CONCETTI DI BASE IN IMMUNOLOGIA

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CONCETTI DI BASE IN IMMUNOLOGIA

IMMUNITA’ INNATA E ACQUISITA L’immunità innata costituisce una prima barriera agli agenti patogeni e si basa soprattutto sulla capacità di cellule fagocitarie di rimuovere l’agente senza che vi sia stata alcuna esposizione precedente allo antigene. GRANULOCITI E MACROFAGI L’immunità acquisita o adattativa viene generata nel corso della vita, quando l’individuo viene a contatto con un determinato agente infettivo LINFOCITI

LE COMPONENTI DEL SISTEMA IMMUNITARIO Le cellule del sistema immunitario originano nel midollo osseo, dove la maggior parte vi maturano anche. Quindi migrano per controllare i tessuti, circolando nel sangue e in un sistema specializzato di vasi chiamato sistema linfatico.

CELLULE DELLA LINEA MIELOIDE Le cellule della linea mieloide partecipano sia all’immunità innata che a quella acquisita. I granulociti comprendono i neutrofili, i basofili e gli eosinofili: sono cellule circolanti che rimangono all’interno del sangue fino a che non vengono richiamate nel sito di infezione e infiammazione, dove si comportano da cellule effettrici. I macrofagi ed i mastociti completano la loro maturazione nei tessuti dove agiscono come cellule effettrici. I macrofagi fagocitano batteri e richiamano i neutrofili circolanti. I mastociti sono coinvolti nella difesa contro i parassiti e nelle reazioni allegiche: richiamano eosinofili e basofili. Le cellule dendritiche entrano nei tessuti come fagociti immaturi dove si specializzano per catturare l’antigene e poi migrano nei tessuti linfoidi.

LINFOCITI I linfociti naive sono cellule di piccole dimensioni, con pochi organelli citoplasmatici e molta cromatina nucleare inattiva. I linfociti sono potenzialmente in grado di scatenare una risposta immunitaria specifica contro qualsiasi agente estraneo a causa della espressione sulla loro superficie di recettori antigenici con una singola specificità Il recettore dell’antigene delle cellule B o BCR (B cell receptor) è un anticorpo legato alla membrana che verrà secreto dopo l’attivazione e la differenziazione in plasmacellule. Il recettore dell’antigene delle cellule T o TCR (T cell receptor) riconosce gli antigeni derivati dalle proteine estranee o dai patogeni che sono stati processati all’interno della cellula. Le cellule “natural killer” o cellule NK non hanno recettori antigene- specifci (sistema immunitario innato): difesa contro cellule tumorali, infettate da virus e da patogeni intracellulari.

MATURAZIONE DEI LINFOCITI Gli organi linfoidi sono tessuti organizzati che contengono un elevato numero di linfociti che interagiscono con cellule non linfoidi. Queste interazioni sono importanti sia per il loro sviluppo, che per il loro sostentamento e per l’inizio della risposta immunitaria acquisita. I linfociti B e T originano nel midollo osseo, ma mentre i linfociti B vi maturano, i linfociti T lo fanno nel timo. Midollo osseo e timo sono chiamati organi linfoidi centrali o primari. Una volta maturati, entrambi i tipi di linfociti entrano nel circolo sanguigno per raggiungere gli organi linfatici periferici, dove ha inizio la risposta immunitaria acquisita. Gli organi linfatici secondari sono i linfonodi, la milza ed i tessuti linfoidi associati alle mucose.

ORGANI LINFOIDI PERIFERICI In questi organi avviene l’incontro tra linfociti e gli antigeni trasportati da cellule dendritiche. I linfonodi catturano l’antigene proveniente dai tessuti periferici e trasportato da macrofagi e cellule dendritiche. I linfociti arrivano ai linfonodi dal sangue e vi entrano attraverso venule capillari specializzate. Le cellule dendritiche arrivano attraverso i vasi linfatici afferenti. La milza cattura gli antigeni del sangue. I linfociti e le cellule dendritiche si incontrano nella capsula linfoide periarteriolare. I tessuti linfoidi associati alle mucose (GALT, BALT, MALT) hanno una struttura simile a quella degli altri organi e sequestrtano gli antigeni presenti sulle superfici epiteliali.

CIRCOLAZIONE DEI LINFOCITI I linfociti naive circolano continuamente tra il sangue e i tessuti linfodi periferici. I linfociti vengono poi riportati nel sangue o attraverso i vasi linfatici o nella milza entrano direttamente in circolo. Se non avviene l’incontro con l’antigene, i linfociti comunque ricevono segnali di sopravvivenza. Se avviene l’incontro si fermano nel tessuto linfoide dove proliferano e maturano in cellule effettrici capaci di combattere l’infezione. Una volta proliferati e differenziati, i linfociti lasciano i linfonodi attraverso i vasi linfatici efferenti o la milza attraverso le vene trabecolari.

PRINCIPI DI IMMUNITA’ INNATA ED ADATTATIVA Le cellule del sistema immunitario innato (macrofagi e neutrofili) svolgono un ruolo essenziale nell’innescare la risposta contro l’infezione e nell’indirizzare il controllo dell’infezione verso la risposta immunitaria acquisita. Il periodo di tempo che passa tra l’infezione e l’inizio della risposta immunitaria acquisita è di 4-7 giorni.

RISPOSTA IMMUNITARIA INNATA ED INFIAMMAZIONE Molti agenti infettivi inducono una risposta infiammatoria attivando l’immunità innata. I macrofagi riconoscono i batteri, penetrati nei tessuti attraverso le superfici epiteliali, mediante recettori capaci di riconoscere i costituenti batterici comuni. Dopo la fagocitosi i macrofagi attivati secernono le citochine e le chemochine (per neutrofili e monociti). L’infiammazione locale e la fagocitosi dei batteri possono venire anche indotti dall’attivazione del complemento legato sulla superficie batterica.

RISPOSTA IMMUNITARIA INNATA ED INFIAMMAZIONE La risposta immunitaria innata e l’infiammazione contribuiscono in maniera cruciale all’attivazione dell’immunità acquisita. La risposta infiammatoria è caratterizzata da un incremento della permeabilità vascolare e da fuoriuscita di liquidi nell’interstizio, con conseguente aumento del flusso di linfa che contiene l’antigene e le cellule dendritiche all’interno dei tessuti linfoidi. I componenti del complemento legati sulla superficie del patogeno e i cambiamenti indotti nelle cellule che hanno fagocitato i microrga- nismi danno segnali di attivazione per i linfociti i cui recettori legano specifici antigeni microbici.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE SPECIALIZZATE NEL PRESENTARE L’ANTIGENE Le cellule dendritiche sono le cellule specializzate nel presentare l’antigene ai linfociti. Migrano dal midollo osseo ai loro siti tessutali periferici e sono immature finché non incontrano i patogeni. Dopo la fagocitosi migrano attraverso la linfa nei linfonodi regionali. Se le cellule dendritiche non si attivano, inducono tolleranza verso l’antigene che hanno catturato. Le cellule dendritiche hanno recettori specifici per i componenti comuni di alcuni patogeni (es. proteoglicani). Inoltre sono capaci di catturare materiale extra-cellulare mediante un processo recettore- indipendente chiamato macropinocitosi, come succede con alcune particelle virali o batteriche.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE SPECIALIZZATE NEL PRESENTARE L’ANTIGENE Le cellule dendritiche attivate migrano nei linfonodi e maturano in cellule che presentano l’antigene o APC e subiscono dei cambiamenti che le rendono capaci di attivare i linfociti patogeni- specifici che incontrano nei linfonodi. Le cellule dendritiche attivate secernono citochine che inducono sia la risposta immunitaria innata che quella acquisita.

LIMITI DELL’IMMUNITA’ INNATA Il sistema dell’immunità innata può far conto su recettori codificati durante la linea germinale che riconoscono molecole comuni a molti patogeni. Tale sistema però non conferisce protezione verso: nuovi tipi di patogeni o molecole modificate nel corso dell’evoluzione batteri con capsula protettiva virus che non espongono antigeni sulla superficie I batteri rivestiti da capsula e i virus possono però essere fagocitati da cellule dendritiche, le loro molecole processate e i peptidi antigenici presentati ai linfociti.

SPECIFICITA’ DEI LINFOCITI I linfociti posseggono recettori specifici per un solo antigene. La specificità di questi recettori è generata da un unico meccanismo genetico che opera nel midollo osseo e nel timo durante lo sviluppo linfocitario e genera migliaia di differenti varianti geniche che codificano per il recettore. Questa diversità permette che milioni di linfociti circolanti espongano milioni di recettori differenti specifici per ogni tipo di antigene: -> repertorio recettoriale dei linfociti. Durante la vita questi linfociti vanno incontro a un processo di selezione naturale per cui solo quei linfociti che incontrano l’antigene specifico per il recettore sono in grado di proliferare e di differenziarsi in cellule effettrici.

SELEZIONE CLONALE DEI LINFOCITI Per spiegare perché un individuo produceva solo gli anticorpi, che potevano essere indotti virtualmente verso qualsiasi antigene, specifici per l’antigene a cui era stato esposto, Macfarlane Burnet propose l’ipotesi della selezione clonale.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI Gli anticorpi sono la forma secreta del recettore delle cellule B o BCR. In generale, sono formati da una regione costante, in grado di acquisire soltanto una della cinque forme biochimiche identificate, ed una regione variabile che, al contrario, può assumere un’infinita varietà di forme differenti.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI La regione variabile determina la specificità dell’anticorpo verso l’antigene, mentre la regione costante determina il modo in cui l’anticorpo reagisce nei confronti del patogeno a cui si è legato. Ogni anticorpo possiede due assi di simmetria ed è composto da due catene pesanti identiche e due catene leggere identiche. Sia le catene pesanti che leggere contengono regioni costanti e regioni variabili; le regioni variabili di ciascuna catena si combinano per formare il sito che lega l’antigene in maniera specifica.

GENERAZIONE DELLA SPECIFICITA’ DEGLI ANTICORPI Come può un numero finito di geni codificare per un numero quasi infinito di recettori antigenici? I geni della regione variabile delle immunoglobuline vengono ereditati come segmenti genici, ognuno dei quali codifica per una parte della regione variabile di una delle catene polipeptidiche che formano gli anticorpi. Durante lo sviluppo delle cellule B nel midollo osseo questi segmenti sono rimescolati tramite ricombinazione del DNA per formare un tratto genico che codifica per una intera regione variabile. I segmenti genici vengono uniti in maniera diversa in cellule diverse -> ogni cellula genera un unico gene per le regioni variabili.

GENERAZIONE DELLA SPECIFICITA’ DEGLI ANTICORPI Lo stesso schema generale è usato nella generazione dei recettori per l’antigene dei linfociti T. DIFFERENZE TRA BCR E TCR Immunoglobuline di superficie dei linfociti B hanno due siti di riconoscimento dell’antigene e vengono secrete. I recettori delle cellule T hanno un solo sito di riconoscimento e rimangono sempre sulla superficie della cellula.

DIVERSITA’ DEI RECETTORI LINFOCITARI La diversità dei recettori linfocitari è quindi determinata da: poche centinaia di segmenti genici differenti si possono combinare in modi variabili, generando milioni di recettori diversi. diversità di ricongiuzione: aggiungendo o sottraendo alcuni nucleotidi nel processo di unione dei segmenti. ogni recettore è generato dall’accoppiamento di due differenti catene variabili ognuna codificata da due differenti segmenti genici. -> un migliaio di differenti catene variabili di ogni tipo generano 106 recettori antigenici ed esistono 108 linfociti con differente specificità antigenica su cui agisce la selezione clonale

SVILUPPO E MANTENIMENTO DEL REPERTORIO LINFOCITARIO La maturazione e la sopravvivenza dei linfociti è regolata da segnali che ricevono attraverso i loro recettori antigenici. I segnali che riceve un linfocita immaturo può portarlo a morte oppure indurre ulteriori riarrangiamenti recettoriali: è questo il meccanismo della delezione clonale per cui i recettori specifici per proteine self vengono esclusi dal repertorio linfocitario.

SVILUPPO E MANTENIMENTO DEL REPERTORIO LINFOCITARIO I segnali di sopravvivenza derivano da altre cellule presenti negli organi linfoidi ed almeno in parte dagli antigeni self. Per i linfociti B: durante lo sviluppo nel midollo osseo dalle cellule stromali quando sono maturi e circolanti dai follicoli di cellule B del tessuto linfoide periferico Per i linfociti T: durante lo sviluppo nel timo dalle molecole self presenti sulle cellule epiteliali specializzate e dalle stesse molecole espresse dalle cellule dendritiche dei tessuti linfatici periferici. I segnali di sopravvivenza ricevuti attraverso il recettore antigenico agiscono inibendo l’apoptosi.

ATTIVAZIONE E PROLIFERAZIONE DEI LINFOCITI NEL TESSUTO LINFOIDE PERIFERICO Un numero così grande di recettori linfocitari ha il significato che solo una frazione di linfociti può legare e riconoscere un antigene. L’espansione clonale permette di ottenere un numero sufficiente di linfociti in grado di combattere un’infezione: il linfocita deve proliferare e la sua progenie maturare in cellule effettrici. Attivazione: una volta riconosciuto l’antigene il linfocita si arresta nell’organo linfoide e in qualche ora si trasforma in linfoblasto. Proliferazione: le mitosi avvengono tra le due le quattro volte al giorno per 3-5 giorni Differenziazione in cellule effettrici: cellule B in plasmacellule cellule T in cellule in grado di distruggere cellule infettate o di attivare altre cellule del sistema immunitario

MEMORIA IMMUNOLOGICA Le cellule effettrici hanno una aspettativa di vita limitata: una volta rimosso l’antigene queste cellule vanno incontro ad apoptosi. Qualcuna comunque rimane anche dopo l’eliminazione dell’antigene. Sono le cellule della memoria che assicurano una risposta più rapida ed efficace nel caso di un secondo incontro con lo stesso agente patogeno e conferisce una protezione immunitaria di lunga durata. La memoria immunologica consta in una risposta anticorpale secondaria che si sviluppa dopo un periodo di latenza più corto, raggiunge un livello anticorpale più alto e produce anticorpi con un affinità, o forza di legame, più elevata.

ATTIVAZIONE LINFOCITARIA NEI TESSUTI LINFOIDI PERIFERICI Le risposte linfocitarie verso un antigene richiedono non solo il segnale generato dal legame del recettore per l’antigene, ma anche un secondo segnale generato da un’altra cellula. Le cellule T naive sono in genere attivate da cellule dendritiche, mentre le cellule B sono attivate da un linfocita T effettore.

MECCANISMI EFFETTORI DELL’IMMUNITA’ ACQUISITA I meccanismi effettori della risposta immune sono diversi in quanto diverse sono le caratteristiche dei vari agenti patogeni. I linfociti B riconoscono l’antigene presente su cellule estranee al corpo umano (es. i batteri); le cellule T invece riconoscono gli antigeni generati all’interno delle cellule infettate, prodotti, ad es., dai virus. I meccanismi effettori della risposta immunitaria acquisita sono essenzialmente identici a quelli dell’immunità innata.

MECCANISMI EFFETTORI CONTRO PATOGENI EXTRACELLULARI E LORO TOSSINE Gli anticorpi dipendono nelle loro funzioni effettrici quasi interamente dalle cellule e dalle molecole del sistema immunitario innato. Gli anticorpi si trovano nel plasma e nei fluidi extracellulari -> immunità umorale. Ciascun anticorpo appartiene a una delle cinque classi, o isotipi. Una volta avvenuto il riconoscimento, ognuna di queste classi sviluppa una serie di meccanismi effettori per eliminare l’antigene. NEUTRALIZZAZIONE Il meccanismo più semplice e diretto consiste nel legame tra l’anticorpo e l’agente patogeno (es. tossina, alcuni virus), bloccandone l’accesso in cellule che potrebbero essere infettate o distrutte.

MECCANISMI EFFETTORI CONTRO PATOGENI EXTRACELLULARI E LORO TOSSINE OPSONIZZAZIONE Alcuni batteri non sono riconosciuti direttamente dai fagociti. Gli anticorpi possono rivestire i patogeni e i fagociti riconoscono la regione costante dell’anticorpo legato al batterio. ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO Gli anticorpi possono attivare il sistema del complemento il quale può: distruggere i batteri direttamente (ma importante in poche infezioni batteriche). legare il batterio favorendone la sua cattura e la sua distruzione da parte dei fagociti. Il complemento, quindi, marca i patogeni ed in questa funzione “complementa” gli anticorpi.

MECCANISMI EFFETTORI CONTRO PATOGENI INTRACELLULARI I patogeni sono accessibili agli anticorpi solo nel sangue e negli spazi extracellulari. Alcuni batteri, tutti i virus e alcuni parassiti si replicano all’interno della cellula dove gli anticorpi non li possono eliminare. La distruzione di tali agenti patogeni è compito dei linfociti T -> immunità cellulo-mediata. Le reazioni cellulo-mediate dipendono dalle interazioni dirette tra i linfociti T e le cellule che presentano l’antigene.

MECCANISMI EFFETTORI CONTRO PATOGENI INTRACELLULARI LINFOCITI T CITOTOSSICI Queste cellule, che esprimono la molecola CD8 sulla loro superficie, riconoscono le cellule infettate dai virus. Gli antigeni derivati dal virus in replicazione vengono esposti sulla superficie delle cellule infettate, dove vengono riconosciuti dalle cellule T. Queste ultime possono controllare l’infezione uccidendo le cellule infettate prima che venga completata la replicazione virale. Il meccanismo citotossico prevede l’attivazione delle caspasi nelle cellule infettate ed il taglio del DNA sia virale che dell’ospite.

MECCANISMI EFFETTORI CONTRO ALTRI PATOGENI INTRACELLULARI ED EXTRACELLULARI LINFOCITI T HELPER Queste cellule, che esprimono la molecola CD4 sulla loro superficie, possono essere suddivisi in due sottogruppi. Il primo è importante per il controllo delle infezioni batteriche intra cellulari (Mycobacterium tubercolosis e M. leprae). Questi batteri crescono nelle vescicole dei fagociti, le quali non si fondono con i lisosomi. Le cellule TH1 attivano i macrofagi e inducono fusione dei lisosomi con le vescicole fagosomiche. Inoltre attivano altri meccanismi antibatterici dei fagociti e secernono citochine che attirano altri macrofagi nel sito dell’infezione.

MECCANISMI EFFETTORI CONTRO ALTRI PATOGENI INTRACELLULARI ED EXTRACELLULARI LINFOCITI T HELPER Il secondo sottogruppo è rappresentato dalle cellule TH2, le quali sono coinvolte nella distruzione dei patogeni extracellulari attivando le cellule B. Storicamente, sono le prime descritte come T helper. Sono pochi gli antigeni con particolari proprietà che possono attivare da soli i linfociti B. La maggior parte degli antigeni richiede un segnale complementare dalle cellule T helper.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T Tutti gli effetti dei linfociti T dipendono dalle interazioni con le cellule che espongono proteine estranee. Nel caso delle cellule T CD8 e le cellule TH1, le proteine estranee devono essere prodotte dai patogeni infettanti la cellula bersaglio oppure devono venire ingerite dalla cellula bersaglio stessa. Le cellule T helper riconoscono ed interagiscono con le cellule B che hanno legato e internalizzato l’antigene estraneo tramite le immunoglobuline di membrana. In ogni caso, le cellule T riconoscono l’antigene quando legato a speciali molecole, glicoproteine di membrana che fanno parte del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC).

