furono iniziati il 29 settembre Fu utilizzato come sede militare fino alla seconda metà del 1400, quando sotto le signorie di Borso ed Ercole I, fu destinato ad espansione della residenza estense, posta di fronte alla cattedrale. Dal 1534, con Ercole II, fu trasformato in palazzo di corte ed abbellito, a cura di Girolamo da Carpi, con balconate in pietra, con la famosa loggia “ degli aranci”, le altane sopra le torri ; inoltre fu ampliato con l’aggiunta di un ulteriore piano. Quando gli Estensi lasciarono la città fu abitato dai Cardinali Legati, rappresentanti del governo papale, di cui Ferrara fu feudo, fino al oggi è proprietà e sede dell’Amministrazione Provinciale ed ospita la Prefettura. L’interno è caratterizzato dal cortile, cui si accede attraverso i ponti levatoi ed ha un loggiato ad otto archi in cotto su colonne di pietra a levante. Le segrete della torre dei Leoni custodiscono le prigioni dove sono stati rinchiusi Ugo d’Este e Parisina Malatesta, rispettivamente figlio e moglie di Nicolò III d’ Este, accusati di adulterio; inoltre vi sono stati rinchiusi Giulio e Ferrante d’Este, accusati di congiura contro il fratello Alfonso I. Al piano terra si possono visitare la sala del rivellino, la sala delle cucine,la sala del cordolo. Attraverso lo scalone detto “ dei cannoni” si accede al primo piano, dove si possono ammirare saloni, caratterizzati dalle pitture dei soffitti, affreschi commissionati dal duca Alfonso II ed opera di diversi artisti ferraresi, tra cui si ricorda il Bastianino. Da ammirare in questo piano sono la saletta dei Giochi, la sala dell’Aurora e la cappella di Renata di Francia.
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PALAZZO PROSPERI SACRATI
Il palazzo Prosperi Sacrati si trova di fronte al palazzo Diamanti; è noto fin dal 1500 per la posizione urbanistica che qualifica “il quadrivio degli Angeli” e per la composizione e le decorazioni di ascendenza veneziana… La paternità è ascrivibile a vari famosi artisti, tra cui il toscano Baldassarre Peruzzi e Antonio ed Aurelio Solari- Lombardo. E’ evidente l’intento dinamico nella facciata di questo palazzo che procede per contrapposti e sorprese. Ha un caratteristico balconcino angolare, che è una aggiunta del sec.XIX Il recente restauro ha restituito al portale la raffinatezza dei colori bianco- rosa- grigio e i fregi decorati, tipici di Ferrara
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PALAZZO DIAMANTI Il Palazzo dei Diamanti fu commissionato da Sigismondo d’Este , fratello del duca Ercole I,secondo la tradizione, a Biagio Rossetti,nel 1493; fu terminato nel Rimase di proprietà degli Estensi anche dopo la loro partenza da Ferrara e solo nel 1641 passò ai marchesi Villa che apportarono alcune trasformazioni, tra cui il portale decorato. Esternamente si presenta decorato da un rivestimento di ottomilacinquecento bugne, apparentemente tutte uguali tra loro, in realtà conformate in modo da avere i vertici con asse perpendicolare alla facciata solo nella fascia mediana; nella parte superiore l’asse è rivolto verso l’alto, nel basamento, a scarpa, verso il basso. Il forte valore plastico è mitigato dall’angolo con balconcino e da paraste decorate da Gabriele Frisoni. Nel palazzo ha sede , al piano terra, la Galleria Civica di Arte Moderna, nella quale sono ospitate, periodicamente, mostre di autori di prestigio; al piano nobile ha sede la Pinacoteca Nazionale. Quest’ultima fu istituita nel 1836 con lo scopo di conservare dipinti che prima erano in chiese cittadine, che non erano in grado di garantirne la conservazione. In particolare in queste sale si può percorrere la storia della civiltà figurativa ferrarese.
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PORTA DEGLI ANGELI Si trova nella cinta muraria della città di Ferrara, alla fine di Corso Ercole I d’Este. E’ situata nelle mura dette rossettiane, perché facente parte del tratto di mura sicuramente costruito sotto la guida di Biagio Rossetti e si trova a metà circa del lato nord. Secondo la tradizione ci passò l’ultimo duca di Este, prima che la città finisse sotto lo stato pontificio.
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URLON DEL BARCO La leggenda dell’Urlon ( propriamente Uclon) del Barco è ambientata nella zona del Barco, nella immediata periferia di Ferrara. Si racconta che l’Urlon si presentava ai contadini per comprare uova o polli ed altre piccole cose; egli quando aveva nelle mani le cose acquistate le buttava per aria con urla e spariva lasciando i venditori atterriti. Nessuno a Barco e nella zona limitrofa osava trattare con persone sconosciute per timore di avere a che fare con questo Urlon, che nella fantasia popolare veniva spesso identificato con il diavolo. In particolare si narra che nelle notti particolarmente buie, quando si udiva soffiare forte il vento, la gente era solita dire che si trattava dell’Urlon del Barco, identificando il rumore del vento con quello del diavolo.
