Ciclo Bretone e Carolingio

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Transcript della presentazione:

Ciclo Bretone e Carolingio Menu’

Menu’ Cicli Narrativi Autori Commenti Lingua D’Oc Lingua D’Oil L’Orlando Furioso Di L.Ariosto L’Orlando Innamorato Di M.Boiardo La Gerusalemme Liberata Di T. Tasso

Cicli narrativi Tutta la materia narrativa francese del medioevo si svolse in una serie di poemi e romanzi che si collegano all'uno o all'altro di tre così detti cicli: carolingio, bretone e classico. Al ciclo carolingio appartengono canti epici (chansons de geste) che trovieri o giullari recitavano nei castelli e nelle piazze, al suono della viola: canti che esaltavano la figura di Carlo Magno e le imprese compiute dalla famiglia (gesta) dei suoi paladini.Il poema più antico (seconda metà del sec.XI) e più famoso è la Chanson de Roland, rimaneggiamento fantastico, non senza l'intento nazionale, dell'episodio di Roncisvalle (778). Al ciclo bretone (o di Artù) appartengono molti romanzi lavorati sulle leggendarie avventure dei cavalieri di re Artù: dei quali i più noti sono il Chevalier De Lion e il Lancelot di Chretien De Troyes. Al ciclo classico appartengono narrazioni in prosa e in verso su talune tradizioni mitologiche e storiche dell'antichità classica, attinte a rifacimenti della decadenza: tali sono il Roman de Troie di Benedetto Di Sante More, il Roman de Julies Cèsar di Giulio De Forest, il Roman d'Alexandre, in versi di quattordici sillabe (onde più tardi il nome di alessandrini),forse di Lamberto Le Tort.

Lingua D’ oc La letteratura in lingua d'oc è composta prevalentemente di opere in poesia. Si sviluppa nelle zone della Francia meridionale ed avrà una profonda influenza sulla poesia lirica italiana. La lirica cortese ha prevalentemente carattere amoroso, e trae i modelli di comportamento e di linguaggio dall'ambiente feudale. Il poeta è un "vassallo" che si sottomette alla donna amata, la serve e attende da lei il beneficio. I suoi ideali sono la fedeltà, il coraggio, l'eroismo, ma altra diventa la loro destinazione: il poeta si consacra alla dama, la onora e le è devoto fino al sacrificio. Lo stile della poesia trobadorica  (scritta cioè da trovatori), mostra un sorprendente livello di raffinatezza: è evidente la capacità di dominare la materia narrata, ricorrendo alle più ardite sperimentazioni linguistiche e retoriche. La produzione cortese è ricchissima e non è esclusivamente maschile: si contano infatti almeno diciassette poetesse in Lingua D’Oc.

Lingua D’ oil La letteratura d'oil è costituita, per la gran parte, dalle chansons de geste ("canzone di gesta"), raccolte nei cicli carolingio e bretone. Nel ciclo carolingio spicca la Chanson de Roland (Canzone di Rolando), che risale alla prima metà dell'Xl secolo. Nel ciclo bretone si narrano invece le gesta dei cavalieri della Tavola Rotonda e del loro re, Artù. Fra le loro imprese leggendarie occupa un posto preminente la ricerca del Santo Graal, la coppa dove Giuseppe d' Arimatea raccolse il sangue di Gesù crocifisso. Le forme in cui sono raccontate le gesta dei cavalieri sono varie: canti con accompagnamento musicale, poemetti, romanzi in prosa. Idealità cavalleresche, audacia e spirito di sacrificio ricorrono  nel ciclo bretone come in quello carolingio, con in più la presenza di altri elementi, tra i quali spiccano in particolare il soprannaturale e il magico. Ma, soprattutto, il ciclo bretone è contraddistinto da un fortissimo senso dell' avventura. I protagonisti s' impegneno in azioni nelle quali l' alto rischio personale permette di misurare le proprie capacità e di raggiungere la gloria individuale, per lo più con lo scopo di conquistare la donna amata. Nel ciclo bretone comincia a prendere forma il modello del cavaliere errante, che avrà una larga diffusione nelle letterature dei secoli successivi in tutta Europa. L'autore più noto del ciclo è Chrétien de Troyes, vissuto tra il 1135 circa e il 1190 circa, cui sono attribuiti cinque romanzi cavallereschi, tra i quali 'Lancelot' e 'Perceval', che hanno per protagonisti i due celeberrimi eroi della Tavola Rotonda. 