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T Le molecole MHC di classe I e di classe II hanno come caratteristica comune quella di avere due domini extracellulari che formano una tasca nella quale un singolo peptide viene intrappolato durante la sintesi e l’assemblaggio delle molecole MHC all’interno delle cellule.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T La differenza tra le due classi risiede nel tipo e nell’origine del peptide che trasportano alla superficie. Le proteine MHC di classe I legano peptidi derivati da proteine sintetizzate nel compartimento citoplasmatico e sono quindi capaci di esporre sulla superficie cellulare frammenti di proteine virali.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T Le proteine MHC di classe II legano peptidi derivati da proteine contenute nelle vescicole intracellulari e quindi espongono peptidi derivati da patogeni presenti nelle vescicole macrofagiche o internalizzati da macrofagi o cellule B.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T Le molecole MHC di classe I che legano peptidi virali sono riconosociute da cellule T citotossiche, che uccidono direttamente le cellule infettate. Le molecole MHC di classe II vengono riconosciute dalle cellule TH1 e TH2.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T L’attivazione mediata dall’antigene delle cellule T effettrici è aiutata da co-recettori: CD8 nei linfociti citotossici che lega le molecole MHC I CD4 nei linfociti TH1 e TH2 che lega le molecole MHC II

ALTERAZIONI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA Le immunodeficienze sono difetti o deficienze di alcune risposte del sistema immunitario. Quando l’immunità acquisita è completamente assente, si può anche avere morte durante l’infanzia per l’insorgenza di gravi infezioni. Se l’immunodeficienza è selettiva, la conseguenza sono infezioni ricorrenti. Il virus dell’immunodeficienza umana o HIV causa l’AIDS non solo sfuggendo ma anche sovvertendo i meccanismi protettivi della risposta immunitaria acquisita. L’HIV distrugge le cellule T che attivano i macrofagi, causando infezioni di batteri intracellulari.

ALTERAZIONI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA Le allergie. le malattie autoimmuni e il rigetto dei trapianti sono associate ad una normale risposta immunitaria diretta contro un antigene inappropriato. Nelle allergie l’antigene è una innocua sostanza estranea, nelle malattie autoimmuni è un antigene self, nel rigetto dei trapianti, l’antigene deriva da una cellula estranea.

IMMUNITA’ INNATA

I meccanismi dell’immunità innata riescono a riconoscere e distruggere i microrganismi nel giro di poche ore o giorni in quanto essi non portano all’espansione clonale di linfociti antigene-specifici.

Le malattie infettive si verificano quando un microrganismo riesce ad evadere o sconfiggere le difese innate dell’ospite, per stabilire un focolaio d’infezione e replicazione, che ne permette la sua ulteriore diffusione, La diffusione dei patogeni è spesso contrastata da una risposta infiammatoria che recluta molte molecole effettrici e cellule del sistema immunitario innato dai vasi sanguigni locali, mentre induce un blocco più a valle, così che i patogeni non possono diffondere attraverso il sangue,

GLI EPITELI RAPPRESENTANO LA PRIMA BARRIERA CONTRO LE INFEZIONI Le superfici epiteliali rappresentano una barriera fisica, grazie anche alla presenza delle giunzioni strette tra cellule adiacenti. In caso di rotture della barriera epiteliale (ferite, bruciature) l’accesso dei patogeni all’interno è facilitato. In assenza di soluzioni di continuità, due sono i modi di invasione dei patogeni: legandosi a molecole della superficie epiteliale interna; aderendo e colonizzando la superficie epiteliale. In quest’ultimo caso la rimozione da parte di flussi d’aria o di fluidi viene impedita. Ruolo del muco: i patogeni rivestiti da mucine non possono aderire e vengono espulsi grazie al movimento delle ciglia epiteliali.

RUOLO DEI FAGOCITI Dopo aver attraversato la barriera epiteliale, il patogeno è riconosciuto dai fagocit mononucleati, o macrofagi, che si trovano nei tessuti. Essi si trovano nel tessuto connettivo di: tratto gastrointestinale polmoni (sia negli interstizi che negli alveoli) fegato (cellule di Kupffer) milza La seconda grande famiglia di fagociti è rappresentata dai neutrofili, cellula vita breve, abbondanti nel sangue, ma non presenti normalmente nei tessuti. Queste cellule riconoscono e distruggono i patogeni senza l’aiuto della immunità immune acquisita.

RUOLO DEI FAGOCITI I fagociti riconoscono i patogeni attraverso recettori di superficie cellulare, che possono distinguere tra molecole di superficie esposte dai patogeni e quelle proprie dell’ospite: recettore per il mannosio (solo sui macrofagi e non sui monociti e neutrofili) recettori spazzini CD14, recettore per lipopolisaccaridi batterici (prevalentemente sui monociti e macrofagi) recettore per il complemento

RUOLO DEI FAGOCITI Al legame fa seguito fa seguito la fagocitosi: formazione del fagosoma -> fusione coi lisosomi -> formazione del fagolisosoma. Durante la fagocitosi, macrofagi e neutrofili producono una grande varietà di prodotti tossici che aiutano ad uccidere il patogeno fagocitato.

RUOLO DEI FAGOCITI Il secondo importante effetto dell’interazione tra i patogeni e i macrofagi è l’attivazione di questi a rilasciare citochine e altri mediatori, che determinano uno stato d’infiammazione nel tessuto e richiamano neutrofili e proteine plasmatiche nel sito d’infezione. I recettori che legano i patogeni inducono la secrezione di citochine. Le citochine danno un importante contributo sia alla infiammazione locale che a reazioni indotte, ma non adattative, che si verificano nei primi giorni dell’infezione. I recettori che segnalano la presenza di patogeni inducono anche l’espressione di molecole, dette co-stimolatorie, sia sui macrofagi che sulle cellule dendritiche, permettendo a queste di iniziare una risposta immune adattativa.

RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE Il ruolo dell’infiamazione nel controllare le infezioni è triplice: far arrivare molecole e cellule effettrici nel sito d’infezione fornire una barriera fisica per impedirne l’infezione promuovere la riparazione dei tessuti danneggiati A livello dei vasi sanguigni: aumento del diametro vascolare con riduzione della velocità del flusso ematico nei piccoli vasi aumento dell’adesività dell’endotelio nei confronti dei leucociti circolanti aumento della permeabilità vascolare

RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE Questi cambiamenti sono indotti da una grande varietà di mediatori infiammatori: prostaglandine, leucotrieni e PAF. Le loro azioni sono seguite da quella delle citochine e chemochine. Anche il complemento contribuisce alla risposta infiammatoria. Il C5a aumenta la permeabilità vascolare, induce l’espressione di alcune molecole di adesione, agise come un forte chemoattraente per neutrofili e monociti, e attiva fagociti e mastcellule locali, stimolate a rilasciare granuli contenenti istamina e TNF-a. Se vi sono ferite, il danno ai vasi stimola altre due cascate di enzimi protettivi: il sistema delle chinine e il sistema della coagulazione.

IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO Il sistema del complemento è parte integrante del sistema immune innato, benché possa essere un’arma effettrice della risposta anticorpale. Comunque, esso può essere attivato precocemente dalle infezioni, in assenza di anticorpi. Il sistema del complemento è costituito da un gran numero di proteine plasmatiche. Un certo numero di queste proteine sono proteasi, attivate da tagli proteolitici. Tali enzimi sono sotto forma inattiva (zimogeni). Nella cascata del complemento, avviene una amplificazione della risposta. Ci sono tre diverse vie attraverso le quali il complemento può essere attivato sulla superficie dei patogeni. Queste tre vie nelle fasi inziali dipendono da molecole diverse che poi convergono nel generare lo stesso gruppo di molecole effetrici.

IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO Le tre vie del complemento sono: la via classica, che può essere attivata dal legame di C1q, la prima proteina della cascata del complemento, direttamente sulla superficie del patogeno. C1q si può legare ai complessi antigene- anticorpo. la via della lectina legante il mannosio (MB-lectin pathway) è attivata in seguito al legame della lectina legante il mannosio, una proteina sierica, al mannosio dei polisaccaridi sulla superficie di alcuni batteri, o di virus. la via alternativa, la quale viene attivata quando il componente C3 del complemento si attiva spontaneamente e lega la superficie dei patogeni.

IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO Tutte e queste tre vie portano alla produzione di una proteasi, la C3 convertasi. Questi eventi “precoci” consistono di cascate enzimatiche, nelle quali zimogeni inattivi sono tagliati per produrre due frammenti, il più grande dei quali (denominato “b”) è una serin proteasi, mentre l’altro più piccolo (denominato “a”) è rilasciato dal sito di reazione e può agire come mediatore solubile. Il frammento b viene trattenuto sulla superficie del patogeno e ciò assicura che il precursore successivo inattivo sia tagliato e attivato sulla superficie del patogeno.

IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO La C3 convertasi è legata covalentemente alla superficie del patogeno, dove taglia il C3 per produrre grandi quantità di C3b, la molecole effettrice principale del sistema del complemento. C3b agisce come opsonina: legano in modo covalente il patogeno, che diventa perciò un bersaglio per la distruzione da parte dei fagociti, che hanno recettori per C3b. C3b lega inoltre la C3 convertasi per formare la C5 convertasi, che forma sia C5a (mediatore dell’infiammazione) che C5b, che inizia gli eventi “tardivi” dell’attivazione del complemento. Ciò comporta una serie di reazioni di polimerizzazione in cui gli ultimi componenti del complemento interagiscono per formare un complesso di attacco alla membrana, che crea pori nella membrana dei patogeni.

IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO Il sistema del complemento è regolato a due livelli: i componenti chiave attivati sono rapidamente inattivati, finché non legano la superficie del patogeno dove era avvenuta la loro attivazione; 2) proteine regolatorie agiscono sui componenti del complemento per prevenire l’improvvisa attivazione del complemento sulla superficie delle cellule ospiti.

VIA CLASSICA DEL COMPLEMENTO La via classica svolge un ruolo importante sia nell’immunità innata che acquisita. C1q unisce il sistema del complemento alla risposta umorale acquisita, legando anticorpi complessati con antigeni, ma può legare direttamente la superficie dei patogeni in assenza dei patogeni. C1q fa parte del complesso C1, che comprende una molecola C1q a due molecole ciscuna degli zimogeni C1r e C1s. C1q è una lectina, appartenente alla famiglia delle collectine, proteine che legano zuccheri, in maniera calcio-dipendente, caratterizzate da domini collagene-simili.

VIA CLASSICA DEL COMPLEMENTO Il legame di più di una delle teste di C1q al patogeno determina un cambiamento conformazionale nel complesso (C1r:C1s)2 portando all’attivazione di C1r. La forma attiva di C1r taglia C1s, per generare una serin proteasi attiva. C1s agisce sui due successivi componenti della via classica, C4 e C2, indrolizzandoli e generando C4b e C2b, che insieme costituiscono la C3 convertasi della via classica. Nel primo passagio, C1s taglia C4 per genarare C4b, il quale lega covelentemente la superficie del patogeno. C4b lega quindi C2, rendndolo sensibile al taglio di C1s. C1s taglia C2 producendo C2b, una serin proteasi. C4b-C2b rimane sulla superficie del patogeno e la sua principale attività è di tagliare il maggior numero di C3 per produrre C3b, che riveste la superficie del patogeno.

VIA DELLA LECTINA LEGANTE IL MANNOSIO La lectina legante il mannosio è molto simile a C1q. E’ una collectina che lega mannosio e altri zuccheri che si trovano sulla superficie dei patogeni (sulle cellule dei vertebrati sono presenti altri gruppi di zuccheri, specialmente l’acido sialico). La MBL presenta sei teste e lega due zimogeni, MASP-1 e MASP-2 (serin proteasi associate alla lectina che lega il mannosio). Quando il complesso MBL lega la superficie del patogeno, MASP-1 e MASP-2 sono attivate e tagliano C4 e C2. L’importanza della MBL è indicata dal fatto che una sua deficienza può comportare un aumento di infezioni durante la prima infanzia, cioè prima che le risposte immunitarie acquisite siano completamente mature e dopo che gli anticorpi materni, trasferiti attraverso la placenta e il colostro siano stati perduti.

L’ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO E’ CONFINATA SULLA SUPERFICIE DEL PATOGENO Il taglio di C4b da parte di C1s o delle MASP espone un legame tioestere altamente reattivo, che le permette di legare covalentemente proteine o carboidrati nelle immediate vicinanze del suo sito di attivazione. Se C4b non forma rapidamente questo legame, il legame tioestere è idrolizzato da una reazione con l’acqua e tale reazione d’idrolisi inattiva irreversibilmente C4b. Questo previene la diffusione di C4b dal sito di attivazione sulla superficie microbica e il suo legame con la cellula ospite.

L’ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO E’ CONFINATA SULLA SUPERFICIE DEL PATOGENO C2 diventa suscettibile al taglio da parte di C1s solo quando è legato a C4b, quindi anche la proteasi C2b rimane confinata sulla superficie del patogeno. Anche C3b si lega alla stessa maniera sul patogeno. C3b è rapidamente inattivato mediante lo stesso meccanismo di C4b, a meno che non si leghi covalentemente sul patogeno.

VIA ALTERNATIVA DEL COMPLEMENTO La via alternativa del complemento è innescata dall’idrolisi spontanea di C3 ed un elevato numero di meccanismi assicura che l’attivazione si svolga sulla superficie del aptogeno. C3 è abbondante nel plasma e C3b è prodotto ad una velocità elevata in seguito alla idrolisi spontanea del legame tioesterico per formare C3(H20), che presenta un’alterata conformazione e permette il legame del fattore B. Il legame di B permette il legame di un’altra proteasi plasmatica, il fattore D, e di tagliare il fattore B a Ba e Bb, dei quali l’ultimo rimane associato a C3(H20) per formare il complesso C3 (H20)Bb. Questo complesso è una C3 convertasi in fase fluida e può tagliare molte molecole di C3 a C3a e C3b. La maggior parte di C3b è inattavata rapidamente da idrolisi, ma una parte lega in maniera covalente la superficie delle cellule ospiti o del patogeno attraverso il suo gruppo tioesterico.

VIA ALTERNATIVA DEL COMPLEMENTO C3b, legato in questo modo, è in grado di legare il fattore B, permettendo al fattore D di tagliarlo e di ottenere il frammento Bb che lega C3b e forma la convertasi della via alternativa, C3b,Bb, legato sulla superficie cellulare. Se C3 ha legato le cellule dell’ospite esiste una serie di meccanismi che limitano o inibiscono il proseguimento dell’attivazione del complemento. CR1 e la proteina di membrana conosciuta come DAF (decay accelerating factor) o CD55 competono con il fattore B per il legame a C3 e possono allontanare Bb da una convertasi che si è già formata. Una proteina plasmatica, il fattore I, in associazione a proteine leganti C3b, che agiscono da cofattori, come CR1 e MCP (membrane cofactor of proteolysis) o CD46, taglia C3b nel suo derivato inattivo iC3b.

VIA ALTERNATIVA DEL COMPLEMENTO Una proteina plasmatica, il fattore H, è in grado di competere con il fattore B e allontanare Bb dalla convertasi, inoltre agisce come cofattore del fattore I. Il fattore H lega prevalentemente C3b legato alle cellule di vertebrati, poiché presenta un’elevata affinità per i residui di acido sialico. Al contrario, le superfici dei patogeni non posseggono queste molecole regolatorie e acido sialico, per cui la convertasi si può formare e persistere. Questo processo può essere favorito dal fattore P o properdina, che lega le superfici microbiche e stabilizza la convertasi.

VIA ALTERNATIVA DEL COMPLEMENTO Dopo essersi formata, la convertasi C3b, Bb taglia ancora C3 a C3b, che può legare il patogeno e agire come opsonina oppure iniziare nuovamente la via per formare altra conevrtasi. Questo meccanismo di amplificazione permette alla via alternativa di contribuire all’attivazione del complemento, inizialmente scatenata attraverso la via classica o la via lectinica.

CONFRONTO TRA LE TRE VIE Le convertasi che si formano in seguito all’attivazione della via classica e lectinica (C4b,2b) e dalla via alternativa (C3b,Bb) sono apparentemente distinte, ma presentano delle analogie. Gli zimogeni delle due vie, C2 e il fattore B, sono proteine strettamente correlate, codificate da geni omologhi posizionati in tandem nel complesso maggiore di istocompatibilità sul cromosoma 6. I loro rispettivi partner di legame, C4 e C3, contengono legami tioesterici che rappresentano il mezzo per legare covalentemente la C3 convertasi alla superficie del patogeno. L’unico componente della via alternativa non correlato ad alcun componente della via classica e lectinica è il fattore D, il quale circola come enzima attivo. E’ comunque sicuro in quanto il fattore D non ha altri substrati, se non il fattore B legato a C3b.

ATTIVAZIONE DELLA C5 CONVERTASI Nella via classica e lectinica la C5 convertasi è formata dal legame di C3b a C4b,2b per produrre C4b,2b,3b. Allo stesso modo, la C5 convertasi della via alternativa è formata dal legame di C3b a C3b,Bb per formare C3b2,Bb. C5 è catturato da questi complessi C5 convertasi, attraverso il legame a un sito accettore su C3b e così è reso suscettibile all’attività di taglio della serin proteasi C2b o Bb. Questa reazione è molto più limitata del taglio di C3, in quanto C5 può essere solo tagliato quando si lega a C3b.

FAGOCITOSI E RECETTORI PER IL COMPLEMENTO L’azione più importante del complemento è di facilitare la captazione e la distruzione dei patogeni da parte di cellule fagocitarie. Questo si verifica in seguito al riconoscimento specifico di componenti del complemento legati da recettori del complemento o CRs sui fagociti. -> opsonizzazione dei patogeni è la funzione principale di C3b e dei suoi derivati proteolitici. Anche C4b può funzionare da opsonina, ma in minor grado poiché prodotto in quantità minore di C3b.

FAGOCITOSI E RECETTORI PER IL COMPLEMENTO Il più rappresentato è il recettore per C3b, CR1 o CD35, espresso sia sui macrofagi che sui leucociti polimorfonucleati. Il legame di C3b a CR1 non stimola di per sé la fagocitosi, ma può portare alla fagocitosi in presenza di altri mediatori immunitari, che attivano i macrofagi. Ad es., C5a può attivare i macrofagi ad ingerire batteri legati a CR1. C5a si lega ad un altro recettore che ha sette domini transmembrana. Tali recettori sono accoppiati a proteine intracellulari leganti nucleotidi guanilici, chiamate proteine G. Proteine della matrice extracellulare, come la fibronectina, possono contribuire all’attivazione dei macrofagi, quando questi sono reclutati nel tessuto connettivo.

