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Le opere di misericordia

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Presentazione sul tema: "Le opere di misericordia"— Transcript della presentazione:

1 Le opere di misericordia
PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Le opere di misericordia ALLOGGIARE I PELLEGRINI Anno Pastorale

2 Introduzione L’espressione “alloggiare i pellegrini” rinvia alla pratica di dare ricovero a chi sta compiendo un pelle­grinaggio.

3 Non a caso le opere di misericordia come: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli asse­tati, alloggiare i pellegrini, furono molto spesso raffi­gurate nelle chiese disposte lungo gli itinerari dei gran­di pellegrinaggi per stimolare l’attiva carità nei confron­ti dei pellegrini.

4 La storia dei pellegrinaggi è anche la storia degli “o­spizi” costruiti per dare riparo e ristoro ai pellegrini.

5 La Guida del pellegrino di Santiago (composta verso il 1140)1 parla di alcuni dei luoghi di accoglienza come di luoghi santi, casa di Dio, ristoro dei santi, riposo dei pellegrini, consolazione degli indigenti, salute de­gli infermi, soccorso dei morti come dei vivi2. 1. Viene così chiamato il quinto libro del Liber sancti Jacobi, che occupa i fo­gli del Codex Calixtinus, conservato nella cattedrale di Santiago di Com­postela. 2. “Loca sancta, domus Dei, refectio sanctorum, peregrinorum requies, egen­tium consolatio, infirmorum salus, mortuorum subsidium [pariter ac] vivorum” (Guida del pellegrino di Santiago 4).

6 In que­sti luoghi venivano accolti i pellegrini, curati i malati, ricevevano sepoltura coloro che erano morti per stenti o erano stati uccisi dai briganti.

7 In oriente fin dal IV secolo accanto ai monasteri ba­siliani sorgono dei luoghi di accoglienza di stranieri e pellegrini (chiamati xenodocheía) e l’ospitalità si caratterizza come ministero particolarmente caro a tutto il monachesimo.

8 Tuttavia, dietro all’espressione che parla di “alloggiare i pellegrini” vi è la parola evangelica sull’acco­glienza del forestiero (xénos, Mt 25,35.43) e dunque la pratica dell’ospitalità.

9 Una pratica che oggi è dramma­ticamente interpellata dal massiccio fenomeno migra­torio, che pone a contatto uomini e donne provenien­ti da paesi poveri o resi invivibili da guerre e violenze con gli abitanti della parte ricca del globo.

10 E oggi vi è bisogno del diffondersi e del radicarsi di una cultura dell’ospitalità in particolare nei confronti degli stranie­ri che premono alle porte dei nostri paesi. Ne va dell’umanità stessa dell’uomo.

11 In effetti, la civiltà ha fat­to un passo decisivo, forse il passo decisivo, il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis) è divenuto ospite (hospes)3. 3. Jean Daniélou, Per una teologia della spiritualità, in La Vita Spirituale 367 (1951), P. 340.

12 Ma questo passaggio deve avvenire sempre e di nuovo, e ogni generazione deve essere educata a compiere questo passaggio e a non ricadere nelle mor­tifere logiche di contrapposizione tra “noi” e “loro”.

13 In un’epoca in cui l’insicurezza globale, mondiale, si traduce in ricerca ossessiva di sicurezza personale, dife­sa delle proprie case (sempre più recintate da muri in­valicabili e da cancelli insormontabili, protette da tele­camere a circuito chiuso, difese da polizie private) e in cui la società opulenta e consumistica ha provocato il declino della prassi dell’ospitalità, così attestata nella Bibbia, facendone un business e appaltandola a strutture alberghiere e hotel classificati in base al costo e ac­cessibili solo a chi ne ha i mezzi economici, l’ospitali­tà diviene una vera sfida.

14 Non si può dimenticare che a pochi passi dagli alberghi più o meno costosi, sulle panchine dei parchi e sui marciapiedi delle strade si trova­no le sempre più folte schiere dei “senza casa” che si riparano con un giornale o un cartone.

15 E sempre più spesso, oggi, le nostre città rifiutano loro anche questi spazi pubblici per sottrarli alla nostra vista e alla nostra coscienza.

