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Kierkegaard Esistenza e possibilità
L'oggetto della speculazione di Hegel non era l'esistenza, bensì l'essenza concettuale delle cose. Kierkegaard sostiene che l'esistenza è altra cosa rispetto all'essenza concettuale: "esistere" viene da ex-sistere, cioè "stare fuori" dal concetto. L'esistenza non è quindi posta dal pensiero insieme all'essenza delle cose, ma è qualcosa di dato indipendentemente dall'attività speculativa dell'uomo: il pensiero può riflettere su di essa, non già determinarla e porla in atto.
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“Quel singolo” La filosofia hegeliana aveva per oggetto l'universale. Kierkegaard incentra invece la sua attenzione sul particolare e sull'individuale. L'esistenza, infatti, non appartiene ai concetti universali, che sono soltanto entità logiche, ma all'individuo nella sua specifica concretezza o, come Kierkegaard preferisce dire, al singolo. Kierkegaard capovolge completamente il significato che Hegel attribuiva al termine "concreto". Concreta non è più la totalità, ma l'individuo. L'astrattezza sarà attributo dell'universalità.
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due differenze sussistono fra l’esistenza di un uomo e quella di qualsiasi altro essere vivente:
nel mondo vegetale e animale è più importante la specie dell’individuo che esiste concretamente, nel mondo umano la situazione è inversa. Infatti, l’uomo singolo non può essere sacrificato alla specie, dato che ogni essere umano è una creatura forgiata a immagine e somiglianza di Dio Il comportamento dei singoli animali è condizionato necessariamente dall’istinto. Invece i singoli uomini, nel corso della loro vita, si trovano sempre di fronte a più possibilità di fronte alle quali sono totalmente liberi di decidere
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La vertigine della libertà
Le diverse determinazioni che può prendere la vita umana non sono altro che possibilità che l'uomo si trova di fronte e tra le quali deve scegliere. Questa totale apertura verso il possibile, la condizione di incertezza e travaglio di fronte alla scelta tra le possibilità dà vita all’angoscia. Essa è quella “vertigine" connaturata all'uomo che deriva dalla libertà, dalla possibilità assoluta.
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Subentra l'angoscia quando si scopre che tutto è possibile
Subentra l'angoscia quando si scopre che tutto è possibile. Ogni possibilità favorevole all’uomo è annientata dall’infinito numero delle possibilità sfavorevoli. E’ l’infinità o indeterminatezza delle possibilità che rende insuperabile l’angoscia e ne fa la situazione fondamentale dell’uomo nel mondo. L'angoscia, a differenza della paura, che si riferisce sempre a qualcosa di determinato e cessa quando cessa il pericolo, non si riferisce a nulla di preciso e accompagna costantemente l’esistenza dell’uomo. “Di solito – dice Kierkegaard – si dice che la possibilità è leggera perché s’intende come possibilità di felicità, di fortuna ecc. Ma questa non è affatto la possibilità; questa è un’invenzione fallace”. ]
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L’angoscia è il fondamento stesso della condizione umana
Dalla vita non si può pretendere nulla e il lato terribile , la perdizione, l’annientamento abitano a porta a porta con ciascuno di noi; e quando si è appreso a fondo che ciascuna delle angosce che noi temiamo può piombare su di noi da un istante all’altro siamo costretti a ricordarci che la realtà, anche se grava su di noi con mano pesante, è di gran lunga più facile che non la possibilità. “La possibilità è la più pesante di tutte le categorie”.