FAGOCITOSI E RECETTORI PER IL COMPLEMENTO Altri tre recettori del complemento, CR2 (CD21), CR3 (CD11b:CD18), e CR3 (CD11c:CD18) legano forme inattive di C3b, che rimangono attaccate alla superficie del patogeno. Uno di questi derivati è iC3b. A differenza di quando C3b o iC3b lega CR1, il legame di iC3b a CR3 è sufficiente a stimolare la fagocitosi. Un secondo prodotto di rottura di C3b è C3dg, il quale lega solo CR2. CR2 si trova sulle cellule B come parte del complesso co-recettoriale che può aumentare il segnale ricevuto attraverso il recettore immunoglobulinico. -> una cellula B in cui il recettore per uno specifico patogeno è legato a questo, riceverà un segnale fortemente aumentatoin seguito al legame di questo rivestito da C3dg.

FAGOCITOSI E RECETTORI PER IL COMPLEMENTO In questo caso una risposta umorale innata può contribuire alla attivazione dell’immunità umorale acquisita. In parallelo, vedremo come la risposta cellulare innata dei macrofagi e delle cellule dendritiche può contribuire all’attivazione della risposta mediata dalle cellule T. L’opsonizzazione da parte di C3b e dei suoi frammenti inattivi gioca un ruolo fondamentale nella distruzione dei patogeni extracellulari. -> mentre deficienze di un qualsiasi componente tardivo del complemento non hanno effetti negativi, individui deficienti di C3 o di molecole che catalizzano la formazione di C3b mostrano una aumentata suscettibilità alle infezioni determinate da un’ampia gamma di batteri extracellulari.

PICCOLI FRAMMENTI DEL COMPLEMENTO E RUOLO NELL’INFIAMMAZIONE I piccoli frammenti del complemento C3a, C4a e C5a legano specifici recettori per indurre risposte infiammatorie locali. Se sono prodotti in grandi quantità o iniettati sistematicamente inducono uno stato di shock, detto anafilattico -> questi piccoli frammenti sono indicati come anafilotossine. Attività biologica: C5a > C3a > C4a Inducono contrazione del muscolo liscio e aumentata permeabilità vascolare, ma C5a e C3a agiscono anche sulle 1) cellule endoteliali, attivando l’adesione cellulare e sulle 2) mastcellule, che inducono a rilasciare istamina e TNF-a. I cambiamenti indotti da C5a e C3a reclutano anticorpi, complemento e cellule fagocitarie nel sito d’infezione.

PICCOLI FRAMMENTI DEL COMPLEMENTO E RUOLO NELL’INFIAMMAZIONE C5a aumenta l’adesione dei neutrofili e monociti alla parete vascolare, la loro migrazione verso il sito d’infezione e la loro capacità di fagocitare, così come aumenta l’espressione di CR1 e CR3 sulla loro superficie. -> C5a e C3a sinergizzano con altri componenti del complemento per velocizzare la distruzione dei patogeni da parte dei fagociti.

I COMPONENTI TERMINALI DEL COMPLEMENTO Un importante effetto dell’attivazione del complemento è l’assemblaggio dei componenti terminali del complemento per formare il complesso di attacco alla membrana. Il risultato è la formazione di un poro nel bilayer lipidico della membrana che distrugge il patogeno in seguito all’alterazione del gradiente protonico attraverso la membrana.

I COMPONENTI TERMINALI DEL COMPLEMENTO Il primo passaggio nella formazione del complesso di attacco alla membrana è il taglio di C5 da parte di una C5 convertasi per il rilascio di C5b. Una molecola di C5b lega una molecola di C6, e il complesso C5b,6 lega una molecola di C7. Questo legame determina un cambiamento conformazionale nelle molecole con esposizione di un sito idrofobico in C7, che si inserisce nel bilayer lipidico. Siti idrofobici simili sono esposti sui componenti C8 e C9. La proteina C8b lega C5b, e questo legame permette al domicio idrofico di C8a-g di inserirsi nella membrana. Infine, C8a-g induce la polimerizzazione da 10 a 16 molecole di C9 in una struttura formante un poro, il complesso di attacco alla membrana, alterando l’integrità del bilayer lipidico. -> perdita dell’omeostasi cellulare, la distruzione del gradiente protonico e la penetrazione di enzimi, come il lisozima.

I COMPONENTI TERMINALI DEL COMPLEMENTO L’importanza del complesso di attacco alla membrana sembra limitato. Le deficienze dei componenti C5-C9 sono state associate con suscettibilità verso i batteri appartenenti alla specie Neisseria. -> le azioni opsonizzanti ed infiammatorie dei componenti iniziali della cascata del complemento sono chiaramente più importanti nelle difese dell’organismo contro le infezioni.

PROTEINE DI CONTROLLO DEL COMPLEMENTO Due caratteristiche dell’attivazione del complemento salvaguardano contro l’attivazione incontrollata della cascata del complemento: l’attivazione degli zimogeni avviene sulla superficie del patogeno i frammenti del complemento attivati legano la superficie microbica sono rapidamente inattivati per idrolisi. Ciò nonostante, tutti i componenti del complemento sono attivati spontaneamente a bassa velocità nel plasma e alcuni di essi si possono legare a proteine presenti su cellule dell’ospite. -> proteine di controllo che agiscono a vari livelli, le quali permettono di distinguere il self dal non self.

PROTEINE DI CONTROLLO DEL COMPLEMENTO VIA CLASSICA L’attivazione di C1 è controllata da un inibitore plasmatico delle serin proteasi o serpina, l’inibitore di C1 (C1INH). C1INH lega l’enzima attivo C1r:C1s e provoca la sua dissociazione da C1q, che invece rimane legato al patogeno. -> C1INH limita il tempo durante cui C1s attivo è in grado di tagliare C4 e C2. Deficienza di C1INH: edema angioneuritico ereditario in cui la attivazione cronica del complemento porta alla produzione in eccesso di frammenti di C4 e C2. C2a è ulteriormente tagliato in un peptide, la chinina C2, che causa gonfiori estesi (ingrossamento della glottide -> soffocamento). A questa patologia contribuisce la bradichina, prodotta dalla callicreina, la quale viene inibita dal C1INH.

PROTEINE DI CONTROLLO DEL COMPLEMENTO VIA CLASSICA E ALTERNATIVA Controllo della C3 convertasi: taglio di qualsiasi C4b e C3b, che legano la cellula ospite come prodotti inattivi. La proteina responsabile è la serin proteasi plasmatica fattore I: essa circola attiva ma può tagliare C4b e C3b quando questi sono legati ad un cofattore. In queste circostanze il fattore I taglia C3b, prima in iC3b e poi ulteriormente in C3dg e lo inattiva permanentemente. Il C4 è pure inattivato a C4c e C4d. Le due proteine di membrana che possono legare C4b e C3b e hanno attività di cofattore per il fattore I sono CR1 e MCP. Le superfici batteriche, a differenza di quelle dei vertebrati, non hanno queste proteine e non possono promuovere il taglio di C3b e C4b. Deficienza di fattore I: attivazione incontrollata del complemento con riduzione dei livelli delle proteine del complemento -> infezioni batteriche ricorrenti.

PROTEINE DI CONTROLLO DEL COMPLEMENTO VIA CLASSICA E ALTERNATIVA Controllo della C3 convertasi (prevenzione di formazione della C3 convertasi): 2) ci sono anche proteine plasmatiche con attività cofattoriale per il fattore I. C4b viene legato dalla proteina legante C4b o C4BP, che funge principalmente da regolatore della via classica in fase fluida. C3b viene legato sia in fase fluida che a livello di membrane cellulari da un cofattore chiamato fattore H. Il fattore H ha forte affinità per i residue di acido sialico delle glicoproteine delle cellule ospiti e ciò aumenta il legame del fattore H a qualsiasi C3b depositato sulla cellula ospite. A livello di parete cellulare di molti batteri, il fattore H ha affinità molto ridotta per C3b, a cui si lega preferenzialmente il fattore B.

PROTEINE DI CONTROLLO DEL COMPLEMENTO VIA CLASSICA E ALTERNATIVA Controllo della C3 convertasi: 3) numerose proteine competono con il legame di C2b al C4b legato alle cellule e di B a C3b legato alle cellule, inibendo così la formazione della convertasi. Queste proteine legano C3b e C4b sulla superficie delle cellule ed inoltre aumentano la dissociazione delle convertasi C4b,2b e C3b,Bb che si sono già formate. Le molecole di membrana che agiscono attraverso entrambi questi meccanismi includono DAF e CR1.

PROTEINE DI CONTROLLO DEL COMPLEMENTO VIA CLASSICA E ALTERNATIVA Controllo del complesso di attacco alla membrana Il complesso polimerizza su molecole C5b rilasciate dalla C5 convertasi e si inserisce vicino al sito di attivazione del complemento sulla superficie del patogeno. Per evitare che alcuni complessi diffondano e inserirsi in membrane di cellule ospiti adiacenti, vi sono proteine plasmatiche che legano C5b,6,7 sia in fase fluida che sulla superficie cellulare. Le membrane delle cellule ospiti contengono la protettina o CD59, che inibisce il legame di C9 ai complessi C5b,6,7,8. CD59 e DAF sono legati alla superficie cellulare mediante un’ancora glicolipidica di fosfoinositidi (PIG). Un enzima coinvolto nella sintesi di code PIG è codificato dal cromosoma X ed è deficitario in un clone di cellule ematopoietiche -> emoglobinuria parossistica notturna.

RISPOSTE INNATE INDOTTE DALLE INFEZIONI Dipendono dalle citochine e chemochine che sono prodotte in risposta al riconosimento dei patogeni. Le citochine prodotte dai macrofagi promuovono la risposta fagocitaria attraverso il reclutamento e la produzione di nuovi fagociti e molecole opsonizzanti. Gli interferoni sono citochine indotte da infezioni virali e dalle cellule NK, attivate a loro volta da interferoni, e che contribuiscono alle difese innate dell’ospite contro i virus e patogeni intracellulari.

RISPOSTE INNATE INDOTTE DALLE INFEZIONI L’immunità adattativa utilizza molti meccanismi dell’immunità innata, ma è in grado di indirizzarli con maggiore precisione. Cellule T-antigene specifiche attivano le proprietà microbicide e di secrezione di citochine dei macrofagi che legano i patogeni. Gli anticorpi attivano il complemento, agiscono come opsonine dirette per i fagociti, e stimolano le cellule NK ad uccidere le cellule infettate. Infine, la risposta adattativa utilizza citochine e chemochine, in modo simile alla immunità innata, per stimolare risposte infiammatorie, che promuovono l’influsso di anticorpi e linfociti effettori nel sito d’infezione.

RUOLO DEGLI INTERFERONI NELL’IMMUNITA’ INNATA L’infezione delle cellule da parte dei virus induce la produzione di proteine chiamate interferoni, in quanto interferiscono con la replicazione virale in cellule in coltura e in vivo, in cellule non infettate precedentemente. IFN-a: famiglia di proteine strettamente correlate IFN-b: prodotto di un singolo gene IFN-g: prodotto da cellule T e NK La sintesi di interferoni è stimolata da RNA a doppia elica, il quale costituisce il genoma di alcuni virus e può essere prodotto durante il ciclo infettivo di tutti i virus.

RUOLO DEGLI INTERFERONI NELL’IMMUNITA’ INNATA Gli interferoni a e b inducono uno stato di resistenza alla replicazione virale in tutte le cellule. Vengono secreti dalle cellule infette e si legano ad un recettore comune di superficie sia sulle cellule infette sia su quelle vicine. Il recettore degli interferoni è accoppiato ad una tirosin-chinasi della famiglia Janus. Essa fosforila direttamente attivatori della trascrizione che traducono il segnale (STATs), che traslocano nel nucleo e attivano la trascrizione genica. I geni che vengono trascritti sono coinvolti nell’inibizione della replicazione virale: oligoadenilato sintetasi, che attiva una endoribonucleasi che degrada l’RNA virale; 2) P1 chinasi, una serin-treonin chinasi che fosforila una proteina eucariotica, il fattore di iniziazione della sintesi proteica eIF-2, inibendo la traduzione del messaggero virale.

RUOLO DEGLI INTERFERONI NELL’IMMUNITA’ INNATA Gli interferoni proteggono l’ospite dai virus anche stimolando la risposta immunitaria cellulare verso questi patogeni. Gli interferoni inducono un aumento dell’espressione di molecole MHC di classe I, che presentano in maniera efficace i peptidi antigenici alle cellule T CD8. Gli interferoni attivano le cellule NK, le quali uccidono le cellule infettate e rilasciano citochine.

INTERFERONI E CELLULE NK Sebbene di origine linfoide, le cellule NK non hanno recettori antigene- specifici e fanno perciò parte del sistema immunitario innato. Possiedono sia recettori attivatori che recettori inibitori. Gli ultimi inibiscono l’uccisione di una cellula target quando sono legati a molecole MHC di classe I -> più è elevata l’espressione di MHC di classe I sulla superficie di una cellula, più questa è protetta dalla distruzione da parte di cellule NK. Gli interferoni proteggono le cellule ospiti non infettate dalle cellule NK stimolando maggiormente l’espressione di molecole MHC di classe I, mentre attivano le cellule NK a uccidere le cellule infettate.

RUOLO DELLE CELLULE NK NELL’IMMUNITA’ INNATA Anche se il meccanismo di uccisione delle cellule bersaglio da parte delle cellule NK è uguale a quello utilizzato dalle cellule T citotossiche generate in una risposta immunitaria adattativa, l’uccisione da parte delle cellule NK è stimolata da recettori invarianti. La loro azione interviene nelle fasi precoci delle infezioni con diversi patogeni intracellulari: herpes virus, il protozoo Leishmania, e il batterio Listeria monocytogenes. Le cellule NK sono attivate da interferoni (a e b) e citochine derivate dai macrofagi (IL-12). La risposta precoce delle cellule NK limita le infezioni virali fintanto che la risposta immunitaria adattativa genera cellule T-antigene specifiche che possono eliminare l’infezione.

RUOLO DELLE CELLULE NK NELL’IMMUNITA’ INNATA L’IL-12, insieme al TNF-a, può anche stimolare la produzione di IFN-g da parte delle cellule NK, e l’IFN- g secreto è fondamentale nel controllo di alcune infezioni, prima del controllo operato dalle cellule T. Una di queste infezioni è quella da Listeria monocytogenes. Topi che mancano di linfociti B e T sono resistenti a questo patogeno, ma la deplezione di cellule NK, mediata da anticorpi, o la neutralizzazione di TNF- a o IFN- g o dei loro recettori, aumenta la mortalità a distanza di pochi giorni dall’infezione, prima che la risposta adattativa possa essere indotta.

RUOLO DELLE CELLULE NK NELL’IMMUNITA’ INNATA Dato che le cellule NK mediano le difese dell’ospite contro virus e altri patogeni intracellulari, devono possedere un qualche meccanismo per distinguere le cellule infette da quelle sane. Si pensa che ciò avvenga mediante il riconoscimento del ‘self alterato’. I recettori ‘attivanti’ stimolano l’uccisione da parte delle cellule NK. Tra questi vi sono le lectine leganti il calcio di tipo C, che riconoscono una grande varietà di ligandi carboidratici, presenti su molte cellule. I recettori ‘inibenti’ inibiscono l’attivazione e impediscono alle cellule NK di uccidere cellule normali dell’organismo. Questi recettori sono specifici per molecole MHC di classe I -> le cellule NK uccidono selettivamente cellule bersaglio che espongono bassi livelli di MHC di classe I.

RUOLO DELLE CELLULE NK NELL’IMMUNITA’ INNATA Un’alterata espressione di MHC di classe I può essere una caratteristica delle cellule infettate da patogeni intracellulari, dato che molti di essi hanno sviluppato strategie per interferire con la capacità delle molecole MHC di catturare ed esporre peptidi alle cellule T. Quindi un modo attraverso cui le cellule NK riconoscono le cellule infettae da quelle sane è mediante il riconoscimento delle alterazioni nell’espressione di MHC di classe I. Inoltre, riconoscono cambiamenti nelle glicoproteine di superficie cellulare indotti da infezioni virali.

RUOLO DELLE CELLULE NK NELL’IMMUNITA’ INNATA Nel topo i recettori inibitori sulle cellule NK sono codificati da una famiglia multigenica di lectine di tipo C, chiamate Ly49. Nell’uomo sono membri della superfamiglia delle immunoglobuline: sono chiamati p58 e p70 o recettori inibitori killer (KIRs). Cellule NK umane possono esprimere un eterodimero costituito da due lectine di tipo C, chiamate CD94 e NKG2. L’invio di segnali mediante i recettori KIR sopprime la capacità di uccidere le cellule genticamente identiche, con una normal espressione di molecole MHC di classe I. Inoltre, le cellule sane possono rispondere agli interferoni aumentando l’espressione delle loro MHC di classe I.

RUOLO DELLE CELLULE NK NELL’IMMUNITA’ INNATA Le cellule infettate da virus possono diventare suscettibili all’azione delle cellule NK attraverso vari meccanismi: 1) alcuni virus inibiscono la sintesi di tutte le proteine nelle loro cellule ospiti, inclusa quella delle molecole MHC di classe I. 2) alcuni virus possono selettivamente prevenire l’esportazione di molecole MHC di classe I 3) le cellule NK possono riconoscere i cambiamenti nelle molecole MHC di classe I che si verificano quando si complessano a peptidi derivati da proteine prodotte in seguito all’infezione. 4) alcuni virus alterano la glicosilazione delle proteine cellulari, probabilmente permettendo il riconoscimento da parte dei recettori attivanti o rimuovendo il normale ligando del recettore inibitorio. In quest’ultimo caso vi sarà riconoscimento anche quando i livelli di MC di classe I non sono stati alterati.

ALTRI EFFETTORI DELL’IMMUNITA’ INNATA Alcune sottopopolazioni linfocitarie esprimono solo una varietà limitata di recettori, codificati da pochi riarrangiamenti comuni. Questi linfociti non vanno incontro a espansione clonale prima di rispondere all’antigene e perciò si comportano da intermedari tra immunità innata e adattativa. Una popolazione di questo tipo è rappresentato dai linfociti Tg:d intraepiteliali. Presentano recettori immunoglobulino-simili codificati da geni riarrrangiati e ne esistono due gruppi. Un gruppo si trova nel tessuto linfatico di tutti i vertebrati e, come le cellule B e le cellule T a:b , esprimono recettori estremamente differenti. Il secondo gruppo è costituito da cellule intraepiteliali Tg:d , che sono differenti nei diversi vertebrati ed espongono recettori omogenei.

ALTRI EFFETTORI DELL’IMMUNITA’ INNATA Si pensa che le cellule intraepiteliali possano riconoscere ligandi che derivano dall’epitelio in cui esse risiedono, ma che sono espressi solo quando una cellula viene infettata. Ligandi possibili sono le proteine heat-shock, le molecole MHC di classe IB, e nucleotidi e fosfolipidi non ortodossi. A differenza delle cellule T a:b , quelle g:d non riconoscono antigeni presentati da molecole MHC, invece sembrano che lo facciano direttamente su molti tipi cellulari. Recenti studi indicano che le cellule Tg:d siano impicate nella regolazione della risposta immune, il che è in accordo con la loro capacità di secernere citochine regolatorie.

