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"Decameron. Dieci novelle"
NARRATIVA SECONDA MEDIA D A. S
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LA PESTE A FIRENZE 1348
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“Contro quell'epidemia non voleva alcuna trovata nè umano provvedimento nè le umili suppliche e le processioni religiose rivolte a Dio: sul principio della primavera del 1348 la pestilenza cominciò a mostrare in maniera straordinaria i suoi dolorosi effetti. E non come aveva fatto in Oriente, dove a chiunque incominciasse a uscire sangue dal naso era sintomo di evitabile morte; ma si formavano sia nei maschi sia nelle femmine certi gonfiori all'inguine o all'ascelle che diventavano grandi come una mela e che la gente del popolo li chiamava bubboni. Poco dopo l'inizio della malattia i bubboni si diffondevano dalle parti del corpo appena nominate a tutto organismo e si trasformavano in macchie nere e livide; i bubboni o le macchine erano certissimo indizio di morte imminente. Per curare questa malattia non c'era nè consigli da medico o virtù di medicina che valessero: anzi, o perchè a causa dell'ignoranza di chi curava non se ne sapeva l'origine, solo pochi ne guarivano, ma anzi quasi tutti morivano entro il terzo giorno dell'apparizione dei sintomi, chi subito,chi un po' dopo.“ (Rocky Ristagno)
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Pampinèa Emilia Dionèo Filomèna Pànfilo Elìssa Lauretta Filòstrato Fiammetta Neìfile
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Un martedì mattina del 1348, sette giovani donne e tre giovani uomini si incontrano nella Chiesa di Santa Maria Novella e decidono di andare a stare in campagna, lontani dall’epidemia di peste che stava assalendo Firenze. I personaggi di questo racconto sono sette ragazze e tre ragazzi. Le ragazze si chiamano: Pampinèa, Fiammetta, Filomena, Emilia, Lauretta, Neìfile ed Elissa. Questi nomi sono finti, inventati dall’autore, dati in base a delle qualità delle ragazze: Pampinèa è la rigogliosa, Filomena l’amante del canto, Emilia la lusinghiera, Elissa l’abbandonata, Neifile la novizia dell’amore, Fiammetta è forse la contessa Maria d’Aquino ed infine Lauretta è il nome dell’innamorata di Francesco Petrarca. I tre ragazzi, invece si chiamano: Pànfilo, Filòstrato e Dionèo. Neanche questi nomi sono dati a caso: Pànfilo è “dedito all’amore”, Filòstrato è “vinto dall’amore” e Dionèo è ”amante del diletto”. In questo brano l’autore non usa molti intrecci, ma segue una fabula regolare. Il tipo di lessico usato dall’autore, anche se quello dell’edizione del libro di narrativa adottato in classe non è quello originale, è abbastanza difficile perché usa forme arcaiche, parole non molto comuni. Il testo autentico è ancora più difficile del nostro, perché è scritto usando l’italiano del 1300. L’argomento trattato in questo brano è la descrizione dei protagonisti dell’opera: Boccaccio crea una cornice narrativa in cui inserire le novelle. (A. Bozzoni)
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COMMENTO DELLE NOVELLE
(scegli la novella dall’elenco) SER CIAPPELLETTO FEDERIGO DEGLI ALBERIGHI CHICHIBIO E LA GRU MELCHISEDECH E IL SALADINO CISTI FORNAIO ESCI
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SER CIAPPELLETTO Ser Cepperello con una falsa confessione inganna un santo frate e muore; e pur essendo stato un pessimo uomo in vita, una volta morto è reputato santo e chiamato san Ciappelletto.
