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Giacomo Leopardi ( )
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La formazione giovanile
Per seguire da vicino la formazione di Leopardi è indispensabile partire dalla sua collocazione geografica e culturale. Chiuso nell’universo angusto e provinciale di Recanati, nella Marca pontificia, Leopardi ebbe una formazione tipica della classe aristocratica cui apparteneva (rigore degli studi e dei comportamenti; precettori privati) Dopo i primi precettori privati, utilizzò in gran parte e in maniera del tutto autonoma il patrimonio bibliografico raccolto nella ricchissima biblioteca di famiglia, grazie al quale iniziò un’attenta e originale attività di studioso delle lingue antiche e dei testi classici, in greco, in latino e in ebraico.
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La formazione giovanile
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La formazione giovanile
Questo giovanile periodo di studi, che egli definì come «sette anni di studio matto e disperatissimo», minò profondamente una salute già precaria e cagionevole, ma d’altro lato lo avvicinò decisamente a un’idea del mondo classico inteso come patrimonio di valori intellettuali e esistenziali assolutamente irrecuperabile dai moderni. Le sterminate letture di questi anni lo portarono a stretto contatto con la poesia e la prosa degli antichi greci e latini. Ricostruire le sue conoscenze sarebbe in questa sede impossibile. Peraltro, egli stesso annotò, in un personale Elenco di letture, le centinaia di testi che assimilò in anni di interminabili studi: la lista è impressionante per quantità e qualità.
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La formazione giovanile
All’interno di una visione classicista e illuminista della cultura e della poesia che egli non rifiutò nemmeno nella fase della maturità, il pensiero di Leopardi si articolò e si sviluppò in maniera dinamica e dialettica, attraversando momenti di accelerazione e di spinta, di rottura e di cambiamento. Di fondamentale importanza sono poi le letture dei filosofi del Sei-Settecento: Locke; Fontenelle; Montesquieu; Bayle e Holbach (Sistema della natura); Rousseau; Buffon e i naturalisti; il Voltaire del Poema sul disastro di Lisbona Questo laboratorio intellettuale, che si configura come un pensiero continuamente in divenire, ebbe nello Zibaldone un punto di riferimento letterario inesauribile e fondamentale.
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Cronologia della vita e delle opere
1824: Composizione delle prime 20 Operette morali Pubblica le 10 Canzoni classiche : Compone i canti pisano-recanatesi 1819: Tentata fuga da Recanati. Crisi filosofica. Scrive L’infinito 1798: Nasce a Recanati 1834: Seconda edizione delle Operette morali : Sette anni di studio matto e disperatissimo 1831: 1° edizione dei Canti (Firenze, Piatti) : Leopardi soggiorna a Milano, Bologna, Firenze, Pisa, con periodici ritorni a Recanati 1835: 2° edizione dei Canti (Napoli, Starita) 1817: Inizio dello Zibaldone. Amicizia con Pietro Giordani 1836: Il tramonto della luna; La ginestra 1837: Muore a Napoli
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Gli scritti filologici
1813: Storia dell’astronomia 1814: De viris doctrina claris di Esichio Milesio, cui seguono il Porphyrii de vita Plotini et ordine librorum eius, i Commentarii de vita et scriptis rhetorum. Ancora dal greco traduce i Fragmenta Patrum Graecorum. 1815: Scrive il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi e un’Orazione agli Italiani in occasione della liberazione del Piceno di tono reazionario che ancora risente dell’influsso paterno. Traduce quindi gli idilli di Mosco e la Batracomiomachia. 1816: Discorso sopra la vita e le opere di M. Cornelio Frontone, scoperte e edite da Angelo Mai; pubblica sullo «Spettatore italiano e straniero» di Milano il Parere sul Salterio ebraico, il discorso Della Fama di Orazio presso gli antichi, e la traduzione del libro I dell’Odissea. Traduce le Inscrizioni greche triopee e quindi il II libro dell’Eneide che stampa a Milano l’anno successivo. 1817: Traduce le Antichità romane di Dionigi d’Alicarnasso e la Titanomachia di Esiodo
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Lo Zibaldone Nato come insieme di appunti e di riflessioni, a partire soprattutto dalle letture e dagli interessi che egli coltivò nella biblioteca di famiglia, lo Zibaldone raggiunse alla fine dimensioni gigantesche per la quantità e la qualità dei materiali accumulati. Iniziato nel 1817 – anno in cui Leopardi avviò il carteggio con il letterato Pietro Giordani – lo Zibaldone venne definitivamente abbandonato nel 1832. Composto da 4526 pagine manoscritte, in una grafia peraltro assai corretta e ordinata (frutto evidentemente di una precedente stesura in brutta copia su fogli andati dispersi), lo Zibaldone rappresenta un’opera unica nel suo genere e senza precedenti nella letteratura italiana.