ALTRI EFFETTORI DELL’IMMUNITA’ INNATA Un altro gruppo di linfociti che esprimono recettori non molto diversi è il gruppo di linfociti B-1, le quali sono distinguibili per la proteina di superficie CD5. Sono simili per molti aspetti alle Tg:d, compaiono presto nell’ontogenesi, utilizzano un gruppo distintivo e ristretto di riarrangiamenti genici per formare i loro recettori, si auto-ricostituiscono in periferia e sono i linfociti principali della cavità peritoneale. Le cellule B-1sembrano attuare risposte anticorpali principalmente verso antigeni polisaccaridici e possono pordurre anticorpi della classe IgM senza l’aiuto di cellule T. Questa risposta compare entro 48 ore dalla esposizione all’antigene, perché probabilmente c’è un’alta frequenza di precursori linfocitari che si espandono. In assenza dell’aiuto di cellule T antigene-specifche, sono formate IgM e queste risposte agiscono attraverso l’attivazione del complemento. La mancanza di una interazione antigene- specifica spiega perché non si generi memoria immunologica.

ALTRI EFFETTORI DELL’IMMUNITA’ INNATA Non è ancora chiaro il ruolo fisiologico delle cellule B-1. Nei topi la deficienza di cellule B-1 determina una maggiore sensibilità alle infezioni determinate da Streptococcus pneumoniae, per mancanza di anticorpi contro il fosfolipide fosforilcolina, protettivo contro questo microrganismo. In termini di evoluzione, è interessante notare come le cellule Tg:d sembrano difendere le superfici dell’organismo, mentre le cellule B-1 difendono le cavità corporee. Entrambi i tipi cellulari hanno specificità limitata e limitata efficienza nelle loro risposte.

ALTRI EFFETTORI DELL’IMMUNITA’ INNATA Esiste infine un gruppo di anticorpi conosciuti come ‘anticorpi naturali’. Queste IgM naturali sono codificate da geni anticorpali riarrangiati che non hanno subìto mutazioni somatiche. Costituiscono una parte consistente delle IgM circolanti e non sembrano derivare da una risposta adattativa antigene-specifica alle infezioni. Hanno una bassa affinità per molti microrganismi patogeni e sono altamente cross-reattivi. Non se ne sa ancora esattamente il ruolo, ma sembra che si leghino ai microrganismi nei primi momenti dell’infezione eliminandoli prima che diventino dannosi.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI B IMMUNOGLOBULINE Regione variabile o regione V: lega l’antigene Regione costante o regione C: innesca le attività funzionali del linfocita B, che è quella di reclutare altre cellule e molecole per distruggere il patogeno. Presenta cinque possibili conformazioni, specializzate per l’attivazione di diversi meccanismi effettori. Il recettore del linfocita B, che è legato alla membrana, non presenta tali funzioni effettrici, perché la regione C è inserita nella membrana. Funziona come un recettore, riconosce e lega l’antigene mediante la regione V e trasmette un segnale che causa l’attivazione del linfocita B.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T RECETTORI DEI LINFOCITI T (TCR) Sono esclusivamente proteine legate alla membrana e la loro funzione è di attivare il linfocita T. Sono simili alle immunoglobuline tanto per la struttura proteica (possiedono le regioni C e V) quanto per il meccanismo genetico che genera la loro grande variabilità. Il TCR differisce dal recettore dei linfociti B perché non riconosce direttamente l’antigene, ma riconosce piccoli frammenti peptidici di proteine del patogeno, legati alle molecole MHC sulla superficie di altre cellule.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T MOLECOLE MHC Le molecole MHC sono caratterizzate da una tasca che corre lungo la superficie esterna, alla quale possono legarsi una grande varietà di peptidi. Le molecole MHC mostrano una grande variabilità genetica nella popo- lazione e ciascun individuo possiede fino a 12 possibili varianti, il che aumenta la gamma dei peptidi che possono essere riconosciuti. I TCR riconoscono sia le caratteristiche del peptide antigenico che della molecola MHC a cui esso è legato -> restrizione MCH: ogni recettore non è specifico per un peptide estraneo, ma per una combinazione unica di peptide e molecola MHC.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI Delle cinque classi di immunoglobuline -IgM, IgD, IgG, IgA, IgE- useremo le IgG come esempio per descrivere le caratteristiche generali della struttura delle Ig. Le IgG sono grandi molecole di peso molecolare di circa 150 kDa, composte da due tipi diversi di catene polipeptidiche. Una di circa 50 kDa è detta catena pesante o catena H; l’altra, di 25 kDa, è detta catena leggera o catena L. Le due catene pesanti sono legate tra loro da legami disolfuro, e un ulteriore ponte disolfuro lega ciascuna catena pesante ad una catena leggera. Esistono due tipi di catene leggere, chiamate lambda (l) e kappa (k), e una data Ig possiede catene k oppure l, ma non entrambe. Non sono state trovate differenze funzionali tra i due tipi di catene.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI La classe dell’anticorpo, e quindi la sua funzionalità, sono definite dalla catena pesante. Esistono cinque principali classi di catene pesanti o isotipi (alcuni dei quali con sottotipi): m, d, g, a, e. Le IgG sono di gran lunga le più abbondanti e hanno diverse sottoclassi (IgG 1, 2, 3 e 4 nell’uomo). Le peculiari proprietà delle catene pesanti sono conferite dalla regione carbossi-terminale, che non si associa alla catena leggera.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI La determinazione della sequenza aminoacidica delle Ig ha permesso di comprendere due importanti caratteristiche degli anticorpi: ogni catena consiste di una serie di sequenze simili, anche se non identiche, ciascuna lunga circa 110 aminoacidi. Ognuna di queste ripetizioni corrisponde ad una regione discreta della proteina, nota come dominio proteico. La catena leggera è formata da due soli domini, mentre la catena pesante ne contiene quattro.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI 2) elevata variabilità della parte amino-terminale delle catene pesanti e leggere. La sequenza variabile è limitata ai primi 110 aminoacidi, corrispondente al primo dominio, mentre gli altri domini sono costanti tra catene immunoglobuliniche dello stesso isotipo. Le sequenze amino-terminali variabili o domini V delle catene pesanti e leggere (VH e VL, rispettivamente) formano insieme la regione V dell’anticorpo, mentre i domini costanti (domini C) delle catene pesanti e leggere (CH e CL, rispettivamente) formano la regione C.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI Con l’uso di enzimi proteolitici che tagliano le sequenze polipeptidiche è stato possibile scomporre la struttura dell’anticorpo. Una digestione limitata, ad opera della papaina, divide l’anticorpo in tre frammenti. Due di essi sono identici e contengono l’attività di legame con l’antigene. Sono detti frammenti Fab (Fragment antigen binding), e corrispondono alle due braccia identiche dell’anticorpo e contengono le due catene leggere appaiate ai domini VH e CH delle catene pesanti. L’altro frammento non contiene alcuna attività di legame con l’antigene ma fu osservato che cristallizza con facilità e per questo fu denominato Fc, frammento cristallizzabile. Esso corrisponde ai domini CH2 e CH3 appaiati ed è la parte dell’anticorpo che interagisce con cellule e molecole effettrici.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI Un’altra proteasi, la pepsina, taglia l’anticorpo nella stessa zona della papaina ma sul lato carbossi-terminale dei legami disolfuro. Questo produce il frammento F(ab’)2 in cui i due bracci che legano l’antigene restano legati. La parte rimanente delle catene pesanti viene tagliata in frammenti più piccoli. Il frammento F(ab’)2 non è chiamato F(ab)2 perché non è uguale al frammento Fab, ma contiene qualche aminoacido in più comprese le cisteine che formano il ponte disolfuro.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI La regione cerniera che lega le prozioni Fc e Fab dell’anticorpo non è una connessione rigida ma piuttosto una catena flessibile che permette movimenti indipendenti dei due frammenti Fab. Una certa flessibilità è presente anche alla giunzione tra i domini V e C e permette al dominio V di piegarsi e di ruotare rispetto al dominio C. La flessibilità presente sia a livello della cerniera che della giunzione V-C consente ad entrambe le braccia dell’anticorpo di legare antigeni che si trovano a diverse distanze l’uno dall’altro come sulla parete cellulare polisaccaridica di un batterio.

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI I diversi domini di una immunoglobulina hanno strutture simili. Le catene pesanti e leggere delle Ig sono composte da una serie di domini proteici discreti. Questi domini hanno strutture ripiegate in modo simile, ma esistono anche delle differenze. Ciasun dominio è composto da due foglietti beta (b-sheets), che sono costituiti da filamenti della catena polipeptidica impacchettati tra loro (filamenti beta o b-strand). I foglietti sono legati tra loro da un legame disolfuro e formano una struttura dalla forma “a barile” nota come barile beta (b barrel).

STRUTTURA DEGLI ANTICORPI La differenza principale tra i domini V e C è che il dominio V è più grande ed ha un’ansa in più poiché ha due filamenti C’ e C’’ in più rispetto al dominio C. Le anse flessibili dei domini V formano il sito di legame con l’antigene. Altre proteine con una sequenza simile a quella delle Ig formano domini con strutture simili, e questi domini sono denominati immunoglobulin-like domains. Sono presenti in molte proteine del sistema immunitario e in proteine coinvolte nel riconoscimento cellula-cellula nel sistema nervoso e in altri tessuti. Insieme alle immunoglobuline e ai recettori dei linfociti T, queste proteine costituiscono la superfamiglia delle immunoglobuline.

INTERAZIONE TRA ANTICORPO E ANTIGENE Le regioni V di un dato anticorpo sono uniche rispetto a quelle degli altri. La variabilità della sequenza non è distribuita uniformemente lungo la regione V ma è concentrata solo in alcuni tratti. Confrontando le sequenze aminoacidiche di molte regioni V, sono stati identificati tre segmenti di particolare variabilità nei domini VH e VL, denominati regioni ipervariabili: HV1, HV2 e HV3. I tratti compresi tra una regione ipervariabile e l’altra mostrano una variabilità minore e sono denominati regioni cornice (framework regions): FR1, FR2, FR3 e FR4.

INTERAZIONE TRA ANTICORPO E ANTIGENE Le regioni cornice sono formate dai foglietti b che forniscono l’intelaiatura strutturale del dominio, mentre le sequenze ipervariabili corrispondono a tre anse sul bordo esterno del barile b. Quando i domini VH e VL sono appaiati sulla molecola dell’anticorpo, le anse ipervariabili dei due domini si trovano vicine, creando un singolo sito ipervariabile sulla sommità di ciascun braccio dell’anticorpo.

INTERAZIONE TRA ANTICORPO E ANTIGENE Le tre anse ipervariabili formano una superficie complementare allo antigene e sono dette regioni che determinano la complementarità (CDR1, CDR2, e CDR3). Poiché le regioni CDR di entrambi i domini VH e VL contribuiscono a formare il sito per l’antigene, è la combinazione di catene pesanti e leggere a determinare la specificità per l’antigene. Uno dei modi del sistema immunitario di generare anticorpi con diverse specifictà è attraverso combinazioni differenti di regioni V di catene leggere e pesanti. Si parla in generale di diversità combinatoria.

INTERAZIONE TRA ANTICORPO E ANTIGENE Il legame dell’anticorpo con l’antigene dipende dalla sequenza amino- acidica delle CDR, ma anche dalla forma e dalle dimensioni dello antigene. Apteni (piccole molecole di varia natura, delle dimensioni della catena laterale di una tirosina) o corti peptidi legano una cavità o una tasca compresa tra i domini V della catena leggera e pesante. Nel caso di proteine, queste possono non trovare posto in una tasca o cavità; l’interfaccia tra anticorpo e antigene è allora una superficie estesa che coinvolge tutte le CDR e, a volte, parte delle regioni cornice.

INTERAZIONE TRA ANTICORPO E ANTIGENE Un anticorpo riconosce generalmente solo un tratto limitato sulla superficie di una grande molecola come un polisaccaride o una proteina. La struttura riconosciuta da un anticorpo è detta determinante antigenico epitopo. Nel caso delle proteine (ad es. del capside virale), le strutture riconosciute sono sulla superficie di queste molecole. Inoltre, tali strutture sono in genere formate da aminoacidi provenienti da zone diverse della catena polipeptidica, avvicinati dal ripiegamento della proteina: epitopi conformazionali o discontinui. Gli epitopi composti da una singola sequenza sono detti epitopi lineari o continui. La maggior parte degli anticorpi riconosce epitopi conformazionali.

INTERAZIONE TRA ANTICORPO E ANTIGENE Il legame anticorpo-antigene è reversibile e non covalente.

INTERAZIONE TRA ANTICORPO E ANTIGENE Le interazioni elettrostatiche si attuano tra le catene laterali degli aminoacidi, nei legami idrogeno e possono coinvolgere le forze a corto raggio di van der Waals. In alcuni casi, molecole di acqua possono essere intrappolate tra antigene e anticorpo e permettere al legame tra residui polari. Le interazioni anticorpo-antigene avvengono principalmente attraverso interazioni idrofobiche e forze di van der Waals, a causa della presenza di molti aminoacidi aromatici nella molecola dell’anticorpo. Le interazioni elettrostatiche tra catene laterali cariche e i legami idrogeno combinano gruppi chimici specifici rinforzando il legame complessivo. Sono queste interazioni a determinare l’affinità di legame.

INTERAZIONE TRA ANTICORPO E ANTIGENE RIASSUNTO La specificità del legame antigene-anticorpo è determinata dalle anse ipervariabili e cioè dalle regioni che determinano la complementarità. A livello chimico, tale complementarità è mediata da legami idrofobici e forze a corto raggio di van der Waals. L’affinità di legame è invece mediata da interazioni elettrostatiche e legami idrogeno.

RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DA PARTE DEI LINFOCITI T I linfociti T interagiscono con gli antigeni solo se questi si trovano sulla superficie di cellule specializzate. Tali antigeni possono derivare da: virus batteri intracellulari che si replicano all’interno delle cellule oppure da patogeni e loro derivati presenti nei fluidi extracellulari e internalizzati dalle cellule per endocitosi

RECETTORE DELL’ANTIGENE DEI LINFOCITI T Il recettore per l’antigene dei linfociti T presenta delle caratteristiche simili al frammento Fab delle immunoglobuline. E’ formato da una catena a e da una catena b (TCRa e TCRb) legate da un ponte disolfuro. Tali recettori comunque differiscono dalla Ig di membrana che costituisce il recettore dei linfociti B: essi hanno un solo sito di legame per l’antigene e inoltre non vengono mai secreti.

RECETTORE DELL’ANTIGENE DEI LINFOCITI T Dal cDNA clonato del TCR si è potuti risalire alla sequenza amino- acidica, che ha rivelato che entrambe le catene hanno una regione variabile (V), omologa al dominio V delle Ig, una regione costante (C), omologa al dominio C delle Ig, e una regione cerniera contenente un residuo di cisteina che forma un ponte disolfuro intercatenario. Le catene attraversano il doppio strato lipidico con un dominio idrofobico e terminano con una breve coda citoplasmatica.

RECETTORE DELL’ANTIGENE DEI LINFOCITI T I TCR riconoscono l’antigene in maniera differente dagli anticorpi. Mentre le Ig riconoscono aminoacidi che non sono contigui nella sequenza primaria, i TCR riconoscono brevi sequenze di aminoacidi contigui. Poiché tali molecole si trovano all’interno della struttura nativa della proteina, si rende necessaria una qualche denaturazione della proteina, successivamente processata fino alla riduzione in frammenti peptidici. La natura dell’antigene riconosciuto dai linfociti T divenne chiara quando si capì che i peptidi stimolanti vengono riconosciuti solo se sono legati a molecole MHC.

CO-RECETTORI DEL TCR CD8 e CD4 sono espressi da due classi linfocitarie, i linfociti T cito- tossici e i linfociti T helper rispettivamente. Queste due classi di linfociti riconoscono due classi diverse di MHC, MHC di classe I e di classe II, rispettivamente. CD8 e CD4 non sono solo dei marcatori di classi linfocitarie, ma svolgono un ruolo importante nel riconoscimento diretto delle MHC. CD8 lega molecole MHC di classe I, mentre CD4 lega le MHC di classe II. Durante il riconoscimento dell’antigene, CD4 o CD8 si associano al TCR e legano i siti costanti della porzione MHC del complesso peptide:MHC. Questo legame è necessario perché la cellula produca una risposta funzionale: per questo motivo CD4 e CD8 sono chiamati co- recettori.

CO-RECETTORI DEL TCR CD4 è una molecola a catena singola composta da quattro domini simili a quelli immunoglobulinici, chiamati D1-D4. I primi due (D1 e D2) formano una bacchetta rigida e sono uniti da una cerniera flessibile al terzo e al quarto dominio (D3 e D4). CD4 lega le molecole MHC di classe II grazie ad una regione collocata in una zona laterale del primo dominio. CD4 lega le molecole MHC ben lontano dal sito di legame del TCR: -> le due molecole possono legarsi allo stesso complesso peptide:MCH.

CO-RECETTORI DEL TCR CD4 interagisce con una tirosin-chinasi citoplasmatica, chiamata Lck, e permette il suo avvicinamento alle strutture deputate alla trasmissione del segnale, nel complesso del recettore. Questo determina un incremento del segnale generato dal legame tra recettore e antigene. Quando il CD4 e il recettore si legano simultaneamente allo stesso complesso peptide:MHC, sono necessarie quantità di antigene 100 volte inferiore per attivare il linfocita T.

CO-RECETTORI DEL TCR CD8 è un eterodimero costituito da una catena a ed una b legate da un ponte disolfuro. Ciascuna catena presenta un singolo dominio simile a quello immuno- globulinico legato alla membrana plasmatica da una lunga catena polipeptidica. Quest’ultimo segmento è estesamente glicosilato, il che serve a mantenere il polipeptide in configurazione allungata e a preservarlo da tagli proteolitici.

CO-RECETTORI DEL TCR CD8 lega debolmente un sito costante delle MHC di classe I e, analogamente al legame di CD4 alle MHC di classe II, lascia la superficie superiore di MHC libera di interagire nello stesso momento con il TCR. Anche CD8 lega Lck per mezzo della coda citoplasmatica della catena a e attiva la chinasi in prossimità del recettore. La presenza di CD8 fa aumentare di circa 100 volte la sensibilità dei linfociti T per l’antigene presentato da MHC di classe I.

MOLECOLE MHC Le molecole MHC di classe I e II hanno una diversa distribuzione tra le cellule e i tessuti.

MOLECOLE MHC Le molecole MHC di classe I presentano peptidi derivati da patogeni, in genere virus, ai linfociti T CD8 citotossici. Poiché i virus possono infettare qualunque cellule nucleata, quasi tutte esprimono le molecole MHC di classe I anche se il livello di espressione varia da un tipo cellulare all’altro. Le cellule non nucleate, come gli eritrociti, presentano livelli molto bassi, e quindi al loro interno si può sviluppare un’infezione senza che sia rilevata da linfociti T. Dato che i virus non possono replicarsi all’interno delgi eritrociti, questo non ha conseguenze in caso di infezione virale. Al contrario, permetterà al Plasmodium, l’agente della malaria, di sopravvivere all’interno dei globuli rossi.

MOLECOLE MHC La funzione dei linfociti T CD4 che riconoscono le MHC di classe II è quella di attivare altre cellule del sistema immunitario -> le molecole MHC di classe II si trovano normalmente su linfociti B, macrofagi e cellule dendritiche. Si trovano anche molto espresse su cellule specializzate nella presentazione dell’antigene, presenti nei tessuti linfoidi dove i linfociti T naive o vergini incontrano l’antigene e vengono attivati per la prima volta.