L’Orlando Furioso Di Ludovico Ariosto 1 Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori, le cortesie, l'audaci imprese io canto, che furo al tempo che passaro i Mori d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, seguendo l'ire e i giovenil furori d'Agramante lor re, che si diè vanto di vendicar la morte di Troiano sopra re Carlo imperator romano. 2 Dirò d'Orlando in un medesmo tratto cosa non detta in prosa mai, né in rima: che per amor venne in furore e matto, d'uom che sì saggio era stimato prima; se da colei che tal quasi m'ha fatto, che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima, me ne sarà però tanto concesso, che mi basti a finir quanto ho promesso.

L’ORLANDO FURIOSO DI LUDOVICO ARIOSTO 3 Piacciavi, generosa Erculea prole, ornamento e splendor del secol nostro, Ippolito, aggradir questo che vuole e darvi sol può l'umil servo vostro. Quel ch'io vi debbo, posso di parole pagare in parte e d'opera d'inchiostro; né che poco io vi dia da imputar sono, che quanto io posso dar, tutto vi dono. 4 Voi sentirete fra i più degni eroi, che nominar con laude m'apparecchio, ricordar quel Ruggier, che fu di voi e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio. L'alto valore e' chiari gesti suoi vi farò udir, se voi mi date orecchio, e vostri alti pensieri cedino un poco, sì che tra lor miei versi abbiano loco.

L’ORLANDO FURIOSO DI LUDOVICO ARIOSTO 5 Orlando, che gran tempo innamorato fu de la bella Angelica, e per lei in India, in Media, in Tartaria lasciato avea infiniti ed immortal trofei, in Ponente con essa era tornato, dove sotto i gran monti Pirenei con la gente di Francia e de Lamagna re Carlo era attendato alla campagna, 6 per far al re Marsilio e al re Agramante battersi ancor del folle ardir la guancia, d'aver condotto, l'un, d'Africa quante genti erano atte a portar spada e lancia; l'altro, d'aver spinta la Spagna inante a destruzion del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò quivi a punto: ma tosto si pentì d'esservi giunto:

L’ORLANDO FURIOSO DI LUDOVICO ARIOSTO 7 Che vi fu tolta la sua donna poi: ecco il giudicio uman come spesso erra! Quella che dagli esperi ai liti eoi avea difesa con sì lunga guerra, or tolta gli è fra tanti amici suoi, senza spada adoprar, ne la sua terra. Il savio imperator, ch'estinguer volse un grave incendio, fu che gli la tolse

Autori Ludovico Ariosto Torquato Tasso Matteo Boiardo

Commenti Quali sono le caratteristiche dell'ottava dell'Innamorato? Il Boiardo riorganizza la struttura del tradizionale poema in ottava rima nel costante tentativo di far coincidere l'aspetto metrico-fonico e quello semantico. Si tratta di una riforma di un certo rilievo se si pensa allo schema rigido e monotono dei cantari, la cui ottava presenta un procedere di tipo oppositivo scandito per distici, ciascuno dei quali fornisce notizie diverse e autonome. Lo schema astratto dell'ottava trova nell'Innamorato diverse possibilità di realizzazione, che vanno dalla più solida struttura 6+2 al verso frase. La prima tipologia, che sarà sfruttata maggiormente dall'Ariosto, supera il frammentismo dell'arcimodello definendosi in una struttura dalla straordinaria solidità, che conserva spesso al distico finale uno stacco anche tematico, sede di proverbi e iperboli funzionali al «distanziamento» ironico. Più ricorrente è lo schema 4+4, con cui il Boiardo porta a un massimo di fusione la frammentazione interna dei cantari. Poco frequente è, invece, l'articolazione in versi frase, che oppone alla «forma aurea» in due quartine l'autonomia sintattica e semantica dei singoli versi, che possono assumere funzione di commento, valore anaforico (sintesi di ciò che è già stato detto) o cataforico (anticipazione di ciò che verrà detto). Anche in quest'ultima tipologia, nonostante le apparenze, l'ottava risulta fortemente coesa attraverso legami retorici, logici, sintattici e semantici.

