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Liceo Scientifico “Nino Cortese” Maddaloni (ce)
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“L’uomo è la misura di tutte le cose:
di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono.” (Protagora)
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Calcolo di aree mediante quadrettatura
Argomenti trattati a scuola negli incontri del laboratorio Teoria della misura Determinazione di aree mediante utilizzo della bilancia ed il Teorema di Pick Calcolo di aree mediante quadrettatura Ricerca storica sulle origini della teoria della misura e sulla sua evoluzione nel corso dei secoli Determinazione dell’area del segmento parabolico mediante metodo meccanico di Archimede e metodo di Esaustione Tassellazioni del piano
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Argomenti della presentazione di oggi
… Eudosso ed il metodo di esaustione Archimede ed il metodo meccanico Cavalieri e gli indivisibili La misura nella fisica moderna Concetto di misura Determinazione di aree mediante utilizzo della bilancia
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Eudosso Metodo di Esaustione
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Cenni biografici Il matematico e astronomo greco Eudosso nacque a Cnido tra il 408 e il 406 a. C. Egli fu una figura fondamentale nello sviluppo della matematica e dell’astronomia greca. Fu inizialmente allievo di Platone e poi di Archita di Taranto, da cui fu avviato allo studio del problema della duplicazione del cubo, dei numeri interi e della teoria della musica
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Metodo di Esaustione Se gli antichi geometri avevano solo suggerito l’idea che il cerchio (come le altre figure curvilinee) potesse essere esaurito o colmato da poligoni regolari iscritti intuendo soltanto il concetto di “passaggio al limite” , Eudosso per la prima volta rende rigoroso il procedimento evitando di ricorrere al concetto di limite stesso. Egli infatti si proponeva di riempire o “esaurire” (da qui deriva il nome del metodo) l’area del cerchio, inscrivendolo e circoscrivendolo con delle figure note tale che l’area della figura curvilinea risultasse essere compresa tra l’area dei poligoni interni e l’area di quelli esterni.
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Tale metodo fu fondamentale e permise ad Archimede di effettuare, ad esempio, il calcolo dell’area di un segmento parabolico. In termini moderni il metodo di esaustione viene ancora utilizzato nel calcolo integrale, anche se oggigiorno non lo si chiama più «metodo di esaustione di Eudosso», ma più semplicemente “calcolo dell’integrale”. Il calcolo infinitesimale sposta il suo campo d’azione dalla geometria all’analisi.
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Eudosso, più di 2000 anni fa, fu il primo a sviluppare un calcolo che può definirsi, quindi, la chiave dell’analisi infinitesimale che ebbe il suo completo sviluppo solo con Sir Isaac Newton nel 1600.
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Archimede e il “Metodo Meccanico”
« Summis ingeniis dux et magister fuit » « Dei più alti ingegni fu guida e maestro » J.L. Heiberg
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Cominciò così … Archimede, più che essere matematico, fisico e ingegnere, è stato il massimo esponente di una scienza che ignorava le divisioni che l'odierna terminologia spinge a considerare inevitabili. L'opera di Archimede che rappresenta il culmine della scienza antica è il “Metodo Meccanico”: una lettera scritta da Archimede al suo amico Eratostene, il cui scopo è quello di illustrare il “metodo” utilizzato da Archimede per scoprire le formule che poi avrebbe dimostrato mediante il metodo di esaustione.
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Il Metodo Per stupire l’amico con la potenza del suo metodo, Archimede gli preannuncia che al termine della sua lettera avrà dimostrato i seguenti due difficili teoremi: DEFINIZIONE. L’unghia cilindrica è quella parte di cilindro che viene staccata tagliando il cilindro stesso con un piano individuato dal centro di una base e da una retta tangente al cerchio che costituisce la base opposta. TEOREMA 1. Sia data un’unghia cilindrica il cui cilindro generatore è inscritto in un prisma retto a basi quadrate: il volume di tale unghia è 1/6 del prisma. TEOREMA 2. In un cubo si inscriva un cilindro avente basi inscritte in due quadrati di base opposti e nello stesso cubo si inscriva un secondo cilindro avente basi inscritte in altri due quadrati opposti: il solido comune ai due cilindri è i 2/3 del cubo.