MOLECOLE MHC L’espressione di entrambe le classi di MHC è regolata dalle citochine, in particolare dagli interferoni. L’IFN-g può indurre l’espressione delle MHC di classe II su alcuni tipi cellulari che normalmente non le esprimono. Gli interferoni stimolano anche la presentazione dell’antigene da parte delle MHC di classe I inducendo l’espressione di elementi chiave del meccanismo intracellulare usato per installare i peptidi sulle molecole MHC.

MOLECOLE MHC Le due classi MHC sono formate da subunità diverse ma nella struttura d’insieme appaiono correlate. In entrambe le classi, i due domini in prossimità della membrana sono simili al dominio immunoglobulinico, mentre i due domini distali si ripiegano uno sull’altro formando una tasca, il sito a cui si lega il peptide.

MOLECOLE MHC DI CLASSE I Consistono di due catene polipeptidiche, una catena a maggiore, codificata nel locus genetico MHC, e una catena b minore, la b2 microglobulina, legata in modo non covalente, che non è polimorfica e non viene codificata dal locus MHC. La molecola consta di quattro domini, tre formati dalla catena a ed uno costituito dalla b2 microglobulina. Il dominio a3 e la b2 microglobulina sono simili al dominio C delle Ig. Le catene a1 e a2 formano una tasca sulla superficie della molecola, il sito di legame del peptide. Sono anche i siti polimorfici che determinano il riconoscimento da parte dei linfociti T.

MOLECOLE MHC DI CLASSE II Sono formate dal complesso non covalente di due catene a e b, che attraversano la membrana. Entrambe le catene sono codificate dal locus MHC. L’analisi cristallografica mostra che la struttura delle molecole MHC di classe II è molto simile a quella delle MHC di classe I. Anche nel caso delle MHC di classe II i siti polimorfici sono collocati nella tasca, formata dai domini a1 e b1.

MOLECOLE MHC Sia nelle MHC di classe I che di classe II i peptidi sono contenuti tra le due a eliche della molecola. L’unica differenza è che le estremità della tasca delle MHC di classe II sono più aperte: come conseguenza, le estremità di un peptide legato alle MHC di classe I sono interne alla molecola, mentre nella classe II sono esposte all’esterno. Il recettore dei linfociti T interagisce con il suo ligando prendendo contatto sia con la molecola MHC che con il frammento peptidico dell’antigene.

MOLECOLE MHC Al fine di attivare i linfociti T in presenza di tutte le infezioni possibili, le molecole MHC devono essere in grado di legare molti tipi diversi di peptidi. La struttura cristallografica ha permesso di capire come faccia un singolo sito a legare con alta affinità una grande varietà di peptidi diversi. I peptidi stabilizzano la struttura molecolare che li lega, permettendo alle molecole MHC di essere indicatori affidabili della presenza di antigeni specifici.

INTERAZIONE TRA PEPTIDI E MOLECOLE MHC DI CLASSE I Il legame del peptide nella tasca di una molecola MHC di classe I è stabilizzato su entrambe le estremità attraverso contatti tra le terminazioni aminica e carbossilica del peptide e alcuni siti costanti della molecola MHC, presenti ad entrambi i capi della tasca. I peptidi sono lunghi solitamente 8-10 aminoacidi, quando presentano lunghezze maggiori trovano posto ugualmente ripiegando lo scheletro peptidico.

INTERAZIONE TRA PEPTIDI E MOLECOLE MHC DI CLASSE I Le molecole MHC di classe I sono molto polimorfiche. Esistono centinaia di versioni diverse, o alleli, dei geni MHC di classe I nella popolazione, e ogni individuo ne porta una piccola frazione. Le differenze principali tra le varianti alleliche si trovano in determinati siti aminoacidici all’interno della tasca di legame con il peptide. Ne consegue che le diverse varianti MHC hanno delle preferenze di legame per peptidi diversi. I peptidi che si legano a una certa variante di molecole MHC hanno gli stessi, o molto simili, aminoacidi in due o tre particolari posizioni. Gli aminoacidi che corrispondono a queste posizioni e che interagiscono con i residui polimorfici delle MHC sono chiamati residui di ancoraggio.

INTERAZIONE TRA PEPTIDI E MOLECOLE MHC DI CLASSE I Anche se sia la posizione che l’identità dei residui di ancoraggio possono variare a seconda della variante allelica della MHC di classe I, quasi tutti i peptidi possiedono un residuo idrofobico (a volte basico) alla loro estremità carbossiterminale. Di solito il legame non è influenzato dagli aminoacidi presenti nelle altre posizioni. Queste qualità di legame permettono ad una singola molecola MHC di classe I di legare un’ampia gamma di peptidi diversi e a diverse varianti alleliche di legare diversi gruppi di peptidi.

INTERAZIONE TRA PEPTIDI E MOLECOLE MHC DI CLASSE II I peptidi che legano le molecole MHC di classe II sono lunghi almeno 13 aminoacidi e possono esserlo molto di più. Nella tasca delle MHC di classe II, le estremità del peptide non sono legate. Il peptide interagisce con residui polimorfici presenti lungo tutta la tasca. Esistono anche delle interazioni tra lo scheletro del peptide e le catene laterali di aminoacidi conservati lungo il solco.

INTERAZIONE TRA PEPTIDI E MOLECOLE MHC DI CLASSE II Le tasche di legame delle molecole MHC di classe II sono più permissive, perché consentono di alloggiare catene laterali diverse. Nonostante questo e la diversa lunghezza dei peptidi che possono essere alloggiati, si è riusciti a definire un pattern di aminoacidi permissivi per ciascun allele della MHC di classe II.

INTERAZIONE TRA TCR E COMPLESSO PEPTIDE:MHC L’analisi cristallografica a raggi X ha permesso di comprendere come il TCR interagisca con il complesso peptide:MHC. La catena a del recettore è posta tra il dominio a2 di MHC e la estremità aminoterminale del peptide legato. La catena b del recettore è posta tra il dominio a1 e l’estremità carbossiterminale del peptide. Le anse CDR3 delle catene a e b sono poste in corrispondenza della regione centrale della tasca.

INTERAZIONE TRA TCR E COMPLESSO PEPTIDE:MHC Nel legame del TCR al complesso peptide:MHC sono importanti sia residui presenti sul peptide che sulla molecola MHC -> la specificità del riconoscimento del linfocita T coinvolge sia il peptide che la MHC che lo presenta. Questa doppia specificità è alla base del fenomeno della restrizione MHC.

TCR g:d Una minoranza della popolazione di linfociti T presenta un tipo diverso di recettore costituito da un dimero g:d anziché a:b. I recettori g:d potrebbero essere coinvolti nel riconoscimento di diversi tipi di ligando, come per esempio le proteine heat shock o ligandi non peptidici, come gli antigeni lipidici dei micobatteri. I recettori g:d non sembrano essere ristretti dalle “classiche” molecole MHC di classe I o II. Possono quindi legare l’antigene libero, come fanno le Ig, e/o peptidi o altri antigeni presentati da molecole MHC “nonclassiche”, le quali assomigliano alle MHC di classe I ma sono relativamente non polimorfiche.

LA FORMAZIONE SUI LINFOCITI DEI RECETTORI PER GLI ANTIGENI

Ciascuna diversa catena recettoriale non può essere presente come singola unità codificante nel genoma, perché questo richiederebbe un numero di geni maggiore di quanto ce ne siano in realtà. Un meccanismo genetico è alla base della variabilità dei recettori per l’antigene: riarrangiamento genico. I domini V dei recettori sono costituiti da più frammenti, i quali sono codificati da segmenti genici, i quali, a causa della ricombinazione somatica del DNA che avviene durante la maturazione linfocitaria, vengono riuniti per formare una sequenza completa. Ciascun tipo di segmento è presente in più copie nel genoma e la selezione di un segmento genico avviene casualmente.

I SEGMENTI GENICI DELLE IMMUNOGLOBULINE Il dominio V della catena leggera è codificato da due segmenti genici separati di DNA. Il primo codifica i primi 95-101 aminoacidi ed è chiamato segmento genico V e corrisponde alla maggior parte del dominio V. La parte rimanente (fino a 13 aminoacidi) è codificata dal secondo segmento, detto segmento genico J (dall’inglese Joining). Durante la ricombinazione, i segmenti V e J vengono uniti per formare un esone V. Il dominio C della catena leggera è codificato da un esone separato e questo viene unito all’esone V durante la maturazione dell’mRNA.

I SEGMENTI GENICI DELLE IMMUNOGLOBULINE Il dominio V della catena pesante è codificato da tre segmenti genici. Oltre i segmenti V e J, esiste un terzo segmento detto segmento genico D (diversity) localizzato tra i segmenti V e J. Vi sono molti esoni diversi che possono codificare la regione C della catena pesante. In entrambi i casi, lo spicing dell’RNA porterà alla riunione della regione V con la vicina regione C.

I SEGMENTI GENICI DELLE IMMUNOGLOBULINE In effetti esistono molte copie di ciascuno dei segmenti genici.

I SEGMENTI GENICI DELLE IMMUNOGLOBULINE I segmenti genici delle immunoglobuline sono organizzati in tre cluster o loci genici: k, l. e il locus per le catene pesanti. Locus delle catene leggere l: cromosoma 22. Il gruppo costituito dai segmenti genici Vl è seguito da una serie di quattro segmenti genici Jl ciascuno seguito da un singolo gene Cl. Locus delle catene leggere k: cromosoma 2. L’insieme dei geni Vk è seguito da un gruppo di geni Jk e infine da un solo gene Ck. Locus della catene pesanti: cromosoma 14. Assomiglia al locus della catene k, con gruppi separati di di geni per VH, DH, e JH e infine i geni CH. Inoltre, esso contiene non una sola catena C, ma una serie di sequenze C allineate una dopo l’altra.

RICOMBINAZIONE V D J La ricombinazione somatica V(D)J è determinata da enzimi: il processo di rombinazione del DNA è operata da enzimi specifici per la linea linfoide: RAG-1 e RAG-2 (recombinase -activating genes) 2) la riparazione del DNA è operata da enzimi ubiquitari che modificano il DNA e da un enzima che aggiunge nucleotidi, la TdT (deossi- nucleotidil transferasi terminale), un altro enzima specifico della linea linfoide.

MECCANISMI DELLA DIVERSITA’ ANTICORPALE La diversità anticorpale è determinata in quattro modi. Il riarrangiamento genico, grazie al quale due o tre segmenti genici si combinano per formare un esone completo della regione V, genera diversità in due modi. i riarrangiamenti possono utilizzare combinazioni diverse dei vari frammenti genici -> diversità combinatoria 2) nel punto di giunzione dei diversi segmenti genici si origina la diversità giunzionale, dovuta al fatto che durante la ricombinazione possono essere aggiunti o sottratti nucleotidi.

MECCANISMI DELLA DIVERSITA’ ANTICORPALE La terza causa è ancora una forma di diversità combinatoria. Deriva dal fatto che le regioni V delle actene leggere e pesanti possono combinarsi in vari modi quando queste si appaiano per formare il sito di legame per l’antigene. Questi tre meccanismi avvengono durante lo sviluppo delle cellule B immature. Quindi avremo sulle cellule B naive un repertorio di 1011 differenti molecole anticorpali. Il quarto meccanismo è rappresentato dalle mutazioni che avvengono nelle cellule B mature ed attivate, e solo sulle regioni V: ipermutazione somatica.

MECCANISMI DELLA DIVERSITA’ ANTICORPALE Per le catene leggere k: 40 geni Vk e 5 segmenti Jk = 200 diverse regioni Vk. Per le catene leggere l: 30 geni Vl e 4 geni Jl = 120 diverse regioni Vl. In totale possono essere utilizzate 320 catene leggere diverse. Per le catene pesanti: 65 geni VH, 27 geni DH e 6 geni JH= 11.000 differenti regioni VH.

MECCANISMI DELLA DIVERSITA’ ANTICORPALE Durante la maturazione delle cellule B, al riarrangiamento del locus delle catene pesanti, fanno seguito molti cicli di divisione cellulare prima che avvenga il riarrangiamento delle catene leggere. La particolare combinazione dei segmenti genici usati per produrre una catena pesante non sembra condizionare la scelta dei segmenti ricombinati per ottenere la regione variabile della catena leggera. 320 x 11.000 = 3,5 x 106 Considerando anche la meccanismo di giunzione , si ritiene che il repertorio ammonti a 1011.

DIVERSITA’ GIUNZIONALE Due delle tre anse presenti nella regione ipervariabile delle Ig sono codificate dal segmento genico V. La terza (HV3 o CDR3) è localizzata nel punto di giunzione tra il segmento V e il segmento J, nelle catene pesanti è in parte codificata dal segmento D. Sia nelle catene pesanti che leggere la diversità tra le varie regioni CDR3 è incrementata notevolmente dall’aggiunta o dalla delezione di nucleotidi nella regione di giunzione tra i vari segmenti.

IPERMUTAZIONE SOMATICA Il quarto meccanismo di generazione della diversità anticorpale agisce nelle cellule B a livello degli organi linfatici periferici dopo che sono stati assemblati i geni funzionali delle Ig. Esso introduce un numero considerevole di mutazioni puntiformi nelle regioni V dei geni riarrangiati delle catene pesanti e leggere, dando così origine a recettori mutati sulla superficie delle cellule B. Alcune delle Ig mutate legano l’antigene meglio del recettore originale e le cellule B che le esprimono vengono scelte per diventare cellule mature secernenti gli anticorpi: maturazione per affinità.

IPERMUTAZIONE SOMATICA L’ipermutazione somatica ha luogo quando la risposta delle cellule B all’antigene si avvale dei segnali delle cellule T attivate. Coinvolge solo la regione V e non la regione C delle Ig, e nessun altro dei geni espressi dalle cellule B. Le mutazioni che alterano le sequenze aminoacidiche nelle parti conservate modificheranno la struttura di base e quindi verranno selezionate negativamente. Invece le mutazioni che saranno selezionate positivamente perché risultano in una maggiore affinità per l’antigene, sono quelle che alterano le sequenze aminoacidiche delle regioni CDR.

IL RIARRANGIAMENTO DEI GENI PER I RECETTORI DELLE CELLULE T I loci per il recettore delle cellule T sono formati da gruppi di segmenti, così come i loci per le catene pesanti e leggere delle Ig. Il locus TCRa sul cromosoma 14, allo stesso modo dei loci per le catene leggere, contiene segmenti genici V e J. Il locus TCRb sul cromosoma 7, come quello per le catene pesanti, contiene i segmenti genici D in aggiunta ai segmenti genici V e J.

IL RIARRANGIAMENTO DEI GENI PER I RECETTORI DELLE CELLULE T Una delle differenze più importanti fra i geni delle Ig e quelli del TCR risiede nel numero di geni che codificano la regione C. Le regioni C nei loci TCR sono molto più semplici di quelle nel locus per le catene pesanti delle Ig. C’è un solo gene Ca e, sebbene, vi siano due geni Cb, essi sono largamente omologhi e non vi è nessuna differenza funzionale tra i loro prodotti. I geni per la regione C del recettore T codificano solo polipeptidi transmembrana. Le funzioni effettrici delle cellule T dipendono dal contatto cellula-cellula. Al contrario, le funzioni effettrici delle cellule B dipendono dagli anticorpi secreti che devono le loro proprietà ai differenti isotipi della regione C della catena pesante.

IL RIARRANGIAMENTO DEI GENI PER I RECETTORI DELLE CELLULE T Un’altra differenza tra i TCR e le Ig risiede nella diversa natura dei loro ligandi. I siti di legame per l’antigene delle Ig devono adattarsi alla superficie di un numero quasi illimitato di antigeni. Al contrario, il ligando di un recettore T è sempre un peptide legato ad una molecola MHC. Da ciò l’ipotesi che i siti di riconoscimento dell’antigene sui TCR dovrebbero possedere meno varianti strutturali, con gran parte della variabilità focalizzata sul peptide antigenico. Sia in un anticorpo che in un recettore T, la parte centrale del sito di legame per l’antigene è costituita dai CDR3. Nel TCR è codificata dai segmenti genici D e J. Il sito è fiancheggiato dalle anse CDR1 e CDR2, codificate da segmenti genici V.

IL RIARRANGIAMENTO DEI GENI PER I RECETTORI DELLE CELLULE T I loci per il recettore delle cellule T hanno circa lo stesso numero di segmenti genici V che hanno i loci per le Ig, ma solo le cellule B diversificano i geni riarrangiati per ipermutazione somatica. Quindi la variabilità delle anse CDR1 e CDR2 sarà molto maggiore fra le molecole anticorpali che non fra i recettori delle cellule T. Questo concorda con il fatto che le anse CDR1 e CDR2 del recettore T prendono contatto con la molecola MHC che è relativamente meno variabile rispetto al peptide.

IL RIARRANGIAMENTO DEI GENI PER I RECETTORI DELLE CELLULE T La variabilità della struttura dei recettori T è soprattutto imputabile alla diversità combinatoria e giunzionale. Il locus TCRa contiene molti più segmenti genici J dei loci delle catene leggere delle Ig. Nelle Ig e nel recettore T questa regione codifica per l’ansa CDR3. Quindi la parte centrale del recettore sarà altamente variabile, mentre la periferia sarà soggetta ad una minore diversità. Nelle cellule T, i nucleotidi vengono aggiunti a tutte le giunzioni V e J dei geni TCRa riarrangiati, mentre solo la metà delle giunzioni V-J dei geni per le catene leggere sono modificate dall’aggiunta di nucleotidi.

I LOCI PER LE CATENE d E g L’organizzazione dei loci TCRd e TCRg assomiglia a quella dei loci e b, ma con differenze importanti. L’insieme dei segmenti genici che codificano per la catena d è contenuto all’interno del locus a, tra i segmenti genici V e J. Il riarrangiamento dei geni V nel locus a porterà alla delelzione del locus d. I loci TCRd e TCRg hanno meno segmenti genici sia dei loci a e b, che di qualunque locus delle Ig. La diversità delle catene g e d risiede nella regione di giunzione, che compensa il piccolo numero di segmenti genici V.

IPERMUTAZIONE SOMATICA E TCR Nella generazione della variabilità degli anticorpi, l’ipermutazione somatica aumenta la variabilità di tutte tre le CDR di entrambe le catene delle Ig. Nei geni dei recettori T non si ha ipermutazione somatica, quindi la variabilità delle regioni CDR1 e CDR2 è limitata a quella dei segmenti genici V nella conformazione germinale. Tutta la diversità tra i recettori T si genera durante il riarrangiamento e di conseguenza è dovuta alle regioni CDR3.

IPERMUTAZIONE SOMATICA E TCR Il ruolo principale delle cellule T è di stimolare entrambe le risposte immunitarie, umorale e cellulare, ed è quindi fondamentale che le cellule T non reagiscono contro proteine proprie. Non solo durante lo sviluppo intratimico le cellule T autoreattive vengono eliminate, ma la mancanza di ipermutazione somatica permette di evitare che nel corso della vita compaiono dei mutanti somatici che riconoscano il self. Qualora dovesse generarsi un clone di cellule B in grado di reagire contro il self, in circostanze normali non sarebbe in grado di produrre anticorpi specifici, in quanto mancherebbero le cellule T autoreattive capaci di cooperare per la risposta.