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Ser Ciappelletto, uomo di pessima fama, viene assunto da messer Musciatto da Prato, in procinto di partire per l'Italia, perchè riscuota dei soldi prestati ai Borgognoni. Viene ospitato da due fratelli fiorentini amici di messer Musciatto che vivono in quella regione della Francia. Ma Ser Ciappelletto si ammala molto gravemente e i due fratelli chiamano un frate per confessarlo. Anche in quel punto della sua vita mentirà, facendogli credere che si è sempre comportato bene, che ha fatto del bene a tutti, che ha aiutato la gente in difficoltà. Il popolo della Borgogna crederà così tanto da considerarlo come un Santo e, dopo la sua morte, la gente continuerà a chiedere addirittura delle grazie sulla sua tomba. Musciatto Franzesi da Prato, è un uomo ricchissimo, importante mercante, amico di persone importanti come il re e il Papa Bonifacio. Ser Ciappelletto, notaio, è un persona malvagia e violenta, con il vizio dell'acool, del gioco e del furto. I due fratelli fiorentini che vivevano in un appartamento di messer Musciatto. Anche loro disonesti, prestavano denaro ad usura. Il vecchio frate, uomo molto conosciuto in paese perchè molto buono e conoscitore della dottrina cristiana. Ma anche un uomo molto prudente, ma che si fa ingannare da Ciappelletto fino ad additarlo come santo.
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Il linguaggio della novella è abbastanza chiaro, soprattutto nella fase centrale e finale, quando sta per morire il protagonista. Le parole usate nella parte centrale sono soprattutto vicine alla chiesa (tranne qualche frase e qualche parola un po' particolari). In questa prima novella, l’autore vuole dire è che esistono uomini che riescono ad arrivare sul punto di morte, e oltre, a dir bugie. Tra i temi trattati in questa prima giornata e novella, sicuramente troviamo l'ipocrisia, la cattiveria da parte non solo del protagonista. I peccati degli uomini, i vizi, ma anche l'ingenuità del frate che riesce a trasformare un uomo malvagio addirittura in un santo, nonostante sia stato un esperto confessore. (Martina Bernacchi, Minchillo)
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FEDERIGO DEGLI ALBERIGHI
“Federigo deli Alberighi, apprezzato più di ogni altro cavaliere della Toscana negli esercizi cavallereschi e nei modi raffinati. Possedeva un falcone, il migliore che abbia mai volato, che amava moltissimo. Per amore di una donna si trasferì in un poderetto, nella campagna vicino a Firenze”.
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Federigo degli Alberighi è un giovane cavaliere di Toscana, il più apprezzato nei giochi, nelle giostre e nei tornei d’armi. Quest’uomo si innamora di Monna Giovanna, la donna che a quel tempo veniva “considerata la più leggiadra” di Firenze che è però sposata con un figlio. Lei però non lo degna di uno sguardo perchè è fedele al marito. Poi però suo marito muore e nel suo testamento lascia tutti i suoi averi al figlio e, in caso della morte del figlio, alla moglie. Il figlio di Giovanna conosce Federigo e, affascinato dal suo falcone, diventa suo amico e lo aiuta nelle sue battute di caccia, ma egli non ha il coraggio di chiedergli in dono il suo bellissimo uccello. Disgraziatamente il ragazzo si ammala e Giovanna va da Federigo a chiedere il suo falcone in dono per suo figlio, che è in punto di morte. Egli, saputo che la donna che ama vuol pranzare con lui, non avendo niente da dargli da mangiare, gli cucina il suo falcone. Appena viene a sapere che il desiderio della donna era avere il suo falcone per il figlio, egli lo piange e spiega tutto a Giovanna. Essa, appena lo ebbe sentito, capisce che cosa era disposto a fare per lei, lo sposa e lo fa ricco. In questa novella Boccaccio, nei panni di Dionèo, usa una tecnica narrativa che attira molto l’attenzione anche perchè il linguaggio che usa non è complesso, ma semplice, in modo che possa essere capito da tutti. Questo racconto tratta i temi dell’amore cortese, della generosità, dell’onestà e dell’altruismo. (Antonio Molina)
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CHICHIBIO E LA GRU “Chichibìo, cuoco di Currado Gianfigliazzi, con una presta parola a sua salute l’ira di Currado volge in riso e sé campa dalla mala ventura minacciatagli da Currado”.
