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a cura di Nino Pino & Nino De Luca
VITTORIO ALFIERI a cura di Nino Pino & Nino De Luca
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LA VITA Vittorio Alfieri nacque ad Asti il 16 gennaio 1749 da una famiglia della ricca nobiltà terriera. Della nascita nobile Alfieri si compiaceva perché gli garantiva quella indipendenza economica, che gli consentiva di non lavorare per nessuno. Nel 1758, a nove anni, fu mandato a compiere gli studi presso la Reale Accademia di Torino. Più tardi diede giudizi pesanti sulla formazione culturale che aveva ricevuto, “arida e pedantesca, ispirata a modelli antiquati”. Uscito dall’Accademia, compì numerosi viaggi per l’Italia e l’Europa. In primis visitò le principali città italiane, poi si recò a Parigi, in Inghilterra, in Olanda ecc. I viaggi per Alfieri derivavano da una smania di movimento, da un’ irrequietezza continua che caratterizzava il suo stato d’ animo. Si delinea così, già negli anni giovanili, il profilo di un animo tormentato, proteso verso qualcosa di grande che non ha ancora un volto definito. Esso sarà poi identificato da Alfieri con la vocazione poetica, destinata a riempire la sua vita. Con questi viaggi, nonostante tutto, aveva accumulato una concreta esperienza delle condizioni politiche e sociali dell’Europa. Tutto ciò che vede non gli piace, e provoca in lui insofferenza e repulsione. Una reazione positiva suscitano in lui i paesi come l’Olanda e l’Inghilterra, dove sussistono maggiori libertà. Ritornato a Torino, la sua insofferenza per ogni gerarchia gli impedisce di dedicarsi alle attività politiche e militari. Conduce quindi una vita oziosa, chiuso in una solitudine, che ingigantisce la sua malinconia, ulteriormente accresciuta da un “tristo amore” con una marchesa. L’ unica attività che gli si offriva era quella letteraria, e così dopo gli anni di vuoto intellettuale dell’ Accademia, aveva cominciato a leggere, dedicandosi soprattutto agli illuministi francesi: Montesquieu, Voltaire, Rousseau, ecc., dando fondamenti filosofici alla sua avversione contro la tirannide. Un momento importante fu anche la lettura di Plutarco, storico greco, autore di una serie di biografie di uomini illustri greci e romani. Nel 1775 Alfieri colloca la sua svolta fondamentale, la sua “conversione”. Infatti capisce che l’ unico mezzo per trovare un superamento dei propri tormenti si trova nella poesia e soprattutto nelle tragedie. Data l’ insufficienza dei suoi primi studi, si impegna al massimo per sopperire a questa mancanza, buttandosi a capofitto nella lettura dei classici latini e italiani. Per meglio far proprio l’ italiano, soggiorna a lungo in Toscana dove conosce Louise Stolberg e trova in lei il “degno amore” che, insieme alla poesia, può dare equilibrio alla sua vita. Con la sua donna soggiorna a lungo a Parigi, lo scoppio della Rivoluzione eccita il suo spirito antitirannico, ma ben presto i risvolti che prenderà la Rivoluzione lo disgusteranno, per quella che egli ritiene una falsa libertà.
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Nel 1778 abbandonò definitivamente il Piemonte per la Toscana, lasciando tutti i suoi beni alla sorella in cambio di un vitalizio annuale. Negli anni successivi scrisse la prima parte delle Rime (1804, postume) e diciannove tragedie. La più nota, Saul (1783), riprende il racconto biblico della follia del re d'Israele e della sua gelosia per Davide; tra le altre si ricordano, Filippo ( ) Antigone (1776), Agamennone (1783) e Mirra ( ), incentrata sul conflitto tra istinto e valori morali. Tra le opere in prosa le più significative sono la Vita ( ) lucida autobiografia alla quale Alfieri lavorò instancabilmente fino alla fine dei suoi giorni, e i due trattati Della tirannide ( ) e Del principe e delle lettere ( ), opere pervase dall'amore per la libertà che risvegliarono l‘ orgoglio nazionale degli italiani e alimentarono quel desiderio di indipendenza che avrebbe caratterizzato il Risorgimento. Muore a Firenze l’8 ottobre 1803.