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Archimede ha utilizzato il metodo meccanico, in particolare, per il calcolo dell’area di un segmento parabolico. DEFINIZIONE. Un segmento parabolico è una regione di piano compresa tra una corda della parabola e l’arco congiungente i due estremi della corda. PROPOSIZIONE. L’area di un segmento di parabola è i 4/3 dell’area del triangolo inscritto nel segmento ed avente la stessa base e la stessa altezza del segmento.
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Archimede è che l’area del segmento di
In realtà il risultato difficile ottenuto da Archimede è che l’area del segmento di parabola è 1/3 dell’area del triangolo avente come lati: la corda, un secondo lato sulla retta parallela all’asse della parabola per uno dei due estremi dell’arco e un terzo lato sulla retta tangente alla parabola nell’altro estremo. Di questo problema Archimede ha dato varie dimostrazioni: una di natura intuitiva basata sul teorema della leva, che serviva ad Archimede per avere una idea euristica sul risultato, e altre due assolutamente rigorose basate sul metodo di esaustione.
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La distribuzione di pesi definita dal triangolo OAB è equivalente alla distribuzione che ha tutto il peso concentrato nel punto K per il quale OK : OA = 1 : 3 ma OA =OC = a dunque, per il teorema della leva, tutto il peso applicato in C sta al peso del triangolo applicato in K come OK sta a OC. Ma il rapporto tra i pesi è uguale al rapporto tra le aree e quindi: Area Parabola : Area triangolo = 1 : 3
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Bonaventura Cavalieri
Bonaventura cavalieri ( ), allievo di Galileo e professore in un liceo di Bologna, fu influenzato da Keplero e da Galileo e spinto da quest’ultimo a occuparsi dei problemi del calcolo infinitesimale. Cavalieri sviluppò le idee di Galileo e di altri sugli indivisibili incorporandole in un metodo geometrico e pubblicò un’opera sull’argomento intitolata “geometria indivisibilibus continuorum nova quadam ratione promota” (1635). Bonaventura Cavalieri
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Perché lo ricordiamo? …ah forse per il metodo degli Indivisibili??! Egli considera un’area come costituita da un numero indefinito di segmenti paralleli equidistanti e un volume come composto da un numero indefinito di aree piane parallele; questi elementi sono detti rispettivamente indivisibili di area e di volume. Cavalieri si rende conto che il numero di indivisibili che costituiscono un’area o un volume deve essere indefinitamente grande, ma non cerca di approfondire questo fatto. In parole semplici, gli indivisibilisti sostenevano, come dice Cavalieri nelle sue “Exercitationes geometricae sex” (1647), che una retta è composta da punti come un rosario da grani; che un piano è composto da rette come una stoffa da fili e che un volume è composto da aree piane come un libro da pagine. Essi ammettevano tuttavia che gli elementi costituenti fossero in numero infinito.
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Il metodo o principio di Cavalieri è illustrato dalla seguente proposizione, che può naturalmente essere dimostrata in altri modi. Per provare che il parallelogramma ABCD ha area doppia di quelle dei triangoli ABD o BCD, Cavalieri osservava che, se GD = BE, allora GH = FE. I triangoli ABD e BCD sono perciò composti da un numero uguale di segmenti uguali come GH ed EF e devono perciò avere aree uguali.
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Lo stesso principio è incorporato nella proposizione nota oggi con il nome di:
Teorema di Cavalieri “Se due solidi hanno uguale altezza e se le sezioni tagliate da piani paralleli alle basi e ugualmente distanti da queste stanno sempre in un dato rapporto, anche i volumi dei solidi staranno in questo rapporto."