VARIAZIONI STRUTTURALI DELLE REGIONI COSTANTI DELLE IMMUNOGLOBULINE Le regioni CH che determinano la classe o isotipo dell’anticorpo, e quindi le sue funzioni effettrici, sono codificate da geni separati a valle dei geni V nel locus delle catene pesanti. Inizialmente viene espresso, in associazione col gene V, solo il primo di questi geni, il gene Cm. Durante la risposta anticorpale, le cellule B possono però esprimere un diverso gene CH, grazie a un processo di ricombinazione noto come cambio dell’isotipo. Lo splicing alternativo permette, per ciascun isotipo, la produzione della forma legata alla membrana o di quella secreta, e anche la contemporanea produzione di IgM e IgD di superficie nei linfociti B maturi ma che non hanno ancora incontrato l’antigene (B naive).

VARIAZIONI STRUTTURALI DELLE REGIONI COSTANTI DELLE IMMUNOGLOBULINE Questi meccanismi generano una variabilità strutturale delle Ig, mentre questo non avviene per i geni del recettore delle cellule T. Le Ig funzionano sotto forma di molecole solubili che devono sia legare l’antigene sia reclutare una serie di cellule effettrici e di molecole con cui interagire in modo appropriato. Il recettore delle cellule T funziona solo da recettore legato alla membrana che deve attivare la giusta risposta cellulare.

VARIAZIONI STRUTTURALI DELLE REGIONI COSTANTI DELLE IMMUNOGLOBULINE La variazione tra i vari isotipi dipendono da differenze nelle catene pesanti: numero e posizione dei legami disolfuro, il numero di catene oligosaccaridiche, il numero dei domini C e la lunghezza della regione cardine.

CAMBIO DELL’ISOTIPO La ricombinazione somatica V(D)J avviene una sola volta durante la maturazione dei linfociti B, quindi tutta la progenie di una determinata cellula B esprimerà lo stesso gene V. Al contrario, durante la risposta immunitaria, nella stessa progenie possono essere espressi geni diversi per la regione C. Ogni cellula B inizia ad esprimere le IgM come recettori. In seguito la stessa regione V può essere espressa negli anticorpi IgG, IgA o IgE. Il cambio dell’isotipo è stimolato da segnali esterni, come le citochine rilasciate dalle cellule T o da segnali che stimolano la mitosi portati da patogeni.

CAMBIO DELL’ISOTIPO I geni CH formano un grosso cluster posizionato a valle dei segmenti genici JH. Il gene che codifica la regione Cm è il più vicino ai geni JH e quindi, dopo il riarrangiamento, sarà il più vicino alla regione V. Qualunque segmento genico JH rimasto tra il gene V e il gene Cm viene rimosso durante il processo di maturazione dell’RNA. -> il primo isotipo ad essere prodotto durante la maturazione dei linfociti B è l’IgM.

CAMBIO DELL’ISOTIPO In 3’, vicino al gene m, si trova il gene d, che codifica per la regione C della catena pesante delle IgD. Sulla superficie dei linfociti B maturi, le IgD sono coespresse con le IgM. Le cellule B che esprimono le IgM e le IgD non sono ancora andate incontro al cambio di isotipo che comporta un cambiamento irreversibile nel DNA. Invece producono un lungo trascritto che viene tagliato e riunito in modo diverso per formare due diverse molecole di mRNA. L’esone VDJ è o legato a Cm per sintetizzare una catena pesante m oppure a Cd in modo da codificare una catena pesante d. Le cellule B immature fanno soprattutto trascritti m mentre quando maturano formano principalmente la forma d e pochi trascritti m.

CAMBIO DELL’ISOTIPO Il passaggio ad altri isotipi avviene solo dopo l’incontro con l’antigene. Questo avviene grazie ad un meccanismo di ricombinazione guidato da sequenze ripetute di DNA conosciute come regioni di scambio. Le regioni di scambio si trovano in un introne compreso tra i geni JH e il gene Cm e in siti equivalenti, a monte dei geni delle catene pesanti di tutti gli altri isotipi, ad eccezione del gene d.

CAMBIO DELL’ISOTIPO Gli enzimi responsabili di questo tipo di ricombinazione non sono stati ancora identificati. Tuttavia sappiamo che sono coinvolti gli enzimi che riparano il DNA, utilizzati anche nella ricombinazione V(D)J. L’enzima Citidina Deaminasi Indotto dall’Attivazione, coinvolto anche nella ipermutazione somatica, agisce nel processo di editing dell’RNA. potrebbe essere coinvolto nel cambio dell’isotipo, in quanto nell’uomo la mancanza di questo enzima è associata ad una forma di immuno- deficienza chiamata sindrome da Iper IgM di tipo 2, ed è caratterizzata unicamente dalla presenza di IgM. La sindrome da Iper IgM di tipo 1 è dovuta invece all’incapacità da parte dei linfociti T di attivare il cambio dell’isotipo.

FORME SECRETE E DI MEMBRANA DELLE IG Inizialmente tutte le cellule B esprimono sulla membrana le IgM. Dopo la stimolazione antigenica, verranno prodotte sia cellule che diventeranno plasmacellule secernenti IgM sia cellule che andranno incontro al cambio di isotipo. Queste ultime poi passeranno a produrre la forma secreta del nuovo isotipo anticorpale. La sintesi delle due fome delle Ig è ottenuta attraverso la maturazione di due forme alternative di mRNA.

FORME SECRETE E DI MEMBRANA DELLE IG Cellule B immature: IgM di membrana Cellue B mature naive: coespressione di IgM e IgD di membrana Cellue B attivate: cambio di isotipo e secrezione delle Ig Una cellula B attivata smette di coesprimere IgM e IgD sia perché le sequenze m e d sono state rimosse per il cambio dell’isotipo oppure, in caso di plasmacellule IgM secernenti, la trascrizione sotto il controllo del promotore VH non prosegue oltre l’esone Cm.

LA REGIONE C DELL IG E LA LORO SPECIALIZZAZIONE FUNZIONALE Le regioni C delle Ig hanno tre funzioni principali. Le porzioni Fc dei diversi isotipi sono riconosciute da recettori specifici posti sulle cellule immunitarie effettrici. Le porzioni Fc delle IgG1 e IgG3 sono riconosciute da recettori per l’Fc presenti su macrofagi e neutrofili. L’Fc delle IgE si lega ad alta affinità con il recettore Fc presente sui mastociti, basofili ed eosinofili attivati. 2) Le porzioni Fc dei complessi antigene:anticorpo possono legare il complemento.

LA REGIONE C DELL IG E LA LORO SPECIALIZZAZIONE FUNZIONALE 3) L’Fc può localizzare gli anticorpi in siti in cui non potrebbero arrivare senza un meccanismo di trasporto attivo. Si tratta, nel caos delle IgA, delle secrezioni mucose, delle lacrime e del latte; nel caso del IgG del sangue fetale per trasferimento dalla madre. Questo trasferimento si attua mediante il legame a recettori.

IgM E IgA POSSONO FORMARE DEI POLIMERI Le regioni C delle IgM e delle IgA possiedono una “coda” di 18 aminoacidi che contiene una cisteina indispensabile per la polimerizzazione. Una catena polipetidica indipendente, chiamata catena J, catalizza la polimerizzazione legandosi alla cisteina della coda.

IgM E IgA POSSONO FORMARE DEI POLIMERI La polimerizzazione delle IgA a dimeri è necessaria per il loro trasporto attraverso gli epiteli. Le IgA del plasma sono monomeriche.3 Le IgM si ritrovano sotto forma di pentameri, e a volte di esameri (senza catena J) nel plasma; questi ultimi sono più attivi nell’attivare il complemento. La polimerizzazione delle molecole immunoglobuliniche è importante per il legame dell’anticorpo a epitopi ripetuti. Di solito le IgM riconoscono epitopi ripetuti polisaccaridici dei batteri. L’affinità di legame di ogni singolo sito sarà bassa in quanto le IgM vengono prodotte durante la risposta primaria, prima che avvenga la ipermutazione somatica e maturi l’affinità. A questo rimediano i molti (10) siti di legame con i quali si ottiene una forza di legame, o avidità, molto alta.

ISOTIPI, ALLOTIPI E IDIOTIPI Gli isotipi immunoglobulinici sono definiti dalle regioni C delle catene pesanti. Gli allotipi sono determinati dalla presenza di diversi alleli nella popolazione dello stesso gene C. Gli idiotipi sono determinati dalle particolari associazioni VH e VL.

PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE AI LINFOCITI T

La protezione dipendente dai linfociti T dipende dalla loro capacità di riconoscere le cellule che trasportano patogeni o che hanno internalizzato i patogeni o i loro prodotti. La generazione del peptide dall’antigene intatto implica modificazioni della proteina originaria che prendono il nome di processamento dell’antigene. L’esposizione del peptide sulla superficie cellulare tramite le molecole MHC viene chiamato presentazione dell’antigene. Entrambe le molecole MHC di classe I e II devono legarsi al peptide prima di essere stabilmente espresse sulla superficie cellulare.

PROCESSAMENTO DELL’ANTIGENE Gli agenti infettivi si possono replicare in due distinti compartimenti cellulari. I virus e alcuni batteri si replicano nel citoplasma, mentre molti batteri patogeni e qualche parassita eucariota si replicano negli endosomi e nei lisosomi del sistema vescicolare. Le cellule infettate dai virus e dai batteri citosolici vengono eliminate dai linfociti T citotossici CD8. I patogeni ed i loro prodotti che si trovano nel sistema vescicolare vengono riconosciuti dai linfociti T CD4: TH1 e TH2. Il riconoscimento di material estraneo proveniente dal citosol o dai compartimenti vescicolari avviene attraverso l’uso di molecole MHC di classe I e di classe II rispettivamente.

TRASPORTO DEI PEPTIDI DI CLASSE I Le molecole MHC, come tutte le proteine destinate alla superficie cellulare, vengono trasportate nel reticolo endoplasmico (RE) durante la loro sintesi. La parte della molecola MHC che lega il peptide viene ripiegata correttamente nel lume del reticolo e non viene mai esposta nel citosol. Il trasporto dei peptidi virali dal citosol nel lume del RE avviene mediante due proteine ATP-dipendenti della famiglia ABC (ATP-binding cassette): TAP1 e TAP2 (Transporter associated with Antigen Porcessing). Le due proteine TAP formano un eterodimero espresso sulla membrana del RE. I geni TAP1 e TAP2 sono presenti all’interno del gene MHC e vengono indotti dagli interferoni.

RUOLO DEL PROTEASOMA NELLA GENERAZIONE DEI PEPTIDI DI CLASSE I La degradazione di molte proteine citosoliche è effettuata da un complesso enzimatico multicatalitico chiamato proteasoma. Esso è un grande complesso cilindrico formato da 28 subunità assemblate in 4 anelli, 7 subunità per anello. Due subunità del proteasoma, LMP2 e LMP7, sono codificate nella regione MHC vicino ai geni TAP1 e TAP2. Insieme alle molecole MHC I e TAP, sono indotte dagli interferoni. Una terza subunità, MECL-1, non è codificata nella regione MHC ed è anch’essa indotta dagli interferoni. Questre tre subunità inducibili sostituiscono altre tre subunità costitutive e questo porta ad un cambio della specificità del proteasoma: il clivaggio è a valle dei residui idrofobici e basici, piuttosto che di quelli acidi.

TRASPORTO DELLE MHC I SULLA SUPERFICIE CELLULARE Il ripiegamento e l’assemblaggio delle molecole MHC I nel RE dipende dall’associazione della catena a prima con la catena b2-microglobulina ed in seguito col peptide,e questo processo coinvolge numerose proteine accessorie con funzioni simili alle chaperonine. Solo in seguito al legame con il peptide la molecola MHC I viene rilasciata e può raggiungere la superficie cellulare, altrimenti rimane in forma parzialmente ripiegata. Se questo stato persiste, le molecole MHC I sono instabili e vengono ritrasportate nel citosol dove vengono degradate.

TRASPORTO DELLE MHC I SULLA SUPERFICIE CELLULARE Alcuni virus hanno sviluppato strategie per impedire la loro esposizione interferendo con la comparsa del complesso peptide:MHC I sulla superficie cellulare. Il virus herpes simplex previene il trasporto dei peptidi virali all’interno del RE producendo una proteina che lega e inibisce TAP. Gli adenovirus codificano per una proteina che lega le molecole MHC I e le trattiene all’interno del RE. I cytomegalovirus accelerano il trasporto retrogado delle MHC I nel citoplasma dove vengono degradate.

PROCESSAMENTO DEI PEPTIDI DI CLASSE II I patogeni che risiedono nelle vescicole non sono accessibili al proteasoma del citosol. In seguito all’attivazione dei macrofagi, le proteine all’interno delle vescicole vengono degradate da proteasi contenute nelle vescicole stesse. L’endocitosi, la fagocitosi e la macropinocitosi utilizzano gli endosomi e quindi i lisosomi per la processazione dell’antigene. Gli endosomi ed i lisosomi contengono proteasi che vengono attivate da un pH acido e sono quindi conosciute come proteasi acide. Le proteasi acide appartengono alla famiglia delle catepsine (B, D, S ed L).

TRASPORTO DELLE MOLECOLE MHC II ALLE VESCICOLE ACIDE Le molecole MHC II vengono traslocate nel RE durante la loro sintesi, ma poiché devono interagire coi peptidi formatisi nelle vescicole acide, il loro legame con polipeptidi appena sintetizzati o con peptidi appena trasportati nel lume del RE deve essere prevenuto. Le molecole MHC II neo-sintetizzate vengono legate da una proteina nota come catena costante associata alle molecole MHC II (Ii). La catena costante forma trimeri e ogni subunità lega in maniera non covalente un eterodimero a:b nella tasca per il peptide. Le catene pesanti hanno anche la funzione di indirizzare le molecole MHC II verso le vescicole acide dove può avvenire il legame con il peptide. Prima però la catena pesante deve essere degradata e lasciare il sito di legame libero.

TRASPORTO DELLE MOLECOLE MHC II ALLE VESCICOLE ACIDE Le molecole MHC II vengono rilasciate in vescicole che originano dal complesso di Golgi, le quali, ad un certo punto, si fondono con gli endosomi. Esistono evidenze che i complessi MHC II:Ii vengano trasportati prima alla superficie e poi internalizzati come endosomi. La microscopia elettronica ha permesso di localizzare le molecole MHC II in un compartimento subcellulare specializzato dove avviene il taglio di Ii e il caricamento del peptide (compartimento MIIC).

LEGAME DELLE MOLECOLE MHC II CON IL PEPTIDE Nel compartimento MIIC il caricamento del peptide è facilitato da una molecola simile alle MHC II, chiamata HLA-DM. I geni HLA-DM si trovano vicino ai geni TAP e LMP nella regione MHC II. La HLA-DM non viene espressa sulla superficie cellulare, ma si trova principalmente nel compartimento MIIC. La HLA-DM catalizza il rilascio di CLIP dal complesso MHC II:CLIP e il legame degli altri peptidi alle molecole MHC II vuote.

LEGAME DELLE MOLECOLE MHC II CON IL PEPTIDE Il ruolo di HLA-DM nel facilitare il legame del peptide alle molecole MHC II rispecchia quello delle molecole TAP nel legame di peptidi alle molecole MHC I. Alcuni patogeni hanno evoluto strategie in grado di inibire il legame del peptide con le molecole MHC II.

LEGAME DELLE MOLECOLE MHC CON IL PEPTIDE Il legame del peptide alle molecole MHC sulla superficie cellulare deve essere stabile per ottenere un’efficiente presentazione dell’antigene ed evitare che altre cellule non infette vengano eliminate. Se il complesso si dissocia troppo rapidamente il patogeno può evadere la sorveglianza delle cellule T. Le molecole MHC presenti sulle cellule non infettate potrebbero legare peptidi rilasciati da MHC presenti su cellule infettate ed erroneamente segnalare ai linfociti T che cellule sane siano state infettate, decretando la propria morte. Le molecole MHC vuote, sia di classe I e II, vengono rapidamente perse dalla superficie per un processo di reinternalizzazione e di degradazione -> il legame delle molecole MHC con peptidi presenti nei fluidi extra- cellulari viene prevenuto efficacemente.

IL SISTEMA MAGGIORE DI ISTOCOMPATIBILITA’ Il ruolo delle molecole MHC è quello di legare frammenti peptidici derivati dai patogeni ed esposti sulla superficie delle cellule in modo che vengano riconosciuti dagli appropriati linfociti T. Le conseguenze sono quasi sempre deleterie per le cellule infettate da virus o patogeni, in quanto queste cellule vengono uccise. Esiste quindi una forte pressione selettiva in favore di ogni patogeno mutato in modo da sfuggire alla presentazione da parte delle MHC. Due caratteristiche delle molecole MHC rendoono questa via di fuga difficile per i patogeni. Il sistema MHC è polgenico: il locus MHC contiene diversi geni MHC I e II. Il sistema MHC è polimorfo: vi sono molteplici varianti dello stesso gene.

ORGANIZZAZIONE DEL LOCUS MHC Il locus MHC è localizzato sul cromosoma 6 nell’uomo e contiene circa 200 geni. I geni che codificano per la catena a delle molecole MHC I e per le catene a e b delle MHC II sono comprese all’interno di questo complesso; i geni per la b2-microglobulina e per la catena costante Ii sono su cromosomi differenti. Nell’uomo questi geni sono anche chiamati HLA (Human Leukocyte Antigen), essendo stati inizialmente scoperti attraverso differenze antigeniche nei globuli bianchi di individui diversi.

ORGANIZZAZIONE DEL LOCUS MHC Vi sono 3 geni della catena a (MHC I), chiamati HLA-A, -B e -C. Vi sono 3 paia di geni per le catene a e b (MHC II), chiamati HLA-DR, -DP e -DQ. Il cluster HLA-DR contiene un gene extra b, che può accoppiarsi con la catena DRa. Quindi tre set di geni possono dare luogo a 4 tipi di molecole MHC II. I due geni TAP si trovano nella regione MHC II in stretta associazione con i geni LMP del proteasoma. Sempre nella regione II, si trova il gene TAPBP per la tapasina, che si lega sia alle TAP che alle molecole MHC I vuote.

ORGANIZZAZIONE DEL LOCUS MHC Le cellule stimolate da interferoni mostrano un forte aumento della trascrizione della catena a dell’MHC I e del gene b2-micorglobulina, dei geni del proteasoma, della tapasina e della TAP. Questa induzione aumenta l’abilità delle cellule di processare proteine virali e di presentare i peptidi derivati dalla processazione sulla superficie cellulare. La regolazione coordinata dei geni che codificano per questi componenti viene facilitata dal legame genetico di molti di questi geni all’interno del locus MHC.