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Lo Zibaldone Gli studiosi di Leopardi si sono divisi sulla interpretazione di questo materiale. Alcuni lo hanno considerato soltanto un’anticamera delle opere maggiori (i Canti e, soprattutto, le Operette morali); altri lo hanno ritenuto invece un’opera vera e propria, con tutti i rischi e la complessità che si può incontrare a leggere in modo uniforme e omogeneo un libro così vasto e profondo. Nello Zibaldone Leopardi annota e approfondisce tutti i temi del proprio pensiero. Nella forma, lo Zibaldone assomiglia molto a quella del diario filosofico, ma gli argomenti spaziano dalla filologia alla storia, dalla critica letteraria alla scrittura autobiografica.
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Lo Zibaldone Autografo della pagina 1043 dello Zibaldone, maggio 1821
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Classicismo e romanticismo
La personalità letteraria di Leopardi appare del tutto distante dalle mode romantiche, dal gusto popolare, dalla battaglia per un pubblico ampio e borghese che la cerchia dei romantici milanesi stava conducendo intorno al Apparentemente isolato dal contesto letterario nazionale, egli seguì invece con straordinaria prontezza e attenzione tutto il dibattito che si stava conducendo sulle principali riviste dell’epoca: un dibattito che lo vide anche partecipe in prima persona, tra il 1816 e il 1818, con alcuni interventi di notevole spessore che però rimasero inediti nonostante le pressioni dello scrittore (le due lettere ai compilatori della “Biblioteca Italiana”)
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Classicismo e romanticismo
Il più compiuto e organico disegno di riflessione metaletteraria è rappresentato dal Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica (1818) – uno scritto giovanile rimasto a lungo inedito e composto in polemica alle Osservazioni sul “Giaurro” di Byron di Ludovico Di Breme – in cui Leopardi esprimeva il proprio deciso dissenso dalle teorie romantiche del patetico e del sublime, dalla funzione civilizzatrice della ragione, dall’idea del progresso tecnico-scientifico e dalla missione utilitaristica della poesia. Una posizione, questa del giovane Leopardi, che sarà in seguito superata ma mai pienamente rinnegata: essa piuttosto tendeva a cogliere nel mondo classico un’età di generose illusioni ormai improponibili nell’epoca moderna. Ma il Discorso di un Italiano intorno resta comunque un testo fondamentale per comprendere la complessità della poetica leopardiana.
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Classicismo e romanticismo
Una prima fase del pensiero e della poesia leopardiana si articola e si raduna attorno alla polemica classico-romantica del In questi anni Leopardi comincia a scrivere poesie che poi inserisce nella raccolta dei Canti, e che quindi ritiene degne di rappresentare il proprio percorso poetico e culturale. In questo periodo Leopardi guarda al mondo antico come ad un’età di vigore fisico e di grandezza morale che i moderni (cioè i romantici) non possono eguagliare. Intorno al 1817 il pensiero di Leopardi appare fortemente influenzato dall’idea roussoiana dello stato di natura: “la natura è grande, la ragione è piccola” scrive nelle prime pagine dello Zibaldone.
