Percezioni ingannevoli 2 Come se non fossi un uomo che è solito dormire la notte, e nei sogni provare tutte quelle immagini, e talvolta anche meno verosimili di quelle che provano costoro da svegli. Quante volte poi il riposo notturno mi fa credere vere tutte queste cose abituali, ad esempio che io sono qui, che sono vestito, che sono seduto accanto al fuoco, mentre invece sono spogliato e steso tra le lenzuola! Eppure ora vedo con occhi che sono sicuramente desti questo foglio, questo mio capo che muovo non è addormentato, stendo questa mano con pienezza di sensi e di intelletto e percepisco: chi dorme non avrebbe sensazioni tanto precise. Come se poi non mi ricordassi che anche altre volte nel sogno sono stato ingannato da simili pensieri; e mentre considero più attentamente tutto ciò, vedo che il sonno, per sicuri indizi, non può essere distinto mai dalla veglia con tanta certezza che mi stupisco, e questo stupore è tale che quasi mi conferma l'opinione che sto dormendo (ivi)
tam plane video nunquam certis indiciis vigiliam a somno posse distingui
Tuttavia riconoscere che sappiamo che cosa siano veglia e sogno non significa ancora sostenere che possediamo un criterio che ci consenta di affermare al di là di ogni possibilità di errore se siamo svegli o se siamo immersi in un sogno. Conoscere il significato di una parola non vuol dire possedere un criterio che ci consenta di dire al di là di ogni possibile dubbio se avevamo effettivamente ragione ad utilizzare quel termine proprio in quel contesto
anche se non è difficile impiegare sensatamente il vocabolario dell’esperienza onirica, non per questo abbiamo un criterio che sappia dirci mentre sogniamo se stiamo davvero sognando e che consenta di escludere la possibilità di un finto risveglio: anche se ora siamo certi di essere desti, potremmo all’improvviso svegliarci e scoprire di aver soltanto sognato ciò che credevamo appartenesse alla nostra esperienza desta
ciò che accomuna la percezione al sogno deve essere la sua natura presentativa. Posso ingannarmi e credere di vedere ciò che in realtà sto solo sognando, e tuttavia qualcosa permane al di là di ciò che viene meno insieme al dissolversi dell’inganno: che veda o sogni, ho egualmente coscienza di qualcosa ─ del mio essere seduto di fronte al fuoco, per esempio. Ne segue che, per Cartesio, qualcosa si raffigura comunque nella percezione o nel sogno, ed è proprio questo qualcosa ─ questa serie di esperienze vissute che, nella loro datità manifesta, permangono al di là del dubbio ─ la condizione che rende possibile confondere l’una per l’altro
l’argomento del sogno sembra ricondurci verso una teoria della percezione di stampo rappresentazionalistico: nel sogno abbiamo esperienza di un mondo di cose che non hanno un’esistenza reale, ma che sono egualmente vissute e che in qualche modo «esistono» ─ sia pure soltanto come oggetti della nostra coscienza. E ciò che è vero del sogno deve valere anche per la nostra esperienza percettiva poiché se non vi è un criterio sicuro per distinguere ciò che vediamo da ciò che sogniamo, allora si deve necessariamente concludere che anche la percezione propriamente consta di immagini, di idee che solo mediatamente parlano del mondo reale
Potremmo tentare allora una sorta di definizione e chiamare realismo indiretto o rappresentazionalismo in senso proprio ogni teoria della percezione secondo la quale l’oggetto immediato della percezione è un oggetto mentale che rimanda secondo un qualsiasi nesso all’oggetto mediato che a sua volta differisce dal primo perché laddove questo è di natura mentale, soggettiva e immanente, l’altro è di natura reale, intersoggettiva e trascendente.
The argument from illusion Sulla natura di quest’argomento dobbiamo vedere chiaro, e ciò significa chiedersi quali siano le premesse su cui poggia per vedere se la conclusività dell’argomento può costringerci ad abbandonare una convinzione che appartiene tanto al senso comune, quanto alla struttura fenomenologica dell’esperienza percettiva: la tesi secondo la quale ciò che vediamo e sentiamo e tocchiamo sono proprio gli oggetti del mondo e non le loro immagini mentali.
se è vero che 1. vi sono esperienze ingannevoli; 2. ogni percezione, veridica o ingannevole che sia, ha un oggetto; 3. due percezioni che sembrano riferirsi ad uno stesso oggetto, contraddicendosi, hanno oggetti immediati numericamente differenti; 4. ciò che non è reale ma è egualmente presente per la coscienza ha lo statuto etereo degli oggetti mentali, dei sense data; 5. due percezioni che hanno oggetti toto genere distinti debbono esibire una differenza fenomenologica evidente; 6. Tra percezioni veridiche e percezioni ingannevoli non vi sono differenze interne evidenti; 7. le uniche differenze interne tra percezioni riguardano il contenuto di immagine che le caratterizza, allora si può dedurre che ogni percezione ha come suo oggetto immediato un’idea.
vi sono esperienze ingannevoli?
Gli specchi sono esperienze ingannevoli?
Sapere e vedere
Sapere e vedere
Le abitudini percettive possono essere tacitate?
La tesi che guida Ayer: l’errore della percezione si situa nella discrasia tra l’immagine percettiva e ciò che in essa si raffigura: . Una percezione ci inganna se l’oggetto percepito presenta. different appearances to different observers, or to the same observer in different conditions, and that the character of these appearances is to some extent causally determined by the state of the conditions and the observer (ivi, p. 3).
Credo che si debba convenire che questo criterio è sbagliato Credo che si debba convenire che questo criterio è sbagliato. Ayer sembra credere che una percezione, per essere veridica, debba essere indipendente dalla determinatezza spaziale e dalla natura del percipiente, ma una simile convinzione ci costringe a pensare che una percezione, per essere vera, debba scandirsi in immagini che rammentino le figure di un abbecedario: per ogni lettera l’abbecedario ci presenta un disegno e ciascuno illustra esemplarmente un oggetto, mostrandocelo al di fuori di ogni contesto e di ogni determinatezza situazionale.
Ogni percezione è dunque necessariamente percezione di qualcosa in un contesto determinato, ed un contesto si definisce anche in virtù della relazione che esso stringe con il luogo che la soggettività occupa. Ne segue che il criterio che Ayer ci propone ha come sua ovvia conseguenza il fatto che non possano in generale sussistere percezioni veridiche, ─ una conseguenza, questa, che mi sembra essere in qualche misura imbarazzante poiché equivale a sostenere che non è in generale possibile dire come dovremmo percepire qualcosa per percepirla correttamente.
un’immagine non contiene ancora il modo della sua applicazione e non è quindi in grado di determinare univocamente il suo senso
Un dogma dell’empirismo: ogni forma di apprendimento non soltanto implica, ma è in se stessa il costituirsi di un’abitudine ciò che muta con il tempo e distingue il vedere del bambino da quello dell’adulto non è soltanto la presenza di un’abitudine che ci consentirebbe di non farci ingannare da ciò che abbiamo sotto gli occhi, ma è anche l’affermarsi di un processo di apprendimento che ci insegna a disporre le scene percettive sotto l’egida di una diversa regola
Ciò che non è reale è per questo un oggetto mentale? Dove il nostro linguaggio ci fa supporre l’esistenza di un corpo, e non c’è alcun corpo, là vorremmo dire, c’è uno spirito (L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, op. cit., § 36).