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NARRARE, RIFLETTERE, RICORDARE
ISTITUTO TECNICO PER LA COSTRUZIONE L’AMBIENTE ED IL TERRITORIO FEDELE CALVOSA CASTROVILLARI Anno scolastico 2012-’13 NARRARE, RIFLETTERE, RICORDARE L’architettura, costituisce un linguaggio potente ed efficacissimo per comunicare idee, sentimenti e giudizi
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Architettura della memoria
L’architettura è il mezzo espressivo più potente dell’Età contemporanea Architettura della memoria Costruire luoghi per ricordare
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Costruire luoghi per ricordare ha sempre impegnato le differenti civiltà che hanno avuto bisogno di istituire un legame profondo con il proprio passato e i propri affetti
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Entrambi, acquistando fisicità, rendono visibili storie e sentimenti
Esistono Luoghi per il ricordo collettivo degli avvenimenti della comunità Luoghi per il ricordo intimo e personale Entrambi, acquistando fisicità, rendono visibili storie e sentimenti
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I GRANDI MAUSOLEI ERETTI PER COMMEMORARE I CADUTI IN GUERRA VENIVANO GENERALMENTE IMPOSTATI SECONDO CRITERI RETORICI E MONUMENTALI : SCALEE, ALTARI, ARCATE MARMOREE …
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1949 IL PRIMO EDIFICIO CHE RAPPRESENTA UNA SVOLTA LINGUISTICA INCARNANDO UN LINGUAGGIO DEMOCRATICO E’ IL MAUSOLEO ALLE FOSSE ARDEATINE A ROMA , ESSO PROPONE AI VISITATORI UN PERCORSO SPIRITUALE CHE AVVIA ALLA PERCEZIONE DELLA BARBARIE UMANA (Mario Fiorentino, Michele Capobianco)
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Come misurarsi sul tema dello sterminio di sei milioni di ebrei
Come misurarsi sul tema dello sterminio di sei milioni di ebrei? Comunicando con i mezzi espressivi propri del linguaggio architettonico, senza cadere nella retorica
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Daniel Libeskind FIGLIO DI DUE SUPERSTITI DELL’OLOCAUSTO
Trascorre l’infanzia in Polonia, ma si trasferisce a New York, infatti è considerato tra i più grandi architetti statunitensi Si afferma per la sua architettura etica, dalle forme irregolari dal grande impatto visivo Progetta il Jüdisches Museum di Berlino (Museo Ebraico) alla fine degli Anni ottanta: aperto al pubblico nel 2001.
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Daniel Libeskind, considera l’architettura un processo emozionale Per lui un buon progetto serve a spiegare il passato ma anche per dare voce al futuro e per dare speranze
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IL MUSEO EBRAICO DI BERLINO è una struttura complessa: una tipologia architettonica "parlante"
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La sua pianta, che appare dall’alto come una sorta di fulmine, ha una forma derivante dalla stella di David disarticolata, esplosa, quasi ad indicare il doloroso rapporto tra gli Ebrei e la nazione tedesca, ma anche la rinascita dopo la disfatta e l’umiliazione.
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Il rivestimento esterno è di zinco, così da brillare e staccarsi luminosamente dal tessuto degli edifici intorno Non ha quasi finestre; il suo aspetto aguzzo e tagliente rievoca, con le poche feritoie, i drammatici ricordi dei colpi, dei tagli e delle cicatrici inferti sulla pelle degli ebrei
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L’ EDIFICIO E’ IRREGOLARE E SFUGGENTE, IMPOSSIBILE DA COGLIERE NELLA SUA GLOBALITA’
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Libeskind ha voluto che il visitatore entrasse nel museo partendo da una vecchia struttura espositiva, quasi ad indicare che l’olocausto è un prodotto della cultura occidentale e che la storia ebraica e quella tedesca sono strettamente collegate tra di loro
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Si è costretti, poi, in un percorso (Between the lines) sotterraneo che si articola in tre strade (dell’olocausto, dell’esilio e della continuità) terminanti rispettivamente nella Torre dell'olocausto, nel Giardino dell'esilio e dell'emigrazione e nelle sale espositive.
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Questo cammino è una sorta di viaggio dantesco alla ricerca della comprensione.
La nostra fonte di conoscenza è data dal forte impatto strutturale. Solo lasciando che il nostro corpo venga scosso, scombussolato da repentini cambi direzionali, da una camminata su maschere stridenti (l'opera Shalechet/Fallen leaves di Menashe Kadishman), dal silenzio di un antro buio, possiamo acquisire la consapevolezza di tutta la storia, passata e presente, del popolo ebraico.
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Il giardino dell’esilio e dell’emigrazione
Il Giardino dell'Esilio, esterno al museo, è una superficie quadrata circondata da 49 pilastri di cemento alti sei metri, in modo tale che dall'esterno non si possa vedere nulla. Il numero dei pilastri è simbolico, infatti serve a ricordare l'anno di nascita dello stato d’Israele, il 1948; il quarantanovesimo pilastro, quello centrale,rappresenta invece Berlino ed è riempito di terreno proveniente da Gerusalemme.
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Libeskind ha voluto fare in modo che il visitatore percepisse la stessa sensazione di straniamento e disagio che hanno provato gli ebrei esiliati. Per ottenere questo risultato ha costruito il piano di calpestio inclinato di sei gradi, infatti, camminando tra i pilastri, si prova la sensazione di mancanza di equilibrio Questo luogo rappresenta la terra dell’esilio,dove gli ebrei hanno dovuto costruirsi un nuovo destino lontani dalle proprie origini, ma verso la quale hanno riposto ogni speranza
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La torre dell’Olocausto
E’ un’altissima torre a forma di triangolo acuto, con una feritoia in alto che illumina lo spazio, come la lama di un coltello.
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Vi si accede aprendo una porta spessa e molto pesante
Vi si accede aprendo una porta spessa e molto pesante. È una struttura completamente vuota, buia, non climatizzata (dunque fredda d'inverno e calda d'estate), che viene illuminata da poca luce indiretta che penetra da una stretta feritoia posta in alto. Impossibile vedere fuori e capire dove si è; si sentono attutiti i rumori provenienti dall'esterno. Evidente il significato simbolico volto a ricreare la condizione dei deportati che non sapevano in quale luogo si trovavano e non potevano avere notizie.
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Foglie cadute, Menashe Kadishman
volti in acciaio punzonato sono distribuiti sul pavimento dello Spazio Vuoto della Memoria, l'unico spazio vuoto dell'edificio di Libeskind in cui è possibile entrare.
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I visitatori sono invitati a camminare sui volti e ad ascoltare il fragore prodotto dalle lastre di metallo che sbattono l'una contro l'altra.
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Liberskind è riuscito a far percepire, grazie alla forza del linguaggio architettonico, attraverso forme materiali, luci e rumori, quanto è stato vissuto dal popolo ebraico.
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Il suo è un progetto emozionale che non solo ha spiegato il passato ma ha dato voce alla speranza
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“non esiste architettura senza memoria”
Daniel Libeskind
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