L’Infinito di Leopardi Innovazione nella tradizione
Tradizione - Innovazione Giacomo Leopardi (1798-1837) Un illuminista romantico Un classicista moderno Un conservatore progressista Un provinciale europeo ALBERTO ASOR ROSA in uno dei suoi saggi più illuminati afferma che tutti i grandi “classici”, come Dante Alighieri e Giacomo Leopardi, sono stati nel loro tempo degli innovatori, dei trasgressivi, in senso letterale (dal latino transgredi, “andare oltre”) -La fondazione del laico, LIE-. Il classico è insomma colui il quale, partendo dalla tradizione, la innova profondamente dall’interno. Questo vuol dire anche che nessun grande genio (letterario, artistico, musicale) lavora al di fuori del solco tracciato da chi lo ha preceduto.
L’Infinito. Un po’ di storia Composto a Recanati nel 1819 E’ il primo degli “idilli” Lo stesso Leopardi ci fornisce la prima “lettura critica” di questo testo: «Alle volte l’anima desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il desiderio dell’infinito, perché allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico subentra al reale. L’anima s’immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario», Zibaldone (1820)
Il solco della tradizione Termini aulici e preziosi ermo cor guardo Riferimento, fin dall’utilizzo del termine ‘idillio’, alla grande esperienza della poesia greca classica
Elementi innovativi Verso libero per esprimere l’”io” lirico (l’endecasillabo sciolto era già stato usato da Monti e altri contemporanei ma solo all’interno di una poetica solenne) Riferimenti a oggetti/luoghi della quotidianità (la “siepe” si trovava effettivamente accanto a casa Leopardi a Recanati) Centralità della percezione (lezione recuperata qualche decennio più tardi anche da Pascoli e D’Annunzio)
Analisi del testo Forma Contenuto Un’esperienza sensoriale Tradizionalmente i due aspetti sostanziali di ogni corretta analisi del testo, in particolare di quello letterario e ancora più in particolare di quello poetico. Essi vanno tenuti sempre intrecciati e non vanno considerati come due aspetti distinti, bensì come due facce della stessa medaglia. Il contenuto senza una forma degna scade in letterarietà prosaica e antiestetica; la forma senza un contenuto forte degenera in aridità e freddezza. Inoltre: più si scompone e analizza la forma come un bravo chirurgo del testo poetico meglio si comprenderà anche il suo contenuto.
Forma Un’unica strofa Endecasillabi sciolti Continuo ricorso all’enjambement Presenza martellante del polisindeto ‘e’ (ripetizione) Insistenza sulla vocale ‘a’ Allitterazioni Efficace metafora finale (che costituisce un “ponte” tra forma e contenuto) Tutte queste scelte linguistiche, stilistiche ed espressive non sono casuali, hanno cioè una ragione, strettamente legata alla cosiddetta “intenzione d’autore”. Per comprendere a pieno il “contenuto” dobbiamo quindi prima di tutto ricostruire e comprendere con molta cura le varie caratteristiche formali del testo poetico: in questo caso, ognuna di queste scelte risale a una precisa volontà di trasmissione (cfr. Canale della comunicazione: emittente-codice-messaggio-ricevente, CESARE SEGRE)
Contenuto L’autore descrive se stesso, seduto davanti a una siepe che gli impedisce di spaziare con lo sguardo sulla natura circostante. Ma inaspettatamente è proprio quell’ostacolo fisico a “permettergli” una visione diversa, frutto della sua immaginazione. Questa fantasia di infinità gli procura alla fine una sensazione di piacere, dolcezza e benessere. Divisibile esattamente in due parti: la prima (vv. 1-8) è dominata da una sensazione visiva; nella seconda (vv. 8-15) alla vista si sostituisce l’udito. Apparentemente niente di eccezionale! Come fa l’autore a trasformare un’occasione come questa, che capita a tutti prima o poi nella vita e che potrebbe essere descritta anche da un bambino, in un capolavoro assoluto della nostra Letteratura? Lo fa proprio “costruendo” sapientemente un testo in cui OGNI SINGOLA PAROLA è scelta con meticolosa cura.