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Classicismo e romanticismo
Un elemento fondamentale per comprendere la posizione storica di Leopardi è costituito dalla sua formazione tipicamente illuminista e materialista (Rousseau, Fontenelle, Holbach). Critica della nozione di progresso Adesione ai principî del materialismo Centralità del concetto di Natura
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La poesia leopardiana Lo sviluppo della poesia leopardiana prende il via dalla ricca elaborazione dei contenuti filologici e eruditi dell’attività giovanile. La poesia rappresenta il punto di approdo della maturità del poeta e una più matura presa di coscienza alla quale contribuirono: la decisa posizione antiromantica assunta nel 1816 con le due Lettere ai sigg. compilatori della «Biblioteca italiana» il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica l’inizio del rapporto epistolare con Giordani, l’avvio dello Zibaldone (entrambi del ‘17), infine le numerose traduzioni poetiche, (idilli di Mosco, la Batracomiomachia, il primo libro dell’Odissea e il secondo dell’Eneide, 1816).
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La poesia leopardiana La scoperta della poesia è in Leopardi un’esperienza che nasce progressivamente al suo coinvolgimento nel dibattito contemporaneo e come conseguenza del suo lavoro di letterato. Nella poesia di Leopardi tutto nasce da un preciso, minuzioso impegno intellettuale. La sua lirica non concede mai nulla all’improvvisazione o all’intuito. In questo egli rappresentò ancora una figura tradizionale di scrittore, legato alla frequentazione delle grandi biblioteche, votato più a un lavoro di scavo e di analisi filologica e filosofica, poco coinvolto nei meccanismi editoriali del proprio tempo. Anche per questo la sua poesia non venne accettata dal mondo culturale del primo Ottocento.
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La poesia leopardiana Fedele al concetto di poesia lirica – secondo il quale la letteratura non deve avere una funzione politica o civile, ma ha il compito di parlare della condizione umana – Leopardi rinnovò tuttavia gli schemi metrici della canzone petrarchesca. Introdusse la forma dell’idillio e della canzone libera proprio con lo scopo di affrancare il pensiero all’interno della veste formale e tecnica del testo. Il libro dei Canti, che egli pubblicò a Firenze nel 1831 (e in una seconda edizione accresciuta nel ‘35), resta la più importante testimonianza della sua opera poetica (la più alta dell’Ottocento italiano).
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La poesia leopardiana Proprio nel 1816 Leopardi riconosce l’esordio della sua attività poetica, con la cantica Appressamento della morte, seguita a breve distanza da Il primo amore ispirato alla passione sentimentale per la cugina Gertrude Cassi Lazzari In chiara chiave antiromantica andranno lette le prime due importanti canzoni All’Italia e Sopra il monumento di Dante, entrambe pubblicate nel ‘18 con la dedica al Monti, e successivamente entrate a far parte della breve raccolta delle dieci Canzoni (pubblicate a Bologna nel ‘24) e da qui passate nei Canti del ‘31.
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La poesia leopardiana Nell’imminenza della crisi filosofica del ‘19, una fase che si prolungò fino al 1823 e in cui si assiste a un impressionante ripensamento dei fondamenti materialistici del suo pensiero, Leopardi delineò due ambiti di scrittura lirica. Da una parte proseguì la ricerca linguistica e metrica sul terreno delle canzoni, apportando sostanziali modifiche al tessuto tradizionale dello schema petrarchesco e coniugando questa revisione all’analisi ontologica e metafisica. Dall’altra, egli rinnovò il linguaggio lirico introducendo – con gli idilli e con i canti pisano-recanatesi - forme più libere dai vincoli della metrica, anticipando molte soluzioni che verranno attuate dai poeti del ‘900.
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La poesia leopardiana A Leopardi apparve cioè impossibile e inattuale contenere il flusso del pensiero e dell’elaborazione concettuale dentro i rigidi parametri della metrica trecentesca Alla struttura della canzone classica Leopardi impose uno sganciamento dalle forme convenzionali, una sorta di liberazione della poesia (che avveniva comunque dall’interno della tradizione) in direzione delle strutture moderne della metrica (verso libero, endecasillabo sciolto, rottura della partizione simmetrica della stanza, concentrazione semantica della parola).