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Chichibìo, un bravo cuoco veneziano doveva cucinare una gru a Currado Gianfigliazzi, un nobile cittadino di Firenze. Mentre Chichibìo la cucinava, arrivò Brunetta, la ragazza di cui era innamorato. Alla sua richiesta, Chichibìo gliela porse. A cena Currado chiese a Chichibìo la ragione della presenza di una sola coscia. Il cuoco rispose che le gru avevano una gamba sola. Allora Currado disse che la mattina seguente sarebbe andato a vedere le gru con Chichibìo, e se esse avessero avuto due gambe, lo avrebbe punito. La mattina seguente andarno e trovarono le gru su una gamba. Chichibìo confermò a Currado le sue parole. Ma Currado gridò “oh oh” per farle spaventare. Le gru abbassarono l’altra zampa e scapparono. Sentitosi perduto, Chichibìo disse a Gianfigliazzo che le gru cucinate per cene non avevano mostrato l’altra gamba perché non aveva gridato “oh oh”. A Currado questa risposta piacque molto e Chichibìo evitò così la sua punizione. L’autore con questa novella vuole dire che, a volte, con una frase detta nel momento giusto, si può girare la situazione a proprio favore. I temi trattati sono quello della furbizia (la frase detta da Chichibìo), della interesse (Chichibìo dice che le gru hanno una sola gamba) e della fortuna avuta da Chichibìo perché, con la sua frase, si è potuto salvare dalla punizione minacciata da Currado. (Maga Claudia)
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MELCHISEDECH E IL SALADINO
L’ebreo Melchisedech, raccontando la novella dei tre anelli, evita di cadere in una trappola preparatagli dal saladino.
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Il Saladino d’Egitto ha bisogno di denaro e, per ottenerlo, si rivolge ad un ricco usuraio ebreo, Melchisedech. Il Saladino, vuole garantirsi il prestito con un espediente dal quale Melchisedech riesce a liberarsi raccontando la novella dei tre anelli. I personaggi di questa novella sono quindi due: il Saladino, sultano d’Egitto e Melchisedech, saggio e avveduto usuraio ad Alessandria d’Egitto. In questo racconto s’intrecciano diversi piani narrativi: infatti a narrare il Decamerone è Boccaccio, a raccontare in questa novella del Saladino e di Melchisedech è Filomena e a raccontare la parabola dei tre anelli nella novella è Melchisedech. Il tipo di lessico utilizzato dall’autore in questa storia è di genere colto e dotto, ed è un intrecciarsi di dialoghi tra i due personaggi e la descrizione dei loro caratteri operata da Filomena. La posizione di Boccaccio in questa vicenda sta nel rivalutare la figura dell’usuraio ebreo , giudicandola persona saggia e fidata.Il tema del racconto è lo “scontro delle civiltà”. Ha una storia antica il rapporto tra la cultura occidentale e mediorientale, specialmente se si parla delle diverse religioni che in questo racconto sono quella ebrea e musulmana. (Valentina Ricciardo)
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CISTI FORNAIO “Cisti fornaio aveva il suo forno ed esercitava personalmente il suo mestiere. Nonostante il suo umile lavoro, egli era diventato ricchissimo e viveva splendidamente con agio e signorilità. Davanti all’uscio della sua bottega vi era un secchio nuovo e stagnato con acqua freschissima e un piccolo orcioletto bolognese con un buon vino e due bicchieri che parevano d’argento”.
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Un giorno, Cisti il fornaio, un uomo molto generoso e gentile, vedendo spesso passare davanti alla propria bottega messer Geri, un ricco e importante banchiere fiorentino, avrebbe voluto avere l’onore di bere con lui, ma questa era un’eventualità difficile, perché non lo conosceva. Pensò quindi di autoinvitarsi. Ogni volta che Geri passava davanti alla sua bottega, Cisti si faceva notare mentre beveva di gran gusto il suo vino. Una giornata molto calda, messer Geri, accompagnato dagli ambasciatori, si fermò da Cisti a bere. Avendo apprezzato il suo vino, quando diede una festa, Geri mandò un servo a chiedere a Cisti un po’ del suo buon vino. Il servo ingordo, si presentò con un secchio. Cisti, avendo capito l’intenzione del servo, elegantemente rifiutò di darglielo, dicendo che al servo che non era venuto per lui. Messer Gerì, dalla risposta del fornaio, capì la malefatta del suo servo, e lo rimando con un fiasco più piccolo. Cisti allora diede al servo il suoi prezioso vino e lui e messer Geri diventarono ottimi amici. La novella è basata sul motto e la battuta di spirito, quella che Cisti dice al servo, per non lasciarsi sfruttare. Boccaccio esprime qui la propria visione del mondo: attraverso la propria arguzia, il nuovo ceto sociale della borghesia, sa competere sullo stesso piano con i potenti. (Francesca Bellingeri)
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FINE
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