Commenti Che rapporto lega l'Orlando Furioso di Ariosto all'Innamorato di Matteo Maria Boiardo? Ariosto si dichiara esplicitamente continuatore dell'opera del Boiardo in una lettera del 1512 a Francesco Gonzaga, marchese di Mantova, che gli chiedeva notizie sul testo che si diceva lo scrittore stesse componendo. L'incompiutezza narrativa (le storie vengono costantemente annunciate e poi troncate) e strutturale (l'opera è mutila) dell'Innamorato, che termina bruscamente con il canto IX del III libro, innesca un meccanismo di serialità, diventando per alcuni letterati un invito a proseguire la storia con nuovi sviluppi. Le «gionte» dell'Orlando Innamorato sono sei, per mano di quattro autori diversi, di cui l'Ariosto è appunto l'ultimo. La sovrapposizione delle successive aggiunte genera, almeno all'inizio, una certa «vischiosità», come afferma Cesare Segre, nel senso che il Furioso per un certo periodo trascina con sé il pacchetto di opere precedenti, spesso confuso con l'Innamorato, e percepito come opera autonoma solo dopo la seconda edizione (1521), per diventare successivamente prototipo unico del genere cavalleresco.

Commenti Nel rinnovare il genere cavalleresco col suo Orlando Boiardo tiene conto delle esigenze del pubblico cortigiano a cui si rivolgeva? Venire incontro al gusto dei suoi lettori era naturalmente fondamentale per Boiardo, anche per il ruolo sociale che occupava nella vita politica. Le novità che egli introduce nel genere di cavalleria, riformandolo profondamente, sono quindi motivate anche dalle aspettative del pubblico: la commistione dei cicli bretone (le gesta di Artù e dei cavalieri della tavola rotonda) e carolingio (Carlo Magno e i suoi paladini); l'importanza assegnata agli ideali cortesi e all'amore accanto alla forza delle armi; il nuovo valore della letteratura classica riscoperta dall'Umanesimo; il racconto dell'epopea dei cavalieri come fondamento degli eventi storici; l'agilità nel volgere in parodia alcuni aspetti della tradizione cavalleresca. Negli ideali e nei comportamenti che la narrazione suggerisce devono rispecchiarsi i lettori della corte: perciò Boiardo, oltre a rappresentare personaggi e imprese che sappiano intrattenere il lettore e, insieme, siano modelli di riferimento civile, inserisce il suo pubblico nel poema attraverso la costruzione di una cornice che avvolge la storia e l'accompagna. L'effetto è quello d'uno specchio che riflette un'immagine ideale della civiltà della corte quattrocentesca, permettendo al poeta di trasmettere valori e codici di comportamento e al pubblico di riconoscersi in quegli stessi valori cavallereschi.