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POETICA E OPERE Tutta l'opera dell'Alfieri ha una meravigliosa unità e tutta ci rivela l'uomo con la sua coscienza e il suo ideale. Tre furono le passioni che agitarono il cuore di Vittorio Alfieri: quella della sua donna, quella della libertà, e quella della Patria. Il suo amore per Luisa Stolberg lo cantò nelle "Rime", che, pur risentendo l'eco della poesia petrarchesca, sono liriche originalissime; il poeta vi esprime con commozione le sue gioie e le sue angosce, rievoca le dolcezze procurategli dall‘ amore, rivive gli istanti tormentosi dei distacchi, i tristi periodi della lontananza, ritrae con efficacia i luoghi che colpirono il suo sguardo e rimasero impressi nella sua memoria. L'amore per la Libertà, che va strettamente congiunto a quello per la Patria, ha interessato quasi tutta la produzione letteraria dell'Alfieri. La libertà è il suo lume. Egli amava la vita libera, detestava la disciplina militare e perfino i sacri legami del matrimonio, si sottraeva alla sudditanza del suo re, aderiva con entusiasmo alla Rivoluzione francese, ma la condanna quando vede nella plebe un nuovo tiranno; si chiude in una sdegnosa solitudine quando vede l'Italia oppressa da quelli che si dicevano suoi liberatori. Scrittore, manifesta costantemente il suo irriducibile odio contro la tirannide e la sua ammirazione per coloro che in ogni tempo e in ogni luogo tentarono di abbatterla. Nel trattato giovanile “Della Tirannide” mostra quali siano i moventi, gli interessi e i sostegni del governo assoluto, rappresenta le misere condizioni di chi vive in regime di oppressione e giunge a consigliare il celibato per evitare che nascono figli destinati a vivere una infelice schiavitù. Nell'altro trattato “Del principe e delle lettere” esamina i rapporti tra la monarchia e le lettere e vuol dimostrare che non è vero che a queste giovi la protezione dei principi. Le lettere hanno per fine di rappresentare il vero, i principi hanno interesse di nasconderlo. Il letterato che si farà proteggere riuscirà mediocre ed anche quelli che ci lasciarono opere d'arte magnifiche sarebbero stati più grandi se non fossero vissuti adulando e corteggiando i loro protettori. Dall’ amore per la libertà traggono spunto molte opere tra cui il “Misogallo”: misto di prosa e versi, scritto tra il 1790 e il 1795 e pubblicato postumo sotto la data del 1799, deriva dal suo amore per la libertà assoluta e dall'indignazione provocata in lui dagli eccessi della Rivoluzione. In questa opera c'è l'affermazione del sentimento di nazionalità e bolle il patriottismo dell'Alfieri. Egli non concepisce la libertà come idea astratta, ma pensa alla libertà della patria.
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A scegliere la forma tragica il poeta è indotto da vari motivi: poiché la tragedia tradizionale raffigurava figure umane eroiche ed eccezionali, questa sembrava ad Alfieri il genere poetico più adatto ad esprimere il suo titanismo. Per titanismo si intende la tensione verso una grandezza senza limiti, verso un infinito potenziamento dell’ io: infatti nel modellare i suoi eroi, il poeta dava sfogo alle sue aspirazioni, proiettando se medesimo. Altri motivi sono il mancare all’ Italia un grande poeta tragico, degno degli antichi e non inferiore alla tragedia classica francese, ed il considerare la tragedia come il genere più difficile e sublime, che esigeva assai vigore di ispirazione e perfetto dominio degli strumenti espressivi. Questi ultimi due motivi costituirono per Alfieri motivo di sfida con se stesso. L’ odio contro la tirannide non è la critica di quella forma di governo (monarchia dispotica, illuminata o costituzionale, oligarchia nobiliare), ma il rifiuto del potere in sé, in quanto ogni forma di potere è iniqua e oppressiva, possedendo una “facoltà illimitata di nuocere”. Proprio per questo Alfieri non oppone a ciò alcuna alternativa politica. Anche il concetto di libertà, che contrappone alla tirannide, non possiede connotazioni politiche, economiche, giuridiche ma resta astratto e indeterminato. Quindi in Alfieri non si scontrano due concetti politici, tirannide e libertà, ma due entità mistiche e fantastiche, proiezioni di forze che nascono all’ interno del poeta stesso. Al sogno titanico di grandezza magnanima si accompagnava sempre la consapevolezza pessimistica dell’ effettiva miseria e insufficienza umana. Ma titanismo e pessimismo non sono due tendenze opposte, in realtà non sono che due facce della stessa medaglia; infatti la volontà di oltrepassare i limiti umani implica la coscienza della propria impossibilità e genera un senso di sconfitta e impotenza.
