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PubblicatoAlessandra Tedesco Modificato 10 anni fa
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DALLO SCONTRO DI CIVILTA ALLE RIVOLUZIONI ARABE
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Ben Ali e la sua Tunisia, il Paesedove è dolce vivere Il 7 novembre 1987 lanziano zaim Bourghiba viene deposto e Ben Ali sale al potere definendosi lartigiano del cambiamento e promettendo di aprire una nuova pagina di pluralismo e democrazia. Amnistia e segnali di apertura politica; multipartitismo. Nel 1988, la Tunisia è il primo paese arabo a firmare la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e i trattamenti disumani e nello stesso anno promulga un Patto nazionale di riconciliazione.
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In realtà il presidente si farà rieleggere nel 1994 e poi nel 1999 e ancora nel 2004 per la quarta volta, modificando la Costituzione che glielo avrebbe impedito (ma non prima di aver indetto un referendum farsa per chiedere al suo popolo di poter continuare la sua opera di civilizzazione). Negli anni Novanta il timore del contagio algerino (violenza terroristica, massacri, destabilizzazione politica) e la lotta al terrorismo dopo l11 settembre 2001 concederanno al governo ben Ali gli strumenti per mostrare il suo vero volto: politica di repressione incondizionata contro gli oppositori interni e bavaglio a tutti gli organi di informazione.
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Si susseguono le denunce di tutte le associazioni per la tutela dei diritti umani (Amnesty International, Reporters sans Frontieres, Human Rights Watch, Freedom House); sempre più difficile lattività dei movimenti laici e religiosi di opposizione interna. Funerali blindati di Bourghiba (4 aprile 2000). Tutto il decennio sarà caratterizzato da un inasprimento della repressione e da una sempre più sfrontata gestione patrimoniale e corrotta delle ricchezze del Paese. Nel dicembre 2010, nel piccolo centro di Sidi Bouzidi, un giovane ambulante, Mohammed Bouazizi, si dà fuoco davanti al Comune stanco delle angherie e delle umiliazioni subite. Scoppia una rivolta spontanea, che si diffonde a macchia dolio fino a Tunisi. È la rivoluzione del gelsomino. Ben Ali è costretto a dimettersi il 14 gennaio 2011.
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Hosni Mubarak e lEgitto del Faraone Morte del presidente Annuar as-Sadat in uno spettacolare attentato compiuto dal gruppo islamico Al-Jihad nellottobre 1981 e salita al potere di Hosni Mubarak, vice presidente già dal 1975. Uomo forte, assumerà una funzione riequilibratrice nel tormentato contesto vicino orientale, in primo piano nei rapporti arabo-israeliani e nella lotta al terrorismo islamico. Anche per lui, come per Ben Ali, la sempre più fagocitante presenza della famiglia determinerà coinvolgimenti in loschi traffici e corruzione.
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Viene rieletto senza soluzione di continuità e conmaggioranze bulgare ad ogni elezione presidenziale e prepara la strada al figlio Gamal. Sfugge a ben sei tentativi di assassinio, lultimo dei quali nel 2005. La presenza di una forte opposizione religiosa incarnata nello storico movimento dei Fratelli Musulmani lo porterà a ridurre sempre più gli spazi di libertà. In Egitto era in vigore dal lontano 1981 la legge demergenza che consente la sospensione delle libertà previste dalla Costituzione e della libertà dinformazione (oggi la legge di fatto continua a essere in vigore). Mubarak fugge l11 febbraio 2011.
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Piazza Tahrir
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Muammar Gheddafi, fratello, leader e combattente Dal 1969, quando rovesciò il re Idris con un colpo di Stato militare, Gheddafi ha governato la sua jamahiriyya (governo delle masse) con polso di ferro. I suoi avversari hanno più volte cercato di ucciderlo, si sono succedute ribellioni di oppositori politici, dei detenuti nelle carceri, degli islamici radicali, sempre represse nel sangue.