ORGANIZZAZIONE DEL LOCUS MHC I geni per l’HLA-DM, che codificano le MHC-DM, la cui funzione è quella di catalizzare il legame del peptide alle molecole MHC II, sono correlati ai geni MHC II. I geni MHC II classici, insieme ai geni DMa e b e alla catena costante Ii, sono regolati in modo coordinato. La loro trascrizione viene stimolata dall’IFN-g, prodotto dai linfociti TH1 attivati dalle cellule NK e dalle cellule CD8 attivate, permettendo ai linfociti di rispondere alle infezioni batteriche inducendo un’aumentata espressione di quelle molecole coinvolte nella processazione e nella presentazione di antigeni intra- vescicolari.

POLIGENIA E POLIMORFISMO MHC Ogni individuo può esprimere almeno tre differenti molecole MHC I e tre (o quattro) molecole MHC II sulla superficie delle proprie cellule. Di fatto il numero di MHC espresse è molto più grande a causa dei polimorfismi delle molecole MHC e l’espressione co-dominante dei geni MHC. Le varianti alleliche di alcuni geni MHC I e II sono più di 200, ed ogni allele è presente con una frequenza relativamente alta nella popolazione. Vi è quindi una ridotta possibilità che il locus MHC corrispondente su entrambi i cromosomi di un individuo abbia lo stesso allele. La maggior parte degli individui è eterozigote nel locus MHC. La particolare combinazione di alleli MHC che sitrova su di un singolo cromosoma è conosciuta come aplotipo MHC.

POLIGENIA E POLIMORFISMO MHC L’espressione degli alleli MHC è co-dominante, e quindi entrambi i prodotti degli alleli verranno espressi sulla superficie cellulare ed entrambi sono in grado di presentare gli antigeni alle cellule T.

POLIGENIA E POLIMORFISMO MHC I polimorfismi ad ogni locus possono raddoppiare il numero di molecole MHC espresse in un individuo ed incrementare la diversità già determinata dalla poligenia.

POLIMORFISMO MHC E RICONOSCIMENTO ANTIGENICO DA PARTE DEI LINFOCITI T Il prodotto degli alleli MHC può differire da uno all’altro fino a 20 aminoacidi. La maggior parte delle differenze sono localizzate nel dominio esterno della molecola, in particolare nella tasca dove si lega il peptide. I residui polimorfi che costituiscono il sito di legame del peptide determinano le proprietà del sito di legame delle molecole MHC.

RICONOSCIMENTO DELLE MHC NON-SELF Il fenomeno della restrizione MHC ha permesso di spiegare il fenomeno del riconoscimento delle molecole MHC non-self nel rigetto dei trapianti di organi e tessuti tra individui della stessa specie. Il rigetto avviene anche se le molecole MHC differiscono di un solo aminoacido ed è mediato da linfociti T specificamente reattivi verso molecole MHC non-self o allogeniche. Questi linfociti ammontano a circa l’1-10% dei linfociti T in un individuo.

RICONOSCIMENTO DELLE MHC NON-SELF Dato che un recettore dei linfociti T normalmente lega peptidi estranei esposti sulle molecole MHC self, vi sono due modi in cui può legare molecole MHC non-self. In alcuni casi il peptide legato dalla molecola MHC non-self interagisce fortemente con il recettore T e il linfocita T viene attivato. Questo meccanismo cross-reattivo è conosciuto come peptide- dominante. 2) Nel secondo meccanismo, conosciuto come MHC-dominante, i linfociti T alloreattivi reagiscono a causa del legame stretto del recettore T con le molecole MHC non-self.

RICONOSCIMENTO E RISPOSTA AI SUPERANTIGENI I superantigeni sono una classe distinta di antigeni che stimola, nei linfociti T, una risposta simile a quelle elicitate da molecole MHC allogeniche. Essi agiscono come superantigeni in quanto si legano in maniera diversa contemporaneamente alle molecole MHC ed al TCR, permettendo la stimolazione di un ampio numero di linfociti T. I superantigeni vengono prodotti da batteri, micoplasmi e virus, e le rispste che provocano sono più di aiuto per il patogeno che per l’ospite.

RICONOSCIMENTO E RISPOSTA AI SUPERANTIGENI I superantigeni non devono venire processati per essere riconosciuti. Legano direttamente la superficie esterna di una molecola MHC II che ha già legato un peptide e la regione Vb di molti TCR.

RICONOSCIMENTO E RISPOSTA AI SUPERANTIGENI Il modo in cui avviene la stimolazione da parte dei superantigeni non determina una risposta adattativa verso il patogeno, ma una massiccia produzione di citochine da parte dei linfociti T CD4. Superantigeni esogeni batterici sono l’enterotossina A dello stafilococco (SEA), che causa avvelenamento da cibo e la tossina 1 della sindrome da shock tossico (TSST-1), che è un potente induttore di IL-1 e TNF-a, il che spiega sia la sua capacità stimolatoria sulle cellule T sia alcune delle manifestazioni cliniche (febbre alta, debolezza muscolare, e caduta della pressione sanguigna che porta allo shock) . Il ruolo dei superantigeni virali nelle malattie umane è meno chiaro. Esistono anche superantigeni endogeni, tra cui quello del virus del tumore mammario del topo, il quale si è stabilmente integrato nel genoma dell’ospite.

TRASMISSIONE DEL SEGNALE ATTRAVERSO I RECETTORI LINFOCITARI

RAGGRUPPAMENTO DEI RECETTORI Quando i recettori dell’antigene sui linfociti legano il proprio ligando trasmettono un segnale che causa un loro raggruppamento (cluster) sulla superficie cellulare. Il clustering dei recettori determina l’attivazione linfocitaria I recettori vengono raggruppati quando interagiscono con patogeni che hanno epitopi ripetuti sulla loro superficie. Nel caso della stimolazione delle cellule B da parte di antigeni monomerici solubili, l’incapacità di tali antigeni nell’indurre il clustering dei recettori potrebbe spiegare perché l’attivazione delle cellule B naive in risposta a questi antigeni dipenda dalla ricezione di segnali attivanti provenienti da cellule T.

ATTIVAZIONE DELLE VIE DI TRASDUZIONE DI SEGNALE I recettori per gli antigeni non hanno un’attività tirosin-chinasica presentata da altri recettori (ad es. per fattori di crescita). Le porzioni citoplasmatiche di alcune componenti recettoriali legano tirosin-chinasi denominate tirosin-chinasi associate al recettore. Quando i recettori aggregano, questi enzimi vengono riuniti insieme e agiscono gli uni sugli altri e sopra le code citoplasmatiche dei recettori per iniziare il processo di trasmissione del segnale. Nel caso del recettore per l’antigene, le prime tirosin-chinasi associate al recettore sono membri della famiglia src.

STRUTTURA DEL RECETTORE DELL’ANTIGENE I recettori dell’antigene presenti sulle cellule B e T sono complessi multiproteici formati da catene variabili clonalmente leganti l’antigene associate con proteine accessorie invarianti. le proteine invarianti sono necessarie per il trasporto dei recettori sulla superficie cellulare sia per iniziare la trasmissione del segnale quando il recettore si lega al suo ligando extracellulare.

STRUTTURA DEL BCR Le immunoglobuline di membrana si associano, tramite le catene pesanti, a due altre catene, chiamate Iga e Igb, per formare un recettore completo delle cellule B. Le catene accessorie sono composte da un unico dominio simile alle immunoglobuline connesso, attraverso un dominio transmembrana, ad una lunga coda citoplasmatica.

STRUTTURA DEL BCR Il trasporto del recettore sulla membrana e la trasmissione del segnale dal complesso recettoriale BCR dipende dalla presenza di sequenze aminoacidiche in Iga e Igb chiamate motivi di attivazione dell’immunorecettore basati su tirosine o ITAMs. Queste sequenze sono anche presenti nelle catene accessorie del TCR e nei recettori Fc. Le ITAMs sono composte da due residui di tirosina separati da circa 9-12 aminoacidi. Iga e Igb presentano ciascuna una ITAM.

STRUTTURA DEL BCR Quando un antigene si lega al recettore le ITAM vengono fosforilate dalle tirosin-chinasi della famiglia Src associate al recettore: Blk, Fyn o Lyn. in virtù delle loro tirosine fortemente spaziate, le ITAM sono poi capaci di legarsi con alta affinità ai domini SH2 dei membri di una seconda famiglia di tirosin-chinasi, coinvolte nella progressione del segnale.

STRUTTURA DEL TCR Il TCR contiene molte catene accessorie invarianti che formano il complesso CD3: CD3g, CD3d, CD3e e CD3z. Sulla superficie delle cellule T, due eterodimeri a:b sono associati con un CD3g, un CD3d, due CD3e ed un omodimero citoplasmatico CD3z. Le tre proteine g, d ed e sono codificate da geni adiacenti e sono regolate come un’unica unità e sono necessarie per l’espressione sulla superficie del TCR e per la trasmissione del segnale. L’espressione ottimale del recettore e la trasmissione del segnale richiedono anche la catena z.

FOSFORILAZIONE DELLE ITAM Il primo segnale intracellulare che indica che i linfociti hanno riconosciuto il loro antigene è la fosforilazione in tirosina delle ITAM. Nelle cellule B sono responsabili tre protein-chinasi della famiglia Src: Fyn, Blk e Lyn. Nelle cellule a riposo, le protein-chinasi si associano ai recettori con un legame a bassa affinità con le ITAM. Quando i recettori si aggregano in seguito al legame con l’antigene, le chinasi associate si attivano e si attivano reciprocamente. Inoltre fosforilano le ITAM presenti nelle code citoplasmatiche di Iga e Igb. La fosforilazione di una singola tirosina delle ITAM permette il legame di una chinasi Src a tale motivo, permettendo la fosorilazione delle altre tirosine.

FOSFORILAZIONE DELLE ITAM Nelle cellule T intervengono due chinasi della famiglia Src: Lck e Fyn. Lck è costituivamente associata al dominio citoplasmatico delle molecole co-recettoriali CD4 e CD8. Fyn si associa con le catene citoplasmatiche z e con CD3e in seguito all’aggregazione dei recettori. Poiché CD4 o CD8 si aggregano insieme al recettore quando quest’ultimo si lega al complesso peptide:MHC, il riconoscimento dell’antigene avrà come conseguenza di permettere a Lck e a Fyn di fosforilare le ITAM sulle catene accessorie del complesso del recettore dei linfociti T.

REGOLAZIONE DELLE TIROSIN-CHINASI SRC L’attività enzimatica delle chinasi Src è regolata dallo stato di fosfo- rilazione della regione chinasica e del dominio carbossiterminale, ognuno dei quali presenta residui di tirosina regolatori. La fosforilazione della tirosina nel dominio chinasica è attivatoria, mentre la fosforilazione del dominio carbossiterminale è inibitoria. Dopo la fosforilazione della tirosina attivante, le chinasi possono essere tenute a freno dalla protein tirosin chinasi chiamata Csk (chinasi Src C-terminale) che fosforila la tirosina inibitoria. Poiché la Csk è espressa in maniera costitutiva nelle cellule a riposo, le chinasi Src sono in genere inattive. La tirosin fosfatasi CD45 (antigene comune leucocitario) può rimuovere il fosfato dalle tirosine inibitorie, permettendo l’attivazione delle Src.

ATTIVAZIONE DEI CORERECETTORI NELLE CELLULE T Una trasmissione ottimale del sgnale attraverso il recettore delle cellule T richiede l’aggregazione dei co-recettori CD4 o CD8. I co-recettori si aggregheranno al complesso del recettore T legando il complesso peptide:MHC attraverso la parte costante delle MHC. L’aggregazione dei co-recettori con il TCR comporta l’avvicinamento di Lck in prossimità delle ITAM delle catene accessorie e di altri bersagli, tra cui un’altra chinasi associata alla catena z, chiamata ZAP-70, che è importante nella propagazione del segnale.

ATTIVAZIONE DEI CORERECETTORI NELLE CELLULE B Anche la trasmissione del segnale nelle cellule B viene aumentata dalla aggregazione con il co-recettore. Il co-recettore delle cellule B è un complesso costituito dalle molecole di superficie CD19, CD21 e CD81. CD21 è il recettore del complemento 2 (CR2) e può legarsi al recettore delle cellule B quando viene attivato il complemento: infatti esso lega C3d, C3dg e iC3b. Così patogeni che hanno attivato il complemento possono determinare la formazione di legami crociati tra il recettore dei linfociti B, CD21 e le molecole ad esse associate. Questo induce la fosforilazione della coda citoplasmatica di CD19 ad opera delle tirosin- chinasi associate al recettore. Il CD19, a sua volta, recluta sia le chinasi della famiglia Src che una chinasi lipidica, chiamata fosfatidilinositolo3- OH. Il ruolo del terzo componente CD81 rimane sconosciuto.

ATTIVAZIONE DELLE TIROSIN-CHINASI LEGATE ALLE ITAM Una volta che le ITAM delle code citoplasmatiche dei recettori sono state completamente fosforilate, esse possono reclutare altre chinasi coinvolte nella trasmissione del segnale: Syk nelle cellule B e ZAP-70 nelle cellule T. Syk è enzimaticamente inattiva fintanto che rimane legata alle ITAM doppiamente fosforilate del recettore delle cellule B. Per essere attivate devono essere fosforilate e questo avviene perché vengono strettamente a contatto e transfosforilano l’una con l’altra. Appena fosforilata, Syk fosforila le proteine bersaglio per iniziare la cascata delle molecole coinvolte nella trasmissione del sgnale.

ATTIVAZIONE DELLE TIROSIN-CHINASI LEGATE ALLE ITAM ZAP-70 non viene attivata per transfosforilazione dopo il legame con le ITAm delle catene z; invece viene attivata da Lck, associata al co-recettore. Una volta attivata, ZAP-70 fosforila il substrato LAT (linker di attivazione nelle cellule T) e la proteina SLP-76, una seconda proteina adattatrice delle cellule T. LAT è una proteina citoplasmatica associata alla faccia interna della membrana citoplasmatica mediante residui di cisteina che sono palmitoi- lati. In virtù dei suoi molti residui di tirosina, LAT è capace di reclutare molte proteine che trasmettono il segnale verso i bersagli a valle. Anche nelle cellule B è stata identificata una proteina adattatrice, BLNK (proteina linker nelle cellule B). Anch’essa ha multipli siti di fosforilazio- ne in tirosina ed intergisce con molte proteine viste prima.

ATTIVAZIONE DEI FATTORI DI TRASCRIZIONE Importanti fattori di trascrizione coinvolti nella risposta dei linfociti sono attivati da fosforilazione operata dalle MAP chinasi (mitogen activated protein kinases). Queste chinasi sono attivate dalla fosforila- zione; nello stato inattivo, non fosforilato, risiedono nel citoplasma, ma quando sono attivate traslocano nel nucleo. Le MAP chinasi attivate dal legame antigene:recettore sono chiamate Erk1 (Extracellular-regulated kinase-1) e Erk2. Le MAPK sono attivate a loro volta dalle MAPKK, che nei linfociti sono Mek1 e Mek2. Le MAPKK sono anch’esse attivate dalla fosforilazione per opera delle MAPKKK, che nei linfociti è Raf. Raf è attivata dalla piccola proteina G Ras nella sua forma legata al GTP.

ATTIVAZIONE DEI FATTORI DI TRASCRIZIONE La cascata delle MAP chinasi attivata da segnali che partono dal co- recettore dei linfociti B attiva chinasi diverse e attiva fattori di trascrizione diversi. La via delle MAP chinasi attivata dalla via del recettore dell’antigene attiva il fattore di trascrizione Elk che, a sua volta, aumenta la sintesi del fattore di trascrizione Fos. Al contrario, la via delle MAP chinasi innescata dal legame del co- recettore, attiva il fattore di trascrizione Jun. Queste vie possono combinare i loro effetti in quanto eterodimeri di Jun e Fos formano il fattore di trascrizione AP-1, che regola l’espressione di molti geni coinvolti nella crescita cellulare.

ATTIVAZIONE DEI FATTORI DI TRASCRIZIONE Entrambe le vie sono richieste per guidare l’espressione l’espansione clonale dei linfociti naive. Nei linfociti T, la via delle MAP chinasi che attiva Jun, viene attivata da CD28, la quale interagisce con le molecole co-stimolatorie indotte sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene. Queste molecole sono B7.1 (CD80) e B7.2 (CD86).

ATTIVAZIONE DEI FATTORI DI TRASCRIZIONE Un altro fattore di trascrizione attivato dalla trasmissione del segnale è NFAT (Fattore nucleare dei linfociti T attivati). Nelle cellule non stimolate NFAT è confinato nel citosol perché è fosforilato in un segnale di localizzazione nucleare. NFAT è rilasciato dal citoplasma e migra nel nucleo per azione dell’enzima calcineurina, una protein fosfatasi che defosforila NFAT. L’attivazione da calcineurina è insufficiente per permettere a NFAT di funzionare all’interno del nucleo. Altri segnali costimolatori sono necessari perché NFAT rimanga nel nucleo e possa agire come regolatore della trascrizione in combinazione con AP-1.

INIBIZIONE DEL SEGNALE DA PARTE DI RECETTORI CON ITIM Altri recettori espressi sia dai linfociti B che T possono inibire i segnali attivanti inviati dai recettori degli antigeni e dai co-rerecettori. Questi recettori presentano nella coda citoplasmatica un motivo chiamato motivo inbitorio dell’immunorecettore basato sulla tirosina ITIM. La funzione del motivo ITIM è quella di reclutare fosfatasi inibitorie, quali SHP-1, SHP-2 e SHP. Le prime due rimuovono i gruppi fosfato aggiunti dalle tirosin chinasi. SHIP è una inositol fosfatasi e rimuove il fosfato in 5’ dal fosfatidil inositolo trifosfato (IP3) e sembra che agisca inibendo l’attivazione di PLC-g.

INIBIZIONE DEL SEGNALE DA PARTE DI RECETTORI CON ITIM Un recettore contenente ITIM e che inibisce l’attivazione dei linfociti è il recettore Fc per le IgG (FcgRIIB-1), presente sui linfociti B. Questo recettore funziona spingendo SHP all’interno del complesso del recettore delle cellule B. Nei linfociti B, altri due recettori inibitori sono CD22, una proteina transmembrana e PIR-B, che agisce interagendo con SHIP-1. Nelle cellule T, la proteina transmembrana CTLA-4 indotta dalla attivazione ha un ruolo critico nella regolazione della trasmissione del segnale; essa lega le molecole costimolatorie come CD28 e recluta SHIP-2. Motivi ITIM sono presenti anche nei recettori KIR (killer inibitori) delle cellule NK.

SVILUPPO E SOPRAVVIVENZA DEI LINFOCITI

Una volta che i linfociti B e T acquisiscono il loro recettore di superficie, quest’ultimo è messo alla prova per le sue proprietà di riconoscimento nei confronti di molecole presenti nell’ambiente circostante. La specificità e l’affinità del recettore per questi ligandi determineranno il destino del linfocita immaturo: la cellula verrà selezionata per sopravvivere e svilupparsi ulteriormente o morirà senza raggiungere la maturità

Se i recettori dei linfociti interagiscono debolmente con gli antigeni self, o li legano in un modo particolare, ricevono un segnale di sopravvivenza -> selezione positiva I linfociti i cui recettori legano saldamente gli antigeni autologhi ricevono segnali di morte -> selezione negativa I linfociti che reagiscono intensamente con il self vengono rimossi prima che diventino del tutto maturi e possano dar luogo a una reazione autoimmune -> tolleranza In assenza di segnali da parte del loro recettore, i linfociti vanno incontro a morte e questo accade alla grande maggioranza dei linfociti immaturi che muore prima di fuoriuscire dagli organi linfatici primari o negli organi linfoidi periferici prima di arrivare alla maturità.

