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PubblicatoVito Palumbo Modificato 10 anni fa
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La parabola dei talenti ci insegna che una vita cristiana fondata, non sul formalismo, la auto-protezione e il timore, ma sulla gratitudine, sul coraggio e sulla percezione dell’altro, costituisce la gioia del Signore. E la nostra. Gustavo Gutiérrez Testo: Matteo 25, // Tempo Ordinario 33 –A-. Commenti e presentazione: Asun Gutiérrez. Musica: Bach. Concerto per oboe in re minore. Adagio.
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Matteo 25, Nel Regno dei cieli succede come a quell’uomo che, dovendo partire, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi affari. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo le sue capacità; e partì. Celebriamo la penultima domenica dell’anno cristiano. Gesù continua a raccomandarci di stare attenti, vigilanti, attivi nella nostra speranza e nell’esercizio della nostra responsabilità. Tutti abbiamo una missione e dei talenti per realizzarla. Dobbiamo risponderne a Lui. Conosciamo Gesú e la sua Buona Notizia, questi sono i talenti più validi. La missione è annunciare questa Buona Notizia nel quotidiano. Annunciare com’è il Dio di Gesú, com’è la vita con Lui, la trascendenza dell’essere umano e delle sue azioni. Il Regno di Dio è iniziativa sua e frutto della nostra collaborazione.
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Colui che aveva ricevuto cinque talenti li negoziò, e ne guadagnò altri cinque. Così pure colui che ne aveva due, ne guadagnó altri due. Quello, invece, che ne aveva ricevuto solo uno, fece una buca nella terra e vi nascose il denaro del suo signore. Molto tempo dopo, il padrone tornò e chiese conto ai suoi servi dei talenti affidati. La parabola è un omaggio alla responsabilità attiva e alla libertà dell’uomo E’ una chiamata al lavoro, alla creatività, al rischio, al coraggio... nel quotidiano, con le sue buone e cattive avventure, con le gioie e le soffrenze. Il testo non chiede di conseguire trionfi né di guadagnare meriti. Quanto si chiede è sempre poco a paragone con quanto si ottiene. Perché mi sono stati dati dei talenti? Per che cosa me li hanno dati? Per chi?
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Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti, presentandone altri cinque, e disse: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; qui ce ne sono altri cinque che ho guadagnato». Il padrone gli disse: «Bene, servo buono e fedele; come sei stato fedele nel poco ti farò partecipe del molto: entra nella gioia del tuo signore». Venne pure quello dei due talenti e disse: «Signore, mi hai dato due talenti, qui ce ne sono altri due che ho guadagnato». Il padrone gli disse : «Bene, servo buono e fedele; come sei stato fedele nel poco, ti farò partecipe del molto: entra nella gioia del tuo signore». Ciò che conta è che ciascuno ponga ciò che possiede e ciò che è a servizio del Regno. Sappiamo che i figli non agiscono per timore o per guadagno, né per castighi o ricompense, ma con gioia e gratuità perché lavorano per realizzare il progetto del Padre, che è pure il loro. Un atteggiamento e una risposta generosi, in ogni ambito della vita, lancia verso la felicità e la pienezza.
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Giunse infine quello che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei uomo duro, che raccogli dove non hai seminato e mieti dove non hai sparso. Ho avuto paura e ho nascosto nella terra il tuo talento; eccotelo». Il padrone rispose: «Servo malvagio e pigro! Sapevi che raccolgo dove non ho seminato e mieto dove non ho sparso. Dovevi depositare il mio denaro in una banca; e al ritorno lo avrei ritirato con gli interessi. Toglietegli dunque il talento e datelo a chi ne ha dieci. La cosa peggiore in costui è che non conosce il suo Signore. Agisce con paura, codardia e sfifucia. La fiducia riposta in lui, invece che un dono, uno stimolo e una gioia, gli diventa un peso. Per Gesù avere paura equivale a non avere fede. La fede non è qualcosa che si sotterra, è vita che si manifesta nell’amore e nell’impegno e che chiede di crescere. Gesù fa una chiara denuncia del conservatorismo, della pigrizia e della passività. Non censura quest’uomo per aver fatto del male, ma per esseresi accontentato di conservare il ricevuto senza farlo fruttare. Conservare ciò che si ha, l’abitudine, l’apatía, la paura, la comodità, la pigrizia, incrociare le braccia, lasciare tutto come si trova, tirare avanti... non sono atteggiamenti evangélici. Chi si limita all’osservanza, a non fare del male, si perde la immensa gioia che offre il fare del bene.
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Poiché a chi ha, sarà dato e avrà in abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quanto crede di avere. E il servo inutile gettatelo fuori, nelle tenebre. Là sarà pianto e stridore di denti». Alcuni autori, manifestando il proprio modo di vedere e di essere, di pensare e di agire, hanno interpretato e interpretano questa parabola come “minaccia”, “giusto castigo”, “rigore della giustizia divina”, come se Gesú non fosse il Salvatore e il Liberatore ma il Vendicatore, più amico del castigo che dell’amore. Dal contesto di tutto il Vangelo sappiamo che l’immagine di Giudice Vendicatore non ha niente a che vedere con Gesù. Né con il Dio di Gesù. “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9). Abbiamo la fortuna e la gioia di sapere che Colui di fronte al quale siamo responsabili è prima ancora il nostro Padre/Madre, che ci comprende, ci accoglie, ci accompagna, ci cerca più di tutti. Noi e l’umanità tutta. La gratuità e l’immensità del suo amore lo riempie totalmente.
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A Te, Signore, la scienza non dà direttive, né la legge ti inquadra.
A Te, Signore, non pongono limiti i nostri dogmi. La nostra onestà ti sta stretta e non ti ritrovi nella nostra etica abituale. Dobbiamo essere meno prudenti e uscire dalle vie battute. Dobbiamo lasciare la spada, la borsa e il tempio. Dobbiamo uscire dalla città e costruire un altare sulla terra Con Colui che si fece Altare per il mondo intero. Vieni e scuotici con la tua fede, e i nostri calcoli perderanno forza. Vieni e riempici del tuo Spirito e non ci serviranno da scusa le nostre paure. Vieni, Signore, in nostro aiuto e rinnova la faccia della terra.
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