La Rivelazione di Dio nel Nuovo Testamento

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Transcript della presentazione:

La Rivelazione di Dio nel Nuovo Testamento Parte Biblica La Rivelazione di Dio nel Nuovo Testamento

Se se il PT, nel “darsi di Dio”, ci ha “detto Dio” nel suo mistero il NT, nell’evento Gesù, ci offre una comprensione di quanto/come Gesù rilegga nella sua unica e singolare esperienza religiosa quella di Israele, in una sorta di continuità e discontinuità di cosa/come Dio dica se stesso in relazione al volto che Gesù dipinge del Padre suo

Alcuni punti metodologici 1. Quanto possiamo dire dell’evento Gesù passa per la fede dei discepoli dalla loro esperienza di Gesù e dalla rinnovata identità che appare loro tra colui che è stato crocefisso e colui che appare risorto dalla loro memoria dell’esperienza che Gesù mostrava avere di Dio così l’identità di Gesù passa per l’esperienza dei discepoli che interpreta, custodisce e apre al riconoscimento di Gesù come Figlio e di Jahvè come Padre

Alcuni punti metodologici 2. Solo l’evento Gesù custodisce quindi l’accesso a quella originale e originante esperienza che è rivelazione di Dio questa passa quindi dall’auto-comprensione che Gesù ha di sé e del Padre la conoscenza che egli ha di sé e del Padre ha trovato nella sua umanità la mediazione per mezzo della quale è affiorata in Lui l’autocoscienza di Figlio la sua autocoscienza affonda nelle parole che il Padre dice a Lui, udite nella sua esistenza umana; così Gesù è il Logos: non perché parla di Dio, ma perché è detto da Dio che gli è Padre

Il nostro percorso Gesù “dice” Dio Dio si dice nel volto di Gesù l’esperienza religiosa di Gesù il rapporto di Gesù con la Scrittura e con il Culto Gesù e il Regno La preghiera di Gesù i titoli cristologici Gesù e lo Spirito l’evento pasquale Gesù “dice” Dio Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie

Il nostro percorso Gesù “dice” Dio Dio si dice nel volto di Gesù Dio è Padre che genera il Figlio Dio è il Figlio in-umanato, Gesù Dio è lo Spirito che il Padre dona nel dono di Gesù Gesù “dice” Dio Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie

Il nostro percorso Gesù “dice” Dio Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie Formule trinitarie nel NT Sintesi giovannea

Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie l’esperienza religiosa di Gesù il rapporto di Gesù con la Scrittura e con il Culto Gesù e il Regno La preghiera di Gesù i titoli cristologici Gesù e lo Spirito l’evento pasquale Gesù “dice” Dio Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie

a.1. l’esperienza religiosa di Gesù Gesù vive da ebreo: è circonciso e presentato al Tempio(Lc 2,21-23), si reca regolarmente a Pasqua a Gerusalemme (2,41s), frequenta la sinagoga (4,16) e recita come ogni ebreo lo shema e le 18 benedizioni Eppure mostra in questa continuità una interpretazione singolare di Dio: se condivide con Giovanni battista la prospettiva di penitenza e l’annuncio del Regno di Dio, Gesù però la curva in relazione alla vicinanza e all’offerta di salvezza che in Lui, ora, Dio mette a portata di mano per ogni uomo.

a.2. Gesù e la Scrittura Gesù non è venuto ad abolire la Legge, né i profeti (Mt 5,17); Egli ne è il compimento e il senso. Se la Legge si condensa nell’amore di Dio e del prossimo (Mc 12,28-34), Gesù chiede di amare come Lui stesso ama (Gv 13,14) La sua autorità (Mc 1,27) è la stessa della Torah: “avete inteso che fu detto … ma io vi dico” (Mt 5,21ss) Ora, in Lui stesso, nella sua presenza e nel suo annuncio la Scrittura si adempie (Lc 4,21) Gesù davanti la Scrittura sta come innanzi ad uno specchio: leggendola intravede il vede proprio volto, sente che parla di Lui e si riferisce a Lui in modo singolare e unico

Gesù e il Tempio Gesù annuncia la fine di ogni santuario o tempio che non sia la sua stessa persona (Mc 11,15-18) così va al di là di ogni esteriorità legale e cultuale, procedendo invece verso una interiorizzazione, una attuazione nell’ora e qui come vie di accesso, immediate, al rapporto con Dio: “quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6,6).