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La poesia leopardiana Leopardi arrivò soltanto per gradi e acquisti successivi alla definizione di un organico e compiuto percorso poetico: quando nel 1831 uscirono a Firenze i Canti con la famosa premessa «Agli amici suoi di Toscana», egli aveva già dato alle stampe alcune prove significative, poi confluite in quella raccolta. I Canti si ponevano cioè come un assestamento ormai definitivo della poesia, un libro fatto di sedimentazioni e componenti diverse, per linguaggio e tematiche, e per questo facilmente individuabili grazie alla disposizione che pone nell’ordine le canzoni del ‘24, gli idilli del ‘19-’21, i canti pisano-recanatesi del 1828-’30, il “ciclo di Aspasia” e le due canzoni finali, Il tramonto della luna e La ginestra.
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La poesia leopardiana Per questo motivo nel tessuto dei Canti sono individuabili due direttrici fondamentali: la canzone classica e la struttura idillica, quest’ultima assunta come modello di poesia en plein air e descrittiva, mentre in realtà non è altro che un approfondimento delle ragioni metafisiche e materialistiche attuate dopo la crisi del 1819. Un valido apporto alla scrittura poetica, soprattutto linguistico, si deve alle Operette morali, dopo le quali lo stile di Leopardi risulta profondamente diverso e più moderno.
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La composizione dei “Canti” 1831
1824: Canzoni (Bologna, Nobili) All’Italia - Sopra il monumento di Dante - Ad Angelo Mai - Nelle nozze della sorella Paolina - A un vincitore nel pallone - Bruto minore - Alla Primavera, o delle favole antiche - Inno ai Patriarchi - Ultimo canto di Saffo - Alla sua donna 1826: Versi (Bologna, Stamperia delle Muse) Alla luna – L’infinito – La sera del dì di festa – Il sogno – La vita solitaria : Canti pisano-recanatesi Il risorgimento - La quiete dopo la tempesta – A Silvia – Il sabato del villaggio – Le ricordanze – Canto notturno di un pastore errante dell’Asia
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La composizione dei “Canti” 1831
La prima edizione dei Canti di Giacomo Leopardi uscì a Firenze nel 1831, stampata dall’editore Piatti. La pubblicazione avvenne grazie all’aiuto economico degli “amici di Toscana”, – il gruppo di nobili e ricchi letterati riuniti attorno alla “Antologia”, la rivista diretta da Gian Pietro Vieusseux – ai quali il poeta dedicò la raccolta in una mesta, dolorosa e accorata lettera introduttiva.
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La composizione dei “Canti” 1831
Fondata nel gennaio 1821 da Gian Pietro Vieusseux ( ), la rivista mensile “Antologia” rappresentò una naturale continuazione dei dibattiti intorno alla cultura romantica e progressista avviati dal “Conciliatore”. Di ispirazione liberale, il periodico ospitò scritti di vario orientamento, dalla letteratura all’economia
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La composizione dei “Canti” 1831
Uno degli “amici” toscani, Pietro Colletta, commentava così a Gino Capponi l’uscita del libro: «Credo che dei suoi amici tu ed io siamo rimasti i soli a non avere il suo libro: né più glie ne parlo; né m’importa [...] La medesima eterna, ormai non sopportabile, malinconia; gli stessi argomenti; nessuna idea, nessun concetto nuovo; tristezza affettata» Le ragioni di questa ambigua ostilità, mista ad ammirazione e rifiuto, nei confronti delle idee leopardiane vanno inserite in un contesto più ampio: il gruppo del Vieusseux – che comprendeva il Colletta, Gino Capponi, Cosimo Ridolfi e altri esponenti della nobiltà agraria e della ricca borghesia fiorentina – guardava con interesse ai temi del progresso economico e sociale, al nascente sviluppo industriale, che invece Leopardi denigrava e confutava, considerandoli un’illusione inutile di fronte al dramma e alle contraddizioni esistenziali della condizione umana
