Elementi di linguistica sarda Giovanni Lupinu Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Sassari Lezione n. 18
La prospettiva sociolinguistica La sociolinguistica è un ramo della linguistica, relativamente giovane, «che si propone lo studio in senso lato dei rapporti tra società e attività linguistica: differenziazioni linguistiche e differenze di classe, status e uso delle diverse varietà presenti in una società, apprendimento sociale della lingua, uso dei comportamenti linguistici ai fini del controllo sociale ecc.» (G. R. Cardona). La lingua, dunque, viene studiata non come un sistema astratto, non condizionato da fattori esterni, bensì in parallelo con la società presso la quale è in uso.
Stratificazione sociale e variazione linguistica In particolare, la sociolinguistica prende in considerazione le variazioni della lingua in rapporto all’articolazione della società (per fasce di età, sesso, status economico e culturale dei parlanti etc.) e alle differenti situazioni in cui avviene la comunicazione. Giusto per fare qualche esempio, ecco tre quesiti di natura sociolinguistica che ci interessano da vicino: 1) in quali occasioni e con chi è parlato il sardo e in quali l’italiano? 2) il sardo è più parlato dalle persone più istruite o da quelle meno istruite? 3) il sardo è più parlato dagli uomini o dalle donne?
Un quadro sociolinguistico della Sardegna Nel maggio del 2005 la Regione Autonoma della Sardegna affidava alle Università di Cagliari e Sassari il compito di realizzare una ricerca per ottenere un quadro aggiornato e articolato della situazione sociolinguistica della nostra isola. Tale ricerca appariva necessaria per acquisire quegli elementi di conoscenza che potessero orientare e giustificare ogni intervento successivo in materia di politica linguistica, rivolto alla tutela delle parlate locali.
Le ragioni di una ricerca (1) In particolare, si volevano acquisire dati affidabili su una serie di questioni: a) sul numero dei parlanti e sullo “stato di salute” delle varietà locali (non solo il sardo, ma anche l’algherese, il gallurese, il sassarese e il tabarchino); b) sulle opinioni e gli atteggiamenti dei parlanti nei confronti di tali varietà; c) sui significati ideologici e identitari associati alla loro conoscenza e/o al loro uso; d) sulle modalità di apprendimento delle diverse lingue in contatto; e) sui pareri circa l’impiego del sardo per compiti ufficiali, etc.
Le ragioni di una ricerca (2) Inoltre, l’esigenza di ottenere nuove informazioni sulla realtà sociolinguistica della Sardegna era urgente perché ormai erano passati quasi dieci anni dalla promulgazione della legge regionale n. 26 del 15 ottobre 1997, sulla Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna. A questa legge regionale era seguita, due anni dopo, la legge nazionale n. 482 del 15 dicembre 1999 che, prevedendo Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, includeva fra tali minoranze anche quella sarda (di queste leggi ci siamo già occupati).
Le ragioni di una ricerca (3) In sostanza, la ricerca sociolinguistica voluta dalla Regione – che venne intitolata Le lingue dei sardi – mirava a fare il punto della situazione: vedere se e quanto gli interventi di politica linguistica sino ad allora attuati fossero risultati efficaci in rapporto a una situazione di partenza che si presentava allarmante, con le parlate locali in una condizione di grave e generalizzata debolezza. Solo in questo modo, come già si diceva, sarebbe stato possibile studiare interventi efficaci a loro favore.
L’indagine Le lingue dei sardi La ricerca è stata condotta tra il febbraio e il giugno 2006: sulla base di un questionario, i raccoglitori hanno effettuato 2715 interviste in 58 comuni sparsi per la Sardegna e comprendenti tutte le diverse aree linguistiche. In particolare, 2438 interviste sono state rivolte ad adulti con almeno 15 anni di età; 277 a individui di età compresa fra i 6 e i 14 anni. I risultati di questa indagine, resi noti all’inizio del 2007, hanno sollevato polemiche molto vivaci, perché offrono un quadro abbastanza desolante – ma non imprevisto – circa la condizione delle parlate locali .
Un’occasione mancata Prima di esaminare i risultati della ricerca, occorre sottolineare un fatto: nell’aprile 2006, proprio quando l’indagine era nel vivo, la Regione Sardegna adottava la cosiddetta Limba Sarda Comuna, ossia il sardo standard per gli usi scritti ufficiali. In sostanza, in un primo tempo la Regione aveva voluto e finanziato la ricerca anche per conoscere il parere dei Sardi in vista di importanti scelte di politica linguistica; successivamente, quelle scelte si effettuavano senza attendere la conclusione dell’indagine sociolinguistica, senza cioè avere quegli elementi di conoscenza che in un primo tempo si erano giudicati imprescindibili.