Torquato Tasso aUTORI Torquato Tasso,nato l'11 marzo 1544 a Sorrento da famiglia principesca, il padre Bernardo, anche lui insigne poeta, apparteneva ai Della Torre mentre la madre, Porzia De Rossi, bella e virtuosa, era di nobile stirpe. Le doti di Bernardo si trasferirono copiose e ancor più potenziate in Torquato il quale a diciotto anni esordì con il poema "Rinaldo", splendida opera dedicata al cardinale Luigi D'Este. La sua vita tuttavia può considerarsi distinta in due periodi: quello che va dalla nascita fino al 1575 e quello successivo dal 1575 in poi. Dagli otto ai dieci anni dovette assistere all'esilio del padre, alle persecuzioni politiche, alla cupidigia dei parenti ed all'allontanamento dell'amata madre che non rivedrà più. Studiò a Napoli e Roma per poi seguire il padre grazie al quale conobbe letterati insigni; fu questo il periodo più felice della sua vita durante il quale compose quel capolavoro che è la "Gerusalemme liberata". Nella seconda metà del 1574 è colpito da una violenta febbre e dal 1575 compie una serie di azioni che possono trovare spiegazione solo nella sua ossessione di essere perseguitato e nella sua sensibilità morbosa; uno stato d'animo che lo getterà nella solitudine più estrema e vicino allo squilibrio mentale totale (il duca Alfonso lo fece rinchiudere nell'ospedale di S. Anna, dove rimase per sette anni). Negli ultimi anni vagò così di corte in corte, di città in città ritornando, nel 1577, vestito da pastore a Sorrento presso la sorella Cornelia. Alla fine del suo pellegrinare, durante il quale continuò a comporre, si trovò a Roma dove accolse l'invito del Papa di recarsi al Campidoglio per ricevere l'alloro solenne. Morirà il 25 aprile 1595 alla vigilia dell'incoronazione che avverrà postuma.

Ludovico Ariosto aUTORI Primo di dieci figli, Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia l'8 settembre 1474 da Daria Malaguzzi Valeri e dal conte Niccolò Ariosto, capitano della rocca di quella città. La famiglia si trasferisce prima, nel 1481, a Rovigo, dove Niccolò è stato inviato dal duca I d'Este con l'incarico di comandante della guarnigione; poi, a seguito della guerra scoppiata tra Ferrara e Venezia, a Reggio, infine nel 1484, a Ferrara. E ferrarese, poi l'Ariosto amò sempre dirsi, tanto che, oramai vecchio, dichiarava che avrebbe ucciso chi gli avesse impedito di passeggiare ogni giorno sulla piazza di Ferrara, tra la facciata del duomo e le due statue dei marchesi Niccolò e Borso. In mezzo a quell‘Italia sconvolta dalle guerre tra Spagna e Francia, Ferrara rappresentava per lui la stabilità. Tra il 1489 e il 1494, contro voglia, per volere del padre, e con esiti piuttosto modesti, studia diritto presso l'Università di Ferrara. Ma intanto partecipa alla vivace vita della corte di Ercole I, dove entra in contatto con vari e prestigiosi letterati e umanisti (Ercole Strozzi, Pietro Bembo e molti altri). Lasciato finalmente libero dal padre di dedicarsi ai prediletti studi letterari, abbandona la giurisprudenza e intraprende lo studio della letteratura latina, impegnandosi anche in una produzione poetica sia latina (liriche amorose, elegie, De diversis amoribus, De laudibus Sophiae ad Herculem Ferrariae ducem primum, Epithalamium, epitaffi ed epigrammi) sia volgare, le Rime (pubblicate postume 1546).