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Gli indivisibili di Cavalieri furono criticati dai suoi contemporanei e Cavalieri tentò di rispondere alle critiche, senza però essere in possesso di una giustificazione rigorosa. A volte sosteneva che il suo era soltanto un metodo pragmatico per evitare di far ricorso al metodo di esaustione. Nonostante le critiche, il metodo degli indivisibili venne applicato intensivamente da molti matematici. Altri, come Fermat, Pascal e Roberval, si servirono del metodo e anche dello stesso suo linguaggio adoperando espressioni come la somma delle ordinate, ma pensavano all’area come a una somma di rettangoli infinitamente piccoli piuttosto che come a una somma di segmenti.
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La misura nella fisica moderna
W. HEISENBERG ( ) E SCHRODINGER ( )
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Meccanica quantistica
La meccanica quantistica è una teoria fisica che si è sviluppata e consolidata nella prima metà del XX secolo, per supplire all'inadeguatezza della meccanica classica relativa alla descrizione del moto delle particelle costituenti la materia.
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La meccanica quantistica si distingue in maniera radicale dalla meccanica classica in quanto si limita a esprimere la probabilità di ottenere un dato risultato a partire da una certa misurazione, rinunciando così al determinismo assoluto proprio della fisica precedente. Questa condizione di incertezza o indeterminazione non è dovuta a una conoscenza incompleta da parte dello sperimentatore dello stato in cui si trova il sistema fisico osservato, ma è da considerarsi una caratteristica intrinseca, quindi ineliminabile, del sistema e del mondo subatomico in generale.
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Il paradosso della misura
In meccanica quantistica il comportamento di una particella è espresso in termini di funzione d’onda, e la sua evoluzione nel tempo è descritta perfettamente dall’equazione di Schrödinger. Tuttavia, nel momento in cui cerchiamo di misurare la posizione, la quantità di moto o qualunque altra grandezza fisica relativa alla particella, ne perturbiamo il moto. Così facendo, l’equazione di Schrödinger non vale più e non siamo più in grado di descrivere il moto della particella.
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Principio di indeterminazione
Il fisico Werner Heisenberg formulò un principio, noto come principio di indeterminazione, il quale afferma che l’incertezza sulla posizione di una particella e quella sulla sua quantità di moto sono inversamente proporzionali. Ciò vuol dire che esistono coppie di variabili (dette tra loro coniugate), come posizione e impulso di una particella, il cui valore non può essere neanche in linea di principio conosciuto simultaneamente con precisione arbitraria, indipendentemente dall'accuratezza sperimentale con cui vengono effettuate le misure.
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Paradosso EPR Il paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (paradosso EPR) è un esperimento mentale che dimostra come una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico possa propagare istantaneamente (interpretazione di Copenhagen) un effetto sul risultato di un'altra misura, eseguita successivamente su un’altra parte dello stesso sistema quantistico, indipendentemente dalla distanza che separa le due parti. Il paradosso EPR si basa su un fenomeno predetto dalla meccanica quantistica, conosciuto come entanglement quantistico, per mostrare che misure compiute su parti di un sistema fisico separate spazialmente possono avere in apparenza un'influenza istantanea l'una sull'altra.
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Immaginiamo un sistema, di cui sia nota la quantità di moto p, formato da due atomi. Nel momento in cui questi due atomi si separano, deve essere rispettata ovviamente la legge di conservazione della quantità di moto p1+p2=p. Immagino, dunque, di misurare la quantità di moto p1 della particella 1 con precisione infinita (lo posso fare purché la precisione con cui misuro la sua posizione sia nulla, poiché in questo caso il prodotto fra le incertezze è indeterminato). Allo stesso modo immagino di misurare con precisione infinita la posizione della particella 2. Ci troviamo di fronte ad un paradosso: infatti conosco con incertezza zero la posizione della particella 2, ma allo stesso tempo anche la sua quantità di moto, essendo questa uguale a p-p1. L’UNICO MODO PER RISOLVERE IL PARADOSSO E’ IMMAGINARE CHE QUANDO MISURO P1, ISTANTANEAMENTE PERDO QUALSIASI INFORMAZIONE SULLA PARTICELLA 2.