Andiamo un po’ più in profondità: le Parole-chiave Sono tutti quei termini particolarmente densi che soprattutto in poesia conferiscono più peso e spessore al testo stesso, rivelando in una forma privilegiata le intenzioni dell’autore. Possono essere sostantivi, aggettivi, verbi, avverbi, ma anche, come vedremo subito, semplici congiunzioni. Al nostro intuito di critici letterari tocca “scovarle” senza timore di sbagliare. Lasciamoci guidare dalle nostre sensazioni! L’Infinito è tutto una parola-chiave! (ricordiamo il rapporto che si DEVE sempre ricercare tra forma e contenuto).
Parole-chiave Aggettivi, avverbi di grado “superlativo” Sempre-interminati-sovrumani-profondissima-infinito Sostantivi con valore “assoluto” Orizzonte-spazi-silenzi/o-quiete-eterno-stagioni-immensità-mare Combinati insieme aggettivi e sostantivi sono l’arma più potente con cui Leopardi ci rappresenta il “suo infinito”, che si realizza in una doppia dimensione spazio/temporale. Quelli descritti nel testo, infatti, sono tempi e spazi assoluti ed eterni, immutabili. Ricordiamo la presenza martellante della congiunzione ‘e’ e dell’enjambement: a cosa servono?!
Parole-chiave Verbi “eternizzanti” Fu esclude, fingo, spaura, è (dal passato remoto a un presente assoluto e senza tempo) Sedendo e mirando (gerundi “infiniti”, che bloccano l’azione e la prolungano nel tempo) A volte il Presente non implica un’azione, un movimento, qualcosa che accade e che a un certo punto si interrompe o si esaurisce (“Oggi vado in palestra”; “Manuela mangia una mela”, etc.). Se pensiamo a frasi come “Il tempo fugge”, “L’uomo è mortale”, “L’amore rende migliori”, etc. si descrivono situazioni assolute, immutabili, dove nulla incomincia e nulla finisce, ma semplicemente “è”. In questi casi si deve parlare di “presente assoluto”.
Parole-chiave Uso dei deittici per rimarcare la forte contrapposizione tra qui/ora e là/sempre: Quest’ermo colle - questa siepe - queste piante - questa voce Vs. quella - quello infinito. Però qualcosa non torna…. Quella siepe Questa immensità, questo mare?!? Leopardi ci fa viaggiare con lui, ci trasporta sulle ali della sua immaginazione per cui anche nella nostra percezione quello che prima era vicino (la siepe) diventa a un certo punto lontano, indifferente; e quello che era lontano e inafferrabile (l’Infinito) diventa alla nostra portata, accanto a noi, dentro di noi. Una dimensione che dall’esterno si interiorizza progressivamente, fino a trasformarci in profondità.
Parole-chiave (anche le più piccole e apparentemente insignificanti!) Avverbio “forte” Ma segna un’inversione, un cambio di scena, e rappresenta, anche grammaticalmente, l’ostacolo da superare. Aggettivo Dolce correlato con l’iniziale caro, si riferisce a una sensazione che investe tutti i sensi (vista, olfatto, udito, tatto, odorato). Non esiste nella lingua italiana un aggettivo più adatto per rappresentare…
…un naufragio lento e voluttuoso in un mare infinito… Leopardi descrive efficacemente il suo sprofondare in una sensazione di benessere e di pace, in cui si perde a poco a poco la percezione dello spazio e del tempo presente, in cui tutti gli elementi di realtà intorno a lui scompaiono, per lasciare posto soltanto all’infinito della sua anima. Uno dei maggiori studiosi del poeta, WALTER BINNI, ha parlato a tal proposito di “musica perfetta di un itinerarium in infinitum”.
Metafora finale “e il naufragar m’è dolce in questo mare” Nota bene: presenza della vocale ‘a’, due volte in posizione tonica apertura, dilatazione allitterazione in ‘r’ fuidità, scorrevolezza rima interna naufragare-mare sonorità congiunzione ‘e’ iniziale continuum spazio-temporale Ogni parola ha il suo posto e nulla è fuori posto! Questa è una poesia “perfetta”.
Una costruzione perfetta che si conclude in modo perfetto!