Ludovico Ariosto Nel 1500 si chiude bruscamente il periodo degli studi tranquilli e dell'ozio letterario e si colloca la prima e traumatica svolta nella vita dell'Ariosto. Muore il padre, lasciando a lui che è il primogenito, oltre a una non floridissima situazione economica, la tutela delle cinque sorelle e dei quattro fratelli (tre dei quali minorenni e il maggiore Gabriele paralitico, che rimane con lui tutta la vita). Per provvedere alle necessità familiari, è costretto, pertanto, ad assumere i più diversi incarichi pubblici e privati, che a malincuore vengono continuamente a distrarlo dall'attività letteraria, l'unica a lui congeniale. E proprio a causa delle condizioni economiche e materiali imposte dalla vita cortigiana, l'Ariosto, a differenza del Boiardo, avverte una forte contraddizione tra la sua passione letteraria e il legame con la corte estense. Nel 1502 ottiene il capitanato della rocca di Canossa. Intorno al 1503 ha un figlio, Giambattista, dalla domestica Maria (più tardi avrà un altro figlio, Virginio, da Olimpia Sassomarino). Sempre nello stesso anno entra al servizio del cardinale Ippolito d'Este, figlio di Ercole I e fratello del duca Alfonso. Sotto il «giogo del Cardinal da Este», uomo gretto, avaro e insensibile alla cultura e alla poesia, svolge svariati, faticosi, mal retribuiti e ingrati compiti: dalle incombenze pratiche, quali aiutare il signore a spogliarsi, alle faccende amministrative, dalle funzioni di intrattenimento e di rappresentanza alle delicate e rischiose missioni politiche e diplomatiche. Tra il 1507 e il 1515, periodo assai ricco di incidenti diplomatici, è spesso costretto a fare viaggi a cavallo per recarsi ad Urbino, a Venezia, a Firenze, a Bologna, a Modena, a Mantova e a Roma.

Ludovico Ariosto E così, mentre attende alla stesura dell’Orlando furioso, e si impegna nell'ambito del teatro di corte, scrivendo e mettendo in scena i primi importanti esperimenti del nuovo teatro volgare, le commedie Cassaria e I Suppositi, l'Ariosto è protagonista di una delle fasi più aspre delle guerre d'Italia. Nel 1509 segue il cardinale nella guerra contro Venezia. Nel 1510 si reca a Roma per ottenere la revoca della scomunica inflitta da papa Giulio II al cardinale, ma viene minacciato di essere gettato ai pesci. Nel 1512, insieme al duca Alfonso, vive una romanzesca fuga attraverso gli Appennini, per sottrarsi alle ire del pontefice, deciso a non riconciliarsi con gli Estensi, alleatisi con i francesi nella guerra della Lega Santa Nel 1513, alla morte di Giulio II, si reca nuovamente a Roma per felicitarsi con il nuovo papa Leone X, sperando, tuttavia invano, di ottenere un beneficio generoso che gli permetta una sistemazione più tranquilla. In quello stesso anno torna a Firenze, dove dichiara il suo amore alla donna della sua vita, Alessandra Benucci, una fiorentina sposata con il ferrarese Tito Strozzi. Morto il marito, nel 1515, la Benucci verrà ad abitare a Ferrara, ma non vivrà mai con lui, neppure dopo il matrimonio, celebrato in gran segreto nel 1527 — affinché lei non perda i diritti all'eredità del marito e lui i suoi benefici ecclesiastici. Nel 1516 esce la prima edizione dell'Orlando furioso, dedicata al cardinale Ippolito d'Este, che tuttavia non dimostra alcuna gratitudine. E quando, nel 1517, questi, eletto vescovo di Buda, pretende che il poeta lo segua in Ungheria, egli si rifiuta, rompendo ogni legame.

Ludovico Ariosto Siamo a un'altra svolta nella vita dell'Ariosto. Inizia un tormentato periodo di crisi non solo per il poeta, in gravi difficoltà economiche, familiari e giudiziarie (per certe proprietà terriere della sua famiglia), ma anche per il ducato Estense in lotta con il papato e per l'Italia intera. Nel 1518, dunque, passa al servizio — o «servitù» — del duca Alfonso, pur senza migliorare la situazione economica. Intanto, tra il 1517 e il 1525, attende alla composizione delle sette Satire (pubblicate solo nel 1534): realistica e amara meditazione sugli ambienti cortigiani e sulla sorte degli uomini di lettere. Questi sono probabilmente anche gli anni a cui risale la stesura dei Cinque Canti, composti in vista di un inserimento nel Furioso, ma poi lasciati da parte a causa dei toni cupi e perciò dissonanti rispetto al resto del poema. Tra il 1519 e il 1520 prosegue la composizione delle rime in volgare e compone, inoltre, due commedie Il Negromante e I studenti (incompiuta). Dopo aver ristampato nel 1521 il Furioso, essendogli stato sospeso lo stipendio di cortigiano, nel 1522 l'Ariosto è costretto, seppur malvolentieri, ad accettare l'incarico affidatogli dal duca Alfonso: il commissariato della regione montuosa e selvatica della Garfagnana. Le Lettere, scritte per dovere d'ufficio al duca, rivelano la grande fermezza, serietà e sagacia amministrativa e politica con cui l'Ariosto cercò di ricondurre la legge e l'ordine in quel territorio di confine, infestato dai banditi e dalle violenza delle fazioni rivali.

