B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, I 10

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Transcript della presentazione:

B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, I 10 Dico che chi volesse laudar la corte nostra, lasciando ancor i meriti della signora Duchessa, la qual sola con la sua divina virtù basteria per levar da terra al cielo i più bassi spiriti che siano al mondo, ben poria senza suspetto d'adulazion dir che in tutta la Italia forse con fatica si ritrovariano altrettanti cavalieri così singulari, ed oltre alla principal profession della cavalleria così eccellenti in diverse cose, come or qui si ritrovano; però, se in loco alcuno son omini che meritino esser chiamati bon cortegiani e che sappiano giudicar quello che alla perfezion della cortegiania s'appartiene, ragionevolmente si ha da creder che qui siano. Per reprimere adunque molti sciocchi, i quali per esser prosuntuosi ed inetti si credono acquistar nome di bon cortegiano, vorrei che 'l gioco di questa sera fusse tale, che si elegesse uno della compagnia ed a questo si desse carico di formar con parole un perfetto cortegiano, esplicando tutte le condicioni e particular qualità, che si richieggono a chi merita questo nome.

B. Castiglione, Il libro del Cortegiano, IV 51 Dico adunque che, secondo che dagli antichi savi è diffinito, amor non è altro che un certo desiderio di fruir la bellezza; e perché il desiderio non appetisce se non le cose conosciute, bisogna sempre che la cognizion preceda il desiderio; il quale per sua natura vuole il bene, ma da sé è cieco e non lo conosce. Però ha così ordinato la natura che ad ogni virtù conoscente sia congiunta una virtù appetitiva; e perché nell'anima nostra son tre modi di conoscere, cioè per lo senso, per la ragione e per l'intelletto, dal senso nasce l'appetito, il qual a noi è commune con gli animali bruti; dalla ragione nasce la elezione, che è propria dell'omo; dall'intelletto, per lo quale l'uom po communicar con gli angeli, nasce la voluntà. […] Di questi modi adunque si po desiderar la bellezza; il nome universal della quale si conviene a tutte le cose o naturali o artificiali che son composte con bona proporzione e debito temperamento, quanto comporta la lor natura.

M. Ficino, El libro dell’Amore, II 9 Ma che cercano costoro quando scambievolmente s'amano? Cercano la pulchritudine: perché l'amore è desiderio di fruire pulchritudine, cioè bellezza. La bellezza è uno certo splendore che l'animo humano ad sé rapisce. La bellezza del corpo non è altro che splendore nell'ornamento di colori e linee, la bellezza dell'animo è fulgore nella consonantia di scientie e costumi. Quella luce del corpo non è conosciuta dagli orecchi, naso, gusto o tacto, ma dall'occhio. Se l'occhio solo la conosce, solo la fruisce, solo adunque l'occhio fruisce la corporale bellezza […]. Ancora quella luce dell'animo solo con la mente comprendiamo, onde chi ama la bellezza dell'animo solo si contenta di consideratione mentale.

Tiziano, L’amore sacro e profano, Roma, Galleria Borghese, 1510 ca.

B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano, IV 52 «Parlando della bellezza che noi intendemo, che è quella solamente che appar nei corpi e massimamente nei volti umani e move questo ardente desiderio che noi chiamiamo amore, diremo che è un influsso della bontà divina». Cfr. M. Ficino, El libro dell’Amore, V, 6: «Conchiudiamo […] la bellezza essere una certa gratia vivac'e spiritale, la quale, per razzo divino, prima s'infonde negli angeli, poi negli animi degli huomini, dopo questi nelle figure e voci corporali; e questa gratia per mezzo della ragione e del vedere e dello udire muove e dilecta l'animo nostro, e nel dilectare rapisce, e nel rapire d'ardente amore infiamma».

