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PubblicatoLauro Leone Modificato 10 anni fa
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VESUVIO e MESTIERI AMBULANTI Di Oscar Limpido Parte quinta
2010 Di Oscar Limpido Parte quinta
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I MESTIERI AMBULANTI Com’erano, come sono se ci sono di Oscar Limpido Sommario: 1. Premessa, 2. barbiere, 3. capera, 4. capillò, 5. franfelliccaro, 6. subrettaro, 7. zeppularo, 8. aulivaro, 9. castagnaro, 10. ceuzaro, 11. lupinaro, 12. mellunaro, 13. maruzzaro, 14. pisciavinolo, 15. purpaiuolo, 16. cucchiere, 17. pazzariello, 18. pizzaiuolo, 19. puparo, 20. pusteggiatore, 21. scrivano -
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Con questa quinta parte de: “I mestieri ambulanti”, si va a discorrere di artisti e artigiani: cucchiere, pazzariello, pizzaiuolo, puparo, pusteggiatore e scrivano; ponendo termine all’excursus sui mestieri ambulanti del passato di Napoli, alcuni dei quali praticati tutt’oggi anche se in forma diversa. Non c’era l’intendimento di ricordarli tutti perché questo avrebbe comportato una lunga esposizione che, forse, poteva anche tediare. Non c’era, inoltre, l’intendimento di voler suscitare nostalgia o rammarico, ma, come già richiamato nella parte prima, riferendomi allo scrittore Corrado Alvaro, il ricordare, il custodire la memoria: nell’uomo convive sempre il moderno e l’antico. La memoria è uno strumento per rinnovare il presente, migliorarlo alla luce degli errori del passato. La memoria, paradossalmente, invade il futuro. “Noi siamo la nostra memoria”, affermava lo scrittore Borges, sottolineandone l’importanza. Importanza che già i greci, nell’età classica, avevano compreso, tant’è che a proteggere e simboleggiare la memoria, c’era una dea, Mnemosine (mnhmosunh).
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16. Cucchiere Romantico e introvabile guidatore di carrozzella. Nei tempi andati diffuso protagonista dei trasporti napoletani. Il vetturino di piazza era detto “cucchiere ‘affitto”; quello a servizio privato “cucchiere appatrunato”. La diversità fra i due si rilevava anche dall’abbigliamento: informale il primo con in testa l’immancabile coppola; più pretenzioso il secondo. “Trainiere” era invece chiamato il guidatore di un carro qualunque. Il coccheiere di carrozzella farfugliava qualche parola straniera ad uso e consumo dei turisti e ad ogni cliente assegnava il titolo di “eccellenza”. Dai racconti dei viaggiatori dell’Ottocento, i vetturini napoletani appaiono avidi, linguacciuti, spericolati e inaffidabili, oltreché aggressivi di carattere, tant’è che il modo di dire “mo te tratto a cucchiere ‘affitto” suonava come una minaccia. Di essi veniva riconosciuta e apprezzata l’abilità. In merito si rammenta spesso una frase adoperata dai cocchieri quando l’ingresso in uno stretto vicolo provocava l’apprensione dei clienti:”Eccellenza, basta ca nc’è trasuta ‘a capa d’o cavallo, ca nc’è trasuta tutt’a carrozza”. Gli eredi dei cocchieri del passato sono pochissimi e si trovano soltanto nelle località turistiche più pittoresche della Campania.
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17. Pazzariello Bizzarramente vestito, con una colorata uniforme vagamente militare, modellata su quelle del Sei-Settecento, seguito da tre rumorosi suonatori – tamburo, cassa e piatti, ocarina – il pazzariello percorreva strade e vicoli per propagandare negozi o mercanzie. In una mano impugnava il bastone da “mazziere” e incitava tutti al grido di “Uommene e femmene, gruosse e piccerille, nobele e snobele, ricche e puverielle – currite”. Col passar del tempo, a cavallo tra Otto e Novecento, la pubblicità di ogni nuova impresa commerciale, fu affidata alle canzoni. Oggidì cantine, trattorie, pastifici e altre aziende si fanno pubblicità sulle TV private.
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18. Pizzaiuolo Il paizzaiuolo ambulante percorreva i vicoli portando sulla testa uno scudo di stagno sul quale poggiavano fumanti pizze all’aglio, origano e pomodoro, alla mozzarella, alle alici salate. Per farsi notare e richiamare l’attenzione, gridava:”Uh ca io me cocio – vullente” oppure “’a lava ell’uoglie”. Altre voci erano modellate sulle offerte di propaganda del tipo:”Nu sordo a mamma e figlia”; si offriva così al medesimo prezzo, una pizza intera alla madre e un assaggio alla bambina. Negli anni Trenta una bionda pizzaiuola dei Quartieri Spagnoli inventò l’accattivante slogn “Cà se magna e nun se pava”. Mezza verità: la prima pizza era gratis, pagavi a partire dalla seconda. Già da tempo, per i più poveri, era nata la pizza “oggi a otto” che si pagava a distanza di una settimana. La pizza, inventata per placare la fame al minimo prezzo, ha subito variazioni di gusto nel tempo: Brandi, a Chiaia, diventò famoso per la “Margherita”, pomodoro, mozzarella e basilico, in omaggio alla Regina Margherita. Oggi sulla pizza si mette di tutto. Un consiglio, preferite le classiche.
