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Dott.ssa Andreina Abramo
Storia e Tecniche della Fotografia Anno Accademico Prof. Enzo Gabriele Leanza MODULO 3 CLAUDIO MARRA L’IMMAGINE INFEDELE La falsa rivoluzione del digitale Dott.ssa Andreina Abramo
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Non è un libro contro il digitale ma contro una particolare interpretazione del digitale
Marra non vuole riaprire la diatriba tra APOCALITTICI E INTEGRATI ma vuole dare risposta ad alcune delle domande nate con l’avvento della fotografia digitale.
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L’ossessione del nuovo
In questi anni si è parlato, e si parla ancora spesso, di “nuovo” a proposito dei media; ma l’aggettivo nuovo fa parte del DNA dei media, tutti i media sono nuovi se inseriti nel loro contesto storico, anche la ruota e la tv, perché consentivano all’uomo di fare qualcosa che prima non poteva fare. Oggi l’aggettivo nuovo viene usato così spesso per segnalare che stiamo vivendo una straordinaria rivoluzione socio-culturale: la rivoluzione del digitale. Con questa rivoluzione il ruolo del soggetto è cambiato, dialoga ed interagisce di più con il mondo.
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Le Domande Il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale ha cambiato l’identità della fotografia? Studiosi e critici hanno annunciato la morte della fotografia tradizionalmente intesa; ma quando qualcosa muore e poi rinasce, nasce forse sotto altra natura? Nell’epoca del digitale, sistema di rappresentazione che si vanta di essersi liberato dallo strettissimo rapporto con il referente, la prima funzione della fotografia, la funzione di ATTESTAZIONE, viene meno o si conserva?*
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Quando si parla di fotografia digitale, sul piano del metodo sarebbe un errore separare il livello TECNICO-MATERIALE da quello LOGICO-CONCETTUALE; Marra si occupa solo del livello tecnico perché pensa che è proprio qui che si aprono la prime crepe circa l’effettiva esistenza di quella che molti chiamano Rivoluzione digitale.
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Due sistemi di rappresentazione
I due sistemi di rappresentazione che nell’ambito della fotografia possono essere messi a confronto sono: Il sistema analogico e il sistema digitale Non si può fare un paragone tra la fotografia chimica e quella digitale perché chimica è la tecnologia non il sistema di rappresentazione.
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Questi due sistemi di rappresentazione non sono un’esclusiva della fotografia;
Se infatti oggetto della rappresentazione fosse il tempo si potrà definire ANALOGICO un orologio con le lancette, perché in esso lo scorrimento continuo del tempo viene rappresentato attraverso L’ANALOGO scorrimento delle lancette mentre si dirà DIGITALE un orologio a quadrante solo numerico nel quale lo scorrimento continuo del tempo viene rappresentato in forma di tratti discontinui dall’alternanza di una cifra che in inglese si dice digit. Per quanto diversi i sistemi di rappresentazione utilizzati gli orologi rimangono orologi, la loro funzione continua ad essere la stessa.
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Ma se anche nel passaggio da analogico a digitale la funzione di attestazione della fotografia si conserva, perché parliamo di fotografia analogica e fotografia digitale? Solo perché i due sistemi di rappresentazione sono diversi? Ma sono veramente diversi?
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Un cuore identico Se oggetto della rappresentazione fosse la luce, la fotografia tradizionale potrebbe dirsi ANALOGICA perché i sali d’argento cosparsi sulla pellicola, registrando in modo continuo(come le lancette dell’orologio) le variazioni di tonalità della luce riflessa dai corpi, producono una forma di rappresentazione della luce ANALOGA alla condizione di continuità espressa dalla luce nella realtà. E nella fotografia DIGITALE cosa accade? Logica vorrebbe che ci fosse qualche meccanismo che anziché registrare in modo continuo procedesse in modo discontinuo, a salti. Ma invece non è così! Il cuore tecnologico della macchina fotografica digitale è un apparato elettronico di natura analogica, il CCD, acronimo di CHARGE COUPLED DEVICE, dispositivo ad accoppiamento di carica.
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Il CCD è un componente elettronico di forma rettangolare la cui superficie è piena di pixel, elementi sensibili alla luce che trasformano la luce in corrente elettrica, più o meno intensa a seconda della quantità di luce ricevuta. Fu inventato in America nel 1969 da due ingegneri. La pellicola e il CCD appaiono diversi, uno appartiene al campo della chimica, l’altro a quello dell’elettronica, ma il sistema di rappresentazione della luce che entrambi adottano è lo stesso ed è analogico.