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IL SAUL Il capolavoro dell'Alfieri è il “Saul”. Trova nel vecchio testamento il soggetto della sua tragedia. Il Saul racconta l’ascesa al trono del sovrano benedetto da Dio, i suoi successi militari ben presto oscurati dalle prodezze del giovane David, e il suo rapido declino determinato da un suo progressivo allontanamento da Dio, per cui va incontro alla sconfitta e al suicidio. Saul non è il tiranno, come David, suo genero, non è il ribelle; egli è il vecchio re che rimpiange l'antica forza e non vuole rassegnarsi al suo destino, che ammira David, marito della figlia Micol, e nel medesimo tempo è geloso di lui perché protetto da Dio e amato dal popolo. Una grande lotta si svolge nel suo cuore tra l'ammirazione e l'invidia, tra l'amore per la figlia e il suo popolo e il rimorso di avere a quella tolto il tenero sposo e a questo il più forte campione. Saul piange la gioventù perduta, si lagna di non esser più in pace con Dio, è orgoglioso, impaziente, intrattabile e lo diventa di più alle perfide insinuazioni del ministro Abner; per poco la calma torna nel suo cuore: subito è scacciata dal dubbio, rinascono i sospetti, scoppia terribile l'ira e vittima di loro cade il sacerdote Achimelech. Ora all'angoscia frenetica del vecchio re si aggiunge il rimorso. Turbato da sinistre visioni, geme, implora, non per sé ma per i figli, pur di ritrovare la pace concede che David torni e regni; ma è un empio, maledetto da Dio; i suoi figli sono uccisi in battaglia e la pace sospirata non può ritornare nel suo cuore. Vinto dal destino, con negli occhi la visione del glorioso passato che gli fa parer più grande la rovina presente, egli affida ad Abner la tenera Micol e con fermezza regale si dà la morte. In questa tragedia gli altri personaggi sono piccole figure accessorie appena abbozzate e concorrono a dare rilievo alla figura di Saul. Essa giganteggia fra tutte; vive nitida, sobria, tumultuosa; mostra nuda la sua anima nella tempesta; si accanisce contro il destino e soccombe come un'enorme statua abbattuta dalla folgore. Tutta la tragedia si articola in 2 giorni, con le azioni che si sviluppano di notte, di giorno ed infine ancora di notte. Saul durante le tenebre opera delle riflessioni che lo portano ad un dissidio interiore, in cui le sue paure, quelle della vecchiaia, della morte, della perdita del potere, si manifestano ancora di più rispetto al giorno. La notte appare quindi come il momento più tragico per il vecchio re e come preludio alla sua morte liberatoria.