Ludovico Ariosto Lasciata la Garfagnana, nel 1525 si apre un periodo più sereno e per il poeta e per il suo ducato. Tornato a Ferrara, il duca gli affida varie cariche amministrative ma anche incarichi a lui più congeniali. Viene chiamato, infatti, a far parte del Maestrato dei savi e viene nominato sovrintendente agli spettacoli di corte. Riscrive in versi la Cassaria e I Suppositi, rielabora Il Negromante e nel 1528 scrive una nuova commedia, la Lena. Nel 1532, tra l'altro, dirige le recite di una compagnia padovana inviata a Ferrara dal Ruzzante. Pochi sono i viaggi di questi anni. Nel 1528 è a Modena con il duca per scortare l'imperatore Carlo V di passaggio nello Stato estense. Nel 1531, dopo essere stato a Firenze, ad Abano e a Venezia, il marchese del Vasto, Alfonso d'Avalos, condottiero dell'esercito imperiale, gli assegna, a Correggio, una pensione di cento ducati d'oro. L'Ariosto trascorre gli ultimi anni della sua vita nell'amata casetta in contrada Mirasole, tra l'affetto di Alessandra e del figlio Virginio e la revisione del Furioso, la cui edizione definitiva esce nel 1532. Ammalatosi di enterite, muore il 6 luglio 1533. Dal 1801 il suo corpo è tumulato nella sala maggiore della Biblioteca Ariostea di Ferrara.

Matteo Maria Boiardo aUTORI Matteo Maria Boiardo nacque nel 1441 a Scandiano (nell’odierna Emilia) nel castello del nonno paterno, feudatario degli Estensi. Trascorsa l’infanzia a Ferrara, alla morte del padre (1451) Boiardo rientrò a Scandiano, dove proseguì gli studi. Ereditato il titolo feudale, all’attività di amministrazione del feudo Matteo affiancò presto l’assidua frequentazione delle corti degli Este, a Ferrara (dove, dal 1461, volle avere una stabile residenza), a Modena e a Reggio Emilia. Le prime opere in latino. La vita di corte stimolò ben presto la vena poetica del giovane Boiardo, di cui ci rimangono come documento più antico i Carmina de laudibus Estensium (Poesie in lode degli Estensi, composte tra il 1462 e il 1474), quindici eleganti componimenti latini in vario metro. Gli Amorum libri, un canzoniere in volgare. Fin dalla giovinezza Boiardo si esercitò anche nella poesia volgare e l’occasione per dare forma unitaria alle sue prove venne nel 1469, quando si innamorò della gentildonna reggiana Antonia Caprara. Intorno alla figura di questa giovinetta, descritta come bellissima e volubile, venne aggregandosi il canzoniere di Boiardo, gli Amorum libri tres (I tre libri degli amori).

