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PubblicatoDaniela Milani Modificato 8 anni fa
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Alla linea del tempo!
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Cartesius è la forma latinizzata del nome del filosofo francese René Descartes. Cartesio nasce a La Haye (in Turenna) nel 1596 e da ragazzo studia presso i gesuiti ; nel 1616 si laurea in diritto; nel 1618 si arruola nell'esercito dei Paesi Bassi guidato da Maurizio di Nassau, di religione protestante; s'imbarca quindi per la Danimarca e raggiunge la Germania dove è scoppiata la guerra dei Trent'anni; nel 1619 passa l'inverno in grande solitudine ("chiuso dentro una stufa", come lui stesso scriverà), studiando e meditando: sta cercando di definire il vero metodo della scienza per costruire un nuovo sapere.
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Tra il 1620 e il 1625, abbandonata la vita militare, compie numerosi viaggi soprattutto in Italia e in Francia e si stabilisce a Parigi, dove frequenta gli ambienti letterari e mondani e i circoli scientifici; nel 1628 decide di gettare le basi di una nuova filosofia. Si ritira quindi nei Paesi Bassi, dove maggiore è la tolleranza verso le nuove teorie filosofiche e scientifiche, e lì prosegue le sue ricerche. nel 1637 pubblica a Leida tre saggi (Diottrica, Meteore e Geometria) assieme a un'importante prefazione intitolata Discorso sul metodo. Contemporaneamente, intavola un fitto scambio di lettere con studiosi di tutta Europa; scrive un saggio di metafisica, le Meditazioni sulla filosofia prima, pubblicate a Parigi nel 1641 assieme alle Obiezioni, avanzate da altri filosofi ai quali aveva mandato il testo in lettura, e alle sue Risposte. nel frattempo decide di scrivere un intero corso di filosofia nel quale le sue idee vengono presentate sotto forma di tesi: sono i Principi di filosofia (1644). nel 1647 inizia una corrispondenza con la regina Cristina di Svezia, assai interessata alle sue idee, nel 1649 si lascia convincere a intraprendere un viaggio in Svezia per darle lezioni. nel 1650 muore a Stoccolma per un'infreddatura.
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Fin dall'inizio delle sue ricerche su musica, ottica, matematica e geometria, Cartesio segue un piano preciso: è il progetto di una scienza interamente nuova, sganciata dall'insieme di nozioni che si insegnavano nelle scuole. Per garantire piena libertà alla ricerca sul mondo fisico e alla riflessione sulla psiche umana, Cartesio afferma l'esistenza di due sostanze radicalmente diverse: la sostanza estesa, propria dei corpi che si estendono nello spazio; la sostanza pensante, propria della mente. Il passo successivo è quello di disfarsi del patrimonio di conoscenze generalmente accolto, che Cartesio respinge in blocco, convinto che anche un solo uomo possa costruire un nuovo edificio del sapere, se riesce a individuare il metodo esatto. Questo metodo è offerto dalle matematiche che forniscono la struttura logica, cioè il modello di ragionamento deduttivo da utilizzare. Tale modo di procedere viene sintetizzato nel Discorso sul metodo in quattro regole: regola dell’evidenza: prescrive di accogliere come vero soltanto ciò che sembri tale con piena evidenza, regola dell’analisi: prescrive di dividere ogni problema nelle sue parti elementari, al fine di rendere più facile la soluzione del problema stesso regola della sintesi: prescrive di procedere nella conoscenza con ordine, passando dagli oggetti più semplici per arrivare a quelli più complessi regola dell’enumerazione: prescrive di fare sempre enumerazioni complete e revisioni generali, in modo da essere sicuri di non omettere nulla
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Il metodo definito da Cartesio è uno strumento essenziale per avanzare speditamente nell’indagine scientifica, ma non può garantire, da solo, la certezza delle nostre conoscenze, né fondare in modo sicuro la validità del nostro sapere. Egli, basandosi sulla regola dell’evidenza, decide, perciò, di dubitare di tutte le cose che non gli offrono tale garanzia, partendo anche dalle cose più evidenti (dubbio iperbolico) Il dubbio, però, non è fine a sé stesso ma è un dubbio metodico perché diventa lo strumento per raggiungere la verità.