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Struttura e temi dei “Canti”
All’interno dei Canti si possono individuare alcuni blocchi tematici: Le dieci canzoni classiche che aprono la raccolta costituiscono un tributo alla lirica antica e al nascente sentimento tragico della natura; il successivo gruppo degli idilli rappresenta invece un momento di equilibrio formale e filosofico intorno all’idea di una negatività della natura e dell’esistenza; le canzoni pisano-recanatesi, che vennero composte dopo un lungo periodo di silenzio poetico, aprivano la poesia alle evocazioni della memoria e al motivo del disinganno, identificabile nelle metafore di Silvia e del pastore errante dell’Asia
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Struttura e temi dei “Canti”
Nelle canzoni classiche Leopardi esprime il suo doloroso rimpianto per una Natura antica incorrotta e positiva, ma irrecuperabile dai moderni: la distanza che ci separa dal mondo classico non è soltanto cronologica, ma soprattutto ideologica: naturali e primitivi, ingenui, spontanei gli antichi; razionali e calcolatori i moderni. La parentesi degli idilli costituisce la fase speculativa e sentimentale, intimistica e autobiografica, della poesia leopardiana: il poeta si avvale di alcuni modelli classici (Mosco, Teocrito) ma predomina in questi brevi componimenti un certo clima evocativo, intuitivo. (L’infinito). Il passaggio alla prosa delle Operette morali consentì a Leopardi la conquista di una lingua colloquiale, quotidiana, legata agli oggetti di Recanati, al valore della memoria intesa come riappropriazione di affetti e sentimenti della fanciullezza. (A Silvia, Le ricordanze).
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Struttura e temi dei “Canti”
Nel 1835 Leopardi pubblicò a Napoli (dall’editore Starita) una seconda edizione dei Canti aggiungendovi alcune importanti poesie, tra cui il ciclo di Aspasia (5 poesie dedicate all’amore per Fanny Targioni Tozzetti) le 2 canzoni “sepolcrali” e la Palinodia al Marchese Gino Capponi i due ultimi canti (Il tramonto della luna e La ginestra) segnavano una costante ripresa di elementi pessimistici, materialistici e polemici nei confronti della società del proprio tempo.
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Il “pessimismo” leopardiano
Leopardi ebbe precocemente una viva coscienza del condizionamento che la natura esercita sull’uomo in quanto essere fisico. La propria deformità fisica unitamente alle continue malattie di cui Leopardi soffrì le dolorose conseguenze dovettero convincerlo che al di fuori di un orizzonte materiale e sensistico non esiste alcuna verità, alcun fondamento di conoscenza, né per il pensiero filosofico né per la poesia.
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Il “pessimismo” leopardiano
Dunque la scrittura poetica e la speculazione non possono che muoversi all’interno di un percorso definito da questa realtà, una realtà che egli nel Dialogo di Tristano e di un amico definì «dolorosa, ma vera». In sostanza il luogo comune di un Leopardi pessimista poiché malato e sofferente andrà completamente sfatato, o almeno si dovrà spiegare con maggiore chiarezza che la novità di questa posizione consiste esattamente nella assolutizzazione dell’esperienza soggettiva
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Il “pessimismo” leopardiano
La distinzione in due diverse entità del pessimismo leopardiano (“pessimismo storico” e “pessimismo cosmico”) appare oggi una catalogazione ancora accettata da gran parte della critica, ma sempre più inadeguata a spiegare la vera, profonda dimensione di un pensiero fortemente articolato e dinamico. Questa forma di schematismo, se da un lato tende a semplificare i vari passaggi della filosofia leopardiana, dall’altro ha accentuato una imprecisione di fondo: quella cioè di considerare il pessimismo del poeta come un aspetto quantitativo e meccanico del suo pensiero, direttamente proporzionale alla deformità fisica e alla malattia.