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La Disperazione Se l'angoscia subentra nel rapporto tra l'io e il mondo esterno, la disperazione invece subentra nel rapporto tra l'io con se stesso Se l'io sceglie di volere se stesso, cioè sceglie di realizzarsi, viene messo di fronte alla sua limitatezza e all'impossibilità di compiere quanto ha deciso. Se l'io sceglie di non volere se stesso e quindi di esser altro da sè, si scontra nuovamente con un'altra impossibilità. Ne consegue, in entrambi i casi il fallimento e quindi la conseguente disperazione, definita da Kierkegaard «malattia mortale»
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Il paradosso della fede
L'unico esito positivo che angoscia e disperazione possono avere è la fede L'uomo riconosce la sua insufficienza non vivendola come un peso, ma come l'effetto di dipendenza da Dio. Il credente viene rassicurato dal fatto che il possibile non è compito suo ma è nelle mani di Dio. Il passaggio alla fede non è un progresso graduale, ma un salto senza mediazioni nell'irrazionale . Accedendo alla fede il credente decide di abbandonare ogni comprensione razionale accettando anche l'"assurdo". Questo è il "paradosso della fede", la quale è vera proprio perché supera la comprensibilità umana.
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La maschera e le forme della comunicazione filosofica
Victor Eremita (Aut aut), Johannes de Silentio (Timore tremore), Johannes Climacus (Briciole di filosofia), Vigilius Haufniensis (Il concetto dell’angoscia), Anti-Climacus (La malattia mortale)ecc. L’artificio letterario dello pseudonimo diviene in Kierkegaard un vero e proprio “teatro delle maschere” . Kierkegaard fa dialogare le sue maschere fra loro da un’opera all’altra, per realizzare, attraverso la comunicazione indiretta, una comunicazione d’esistenza, cioè una comunicazione che trasforma.
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Regina Olsen Il tema di Regine, profondamente amata eppure abbandonata,ritorna ossessivamente in tutta l’opera di Kierkegaard anche se non si conoscono con certezza i motivi dell’abbandono: il timore di vivere un’esistenza tranquilla e borghese come quella dell’uomo sposato; l’oppressione della colpa del padre e sua; l’incapacità di condividere il suo amore per Cristo con un’altra persona. Nel Diario annoterà: “Dio ha la precedenza su tutto”
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Gli stadi della vita Kierkegaard distingue tre possibilità esistenziali fondamentali, alle quali egli dà il nome di "stadi", poiché possono essere considerati come momenti successivi dello sviluppo individuale. Contrariamente alle affermazioni hegeliane, nel passaggio dialettico (et – et) tra l'uno e l'altro non vi è nessuna forma di automatismo, bensì un "salto"che può essere colmato soltanto con la libera scelta del singolo. Queste determinazioni sono lo stadio estetico, lo stadio etico e lo stadio religioso.
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Aut – aut esprime l’alternativa tra la possibilità di esistenza estetica e quella etica.
L’esteta vive immediatamente il rapporto con la vita come godimento. Kierkegaard rappresenta l’estetico in figure o modelli puri: i due miti letterari di Don Giovanni e Faust, e Johannes, protagonista del Diario di un seduttore. Lo stadio etico, dominato dalla responsabilità, è rappresentato dalla figura del giudice Wilhelm,
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Don Giovanni , che rappresenta il potere e il piacere della seduzione immediata, è il seduttore sensuale, che vive l’istante e allinea le proprie conquiste come un’indefinita successione di istanti; la sua filosofia può essere espressa dal motto oraziano “carpe diem”; Don Giovanni è la pura forza dell’eros, il cui medio espressivo ideale è la musica di Mozart.
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Faust Il patto demoniaco stretto con Mefistofele costringe Faust alla ricerca inesausta della conoscenza assoluta, e quindi a dubitare di tutto, a non potersi mai arrestare ad alcunché. Anche Faust è seduttore, ma di una donna sola, Margherita, poiché nel potere assoluto su una donna, che conquista grazie alla sua superiorità intellettuale, egli riesce a trovare “un momento di presente”, un “istante di riposo” di fronte al nulla che lo minaccia e che il suo scetticismo continuamente gli ripropone.