a.3. Gesù e il Regno Il tema centrale della predicazione di Gesù è il Regno di Dio, che è ora vicino (Mt 1,15; 4,17; 6,10) ora è già qui (13,41-43; 25,32-46). La prossimità non è questione di definizione (“chi è il mio prossimo?”), ma di azione: si può solo farsi prossimi o farne l’esperienza (Lc 10,37). Il Regno è promesso a tutti i deboli della terra, a coloro che sono toccati dalla potenza salvifica di Dio e si lasciano da essa interpellare (Mt 5,3-10; Lc 6,20-23). Nel Regno prossimità/distanza e identità/differenza oscillano in un continuo rimando al Dio/Abbà per il Figlio/Gesù: così il Regno traduce l’esperienza intima di Gesù, il suo sentirsi invadere dal Mistero di Dio Padre e il suo abbandonarvisi filiale. Gesù è quindi l’evidenza del Regno: in Lui che si sa e si dice “inviato” giunge a noi, in Lui, il Padre. Così, nella sua missione, Gesù è il luogo in cui incontrare il Padre e in cui l’umanità è incontrata da Dio

a.4. la preghiera di Gesù Nella sua preghiera, quale luogo privilegiato, accediamo alla sua intima adesione al Padre. Di 5 momenti è conservata la preghiera di Gesù: il grido di giubilo (Lc 10,21), la resurrezione di Lazzaro (Gv 11,41s), la preghiera sacerdotale (Gv 17), l’invocazione ad Abbà nel Getsemani (Mc 14,36), sulla croce (Lc 23,24). Nelle invocazioni, così come nella tradizione che ne ha tramandato proprio le parole in ebraico, compare l’espressione “Abbà”. A Dio si rivolge così: caro Padre, così insegna a rivolgersi. La sua esperienza non è più solo sua, ma egli la condivide. Così, nella preghiera egli mostra di commuoversi (Mc 1,41; Mt 14,14; Lc 7,13; 10,32; 15,20). Al moto interiore umano segue un gesto che mostra la sua identità filiale: colui che è venuto per donare, dona ricevendo dalla nostra umanità proprio ciò che ci contraddistingue nella debolezza. Quanto più si rivela Figlio, tanto più si accentua la sua umanità: l’umanità bisognosa disvela il proprio potenziale creaturale nel dire la relazione filiale divina.

a.5. i titoli cristologici Tra i titoli cristologici, tre (Messia, Figlio dell’uomo, Figlio in senso assoluto) ci permettono di giungere a come Gesù stesso si sia auto-interpretato. Gesù si sa inviato, ma riconfigura le immagini secondo la sua relazione filiale: nel suo venire nell’umanità viene nell’umanità la sua presenza ultima e definitiva (Mc 13,32), si sa inviato eppure rinnegato (Mc 12,1-12), egli solo conosce il Padre e solo il Padre rivela la loro relazione (Mt 11,27) I titolo custodiscono la idemità tra Gesù e il Cristo alla luce della missione: inviato dal Padre, donato all’umanità, vive rivolto verso il Padre in obbedienza e desideroso di compiere la volontà di colui che lo ha inviato (Gv 4,34)

a.6. Gesù e lo Spirito Gesù evangelizza nello Spirito, ma evangelizza anche lo Spirito. Così possiamo vedere l’azione dello Spirito su Gesù e Gesù che dona lo Spirito. Fin dalla generazione lo Spirito precede Gesù (Mt 1,18-20), “Dio unse di Spirito santo e potenza Gesù” (At 10,38) sulle rive del Giordano quando scende su Gesù per rimanervi (Gv 1,32-34). Tutta la sua esistenza è una battesimo nello Spirito: alla generazione corrisponde infatti l’identità del generato, così inizia la sua missione (Lc 4,16-20), annuncia il Regno (Mt 12,28). Così, chi non vede nell’opera di Gesù l’opera dello Spirito e non vi vede l’identità del Figlio con il Padre che lo invia, non riconosce neppure l’intervento escatologico di Dio in Gesù.