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Processo di funzionamento della pellicola
La pellicola è ricoperta da un’emulsione fotosensibile formata da microscopici cristalli di bromuro d’argento i cui atomi si raggruppano quando vengono colpiti dalla luce che entra attraverso l’obiettivo. Quanto più forte è la luce, tanto più densi e vasti risulteranno questi raggruppamenti.
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Processo di funzionamento del CCD
Nel CCD, un microchip di silicio è ricoperto da una serie di piccoli elettrodi, i photosite, disposti su una griglia più o meno fitta, le cui singole caselle prendono il nome di pixel(picture element, elemento d’immagine). Al momento dello scatto fotografico la superficie del CCD viene caricata di elettroni i quali sotto l’azione della luce si raggruppano su i vari photosite. Tanto più forte sarà la luce che colpisce ogni singolo photosite, tanto maggiore sarà il numero di elettroni che in esso si addenserà. A questo punto basterà misurare la carica elettrica di ogni photosite per stabilire quanta luce ha colpito quel pixel. Una volta effettuato il conteggio degli elettroni l’informazione viene trasferita ad altri componenti della macchina e il CCD torna, per così dire “vergine”, pronto a registrare nuovamente. Il funzionamento del CCD non è molto diverso da quello della pellicola, l’unica differenza è data dal fatto che il CCD non memorizza la traccia di luce ma la passa ad altro componente. La fase di registrazione della luce risulta in entrambi i casi caratterizzata da un criterio di continuità, tanto da risultare ANALOGA alla continuità della luce nella realtà.
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Fino a questo punto le fotocamere digitali funzionano secondo un criterio analogico.
Ma quando subentra la digitalizzazione? La registrazione della luce effettuata dal CCD sotto forma di carica elettrica viene chiamata segnale e trasferita ad un convertitore che traduce il segnale analogico continuo in segnale discontinuo numerico, costituito da tratti “scelti”( dal latini discernere, separare). E’ in questa fase di trasferimento dal CCD al convertitore che, con il passaggio da un sistema di rappresentazione a tratti continui a uno a tratti discreti o discontinui, assistiamo alla rappresentazione in forma digitale di un segnale analogico. Il CCD manifesta un’indiscutibile identità analogica. Tecnicamente esiste la fotografia digitalizzata, non quella digitale.
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Il passaggio da analogico a digitale
Per comprendere come avviene questo passaggio bisogna studiare il funzionamento del convertitore, che trasforma il segnale continuo prodotto dal CCD in segnale discreto.
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Come funziona il convertitore
Il convertitore attraverso due operazioni trasforma il segnale analogico in digitale. La prima operazione è il campionamento: il prelevamento a tratti regolari di alcuni campioni del segnale continuo che diventa discreto. La seconda operazione è la quantizzazione: è questa la vera e propria fase della digitalizzazione. Qui la carica elettrica viene trasformata in dato numerico binario. Il bit(binary digit) è definibile come la scelta tra due possibilità 0 e 1. L’ultima operazione compiuta dalla fotocamera digitale è la compressione del segnale, ossia l’eliminazione dei bit ripetitivi. Il sistema di compressione che si trova più spesso nelle fotocamere digitali p il Jpag, acronimo di una organizzazione internazionale che stabilì i parametri standard per la produzione delle immagini digitali.
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Confronto con la semiotica
Se consideriamo i due sistemi di rappresentazione, continuo e discreto, come due differenti modalità segniche, possiamo affrontare la questione dell’identità della fotografia partendo dalla semiotica. Roland Barthes nel suo saggio del 1961, Il messaggio fotografico, dice: “Senza dubbio l’immagine non è il reale; ma ne è quantomeno l’analogon perfetto, ed è precisamente questa perfezione analogica che, per il senso comune, definisce la fotografia”. Per Barthes l’analogon è quella sensazione di realtà duplicata tale e quale e la fotografia è dunque un messaggio senza codice. La fotografia non necessita di un codice interpretativo perché è un messaggio di tipo continuo, non c’è nulla da ricostruire poiché il soggetto-referente viene riproposto in modo integrale.
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Già 50 anni fa, pur non esistendo ancora la fotografia digitale, Barthes aveva tracciato chiaramente lo scontro tra CONTINUO e DISCRETO, opponendo la fotografia messaggio senza codice al disegno messaggio che va codificato perché realizzato per tratti. Nasce così una imprevista solidarietà tra disegno e digitale, entrambi caratterizzati da una struttura linguistica di tipo discontinuo e dunque necessitanti di un codice.
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Già Charles Pierce, semiologo americano, prima di Barthes, aveva compreso che tra la fotografia e il disegno vi fossero caratteristiche differenti legate alla presenza o assenza del codice. Secondo Pierce l’INDICE è un tipo di segno che, essendo prodotto in presenza del referente, è talmente connesso con esso da non aver bisogno di codificazioni.