Matteo Maria Boiardo Il definitivo trasferimento a Ferrara. I doveri di feudatario e di uomo di corte degli Estensi impegnavano Boiardo in missioni diplomatiche e di rappresentanza che gli impedivano di dedicarsi integralmente all’attività letteraria. Anche occuparsi dei beni feudali richiedeva una vigile attenzione e ciò indusse Boiardo ad allentare i legami con il feudo di Scandiano e a trasferirsi (dal 1476) a Ferrara, a stabile servizio presso la corte di Ercole con la generica qualifica di «comes» (“compagno”) del duca. L’Orlando innamorato. Il gusto per i romanzi cortesi e i poemi epici era quasi un compiaciuto contrassegno dell’ambiente estense e si traduceva in una ricca biblioteca di codici dei cicli di poemi arturiani e carolingi. Fu in questo clima che avvenne l’incontro del Boiardo con la materia narrativa a lui più congeniale, e sono questi gli anni in cui, con notevole celerità, prese forma il suo capolavoro, l’ Orlando innamorato . Chiaro riflesso della vita di corte, anche se di incerta datazione, sono pure i Capitoli del gioco dei tarocchi, settantotto terzine e due sonetti composti per illustrare un mazzo di ottanta carte ispirate a temi e simboli amorosi.

Matteo Maria Boiardo L’interruzione del poema e la morte. Gravi urgenze politiche, però, intervennero a sconvolgere la vita della corte ferrarese e nel 1480, nel corso della guerra contro Venezia, Boiardo venne nominato da Ercole governatore di Modena. La pace del 1484 non riuscì a sancire un ritorno del conte agli ozi letterari della vita cortigiana, perché appena due anni dopo venne nominato governatore di Reggio. Tra gli impegni di governo, Boiardo tentò di proseguire con un terzo libro le vicende dell’Innamorato, definitivamente interrotto dagli eventi che seguirono la discesa in Italia del re di Francia Carlo VIII (settembre 1494). Boiardo morì a Reggio il 19 dicembre 1494.

L’Orlando Innamorato Di M.Boiardo 1. Signori e cavallier che ve adunati Per odir cose dilettose e nove, Stati attenti e quïeti, ed ascoltati La bella istoria che 'l mio canto muove; E vedereti i gesti smisurati, L'alta fatica e le mirabil prove Che fece il franco Orlando per amore Nel tempo del re Carlo imperatore. 2. Non vi par già, signor, meraviglioso Odir cantar de Orlando inamorato, Ché qualunche nel mondo è più orgoglioso, È da Amor vinto, al tutto subiugato; Né forte braccio, né ardire animoso, Né scudo o maglia, né brando affilato, Né altra possanza può mai far diffesa, Che al fin non sia da Amor battuta e presa.

L’Orlando Innamorato Di M.Boiardo 3. Questa novella è nota a poca gente, Perché Turpino istesso la nascose, Credendo forse a quel conte valente Esser le sue scritture dispettose, Poi che contra ad Amor pur fu perdente Colui che vinse tutte l'altre cose: Dico di Orlando, il cavalliero adatto. Non più parole ormai, veniamo al fatto. 4. La vera istoria di Turpin ragiona Che regnava in la terra de orïente, Di là da l'India, un gran re di corona, Di stato e de ricchezze sì potente E sì gagliardo de la sua persona, Che tutto il mondo stimava nïente: Gradasso nome avea quello amirante, Che ha cor di drago e membra di gigante.

L’Orlando Innamorato Di M.Boiardo 5. E sì come egli avviene a' gran signori, Che pur quel voglion che non ponno avere, E quanto son difficultà maggiori La desïata cosa ad ottenere, Pongono il regno spesso in grandi errori, Né posson quel che voglion possedere; Così bramava quel pagan gagliardo Sol Durindana e 'l bon destrier Baiardo. 6. Unde per tutto il suo gran tenitoro Fece la gente ne l'arme asembrare, Ché ben sapeva lui che per tesoro Né il brando, né il corsier puote acquistare; Duo mercadanti erano coloro Che vendean le sue merce troppo care: Però destina di passare in Franza Ed acquistarle con sua gran possanza.

L’Orlando Innamorato Di M.Boiardo 7. Cento cinquanta millia cavallieri Elesse di sua gente tutta quanta; Né questi adoperar facea pensieri, Perché lui solo a combatter se avanta Contra al re Carlo ed a tutti guerreri Che son credenti in nostra fede santa; E lui soletto vincere e disfare Quanto il sol vede e quanto cinge il mare.