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I PERSONAGGI SAUL: È figlio di Kis e Re di Israele, è un uomo roso dalla gelosia per il successo di David e sospettoso nei confronti di tutti (anche dei figli). Il secondo atto introduce subito un monologo, quello di Saul, che ricorda i tempi felici della sua giovinezza, e si sofferma aspramente sull’ "empio spirito", l’ oscuro sconvolgimento psicologico, che lo ha portato all’odio verso David, un tempo suo amico carissimo. Infatti Saul guarda con amarezza allo scarto tra il suo glorioso passato di giovane coraggioso e il suo squallido presente di vecchio e folle monarca. Il declino della sua potenza bellica, la consapevolezza dell’ ormai assente aiuto di Dio, la vecchiaia alle porte sono per Saul un peso troppo forte e sarà questo peso che lo porterà alla follia che risulta evidente nei suoi rapporti con David. Il suo obiettivo è quello di riacquistare la grandezza perduta, stroncare qualsiasi cospirazione e mantenere il potere a qualunque costo. Saul è il tirannicida. Questa affermazione è apparentemente contraddittoria, in quanto Saul stesso diventa in seguito alla sua follia un terribile tiranno. La figura del tiranno come la intendeva Alfieri è l’immagine riflessa della follia di Saul. Saul è un uomo disperso nella sua follia e nella sua paura che sfocia nella tirannia. Saul capisce di avere un unico modo per liberarsi dalla tirannia che c’è in lui: la scelta finale. Scelta che compierà alla fine della tragedia come ultimo disperato gesto di umanità e come unico mezzo per preservare quel poco della sua regalità che gli è rimasto. Saul uccide se stesso rifiutando in questo modo quello che lui era irrimediabilmente diventato: l’espressione della tirannide. Saul si toglie la vita, liberandosi dalla sua follia e dalla sua consapevolezza di essere pazzo, rimettendosi forse, alla pietà di Dio. Saul, uccidendo se stesso, rinnega e uccide anche la tirannide che lo possiede. DAVID: È figlio di Iesse. Il primo atto mette subito in scena David impegnato in un accorato monologo. Egli svela ad apertura di sipario di essere perseguitato da Saul, fomentato dal perfido Abner, nonostante il suo valore e nonostante il legame di parentela che lo lega al re, avendone sposato la figlia, Micol. Uomo d'armi, è convinto che Israele abbia bisogno di una guida forte e sicura, ama profondamente sua moglie Micol ed ha un enorme rispetto per Dio e per i suoi sacerdoti. Proprio per questo suo rispetto, il suo rapporto con Achimelech, anziano capo dei sacerdoti d'Israele, è molto saldo. Quest’ ultimo considera David come il legittimo successore di Saul a re di Israele seguendo le indicazioni del Signore date tramite il profeta Samuele. Quindi tenta di far diventare David re al posto di Saul e proteggere la casta dei sacerdoti dalle ire di quest‘ ultimo. L’obiettivo di David è quello di conquistare una forte posizione militare e politica, con o senza l'approvazione del re Saul, e di rafforzare la propria fama.
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MICOL: E' la figlia minore di Saul e moglie di David
MICOL: E' la figlia minore di Saul e moglie di David. Proprio per questo è straziata dall'amore per il marito e dall'affetto che prova per il padre. Questi due sentimenti sono di pari intensità. Farà di tutto per proteggere il suo sposo, ma ugualmente si comporterà con Saul. Il suo obiettivo è quello di cercare di riconciliare Saul e David. GIONATA: E' uno dei figli di Saul. Grande amico di David, rispettoso della religione, ubbidirà sempre al padre tranne quando questo gli chiederà di compiere atti contrari alla sua morale. Anche il suo obiettivo è quello di far desistere il padre dall'odio contro David e riconciliare i due. ABNER: È figlio di Ner. Generale dell'esercito d'Israele, braccio destro di Saul (è figlio del cugino), nutre un profondo odio per la casta sacerdotale e per David che ritiene essere lo strumento dei sacerdoti per guidare il potere politico. Data la sua posizione difficilmente può agire di persona, ma cerca di assecondare tutte le manie di persecuzione del re Saul. Il suo obiettivo è quello di eliminare dalla scena David ed i sacerdoti (anche fisicamente se necessario). Abner è un personaggio negativo, è il consigliere di Saul e pare voglia aiutare il re, invece intende soltanto agire sulla sua volontà per poter manipolarlo secondo i suoi scopi le sue intenzioni, cioè giungere al potere e cacciare l'odiato David. Abner riesce a realizzare i suoi obbiettivi per mezzo di atti di falsità e menzogna.
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THE END
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Ci saremo mai potuti scordare di inserire questa foto.
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