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Johannes Johannes è il seduttore intellettuale che conquista, con le armi dello spirito e della parola, la giovane Cordelia, per poi abbandonarla. Johannes non gode del possesso, ma dell’idea della conquista; anzi evita il possesso, perché la riuscita della seduzione implicherebbe un impegno reale, mentre ciò che lo interessa è l’idea. Non appagandosi che in idea, non traducendosi mai in realtà, il desiderio di Johannes rimane indefinitamente aperto, una possibilità infinita che conduce alla disperazione.
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Dall’estetico all’etico: la scelta
L’esteta può essere tutto, ma in realtà non è niente; la sua vita è priva di durata perché si esaurisce nella fissità di istanti successivamente dileguanti. Egli rimane sempre ciò che già è, senza poter mai divenire. Ma chi si dedica solo al piacere perde il senso della propria esistenza e viene assalito dalla noia e dalla conseguente disperazione, che tuttavia è qualcosa di positivo, è l’ora della mezzanotte, nella quale ci si toglie la maschera, si decide di fare il salto verso lo stadio etico o stadio del dovere.
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Il giudice Wilhelm La vita etica è rappresentata dal personaggio di Wilhelm, marito fedele , padre esemplare e onesto funzionario. La donna, che nella concezione estetica era oggetto di piacere, diventa il simbolo della felicità stabile e durevole. Ma anche il quieto vivere di un modello borghese di vita matrimoniale con l’amorevole moglie dedita alle faccende domestiche ed il rispettabile marito inserito nel mondo sociale non è pienamente soddisfacente.
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Conformismo, senso di colpa e pentimento
Il conformismo è una minaccia per la vita etica, poiché l’adesione ai doveri morali rischia di essere un fatto esteriore accettato in nome del quieto vivere. Ad esempio i matrimoni tendono a durare anche senza amore, solo per abitudine. Nell’animo dell’uomo etico affiora allora un oscuro senso di colpa che deriva dalla consapevolezza di non vivere autenticamente e quindi di essere incapace di praticare fino in fondo la moralità perseguita. Il pentimento è l’ultima parola della scelta etica, che rivelandosi insufficiente, trapassa nel dominio religioso.
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Abramo Non c’è tuttavia continuità tra la vita etica e quella religiosa. In Timore e tremore, Kierkegaard raffigura la vita religiosa nella persona di Abramo, che sceglie di seguire un comando divino che è in contrasto con la legge morale e con l’affetto naturale. Tra il principio religioso e quello morale non c’è conciliazione, la loro opposizione è radicale. L’uomo, che ha fede come Abramo, opterà per il principio religioso anche a costo di una rottura totale con la generalità degli altri uomini e con la norma morale.
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Lo scandalo della fede La fede non è un principio generale: è un rapporto privato tra l’uomo e Dio. La fede è paradosso e scandalo perché è contraria all’opinione degli uomini e del mondo. La fede non tranquillizza, ma inquieta. Chi crede non lo fa in base alle sue forze, ma perché Dio gli ha donato la fede. La fede è pertanto contraddittoria, si oppone alla ragione e pertanto è assurda. Non resta che dire: “Credo perché è assurdo”.
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Il contrasto con la Chiesa ufficiale
Kierkegaard critica il Cristianesimo intiepidito della Chiesa luterana del suo tempo, che aveva dimenticato la portata radicale del Vangelo, il suo essere scandalo e paradosso e ne aveva fatto una comoda religione del buon senso comune. Si è dimenticato che la fede esige il salto supremo, cioè l’accettazione dell’uomo-Dio; si è dimenticato che la fede in Cristo è superamento dello scandalo e accettazione della croce, che è perciò l’accettazione del modello (Gesù) sofferente.
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Riepilogo delle posizioni
Pro Contro Chi sostiene questa posizione? Dichiarazione di posizione Motivazioni fondamentali
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Spunti di discussione per la classe
Quale posizione risulta essere più convincente? Perché? È possibile arrivare a un compromesso tra le parti? Su quali punti?
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Fonti d’informazione Quali siti Web danno informazioni sull’argomento?
Quali articoli possono aiutare a sostenere l’una o l’altra tesi?
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