Competenze dialettofone (1) Gli intervistati (qui e più avanti facciamo riferimento agli adulti) hanno dichiarato in percentuale molto elevata di saper parlare una delle varietà locali (oltre al sardo, l’algherese, il gallurese, il sassarese e il tabarchino). Infatti: il 68,3% ha detto di saper parlare una qualche varietà locale (competenza attiva); il 29% ha dichiarato di capire soltanto, ma non di parlare, una qualche varietà locale (competenza passiva); il 2,7% ha affermato di non essere in grado di parlare né di capire alcuna varietà locale.
Competenze dialettofone (2) Di fronte a un dato così incoraggiante, almeno in apparenza, per lo stato di salute delle parlate locali, vale la pena di fare qualche osservazione: 1) agli intervistati è stato chiesto qui solo se sappiano parlare una varietà locale, non se lo facciano realmente (cosa che si farà più avanti, con risultati di segno opposto); 2) cosa significa saper parlare una lingua? Parlarla fluentemente, saper dire qualche frase, o anche impiegarla giusto per qualche intercalare all’interno di discorsi in italiano? In altri termini, è evidente che possono essersi dichiarati dialettofoni – per ragioni che meritano di essere spiegate – anche individui con scarsa o scarsissima competenza del dialetto.
Profilo dei dialettofoni A dichiararsi dialettofoni sono soprattutto le persone più anziane, di sesso maschile, con scarso livello di istruzione. Se si considerano le dimensioni dei centri abitati, si rileva facilmente che il solco profondo è quello che separa i Comuni che hanno meno di 20.000 abitanti da quelli maggiori, con una differenza di circa 20 punti percentuali nelle dichiarazioni di competenza dialettofona attiva. centri fino a 4.000 ab. centri da 4.000 a 20.000 ab. centri da 20.000 a 100.000 ab. centri oltre 100.000 ab. parla una varietà loc. 85,6% 85,0% 64,4% 57,8% capisce, ma non parla, una varietà loc. 13,4% 14,1% 32,2% 38,7% non capisce né parla alcuna varietà loc. 1,0% 0,9% 3,4% 3,5%
L’uso delle lingue locali Se si considerano le risposte alle domande sull’uso (che è cosa diversa dalla conoscenza, anche se la implica) delle lingue locali, ritroviamo per la Sardegna quell’immagine di regione con un tasso di italofonia medio-alto che anche i più recenti dati Istat del 2006 hanno evidenziato. In questo senso, le indicazioni più eloquenti si ottengono in relazione al dominio familiare, ove le varietà locali sono impiegate, in modo esclusivo o preferenziale, soprattutto con gli anziani e, in generale, nell’àmbito della famiglia di provenienza. Quando gli intervistati passano a descrivere gli usi nella cerchia più ristretta della propria famiglia nucleare (cioè col coniuge/partner e coi figli) si registra una netta preferenza accordata all’italiano.
Uso delle diverse varietà in famiglia da parte dei dialettofoni italiano varietà loc. entrambi con i nonni 30,0% 43,4% 26,6% con le nonne 29,7% 43,7% con i genitori 42,9% 35,5% 21,5% con i fratelli 39,3% 41,3% 19,4% con le sorelle 42,4% 39,7% 17,9% con il coniuge/partner 54,7% 28,5% 16,8% con i figli 66,2% 16,5% 17,3% con le figlie 15,6% 18,2%
Uso del dialetto coi figli Fatto importante (ma non inatteso), si è visto che, con l’abbassarsi dell’età dei genitori, cresce la tendenza all’impiego esclusivo dell’italiano coi figli. Per la classe generazionale 25-44 anni, ad es., il 74,2% degli intervistati dichiara di rivolgersi ai figli in italiano (il 7,5% in dialetto; l’opzione entrambi è al 18,3%): si capisce bene quanto siano compromessi i decisivi meccanismi di trasmissione intergenerazionale delle varietà locali. In netta controtendenza rispetto al resto dell’isola è il dato relativo all’uso del tabarchino a Carloforte: qui, infatti, i genitori dichiarano di rivolgersi ai figli in tabarchino nel 58,8% dei casi (contro un dato medio regionale intorno al 16%), in italiano solo nel 32,4% (contro un dato medio regionale di oltre il 66%).
Breve bibliografia G. R. Cardona, Dizionario di linguistica, Roma 1988. G. Lupinu, Lingue, culture, identità in Sardegna: a proposito di una recente indagine sociolinguistica, in Atti dell’VIII Congresso Internazionale dell’Associazione Italiana di Linguistica applicata, Perugia 2008. A. Oppo (a cura di), Le lingue dei sardi. Una ricerca sociolinguistica, Cagliari 2007, in http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_4_20070510134456.pdf (14/01/2009).