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Il “pessimismo” leopardiano
In realtà la dimensione pessimistica non si presenta mai in Leopardi come una speculazione unitaria, omogenea, e soprattutto essa è un fatto qualitativo di questa articolazione, ricco di congetture che si specificano e si chiariscono negli anni, parallelamente alla densa elaborazione in atto nello Zibaldone tra il 1821 e il 1823. È qui che matura infatti la sua concezione del pessimismo come forza di analisi e di critica del pensiero moderno, del falso progressismo che esso intende sostenere alla luce delle teorie liberali.
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Le “Operette morali” Il percorso della poesia leopardiana subí un’interruzione dovuta al sopraggiunto interesse per la materia filosofica e per una aperta possibilità di interrogare piú da vicino una realtà, quella del ragionamento etico, che Leopardi andava conducendo nello Zibaldone degli anni compresi tra il 1821 e il 1823. Nacquero in questo modo le Operette morali, quasi tutte composte nel 1824 in rapida successione e con una straordinaria lucidità e ampiezza di analisi.
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Le “Operette morali” La prosa satirica delle Operette morali costituisce un fatto nuovo, completamente inedito, nell’intera produzione leopardiana, così spesso percorsa da un atteggiamento erudito e tragico. Imitando i filosofi antichi (come ad esempio i Dialoghi di Luciano di Samòsata) Leopardi compose le sue «prosette satiriche» adoperando una scrittura breve e intensamente carica di significati materialistici, discutendo sul senso generale dell’universo, sulla funzione della natura (oramai ridotta ad una presenza indifferente nei confronti degli uomini), sopra la dimensione della felicità e del piacere come esperienze eternamente negate all’individuo.
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Le “Operette morali” La funzione dell’ironia va inserita proprio nell’esplicita intenzione di distruggere le convenzioni e il sapere tradizionale, legato a una visione antropocentrica e ottimistica dell’universo: attraverso la satira, Leopardi confuta tutto ciò che è vecchio e retrivo, falso e inutile alla vera conoscenza sensibile dell’universo. L’uomo appare dunque gettato nella propria solitudine e marginalità, ridotto a pura e semplice materia, privato di qualsiasi orizzonte metafisico e trascendente, dilaniato dai propri fantasmi e dalla noia, incapace di reagire con una visione certa e rassicurante al ciclo di produzione e distruzione di tutte le cose.
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Le “Operette morali” Convinto ormai della insanabile frattura tra uomo e natura, Leopardi conduce in questo libro una panoramica analitico-razionale dei suoi grandi concetti morali. La ricerca inutile del piacere e della felicità (che egli utilizzò quasi come sinonimi); la considerazione che l’esistenza umana nel mondo è un fatto provvisorio e violento, poiché lo stato di desiderio in cui l’uomo è gettato sono sentimenti inappagati e insoddisfatti; la noia e il suicidio come situazioni limite a cui l’uomo è spesso costretto in questa sua condizione di pena esistenziale: l’orizzonte speculativo, che si fonda su un materialismo compiuto e maturo, e che vede nella religione un impedimento alla ricerca-svelamento della verità.
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Le “Operette morali” Soltanto nei testi finali, scritti in tempi successivi rispetto ai dialoghi del ‘24, Leopardi sembrò indicare una possibile via d’uscita a una condizione di totale chiusura e di desolante amarezza: nel Dialogo di Plotino e di Porfirio composto nel 1827, e nel conclusivo Dialogo di Tristano e di un amico, del ‘32, una soluzione di speranza appare delineata nella riaffermazione di quel conflitto intellettuale tra uomo ed esistente, tra la ragione dell’arte e le false illusioni del progresso e della scienza. Di fronte alla possibile scelta del suicidio, vista come rifiuto della vita e come ripiegamento di fronte alla impossibilità della vita felice, la proposta di Leopardi è ora quella di una solidarietà umana superiore.
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La canzone “Alla Primavera”
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