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Mettendo insieme la tesi di Barthes e quella di Pierce possiamo perfezionare l’opposizione:
Fotografia analogica-messaggio senza codice-messaggio a tratti continui-Indice vs Fotografia digitale messaggio codificato-messaggio a tratti discreti-Icona Chi festeggia la morte del sistema analogico festeggia la morte dell’identità indicale della fotografia, la fine del rapporto strettissimo con il referente.
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L’indice: un segno fuori dal codice
Considerando gli insegnamenti di Pierce, Marra, in Forse in una fotografia, ci dice che la semiotica sembra aver cresciuto due figli, uno lo ha sempre considerato bravo, intelligente, raffinato, il classico figlio prediletto, l’ICONA. L’altro è il tipico figlio non voluto ma che bisogna tenersi per forza, il figlio che viene considerato un po’ scemo, l’INDICE. Ma più che scemo bisognerebbe definirlo strano, a causa di alcune sue caratteristiche di comportamento del tutto estranee alla tradizione di famiglia. L’indice infatti risulta essere allergico al principio fondamentale della semiotica, la CODIFICAZIONE, essendo un segno- traccia, un segno che sembra autoprodursi per emanazione diretta del referente, senza intervento dell’uomo e dunque senza produrre un atto artistico. La fotografia digitale, utilizzando un sistema di rappresentazione a tratti discreti, sarebbe un messaggio a codice in quanto viene ricostruita a partire da un codice. Per questo l’identità della fotografia digitale potrebbe essere iconica e non indicale. Ma non è così!
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Perché è solo alla fine che il segnale analogico viene trasformato in digitale(nel convertitore)
Perché anche se la fotografia digitale si libera dai legami con il referente, ma per quanto lontana vi rimane sempre legata; non esiste fotografia prodotta in assenza del referente! Per questo negli anni Settanta Bettetini inventa una nuova formula: “INDICE DI UN’ICONA”, il figlio scemo, l’indice, veniva posto sotto la tutela del figlio intelligente, l’icona.
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Confronto con l’arte Il dibattito teorico innescato dal digitale ha generato riflessioni anche sui rapporti che intercorrono tra arte e fotografia digitale. Tre sono i motivi grazie ai quali è nata una complicità tra arte e fotografia digitale. 1.MANIPOLAZIONE DELL’IMMAGINE veloce e semplice. Tutto questo era realizzabile anche con l’analogico ma occorreva più tempo e grande maestria. Le ampie possibilità di elaborazione concesse alla fotografia dalla tecnologia digitale hanno subito evocato il fascino dell’artistico; la stessa etimologia della parola lo dice, arte dal latino Ars che rimanda al greco techne, artistico è un manufatto realizzato con grande perizia. Ma non si deve confondere il CAMBIO QUANTITATIVO(meno tempo,meno fatica, meno abilità) con un SALTO QUALITATIVO(digitale superiore all’analogico).
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2.RILANCIO DEL RUOLO DELL’AUTORE: se nella fotografia analogica pareva manifestarsi una sospetta autonomia della macchina, in quella digitale si assiste invece ad un riscatto pieno e totale dell’operatore che in virtù delle amplissime potenzialità di elaborazione dell’immagine, modificando la natura dell’immagine fotografica si riappropria del ruolo di autore, costruttore effettivo dell’opera e non semplice gestore di processi che non può controllare. Il digitale sarebbe dunque “buono” perché pronto a sottomettersi al volere della mano, ridando così importanza al fotografo che torna ad essere autore. 3.POTENZIALE TRASFIGURAZIONE DEL REALE: la fotografia digitale si dimostrerebbe geneticamente predisposta ad un tipo di arte, quella che ritiene indispensabile liberarsi da ogni rapporto di connessione con la realtà. La realtà proposta dal digitale sarebbe dunque una realtà artificiale, profondamente trasformata.
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Fotografia: “Arte o serva dell’arte”?
Questi stessi motivi furono usati da Baudelaire nel 1859, quando , recensendo le opere esposte quell’anno nel Salon parigino, spiegò perché la fotografia non poteva essere considerata arte. Diceva Baudelaire:”Bisogna dunque che la fotografia rientri nel suo vero compito, che è quello di essere serva delle scienze e delle arti, ma una serva molto umile, come la stampa e la stenografia, che non hanno né creato né supplito la letteratura(…). Che salvi dall’oblio le rovine pendenti, i libri, le stampe e i manoscritti che il tempo divora, le cose preziose le cui forme spariranno e che richiedono un posto negli archivi della nostra memoria, essa sarà ringraziata e applaudita. Ma se le viene permesso d’invadere il dominio dell’impalpabile e dell’immaginario, su tutto ciò che vale solo perché l’uomo vi aggiunge qualcosa della sua anima, allora sfortunati noi”. Le accuse rivolte dal poeta alla fotografia erano due: 1.ESTREMA FACILITA’ RIPRODUTTIVA quasi da non richiedere alcun intervento da parte dell’autore. 2. UNA RESA TROPPO SPECULARE ED OGGETTIVA DELLA REALTA’.