16 Chiediamoci allora: perché dare ospitalità? Perché l’ospitalità è stata ed è tuttora sentita in molte cultu­re come un dovere sacro, un gesto di solidarietà a cui è semplicemente impensabile sottrarsi?

17 In radice, credo che la risposta sia semplice: perché si è uomini, per di­venire uomini, per umanizzare la propria umanità e per rispettare e onorare l’umanità dell’altro.

18 Ogni uomo, in quanto venuto al mondo, è lui stesso ospite dell’u­mano che è in lui: noi diamo ospitalità perché sappia­mo di essere ospitati a nostra volta.

19 Dare ospitalità è atto con cui un uomo risponde alla propria vocazione umana, realizza la propria umanità accogliendo l’uma­nità dell’altro.

20 Il considerarci ospiti dell’umano che è in noi, ospiti accolti e non padroni, può aiutarci ad aver cura dell’umano che è in noi e negli altri, a uscire dal­la perversa indifferenza e dal rifiuto di quella virtù del­la compassione che ci conduce a comprometterci con l’altro nel suo bisogno.

21 Il povero, il senza tetto, il girovago, lo straniero, il barbone, colui la cui umanità è umiliata dal peso delle mancanze e delle privazioni, dei rifiuti e dell’abbandono, del disinteresse e dall’estraneità, comincia a essere accolto quando io comincio a sentire come mia la sua umiliazione, come mia la sua ver­gogna, quando comincio a sentire che la mortificazio­ne della sua umanità è la mia stessa mortificazione.

22 Al­lora, senza inutili sensi di colpa e senza ipocriti buoni sentimenti, può iniziare la relazione di ospitalità che mi porta a fare tutto ciò che è nelle mie possibilità per l’al­tro.

23 Ma deve essere chiaro che l’ospitalità umanizza an­zitutto colui che la esercita:
Non ha ancora incomin­ciato a essere un vero uomo chi non ha vissuto la pietà per l’umanità ferita e svilita nell’altro4. 4. Pierangelo Sequeri, L’umano alla prova. Soggetto, identità, limite, Vita e Pensiero, Milano 2002, p. 159.

24 In ascolto della Bibbia
Se la Bibbia attesta la santità dell’ospite, il suo ca­rattere rivelativo, perché in esso è Dio stesso che visi­ta l’uomo (cfr. l’episodio dei tre uomini accolti da Abra­mo a Mamre in Genesi 18,1-15, ripreso dalla Lettera agli Ebrei 13,2: “Non dimenticate l’ospitalità, alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli”), anche l’an­tichità classica esprime con vigore la sacralità dell’o­spite, soprattutto dello straniero che si trova, a causa dello sradicamento, in situazione di inferiorità e biso­gno particolarmente grave:

25 Non si dimenticherà che le relazioni con gli stranieri sono atti di particolare sacralità, perché si può dire che non ci siano colpe ... di nostri cittadini a danno di stra­nieri che non soggiacciano alla vendetta di un dio, mol­to più che le ingiustizie commesse nei confronti dei concittadini. E questo è ovvio, perché lo straniero si trova a essere privo di amici e parenti, e quindi è affi­dato in modo particolare alla compassione degli dèi e degli uomini ... Un uomo che sia almeno un po’ as­sennato dovrà mettere ogni cura per giungere alla fine dei suoi giorni senza avere commesso errori nei rap­porti con gli stranieri5. 5. Platone, Leggi 5,729e-73oa, in Id., Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, Bom­piani, Milano 2000, pp

26 Accogliere il viandante significa predisporre uno spa­zio, creare uno spazio per lui, come fa la donna di Su­nem che predispone una stanza per l’ospite, cioè Eli­seo: “Prepariamo per lui una piccola camera al piano di sopra, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che, venendo da noi, ci si possa ritirare”: (2Re 4,10).

27 Significa quantomeno apri­re la propria casa all’altro (come Marta che accoglie Ge­sù “nella propria casa”: Lc 10,38), ma più in profondi­tà significa fare di se stessi la casa, la dimora in cui l’al­tro viene accolto: accogliere è dare tempo e ascolto all’altro, e ascoltando scaviamo in noi uno spazio inte­riore per lui (come Maria che, “sedutasi ai piedi del Si­gnore, ascoltava la sua parola”: Lc 10,39).


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