La Gerusalemme Liberata Di T. Tasso 1 Canto l'arme pietose e 'l capitano che 'l gran sepolcro liberò di Cristo. Molto egli oprò co 'l senno e con la mano, molto soffrí nel glorioso acquisto; e in van l'Inferno vi s'oppose, e in vano s'armò d'Asia e di Libia il popol misto. Il Ciel gli diè favore, e sotto a i santi segni ridusse i suoi compagni erranti. 2 O Musa, tu che di caduchi allori non circondi la fronte in Elicona, ma su nel cielo infra i beati cori hai di stelle immortali aurea corona, tu spira al petto mio celesti ardori, tu rischiara il mio canto, e tu perdona s'intesso fregi al ver, s'adorno in parte d'altri diletti, che de' tuoi, le carte. 3 Sai che là corre il mondo ove piú versi di sue dolcezze il lusinghier Parnaso, e che 'l vero, condito in molli versi, i piú schivi allettando ha persuaso. Cosí a l'egro fanciul porgiamo aspersi di soavi licor gli orli del vaso: succhi amari ingannato intanto ei beve, e da l'inganno suo vita riceve.

La Gerusalemme Liberata Di T. Tasso 4 Tu, magnanimo Alfonso, il quale ritogli al furor di fortuna e guidi in porto me peregrino errante, e fra gli scogli e fra l'onde agitato e quasi absorto, queste mie carte in lieta fronte accogli, che quasi in voto a te sacrate i' porto. Forse un dí fia che la presaga penna osi scriver di te quel ch'or n'accenna. 5 È ben ragion, s'egli averrà ch'in pace il buon popol di Cristo unqua si veda, e con navi e cavalli al fero Trace cerchi ritòr la grande ingiusta preda, ch'a te lo scettro in terra o, se ti piace, l'alto imperio de' mari a te conceda. Emulo di Goffredo, i nostri carmi intanto ascolta, e t'apparecchia a l'armi. 6 Già 'l sesto anno volgea, ch'in oriente passò il campo cristiano a l'alta impresa; e Nicea per assalto, e la potente Antiochia con arte avea già presa. L'avea poscia in battaglia incontra gente di Persia innumerabile difesa, e Tortosa espugnata; indi a la rea stagion diè loco, e 'l novo anno attendea.

La Gerusalemme Liberata Di T. Tasso 7 E 'l fine omai di quel piovoso inverno, che fea l'arme cessar, lunge non era; quando da l'alto soglio il Padre eterno, ch'è ne la parte piú del ciel sincera, e quanto è da le stelle al basso inferno, tanto è piú in su de la stellata spera, gli occhi in giú volse, e in un sol punto e in una vista mirò ciò ch'in sé il mondo aduna. 8 Mirò tutte le cose, ed in Soria s'affisò poi ne' principi cristiani; e con quel guardo suo ch'a dentro spia nel piú secreto lor gli affetti umani, vide Goffredo che scacciar desia de la santa città gli empi pagani, e pien di fé, di zelo, ogni mortale gloria, imperio, tesor mette in non cale. 9 Ma vede in Baldovin cupido ingegno, ch'a l'umane grandezze intento aspira: vede Tancredi aver la vita a sdegno, tanto un suo vano amor l'ange e martira: e fondar Boemondo al novo regno suo d'Antiochia alti princípi mira, e leggi imporre, ed introdur costume ed arti e culto di verace nume;

La Gerusalemme Liberata Di T. Tasso 10 e cotanto internarsi in tal pensiero, ch'altra impresa non par che piú rammenti: scorge in Rinaldo e animo guerriero e spirti di riposo impazienti; non cupidigia in lui d'oro o d'impero, ma d'onor brame immoderate, ardenti: scorge che da la bocca intento pende di Guelfo, e i chiari antichi essempi apprende.