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Considerando i motivi esposti da Baudelaire contro la fotografia analogica come arte e i morivi con i quali oggi si glorificano le potenzialità artistiche del digitale, dobbiamo scegliere: Se crediamo nella glorificazione del digitale, fondata su i tre motivi descritti, dobbiamo anche pensare che le accuse fatte da Baudelaire alla fotografia analogica siano fondate, giustificate, veritiere. Se invece pensiamo che le accuse di Baudelaire alla fotografia analogica non siano giuste, dobbiamo di conseguenza azzerare i meriti attribuiti oggi al digitale. Quelle caratteristiche che mancavano alla fotografia analogica e che in ambito ottocentesco segnarono e furono causa dell’allontanamento della fotografia dall’arte, esistendo oggi in ambito digitale, hanno ridato alla fotografia una presunta artisticità. Tutti quegli argomenti che erano stati usati nell’Ottocento per censurare le ambizioni artistiche della fotografia analogica sono usati oggi per esaltare il digitale.
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Autorevolezza pittorica del digitale
Secondo questa interpretazione, l’immagine digitale può vantare le stesse caratteristiche della pittura, in primis, quello di proporre soggetti privi di relazione diretta con il reale(scarsa referenzialità). L’immagine, grazie al digitale, si aprirebbe così a un orizzonte di creatività piena e totale, come quella della mano nella pittura. Sembra di assistere allo stesso dibattito della seconda metà dell’Ottocento, piuttosto che rivendicare l’autonomia dell’identità fotografica, la si subordina alle regole della pittura. La logica del quadro come arte dominante era una logica tipica del mondo ottocentesco, non bisogna pensare oggi che esista solo quel tipo di arte e dunque bisogna sottomettervisi.
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La vera rivoluzione del READY MADE
L’elogio della fotografia digitale, fondato sulle tre caratteristiche(che la farebbero entrare nell’Olimpo dell’arte) deriva dall’applicazione di principi estetici prenovecenteschi. Coloro che sostengono la culturalutà, l’artisticità della fotografia digitale ignorano quanto accaduto nel Novecento nell’ambito della fotografia. Il Novecento con Marcel Duchamp(1913) e la sua logica del Ready made ha costruito le fondamenta dell’identità estetica della fotografia sul superamento di quei parametri(manipolazione e trasformazione) che invece sono stati rilanciati dal digitale. Considerando la manipolazione e la trasformazione due principi che avvicinano la fotografia digitale all’arte si torna indietro di cento anni. Non si può infatti dire che la fotografia analogica non è arte solo perché si basa su un modello estetico nel quale vi è assenza di manualità e presentazione diretta della realtà. La vera rivoluzione no è quella del digitale(perché l’identità è la stessa e le manipolazione c’erano anche con l’analogico), ma quella del Ready Made, dell’Indice.
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Basta comprendere che la fotografia tutta, è un segno, non iconico ma indicale, in quanto indica connessione e contiguità con il referente(l’indice è prodotto in presenza del referente stesso). Il sistema digitale possiede caratteristiche tecniche che lo rendono più vicino al modello pittorico, ma il digitale non ha proposto una nuova identità della fotografia. Identificare la fotografia digitale con una nuova fotografia è un grave errore metodologico, l’identità del mezzo non è cambiata, una fotografia per quanto truccata o manipolata, continuerà a funzionare come una fotografia e non come un quadro. Infatti il reale proposto dalla fotografia di finzione, a differenza di quanto accade in pittura, sarà sempre un reale credibile. es. il fotomontaggio di una scena di morte pubblicato creava grande scandalo, eppure vi erano molti quadri che proponevano come soggetto la morte. Ma le immagini dei fotomontaggi non sono quadri, ma foto, e in quanto fotografie possiedono un grado di credibilità che solo questo mezzo può vantare nella nostra cultura.
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La fotografia analogica o digitale che sia può interpretare la realtà in maniera simbolica e dunque rappresentarla, oppure può esibire la realtà in maniera diretta e dunque limitarsi a presentarla.
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“Attraverso il mirino colui che fotografa può uscire da sé
ed essere dall’altra parte, nel mondo, può meglio comprendere, vedere meglio, sentire meglio, amare di più”. Wim Wenders
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BUONO STUDIO!
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