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Nel 1979 ha fatto impiccare pubblicamente in piazza a Bengasi alcuni studenti dissidenti; scomparsa di noti attivisti per i diritti umani, fra cui Mansour al- Kikhiya, che si trovava al Cairo per una conferenza. La Libia non aveva di fatto istituzioni di governo; il suo congresso di 760 delegati era una istituzione vuota e di facciata e la politica era (ed è tuttora) di fatto gestita da alleanze tribali. Il patto con il suo popolo si è mantenuto in piedi grazie a un Pil pro capite molto alto per larea (14 mila dollari), a un sistema economico stabile, a un sistema scolastico di buona qualità, ad una propaganda capillare e inesorabile.
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A febbraio 2011 cominciano le prime manifestazioni in Cirenaica. Il 17 marzo 2011 viene votata dallONU la risoluzione 1973: la Nato assume il 31 marzo il comando delle operazioni militari in Libia. Dopo mesi di violentissimi scontri, Gheddafi viene ucciso il 20 ottobre 2011 a Sirte, dove aveva cercato rifugio. La sua morte viene filmata da molti dei presenti al linciaggio e vista da tutto il mondo. Comincia per la Libia una fase di forte instabilità politica.
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Una visione comparata Molti elementi accomunano la parabola politica di questi (ed altri) leader del mondo arabo e i movimenti di dissenso che li combattono: da un lato le speranze suscitate al momento della presa del potere, le promesse di apertura democratica rispetto ai precedenti regimi, lappello al consenso popolare, la strumentalizzazione delle paure delle rispettive popolazioni di aggressioni esterne, delle ingerenze imperialistiche e, non ultimo, del contagio del terrorismo islamico, che indubbiamente hanno fatto il gioco della repressione e del progressivo scivolamento delle istituzioni verso una gestione autoritaria e corrotta del potere. Dallaltro le nuove generazioni, che hanno da tempo dimostrato di non essere più passive di fronte alla retorica della minaccia imperialistica dellOccidente, della necessità di forti padri della nazione, o infine della paura del caos e del terrorismo islamico.
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Le differenze tuttavia esistono (come stanno dimostrando le vicende della fine del loro potere): storie personali e politiche dei leader in questione, parametri sociali ed economici dei paesi coinvolti, diverso ruolo a livello internazionale, differente composizione sociale (es. rilevanza dellelemento tribale in Libia) ed ancora la specifica funzione dellesercito in ognuno dei tre Paesi. I presidenti di Tunisia e Egitto hanno giocato la loro credibilità internazionale puntando proprio sulla lotta al terrorismo e si sono accreditati come Stati amici dellOccidente, Gheddafi si è costruito un consenso come leader panafricano e ostile allOccidente imperialista (basti pensare al bacino dapprovvigionamento di mercenari dallAfrica Nera di cui solo la Libia ha potuto godere nella spaventosa repressione della rivolta).
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La rivoluzione dei giovani, ovverosia le folgoranti potenzialità della rete Internet come strumento formidabile per la creazione di movimenti di opinione e di massa, i semplici smartphone come video per diffondere le immagini in tutto il mondo in mancanza di possibilità di reale informazione. Non movimenti di opposizione tradizionali, ma piazze virtuali che si muovono allunisono guidate da indicazioni via facebook o twitter, capaci di mobilitare migliaia di persone contemporaneamente, di guidare le varie fasi della rivolta e di mostrare in tempo reale al mondo quello che succede. Una vera rivoluzione tecnologica che ha svelato bruscamente anche alla vecchia Europa che esistono nuovi linguaggi, nuovi strumenti, nuove piazze per parlare e fare pressione politica.
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Questa peculiarità delle rivolte arabe del XXI secolo è strettamente collegata alletà media delle popolazioni di questi paesi che sono incredibilmente giovani: società di giovani (istruiti ma disoccupati, traditi nelle loro aspettative, soffocati nelle loro libertà fondamentali) governate da uomini anziani (ricchissimi e corrotti, circondati da un entourage arrogante e potentissimo, appoggiati dallOccidente). Va ricordato che prima e accanto ad internet, le tv satellitari (al-Jazeera, solo per citarne una) avevano già scardinato il monopolio dellinformazione di Stato, da sempre strumento infallibile della propaganda governativa nei paesi arabi.