a.6. Gesù e lo Spirito Gesù evangelizza lo Spirito. Lo Spirito che in Lui parla e agisce è lo stesso che egli dona e agirà nei discepoli come ha imparato a fare nel Figlio fatto uomo (Mc 13,11). Gesù dona lo Spirito come da una fonte (Gv 4 e 7), da Lui e per Lui fluisce l’acqua viva, dalla croce (Gv 19,34) come dal suo corpo glorioso (20,22), ma il Padre ne è la fonte (Gv 15,26): in Lui che invia il Figlio è comprensibile il dono dello Spirito che rende testimonianza al Figlio innanzitutto, e successivamente ai credenti, guidandoli alla verità (16,13) perché ricorda loro e insegna le parole filiali (14,26)

a.7. l’evento pasquale Gesù interpreta la propria croce/morte per la sua identità filiale: egli è il Figlio che deve molto soffrire (Mc 8,31-33; 9,30-32; 10,32-34), Lui è l’agnello di Dio (Ap 5,6; Gv 1,29), il segno di Giona (Mt 12,38-40), il chicco di grano che porta molto frutto (Gv 12,24s). Ma la morte non è rivelazione della sua filialità, la buona notizia è la sua risurrezione (2Tm 2,8): “Dio lo ha resuscitato … Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato” (At 13,33).

a.7. l’evento pasquale Nell’evento pasquale pertanto si ha acceso all’ora in cui Dio si rivela: il Padre, che genera il Figlio nella morte, il Figlio, che si lascia generare restando rivolto verso il Padre, lo Spirito, il cammino che conduce il Figlio nel seno del Padre (Gv 1,18) e da di fronte al Padre (1,1) di fronte all’uomo perché ne sia anch’esso condotto. Nello Spirito eterno Gesù si offre (Eb 9,14) e il Padre lo esaudisce (5,7-9): questa obbedienza di Gesù, nella sua condizione umana, rivela la generazione filiale divina nello Spirito che lo tras-figura, rendendo visibile nel suo volto quello del Padre (Gv 12,45). Così l’umanità è com- figurata alla relazione filiale, questa è la salvezza.

Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie Dio è Padre che genera il Figlio Dio è il Figlio in-umanato, Gesù Dio è lo Spirito che il Padre dona nel dono di Gesù Gesù “dice” Dio Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie

b.1. Dio è Padre che genera Il Padre è colui che consegna il Figlio generandolo nella morte, donandogli di morire rivolto verso di Lui, in favore nostro. Il prologo giovanneo (Gv 1,1-18) ci regala una interpretazione dinamica della vita trinitaria: il Figlio esce dal Padre (Gv 16,27.30) per farvi ritorno abitandone il seno e portando con sé il mondo filiale di Gesù, un mondo generato dall’amore paterno così come è stato creato dal Padre in Cristo (2Cor 5,17). Il Padre così attira a sé in Cristo: “nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44).

b.2. Dio è il Figlio inumanato Il Figlio si apre/riceve dal Padre nel suo morire in solidarietà col morire umano. La sofferenza non è redentiva in se stessa, un male non può detenere la capacità di liberare l’uomo; è l’amore filiale con cui Gesù attraversa l’esperienza umana a far abitare in questa la possibilità di rivolgersi a Dio come Padre: la debolezza è trasformata in recettività filiale. Dio non si dice nel suo in-sé senza dirsi anche nel suo ritorno-a-sé dopo essere stato fuori-di-sé, eppure proprio quel essere fuori-di-sé è il luogo in cui si dispiega e si dona compiutamente l’in-sé distinto e uno del Padre e del Figlio.

b.3. Dio è lo Spirito donato nel Figlio Lo Spirito è agito e agisce nell’evento pasquale: plasma e sostiene la libera accoglienza/donazione di sé di Gesù/Figlio. Lo Spirito vive la kenosi del Figlio, plasmando e sostenendo la forma filiale di Gesù, così come vive la glorificazione, plasmando e sostenendo la forma gloriosa del Figlio/Gesù risorto e divenuto “spirito vivificante” (1Cor 15,45). Nel morire di Gesù rivolto al Padre, lo Spirito è questa potenza e gloria del volto filiale che svela il volto di Dio/Abbà. Lo Spirito rende nuova la comunicazione con Dio/Abbà per mezzo di una immediatezza (2Cor 3,15-17; Gal 4,6; Rm 8,16), di una nuova creazione (Gal 6,15; 2Cor 5,17) Se il Padre è la sorgente da cui sgorga lo Spirito, il Figlio è colui nel quale sgorga e fluisce nella forma della recettività filiale: lo Spirito è dono del Figlio al Padre nel suo donarvisi (Gv 19,30), ma anche ciò che il Figlio dona perché donatogli dal Padre (1,32-34) e ciò che dona con e per il dono del Padre.

Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie Gesù “dice” Dio Dio si dice nel volto di Gesù Formule neotestamentarie Formule trinitarie nel NT Sintesi giovannea

c.1. formule trinitarie Nel NT troviamo formule triadiche per definire l’evento salvifico definitivo, queste parlano di un compimento della storia della salvezza (Rm 1,3-4; Ef 1,3.14; At 2; 2Tess 2,13-14; Gal 4,6; 1Pt 1,1-2), di un dono definitivo di Dio in Gesù (1Gv 4,2; Rm 10,9). Troviamo le formule associate al battesimo (Mt 28,19; At 2,39), alla nuova esperienza di Dio che vive la comunità cristiana (1Cor 12,4-6; Ef 4,4-6), e alla salvezza compiuta in Gesù (2Cor 13,13; Rm 16,20; Gal 6,18; Fil 4,23). È possibile riscontrare il passaggio da una prima immagine dinamica a due stadi giocata sul riconoscimento di Gesù come Signore e Figlio di Dio (1Cor 8,6) ad una a tre stadi, in cui l’identità protologica sta a fondamento della sua stessa missione (Col 1,13-19; Eb 1,1-4).

c.2. teologia giovannea Gli scritti di tradizione giovannea si distinguono per intelligenza teologica del dinamismo e ritmo trinitario. Anzitutto per l’identità tra Gesù e il Figlio nella dinamica della Parola che viene dal Padre detta e ad esso fa ritorno (Gv 1,1.14.18). Si afferma che il Logos, questa sapienza di Dio già conosciuta nel Primo Testamento, è riconoscibile solo nella persona di Gesù. Così si viene a porre in divinis, nel principio, la distinzione tra «il Dio/Abbà» e il «Logos/Figlio unigenito» senza asserirne alcune subordinazione perché dell’unico Dio ho il soggetto e la sua predicazione nella relazione paterna e filiale. Dio quindi esprime sé generando come Padre il Figlio e accogliendosi come Figlio e proiettandosi come tale verso il seno del Padre.

c.2. teologia giovannea Secondariamente, questo Logos è ciò per mezzo del quale tutto Dio si esprime fuori di sé (Gv 1,2-3), cosicché egli è la condizione dell’espressione di Dio fuori di sé: nella creazione, prima, nell’incarnazione, poi e definitivamente (v.14). Così nel Figlio, per quella dinamica di venire/andare dal Padre, si ha accesso nella sua forma umanata e risorta alla gloria divina del Padre che su di Lui splende e si riverbera: «Dio nessuno lo ha mai visto; l’unigenito di Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere» (v.18)

c.2. teologia giovannea Entro lo spazio dischiuso e illuminato dal rapporto Padre e Figlio si staglia l’identità e la missione dello Spirito: questi sgorga dal Padre come da sorgente (Gv 15,26), è inviato dal Figlio incarnato crocifisso e risorto (19,34; 20,22) ma da questi scende sui discepoli dimorando in loro, insegnando, ricordando e guidando (14,26; 16,14-15) alla verità. In questo senso dunque Gesù non può che essere la via che conduce alle verità di Dio/Abbà e in questo esprimere il senso pieno della vita intra-divina (14,6.)

c.2. teologia giovannea È in questa unità e distinzione dinamicamente intesa che si esprime un movimento inta-trinitario che riverbera extra-trinitariamente. La missione del Figlio e dello Spirito, proprio perché sono presso il Padre (Figlio) e sgorgano da esso (Spirito), sta nella loro stessa presenza: così infatti dicono colui che li ha invitai (il Figlio il Padre, lo Spirito il Figlio) rendendolo presente nell’inviato stesso. Lo Spirito, il dono dell’essere l’uno nell’altro, superando ogni separazione tra Padre e Figlio nella morte di Gesù rende possibile una immediatezza di Dio nel cuore dell’uomo che accoglie Gesù, accogliendo il quale si accoglie colui che lo ha inviato. Da qui la definizione di Dio come «amore» (1Gv 4,8.16). Egli è amore verso l’uomo perché è amore in se stesso. Così, sinteticamente, è affermato che quanto Dio dona è sempre e solo stesso: solo Dio dona Dio e Dio donando il Figlio dona se stesso, e il Figlio donando lo Spirito dona se stesso nel dono del Padre