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Ecco i metodi da utilizzare…
Un mondo da misurare Ecco i metodi da utilizzare…
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Come cominciare… …Misurare
significa confrontare la grandezza incognita con una grandezza omogenea con essa scelta come unità di misura
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Si definisce misura di A, il rapporto :
a= A/U dove a è il valore della misura, A è la grandezza da misurare, U è l’unità di misura. Stabilite due unità di misura diverse Ua e Ub, la misura della grandezza A, riferita alle due unità è : a’ =A/Ua a’’=A/Ub Otterremo quindi dei valori differenti a seconda dell’unità di misura utilizzata. Tuttavia è possibile introdurre un fattore di conversione, mediante il quale è possibile “passare” da un’unità di misura all’altra. a’’= a’ Ua/Ub a’’=a’k dove k=Ua/Ub è il fattore di conversione
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Bisogna però notare che nell’effettuare il passaggio da un’unità di misura ad un’altra nel caso delle aree il fattore di conversione dovrà essere elevato al quadrato (k²) in quanto l’area è il prodotto tra i lati…(e quindi tra 2 misure lineari)… Per estensione del concetto il coefficiente relativo al volume dovrà essere elevato al cubo (k³)… K²=Ua²/Ub²
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È possibile misurare in due differenti modi..
Direttamente Mediante il confronto diretto tra l’oggetto e l’unità di misura Indirettamente Attraverso dei calcoli matematici, come nel caso del calcolo dell’area di un rettangolo mediante il prodotto delle misure dei lati.
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Quando si effettua una misurazione bisogna tener sempre conto dell’errore (ottenere una misura infinitamente precisa è infatti impossibile)). Nella misurazione di un foglio di carta possiamo commettere errori legati a : Mancato allineamento dello strumento con il bordo del foglio Errato utilizzo dello strumento Eventuali errori grossolani commessi dal misuratore Generalmente si assume come errore la grandezza minima che lo strumento utilizzato riesce a misurare.
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Propagazione degli errori
L’errore sulla somma o differenza di 2 misure è dato dalla somma dei 2 errori assoluti : Δ(a+b)=Δa+Δb L’errore relativo su una misura è dato dal rapporto tra l’errore assoluto e la misura stessa… Quindi l’errore relativo(ε) su un prodotto è dato dalla somma degli errori relativi: ε (ab)=ε(a)+ε(b)
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Dalla bilancia all’area!
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Misura dell’area di una figura attraverso la massa
E’ possibile calcolare l’area di una figura sfruttando la massa? La risposta è sì, sfruttando la relazione tra la massa e la densità di due figure: un quadrato regolare, preso come unità campione, e una figura irregolare. Massa= volume ∙ densità m=V ∙ d Volume= Area ∙ spessore V=A ∙ s quindi, massa=d ∙ A ∙ s Avendo preso in esame figure della stessa densità e spessore, la quantità d ∙ s è una costante. Indicando con “m” ed “mq” ed “A” ed “Aq” rispettivamente le masse e le Aree dell’oggetto incognito e del quadrato campione, si ottiene: m =k∙A mq= k∙Aq da qui: m/A=mq/Aq A=(Aq/mq)∙m
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Utilizzo della bilancia elettronica
Per calcolare , quindi, l’area di una figura irregolare è necessario conoscerne la massa. A=(Aq/mq)∙m Per determinare le masse possiamo utilizzare la bilancia elettronica.
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Utilizzo della bilancia a bracci uguali
Per determinare l’area, in funzione della massa, possiamo utilizzare anche la bilancia a bracci uguali. Sfruttando questo strumento, bisogna usare il concetto di momento e di leva. Nella bilancia a bracci uguali vale la relazione: F1b1= F2b2 dove F indica la forza peso esercitata dalla massa e b il braccio. Poiché i bracci sono uguali la relazione diventa: F1=F2 Per trovare l’area della figura sconosciuta la poniamo sul primo piatto mentre sul secondo si pongono tante figure campione, di cui è nota l’area, fino a raggiungere una condizione di equilibrio.
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Di conseguenza, essendo l’area direttamente proporzionale alla massa, l’area della figura irregolare è uguale alla somma delle aree delle figure campione utilizzate.
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