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La presidenza Obama e il ruolo degli USA Quali avrebbero potuto essere gli esiti di queste rivolte di massa durante gli anni della presidenza di George W. Bush? Quale è stato il ruolo del discorso di Obama al Cairo nel giugno 2009? Qui si entra nel campo rischioso delle influenze vere o presunte, più o meno dirette, dellamministrazione americana sui fatti in questione. Alcuni osservatori parlano di rivolte eterodirette, finalizzate a sbarazzarsi di leader ormai impresentabili e proporre nuove alleanze con presidenti solo apparentemente più democratici ma legati comunque da un lato agli eserciti locali e dallaltro alle potenze occidentali, USA in primis. Altri invece propongono la tesi di rivolte popolari autonome, che hanno colto di sorpresa la comunità internazionale, a cui ha fatto seguito tuttavia una frenetica attività diplomatica e di intelligence internazionale, nel tentativo di adeguamento (e interferenza, inutile nasconderlo) di fronte alle nuove realtà politiche emergenti e ai nuovi equilibri nel mondo arabo mediterraneo.
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Leffetto domino La rivoluzione dei gelsomini in Tunisia ha avuto effetti dirompenti nel resto del mondo arabo: le rivolte sono oggi diffuse anche in Paesi diversissimi come la Siria, la Giordania, il Marocco, il Bahrein, lo Yemen. Questo effetto domino sembra far riemergere i legami ancestrali,ummico, di tipo religioso-culturale, la lingua e la fede, la storia comune, elementi non meno globalizzanti della tecnologia informatica. Ma leffetto ummico si ferma qui: la tradizione ha uno spazio molto limitato in questi avvenimenti e le modalità sono del tutto inedite per il mondo arabo-islamico e aprono prospettive nuove tutte da valutare: ognuno di questi paesi ha una sua dolorosa storia di repressione e violazione dei diritti umani e sta percorrendo una sua strada personale verso una transizione democratica.
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La deriva islamica e le rivoluzioni tradite È innegabile la cifra sostanzialmente laica e progressista di questi movimenti di piazza, in cui gli slogan religiosi non hanno avuto la meglio, non ci sono state bandiere degli Stati Uniti o di Israele bruciate né altri segni di militanza islamica (neppure in Libia). La prospettiva di una soluzione in stile Iran khomeninista, che tanto ha spaventato lOccidente, è altamente improbabile e ormai abbandonata; molto più realistico un modello alla turca, con lascesa politica di partiti conservatori religiosi, votati peraltro liberamente dalla popolazione. Il tema della deriva islamica poi non va assolutamente confuso con la deriva terroristica, proprio perché il maggior nemico del terrorismo è proprio lo sviluppo di regimi democratici o, se si vuole, di una via islamica alla democrazia.
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A mo di conclusione. Compatibilità fra Islam e democrazia Da decenni si affronta il tema della incompatibilità fra cultura e religione islamica e democrazia, uno dei punti di forza dei fautori, ancora tanti, dello scontro di civiltà. Una via islamica alla democrazia significa, nel rispetto delle peculiarità delle culture, dei contesti politico-istituzionali e delle storie recenti dei paesi in questione, libertà di pensiero, di parola e di informazione, istituzioni democratiche e non corrotte, governanti legittimati da libere elezioni, alternanza politica, gestione oculata e corretta della ricchezza nazionale, giustizia sociale.
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Queste piazze infiammate stanno squarciando finalmente il velo di mistificazione che da sempre oscurava la verità. Finalmente si può sperare in una risposta a questo dilemma che esca dalle teorizzazioni molteplici che ne sono state fatte e si faccia realtà concreta per il bene e il benessere dei popolari arabi mediterranei e di tutto il mondo musulmano. In questa fase difficile ma straordinaria lEuropa e gli Stati Uniti hanno un ruolo fondamentale: sarebbe gravissimo perdere loccasione che ci viene offerta per inaugurare una nuova fase di rapporti ed equilibri internazionali più corretti, equilibrati, umani, onesti e, non da ultimo, capaci di creare un mondo più sicuro e prospero per tutti.
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