B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano, IV 66 L'amante adunque che considera la bellezza solamente nel corpo, perde questo bene e questa felicità sùbito che la donna amata, assentandosi, lassa gli occhi senza il suo splendore e, conseguentemente, l'anima viduata del suo bene. […] E di qua procedono le lacrime, i sospiri, gli affanni e i tormenti degli amanti; perché l'anima sempre s'affligge e travaglia e quasi diventa furiosa, fin che quella cara bellezza se le appresenta un'altra volta; ed allor sùbito s'acqueta e respira ed a quella tutta intenta si nutrisce di cibo dulcissimo, né mai da così suave spettacolo partir vorria. Per fuggir adunque il tormento di questa assenzia e goder la bellezza senza passione, bisogna che 'l cortegiano con l'aiuto della ragione revochi in tutto il desiderio dal corpo alla bellezza sola e, quanto più po, la contempli in se stessa simplice e pura e dentro nella imaginazione la formi astratta da ogni materia; e così la faccia amica e cara all'anima sua, ed ivi la goda e seco l'abbia giorno e notte. […] Chiuso nel core si porterà sempre seco il suo precioso tesoro ed ancora per virtù della imaginazione si formerà dentro in se stesso quella bellezza molto più bella che in effetto non sarà.

«E di qua procedono le lacrime, i sospiri, gli affanni e i tormenti degli amanti; perché l'anima sempre s'affligge e travaglia e quasi diventa furiosa…» Rvf 12, 1-4 Se la mia vita da l' aspro tormento si può tanto schermire, et dagli affanni, ch' i' veggia per vertú degli ultimi anni, donna, de' be' vostr' occhi il lume spento, Rvf 17, 1-4 Piovonmi amare lagrime dal viso con un vento angoscioso di sospiri, quando in voi adiven che gli occhi giri per cui sola dal mondo i' son diviso. Rvf 295, 1-2 e 9-14 Soleano i miei penser soavemente di lor oggetto ragionare inseme: […] O miracol gentile, o felice alma, o beltà senza exempio altera et rara, che tosto è ritornata ond' ella uscío! Ivi à del suo ben far corona et palma quella ch' al mondo sí famosa et chiara fe' la sua gran virtute, e 'l furor mio.

«bisogna che 'l cortegiano con l'aiuto della ragione revochi in tutto il desiderio dal corpo alla bellezza sola e, quanto più po, la contempli in se stessa simplice e pura e dentro nella imaginazione la formi astratta da ogni materia; […] ed ancora per virtù della imaginazione si formerà dentro in se stesso quella bellezza molto più bella che in effetto non sarà».

W. Shakespeare, Romeo and Juliet, I 1 vv. 228-239 BENVOLIO Be rul’d by me: forget to think of her. ROMEO O, teach me how I should forget to think! BENVOLIO By giving liberty onto thine eyes. Examine other beauties. ROMEO […] He that is stricken blind cannot forget The precious treasure of his eyesight lost. Show me a mistress that is passing fair, What doth her beauty serve but as a note Where I may read who pass’d that passing fair?

F. Petrarca, R.v.f. 16 Movesi il vecchierel canuto et biancho del dolce loco ov' à sua età fornita et da la famigliuola sbigottita che vede il caro padre venir manco; indi trahendo poi l' antiquo fianco 5 per l' extreme giornate di sua vita, quanto piú pò, col buon voler s' aita, rotto dagli anni, et dal camino stanco; et viene a Roma, seguendo 'l desio, per mirar la sembianza di colui 10 ch' ancor lassú nel ciel vedere spera: cosí, lasso, talor vo cerchand' io, donna, quanto è possibile, in altrui la disïata vostra forma vera.

B. Castiglione, Il Libro del Cortegiano, IV 57 «lo amante […] cumulando insieme tutte le bellezze farà un concetto universale e ridurrà la moltitudine d’esse alla unità di quella sola che generalmente sopra la umana natura si spande; e così non più la bellezza particolar d’una donna, ma quella universale, che tutti i corpi adorna, contemplerà».