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Cartesio fu un grande matematico. A lui si deve la scoperta degli “assi cartesiani” e del metodo delle coordinate che permette di individuare un punto del piano per mezzo di una coppia ordinata di numeri. Questo metodo consente di tradurre i problemi algebrici in problemi geometrici e viceversa, fondando una nuova scienza, la geometria analitica... Cartesio ebbe l'intuizione di creare una corrispondenza biunivoca tra i punti disposti sul piano e le coppie di numeri. In tal modo un insieme di punti può essere associato ad una serie di numeri e, se si riesce ad esprimere quest'ultima con una formula, si otterrà la corrispondenza tra la linea e la formula. Cartesio non riconobbe i numeri negativi, che riteneva "falsi", il suo studio si limitò alla parte positiva del piano, cioè al primo quadrante.
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In ottica conseguì risultati importanti, come la formulazione delle leggi della rifrazione. La rifrazione è quel fenomeno per cui i raggi luminosi, passando da un mezzo all’altro, subiscono una deviazione della loro traiettoria. Se il raggio luminoso passa dall’aria all’acqua, allora si avvicina alla normale alla superficie. Se il raggio luminoso passa dall’acqua all’aria, allora si allontana dalla normale alla superficie. La rifrazione gode di due leggi sperimentali, dette leggi di Snell-Cartesio. In meccanica si deve a lui un enunciato del principio d'inerzia, già intuito da Galileo: “se conferisco movimento ad un corpo, esso tende a tenere quel moto all'infinito” delle leggi della comunicazione del movimento: “ogni parte della materia” ‒ scrive Cartesio ‒ “conserva lo stesso stato, fino a quando le altre parti, urtandola, non la costringono a cambiarlo; inoltre, una volta che essa abbia cominciato a muoversi, continuerà a farlo con uguale forza, fino a quando le altre parti non la fermeranno o ne impediranno il movimento”
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Il francese Pierre de Fermat è uno fra i più importanti matematici del 17° secolo, sebbene, nel corso della sua vita, abbia per lo più svolto la professione di uomo di legge. Ha lasciato numerosi lavori sulla teoria dei numeri e ha contribuito alla nascita di moderne teorie matematiche di fondamentale importanza, quali in particolare la geometria analitica, il calcolo infinitesimale e il calcolo delle probabilità. I lavori di Fermat, però, sono stati in gran parte resi noti solo dopo la sua morte, e, per questo motivo, molti suoi contributi vengono spesso associati alle opere di altri matematici, per esempio a di Cartesio per quel che riguarda la geometria analitica.
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Il teorema di Pitagora, la proprietà geometrica che lega tra loro le misure dei lati di un triangolo rettangolo, dice che se si fa la somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti si ottiene l'area del quadrato costruito sull'ipotenusa. Se indichiamo con x e y le misure dei cateti e con z la misura dell'ipotenusa, allora la somma dei prodotti di x e di y per sé stessi è proprio uguale al prodotto di z per sé stesso. Scritto in modo sintetico, ciò significa che x 2 +y 2 =z 2 e tre numeri interi che soddisfano questa equazione formano una terna pitagorica (x, y, z). Per esempio, possiamo subito verificare che (3, 4, 5) è una terna pitagorica: infatti, se si somma il quadrato di 3 (9) al quadrato di 4 (16) si ottiene 25 che è proprio il quadrato di 5. Si sa da molto tempo che esistono infinite terne di questo tipo. Nel teorema di Pitagora non facciamo che sommare quadrati per ottenere quadrati. Ma cosa succede se invece dei quadrati si hanno cubi? Continua a valere una eguaglianza come quella di prima per le somme di cubi? Ossia, esistono terne di numeri interi (x, y, z) che verificano l'equazione x 3 +y 3 =z 3 ? Se, per esempio, prendiamo x=2, y=0, z=2, va tutto bene, l'eguaglianza è verificata. Ma lo stesso continua a valere anche quando x, y e z sono tutti diversi da zero?