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SBANDIERATORI Molti ferraresi sono abili sbandieratori; gli atleti di Ferrara, iscritti alla Federazione Italiana Sbandieratori, sono detentori del maggior numero di titoli nazionali. Le gare più importanti vengono disputate in occasione del Palio, che si tiene a Ferrara l’ultima domenica di maggio Il Palio di Ferrara è il più antico del mondo. Venne istituzionalizzato dal Comune di Ferrara nel 1279: si effettuava due volte l’anno: ad aprile in occasione della festa del patrono, S. Giorgio, e il 15 agosto, in occasione della festa della Vergine Assunta. Il premio per il vincitore era appunto un palio; al secondo e al terzo classificato venivano dati rispettivamente una porchetta ed un gallo. Sono rimasti celebri il palio del 1391, quando il marchese Alberto d’Este ritornò da Roma, quello del 1471 in onore di Borso d’Este. Delle corse del palio c’è testimonianza negli affreschi del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia, dove sono raffigurati uomini, donne, il duca Borso, la corte estense, dame e cavalieri che assistono alle dispute dai loro palazzi. Durante il Rinascimento anche le corse ferraresi erano rinomate dal momento che molte famiglie nobili vi partecipavano con i cavalli delle loro scuderie Le tradizionali corse al Palio erano anche feste popolari, essendo aperte a tutti quelli che vi volevano partecipare; a queste se ne aggiunsero altre di carattere aristocratico che si tenevano nella parte del Barco più vicina alla città, il “ Barchetto del Duca”. Durante l’occupazione da parte dello stato pontificio tali feste si fecero principalmente in occasione del carnevale. Negli anni ‘30 Guido Angelo Facchini riprese la tradizione estense e tale tradizione venne ripristinata definitivamente nel 1967.
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I MOLINARI Il Po richiama il fascino dell’ “ Arte dei Mugnai”
I MOLINARI Il Po richiama il fascino dell’ “ Arte dei Mugnai”. I MOLINARI erano gente speciale. Il mulino era anche la loro casa però in questa non potevano nemmeno cucinare a fuoco vivo per non incendiare una struttura che era di legno e canne. Cuocevano le piade e il pesce fra due pietre scaldate sulle braci. I mulini, come i turisti sanno, sono impianti atti a macinare il frumento e il mais per ricavarne farine commestibili. Oggi si chiamano ancora mulini i moderni impianti a cilindri creati dal 1856 con l’industria molinaria. Prima di tale epoca la macinazione avveniva esclusivamente mediante le mole, da cui “Molino” o “Mulino”. Con la scoperta del moto rotatorio, nel periodo ellenistico,nascono le prime macine rotonde, tutte d’uguale diametro e spessore, poggianti l’una sulla altra, che sostituiscono la macinazione col frantoio a sella.L’acqua corrente diventa così la principale fonte di energia. Il più antico mulino idraulico appare in epoca romana, fin dal I secolo a.C. ; la prima applicazione risale al secolo VI d.C. con l’idea di interporre tra due barche una ruota a pale in modo da sfruttare l’acqua dal fiume per azionare le mole dei mulini. Le acque del Po rappresentano un’importante e naturale fonte d’energia che ha alimentato per secoli l’industria molinaria. Tutti i mulini del Delta possedevano una sola casa, una sola ruota e una sola macchina per la macinazione, mentre nel corso superiore del Po erano frequenti le mulinazze, con due case, due ruote , due macchine. L’ultimo mulino nella provincia di Ferrara fu l’ Arlotti, nell’ansa di Zocca, la cui costruzione risale alla fine del secolo XVIV. L’attuale mulino, ricostruito a Ro nel 2005, è nato nei cantieri navali di Gorino dove sono stati ultimati i due “ sandoni” ed il capanno, ma non “l’ulà” (la ruota).Il mulino ricostruito, che ha una valenza didattica e turistica, si riferisce al modello con due scafi, una sulla ruota, una sola macina. Ha una lunghezza di metri 12,2 ed una lunghezza di metri 9,36; presenta attrezzature fedeli a quelli in uso nei vecchi mulini. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impossibile immaginare che un altro mulino fluviale avrebbe un giorno ripercorso l’itinerario del San Michele di padron Lazzaro Scacerni, il protagonista de Il mulino del Po di Riccardo Bacchelli. Un percorso che, nel romanzo, unisce Occhiobello a Guarda Ferrarese passando attraverso “ le barche del ponte del Lagoscuro”, fino all’isola Bianca, “ampia e tutta verde, fertile, nutrita di limo grasso dalle piene, che la sommergono senza devastarla, “ , e poi ancora oltre, tra gli argini dai quali fanno capolinea campanili gemelli che si fronteggiano dalle due sponde. “ Un mulino molto speciale, da cui usciva una farina impareggiabile. Il protagonista del romanzo di Bacchelli torna ora a solcare le acque del Po.” Anche l’arte della pesca è certamente antica quanto il fiume ed è cronologicamente anteriore all’agricoltura sulle sponde. Figure di pesci e scene di pesca sono disegnate sulle ceramiche a figurazione rossa, scavate nell’etrusca città di Spina, che dal VI al III secolo prima di Cristo sorgeva nell’estuario padano, vicino a Comacchio. La più semplice, la più comune è la pesca con le reti, praticata dagli albori della civiltà. <<Al mulino i due garzoni se non c’era nulla da fare, l’uno dormiva e l’altro buttava la lenza ai pesci… Spesso l’acqua era troppo torbida, o erano pesci da poco o anguilluccie…Ed anche eran lucci di peso, buoni in salsa di prezzemolo e aceto. In primavera, storioni grandi e prelibati, risalivano il fiume, e incappavano nelle reti lunghe, che i pescatori trainavano con due barche a seconda del fiume, incontro a quei pesci in fregola che ci davan dentro come i tordi nelle reti del paretaio…Il Beffa prendeva lucci e carpioni, colle uova dei quali e degli storioni, Malvasone conciava nel sale un rozzo ma ottimo caviale, e seccava al sole una sapidissima bottarda, di valido aiuto al bere…Insomma era un bel vivere sul mulino…>>.
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