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19. Puparo Una ricostruzione storica vuole nato a Napoli -e non in Sicilia- il teatro dei pupi. La prova è un editto della prima metà del Settecento: in seguito ad un fatto di sangue durante una recita, per motivi di ordine pubblico, fu proibita ogni rappresentazione di fantocci e pupi al largo del Castello. Testimonianze precedenti di quest’arte in Sicilia, non sono state trovate, anche se l’affine teatro delle marionette è certamente più antico. I primi pupari napoletani furono ambulanti. Cercavano uno spiazzo ove impiantare la loro mobile attrezzatura. Nell’Ottocento, tempio stabile dei pupi fu, invece, il teatro Stella Cerere alla Marina. Qui approdò dopo un naufragio, il catanese Grasso. S’innamorò di quei pupazzi di legno e riuscì a farsi assumere dall’impresario, in qualità d’inserviente. Quando finalmente tornò a Catania, portò con sé alcuni vecchi pupi della Stella Cerere, avviando così una tradizione, diventata più famosa di quella napoletana. I pupi napoletani sono alti poco più di un metro, quelli siciliani arrivano a un metro e mezzo. Rappresentano Orlando, Rinaldo, altri eroici cavalieri e le loro dame, ma anche poliziotti e briganti. Vengono azionati dall’alto; il puparo guida i loro movimenti da un ponte. Famoso nell’Ottocento fu Alfredo Buonardi. Ultimi grandi: Ciro Perna di Frattamaggiore e Nicola Furiati Corelli che gestì teatrini a Torre Annunziata e a Torre del Greco.
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20. Pusteggiatore Nel Duecento, l’imperatore Federico II fu costretto a emanare un’assisa contro i giullari per proteggere il sonno dei napoletani disturbato dalle mattinate. Nel Trecento, Giovanni Boccaccio, ospite a Napoli, parlò “d’infiniti stromenti, d’amorose canzoni”. Nel Quattrocento uno gliuommero (gomitolo, filastrocca) di Jacopo Sannazaro citava il nomade musico-poeta Giovanni della Bagnara. Nel Cinquecento, musici e cantanti si organizzarono in sindacato, fondando una corporazione nella chiesa di S. Nicola della Carità, che garantiva giusti compensi, assistenza per le malattie e persino una degna sepoltura. Nel Seicento, il marchese Gispano contò 112 taverne in cui si mangiava, suonava e cantava. Nel Settecento famose furono per la musica, le “pagliarelle dello Sciummetiello” e la Taverna delle Carcioffole. Il breve excursus per dimostrare che gli ambulanti della canzone ebbero nobili antenati e lunga tradizione. Eredi dei menestrelli, dei trovatori e degli antichi rapsodi (non siamo forse nella greca Napoli?), i posteggiatori vagavano per piazze e bettole oppure, sovente a gruppi, nei ristoranti più frequentati dai ricchi e dai forestieri. Dopo aver cantato “andavano per la chetta” ossia giravano con il piattino per raccogliere le offerte. Offerte da intendersi non elemosina ma il minimo prezzo pagato all’arte. Costituivano un mondo a parte ed avevano persino una loro lingua. Parlavano infatti, la parlesia, un gergo del tutto incomprensibile agli stessi napoletani. La chitarra la chiamavano allagosa, il pollo ‘o pizzicanterra, il pane l’illurto, una bella donna jamma kiddé. Molti di loro diventarono famosi. Giovanni Di Francesco detto ‘o zingariello ( ) incontrò nel 1880 in villa Dorotea a Posillipo, Richard Wagner che ne fu incantato e lo condusse in Germania ove, per due anni, la sua voce morbida come velluto fu l’attrazione del salotto Wagner. Estensioni liriche ebbero le voci di Luigi Calienno detto ‘o tenorino, diPasquale Jovino detto ‘o piattaro che aveva studiato dal maestro Vergine, lo stesso di Caruso. A partire dal 1890 molti posteggiatori varcarono le frontiere e l’oceano. In particolare, fu l’impresario romano Oreste Capacciuoli che reclutò e impegnò tantissimi posteggiatori in tournée che toccarono tutta l’Europa, l’America, la sponda africana del mediterraneo, la Russia degli zar. Notevole fu il loro contributo alla diffusione nel mondo della canzone classica napoletana. Lentamente quest’armonioso esercito è stato decimato dall’avvento della radio, del grammofono e dalle severe norme sul diritto d’autore. Oggi si trovano ancora dei posteggiatori,ma quelli impegnati a tempo pieno sono veramente pochi. E pensare che Enrico Caruso cominciò così sulla rotonda dei Bagni Risorgimento in via Caracciolo.
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21. Scrivano Finché ha dilagato l’analfabetismo, era un personaggio molto attivo definito dai più “cacacarte”.Con il suo banchetto occupava posti fissi della città. Intingendo la lunga penna nella boccetta dell’inchiostro, per conto terzi, scrivevano domande d’impiego, richieste di certificati, lettere per i figli soldati o emigrati, dolci missive d’amore. Per asciugare la carta adoperavano sabbia rossastra. Erano quasi tutti vestiti austeramente, con nero paramaniche e cappello duro. La tariffa: due soldi foglio e busta compresi. Come supplemento di prezzo ai clienti sovente veniva richiesto un sigaro. L’alfabetizzazione, la macchina da scrivere e poi il computer hanno azzerato i “cacacarte”. Qualcuno si è riciclato facendo il testimone per le dichiarazioni di nascita.
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