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Che cosa succede nel caso della quarta potenza, della quinta potenza e così via, delle grandezze considerate? Cioè, che cosa succede quando consideriamo un'equazione come xn+yn=zn, dove n è un numero che può prendere, a nostro piacimento, come valori interi: n=3, n=4, e così via? A forza di provare, ci si rende presto conto che non è molto facile trovare soluzioni per queste equazioni, cioè, terne di numeri interi tutti non nulli che le verificano; anzi, ci si rende conto che è praticamente impossibile. Questa impressione si trasformò in un'ipotesi o, come si dice spesso in matematica, in una congettura: non esistono terne di numeri interi tutti non nulli che soddisfano l'ultima equazione scritta, con n=3, 4, 5, … cioè per n maggiore di 2. Questa affermazione va sotto il nome di ultimo teorema di Fermat, perché fu il matematico francese a formularla per primo.
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All’inizio del 1637, grazie all’intermediazione del matematico Mersenne, Cartesio chiese al re di Francia di pubblicare il suo Discorso sul metodo. Il cancelliere Beaugrand, che aveva voce in capitolo, chiese una opinione a Fermat, inviandogli una copia della Dioptrique, all’insaputa sia dell’autore che di Mersenne. Quest’ultimo, venutolo a sapere, invitò Fermat alla discrezione e ad inviare a lui personalmente ogni considerazione. Fermat scrisse: “…per quanto le conseguenze che egli ne deduce, quando tratta della forma che devono avere le lenti, siano belle, sarebbe auspicabile che i fondamenti sulle quali sono basate fossero più comprovati di quello che effettivamente sono; ma temo che la verità sia tanto assente come la prova”. Egli, infatti, riteneva che il modello della natura della luce proposto da Cartesio per spiegare la legge della rifrazione si basasse su supposizioni non abbastanza giustificate. Per Fermat, anzi, c’era una contraddizione fra l’idea di propagazione istantanea della luce e l’assioma secondo cui la velocità della luce dipende dal mezzo in cui si propaga; né riusciva a capire perché la luce si dovesse propagare più velocemente quanto più denso fosse il mezzo. La risposta di Cartesio, quando lo seppe fu: “l’errore che il signor Fermat riscontra nella mia dimostrazione non è che frutto della sua fantasia, e dimostra chiaramente che ha dato al mio trattato solo un’occhiata superficiale”.
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Quando Fermat sottopose all’attenzione dei matematici parigini il suo Methodus ad disquiendam maximam et minimam et de tangendibus linearum curvam, Cartesio colse l’occasione per vendicarsi e lo accusò di ragionamenti dubbi. Il personaggio intorno a cui ruotò per anni la disputa, fu Marsenne, a cui entrambi scrivevano, ognuno con la certezza che avrebbe mostrato le lettere all’altro. Nel 1638, avendo letto sugli apprezzamenti espressi da Fermat sul suo conto, cartesio cominciò a migliorare i rapporti e nel 1638, per la prima volta gli scrisse personalmente, dicendogli, tra l’altro: “…devo confessare che io onestamente non ho mai conosciuto nessuno che mi abbia dato l’impressione di conoscere la geometria tanto quanto voi…” Alla morte di Cartesio, uno dei suoi allievi decise di pubblicare tutta la corrispondenza del maestro e chiese la collaborazione di Fermat per riunire tutte le lettere che si erano scambiati. Questo fu per Fermat anche lo stimolo per ricominciare a studiare la teoria della rifrazione. Arrivò così a stabilire il principio secondo il quale la luce stabilisce traiettorie di tempo minimo, conosciuto come “principio di Fermat”, pubblicato verso il 1600 nell’Analyse pour réfractions et Synthèse pour les réfractions, e a partire da esso si dà una spiegazione matematica della cosiddetta legge di Snell.
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Giovanni Nepero 1550-1617 Pierre de Fermat 1601-1605 Renè Descartes 1596-1650 Gérard Desargues 1591-1661 Pascal 1623–1662 Newton 1642-1727 John Wallis 1616-1703 Isaac Barrow 1630-1677 Marin Mersenne 1588 – 1648
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Agrippino Noemi Belmonte Maria Bozza Adele De Michele Marianna De Pietro Jacopo Di Pietro Alfonso Faustini Lea Benedetta Lanza Pierfrancesco CLASSE II B
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