SVILUPPO DEI LINFOCITI NEL MIDOLLO OSSEO E NEL TIMO Nei mammiferi la maggior parte dello sviluppo dei linfociti avviene negli organi linfoidi centrali, ovvero midollo osseo (e fegato fetale) per i linfociti B, il timo per i T. I linfociti B vengono continuamente prodotti dal midollo osseo, anche nell’adulto. I linfociti T non vengono più prodotti dal timo nell’adulto ma dalla continua divisione di cellule mature, fuori degli organi linfoidi centrali. Lo sviluppo dei linfociti è caratterizzato dalle diverse fasi di assemblaggio ed espressione dei geni per i recettori, che regola il successivo stadio di sviluppo.

SVILUPPO DEI LINFOCITI NEL MIDOLLO OSSEO E NEL TIMO Questo sviluppo a stadi richiede dei segnali dai microambienti specializzati in cui si sviluppano i linfociti. I tessuti linfoidi primari forniscono una rete di cellule stromali non linfoidi, che interagiscono strettamente con i linfociti in maturazione fornendo fattori di crescita solubili o molecole di membrana che legano i recettori dei progenitori linfocitari. I riarrangiamenti delle catene pesanti e leggere delle Ig e delle catene a e b del recettore delle cellule T non sempre producono una sequenza di DNA in frame -> riarrangiamento non produttivo. In questo caso il linfocita muore. Solo se avviene un riarrangiamento produttivo, la cellula potrà progredire verso il successivo stadio di sviluppo.

SVILUPPO DEI LINFOCITI NEL MIDOLLO OSSEO E NEL TIMO I loci vengono riarrangiati solo uno per volta e con una successione determinata. Sia i linfociti B che T si occupano per prima cosa del locus che contiene i segmenti del gene D, che nel caso dei linfociti B è il locus per la catena pesante, per i T si tratta della catena b del recettore. Solo se avviene un riarrangiamento produttivo i linfociti interrompono il riarrangiamento di quel locus, e i linfociti B procedono con il locus per la catena leggera ed i T con quello della catena a.

SVILUPPO DEI LINFOCITI NEL MIDOLLO OSSEO E NEL TIMO Il prodotto proteico di ogni locus per il recettore deve essere espresso insieme a quello di un altro locus: ad esempio, per costituire il recettore dei linfociti T sono necessarie una catena a e una catena b. Come fa un linfocita T a verificare il corretto riarrangiamento del locus della catena b se non è ancora disponibile una catena a, perché non ancora riarrangiata? Sia i linfociti B che T producono delle catene “surrogate”, sempre uguali. Questi surrogati si appaiano con la catena pesante o con la catena b per produrre dei “recettori” che possono essere espressi sulla superficie cellulare. La formazione di questi recettori genera dei segnali che inducono la cessazione del riarrangiamento VDJ. Seguono diversi cicli mitotici prima che la cellula proceda con il riarrangiamento VJ nel locus della catena leggera nei B e in quello per la catena a nei T.

SVILUPPO DEI LINFOCITI B NEL MIDOLLO OSSEO I fattori prodotti o secreti dalle cellule stromali non linfoidi da cui dipende lo sviluppo dei linfociti B nel midollo osseo sono: molecole di adesione: VCAM-1 che ha come contro-recettore VLA-4 sul precursore dei linfociti B citochine: una citochina di membrana, SCF (fattore per le cellule staminali) che lega sulle cellule pro-B il suo recettore tirosin-chinasico kit. Interleuchina-7 è invece richiesto nello sviluppo delle cellule B in fase più tardiva di sviluppo (pre-B). Il fattore 1 derivato dalle cellule stromali, detto anche fattore di stimolazione delle cellule pre-B (SDF/PBSF) ha un ruolo importante nello stadio pre-B.

SVILUPPO DEI LINFOCITI B NEL MIDOLLO OSSEO Durante lo sviluppo primario dei linfociti B, i vari stadi sono definiti dalla sequenza di riarrangiamenti ed espressione dei geni per le catene pesanti e leggere delle Ig. Inoltre possono essere ulteriormente distinti degli stadi intermedi sulla base dell’espressione di altre proteine di superficie. Cellula pro-B: sono le cellule progenitrici più precoci che si conoscano ed hanno limitata capacità di autorinnovarsi. In queste cellule avviene il riarrangiamento del locus della catena pesante delle Ig: l’unione DJ allo stadio di cellula pro-B precoce, seguita dall’unione di V e DJ nello stadio di cellula pro-B tardiva. La formazione di una catena m intatta è il lasciapassare per lo stadio successivo.

SVILUPPO DEI LINFOCITI B NEL MIDOLLO OSSEO Cellula pre-B: la catena m delle grandi cellule pre-B è espressa all’interno della cellula e, in piccola quantità, sulla superficie cellulare, combinata con un surrogato della catena leggera per formare il recettore della cellula pre-B. L’espressione del recettore della cellula pre-B è il segnale che induce la cellula a interrompere sia il riarrangiamento del locus della catena pesante che la produzione del surrogato della catena leggera, e a duplicarsi diverse volte prima di dar luogo alla piccola cellula pre-B. In questa ha inizio il riarrangiamento del locus della catena leggera.

SVILUPPO DEI LINFOCITI B NEL MIDOLLO OSSEO Fino allo stadio di linfocita B immaturo, la maturazione è avvenuta nel midollo osseo ed è stata indipendente dall’antigene. Ora i linfociti B affrontano una selezione per la tolleranza del self ed in seguito per la capacità di sopravvivenza nei tessuti linfoidi periferici. Le cellule che sopravvivono subiscono un ulteriore differenziamento e diventano linfociti B maturi, in grado di esprimere le IgD, oltre che le IgM. Finché non incontrano l’antigene specifico, queste cellule sono dette linfociti B naive o vergini, ed entrano in circolo passando attraverso i tessuti linfoidi periferici dove possono venire a contatto con l’antigene e attivarsi.

SVILUPPO DEI LINFOCITI B NEL MIDOLLO OSSEO Quando i linfociti B si trasformano da cellule pro-B a cellule B mature, oltre che le Ig, esprimono altre proteine, caratteristiche di ogni stadio. Tra le prime sono espressi due recettori per fattori di crescita: c-kit ed il recettore per IL-7. IL-7 è un fattore di crescita essenziale per lo sviluppo sia dei linfociti B che T. Se si blocca il segnale con un anticorpo anti-IL-7 lo sviluppo del linfocita B si arresta. Poi vengono espresse proteine coinvolte nella trasduzione del segnale: CD45 e CD19. Poiché le segnalazioni attraverso recettori delle cellule B ne guidano lo sviluppo, l’assemblaggio dei componenti del complesso recettoriale inizia subito, a partire dallo stadio di cellula pro-B precoce.

SVILUPPO DEI LINFOCITI T NEL TIMO Il timo consiste in numerosi lobuli ciascuno dei quali suddiviso in una regione corticale esterna e una midollare interna. Negli individui giovani, il timo contiene un numero cospicuo di precursori dei linfociti T che si stanno sviluppando inclusi in una rete fatta da cellule epiteliali, lo stroma timico. La corticale contiene solo timociti immaturi e pochi macrofagi dispersi. La midollare contiene timociti maturi, insieme alle cellule dendritiche ed ai macrofagi.

SVILUPPO DEI LINFOCITI T NEL TIMO I precursori che arrivano al timo dal midollo osseo vi trascorrono un periodo di circa una settimana in cui vanno incontro a maturazione prima di intraprendere una fase di intensa proliferazione. Solo meno del 5% dei linfociti che maturano all’interno del timo lo lasciano per la periferia. La restante parte muore per apoptosi ed i corpi apoptotici vengono fagocitati dai macrofagi della corticale. Esiste un severo controllo a cui ogni linfocita è sottoposto per la capacità di riconoscere le proprie molecole MHC e per la tolleranza al self.

SVILUPPO DEI LINFOCITI T NEL TIMO I linfociti T immaturi passano una serie di fasi, contraddistinte dalla espressione del recettore per l’antigene e da cambiamenti nella espressione di proteine di superficie, come il complesso CD3 ed i co-recettori CD4 E CD8. Due linee distinte di linfociti T - a:b e g:d - si separano precocemente durante lo sviluppo. In seguito, le cellule a:b si sviluppano in due sottogruppi funzionalmente distinti: le cellule CD4 e le CD8.

SVILUPPO DEI LINFOCITI T NEL TIMO Quando le cellule progenitrici, provenienti dal midollo osseo, entrano nel timo per la prima volta non hanno ancora molecole di superficie caratteristiche dei linfociti T e non hanno ancora riarrangiato i geni dei loro recettori. Le interazioni con lo stoma del timo danno avvio alla fase iniziale di differenziamento, seguita da una fase di proliferazione, e dalla espressione di molecole di superficie specifiche per i linfociti T, come CD2. All fine di quest fase, che dura circa una settimana, i timociti presentano dei marcatori distintivi della linea T, ma non esprimono nessuna delle tre molecole di superficie che definiscono i linfociti T maturi: il complesso CD3:recettore, CD4 o CD8. A causa dell’assenza di CD4 e CD8 sono chiamati timociti doppi negativi.

SVILUPPO DEI LINFOCITI T NEL TIMO Lo stadio di doppio negativo può essere ulteriormente suddiviso sulla base dell’espressione della molecola di adesione CD44, di CD25 (la catena a del recettore per IL-2) e c-kit. Dapprima le cellule esprimono c-kit e CD44 ma non CD25, e i geni per il recettore sono nella configurazione germinale. Successivamente, cominciano ad esprimere CD25 e, ancora più tardi, si riduce la presenza di c-kit e CD44. In queste cellule, note come CD44low CD25, avviene il riarrangiamento per la catena b del recettore. Le cellule capaci di esprimere la catena b perdono nuovamente la espressione di CD25. C-kit e il recettore per IL-7 sono fondamentali per lo sviluppo dei timociti doppi negativi.

SVILUPPO DEI LINFOCITI T NEL TIMO La catena b espressa dai timociti CD44low CD25 si appaia con un surrogato della catena a, detta pTa che consente di assemblare un recettore delle cellule pre-T. Quest’ultimo è espresso sulla superficie cellulare come complesso con le molecole CD3. L’assemblaggio del complesso CD3:recettore pre-T porta alla trasduzione del segnale che induce proliferazione, all’arresto del riarrangiamento del locus b ed all’espressione di CD4 e CD8. Questi grandi timociti doppi positivi costituiscono la maggior parte dei timociti. Quando essi cessano di proliferare e diventano piccoli timociti doppi positivi, allora il locus della catena a inizia a riarrangiare. La struttura del locus a permette numerosi tentativi di riarrangiamento di modo che la maggior parte dei timociti riuscirà ad averne uno produttivo.

SVILUPPO DEI LINFOCITI T NEL TIMO I piccoli timociti doppi positivi inizialmente esprimono bassi livelli di recettore. Poiché la maggior parte di essi hanno recettori che non sono in grado di riconoscere le molecole MHC, non superano la selezione positiva e quindi muoiono. Quelli che invece riconoscono le molecole MHC continuano a maturare ed esprimono alti livelli di recettore. Contemporaneamente, essi smettono di esprimere CD4 o CD8 e diventano timociti mono positivi. I timociti subiscono anche una selezione negativa durante e dopo lo stadio di timociti doppi positivi. Circa il 2% dei doppi positivi supera questo controllo e viene esportato dal timo per formare il repertorio di linfociti T periferici.

SVILUPPO E LOCALIZZAZIONE DEI LINFOCITI T NEL TIMO Verso il bordo esterno della corteccia timica, proliferano attivamente dei grandi timociti immaturi doppiamente negativi. In una zona più interna della corteccia, la maggior parte dei timociti è costituita da piccole cellule doppiamente positive. Le cellule epiteliali dello stroma corticale sono dotate di prolungamenti ramificati che esprimono molecole MHC di classe I e II. Il contatto tra le molecole MHC presenti sulle cellule epiteliali ed i recettori dei linfociti T in via di sviluppo ha un ruolo cruciale nella selezione positiva.

SVILUPPO E LOCALIZZAZIONE DEI LINFOCITI T NEL TIMO La midollare contiene relativamente pochi timociti, singolarmente positivi, appena maturati che stanno lasciando il timo. Prima della maturazione, i timociti subiscono una selezione negativa, per rimuovere le cellule reattive verso il self. Questo compito è svolto principalmente dalle cellule dendritiche, particolarmente numerose alla giunzione tra corticale e midollare, e dai macrofagi che si trovano sparsi nella corticale, ma sono abbondanti anche nella midollare.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI Lo sviluppo di un linfocita è regolato in modo che ogni cellula matura produca un singolo tipo di ciascuna catena, così che il recettore che ne deriva sia unico. Nei linfociti B esiste una serie strettamente programmata di riarrangia- menti genici. Il processo di ricombinazione dei segmenti genici che codificano la regione V delle immunoglobuline non è preciso, ma si verifica una aggiunta casuale di nucleotidi nei punti di unione tra i segmenti genici. Quando un segmento genico V si unisce per riarrangiamento ad un segmento J o ad una seuqnza DJ, due volte su tre la sequenza a valle del punto di giunzione non è nella corretta cornice di lettura.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI In secondo luogo è da tenere presente che in un genoma diploide ci sono due alleli di ciascun locus in grado di riarrangiare. La cellula deve impedire che siano entrambi produttivi, per evitare di esprimere due o più recettori con differenti specificità antigeniche. Questo risultato si ottiene controllando la buona riuscita del riarrangia- mento non appena questo viene effettuato. La formazione di un recettore completo richiede tre eventi di ricombina- zione: 1) congiunzione DH con JH; 2) congiunzione di VH con DJH per produrre il gene per la catena pesante e 3) l’unione di VL a JL per quello della catena leggera. Il locus per la catena k in genere viene riarrangiato prima di quello per l, e quest’ultimo inizia solo se il tentativo del locus k fallisce.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI Poiché solo un terzo di tali riarrangiamenti saranno produttivi e ne sono necessari tre di essi per ottenere una molecola immunoglobulinica completa, un gran numero di cellule B immature vengono perse ad ognuno dei passaggi di ricombinazione. I riarrangiamenti non produttivi nel locus della catena leggera porteranno a un numero molto minore di morti cellulari, rispetto a quanto avviene per la catena pesante. Questo è dovuto al fatto che ci sono due loci - k e l - da riarrangiare.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI Allo stadio di cellula pre-B le cellule si dividono ripetutamente prima che diventino piccole cellule pre-B quiescenti. Quindi una grande cellula pre.B, con un determinato riarrangiamento della catena pesante, dà luogo a una numerosa progenie. Ciascuna delle cellule figlie può compiere un riarrangiamento diverso per il gene della catena leggera. Quindi da una singola cellula pre-B se ne possono generare molte, con diverse specificità antigeniche. Un persorso simile avviene nel timo in modo che, durante lo sviluppo dei linfociti T, molte e diverse catene a siano espresse insieme ad una determinata catena b.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI Come succede per la catena pesante, anche per il locus della catena leggera, il riarrangiamento avviene prima su uno dei due alleli e in seguito sull’altro. Contrariamente a quanto accade per la catena pesante, su ogni allele della catena leggera c’è l’opportunità di riarrangiamenti ripetuti dei segmenti genici V e J non utilizzati. Quindi si possono realizzare diversi tentativi di riarrangiamento genico prima su di un cromosoma e, se questi falliscono, sul secondo cromosoma.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI Una volta riarrangiati con successo i geni per la catena leggera, questa viene sintetizzata e si combina con la catena pesante per formare una IgM completa. Questa appare sulla superficie insieme ad Iga e Igb. Se il nuovo recettore appena formato incontra un antigene che riconosce con alta affinità -vale a dire, se il linfocita B è fortemente reattivo verso il self- lo sviluppo viene interrotto e la cellula non proseguirà nella sua maturazione. Questo è il primo processo di selezione negativa a cui sono sottoposti i linfociti B. Invece, se la IgM non è reattiva verso il self, la cellula continua la sua maturazione. Non è ancora chiaro come, in assenza del legame con un antigene specifico, la cellula possa percepire di avere espresso un recettore funzionale, e come faccia a progredire nella maturazione.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI La cessazione del riarrangiamento che avviene quando si arriva ad una ricombinazione produttiva è il meccanismo che sta alla base della esclusione allelica, l’espressione di uno solo dei due alleli in una cellula diploide. L’esclusione allelica avviene sia nel locus della catena pesante che in quello della catena leggera. Un meccanismo simile presuppone la cosidetta esclusione isotipica, la produzione di una catena leggera da uno solo dei loci - k o l -in una singola cellula.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI I linfociti T nel timo subiscono una serie di riarrangiamenti dei segmenti genici simile a quelli che avvengono nei linfociti B. Esistono però due imprtanti differenze rispetto alle cellule B: A partire da un precursore comune possono essere prodotti due diversi tipi di cellule -le a:b e le g:d. Quindi il programma di sviluppo utilizzerà diversi loci a seconda quale recettore dovrà essere prodotto e deve anche assicurare che un linfocita maturo esprima i componenti del recettore caratteristici di una sola delle linee. 2) L’assemblaggio della Ig porta alla cessazione del riarrnagiamento e dà inizio ad un ulteriore diffeernziamento del linfocita B mentre, nel caso delle cellule T, la ricombinazione dei segmenti Va continua fino a quando non c’è un segnale che seleziona positivamente il recettore.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI I geni per la catena a dei linfociti T sono confrontabili con quelli per le catene leggere delle Ig k e l. Infatti, non hanno segmenti genici D, vengono riarrangiati solo dopo l’espressione dell’altra catena e sono possibili ripetuti tentativi di riarrangiamento. In effetti, sulla base del gran numero di segmenti Va e Ja, sono possibili molti più recuperi rispetto ai linfociti B. Molte cellule T presentano riarrangiamenti nella corretta cornice di lettura su entrambi i cromosomi e quindi possono produrre due tipi di catene a. Questo è possibile perché, diversamente da quanto accade nei linfociti B, l’espressione del recettore T non è sufficiente a interrompere il riarrangia- mento genico nel locus a.

RIARRANGIAMENTO DEI SEGMENTI GENICI E SVILUPPO DEI LINFOCITI Quindi diverse catene a possono essere assemblate ad una catena b ed essere testate per il riconoscimento delle molecole MHC autologhe. Questa fase cessa solo con il verificarsi di una selezione positiva oppure della morte cellulare. Solamente i recettori selezionati positivamente per il riconoscimento delle proprie molecole MHC possono funzionare nelle risposte MHC- ristrette. -> anche se vengono espresse due o più catene a, la regolazione del riarrangiamento dei geni per la catena a, che avviene per selezione positiva, assicura la specificità di ogni cellula T.

SELEZIONE NEGATIVA E POSITIVA DEI LINFOCITI Lo sviluppo dei linfociti a partire da un precursore fino ad una cellula che esprime un recettore antigenico completo è incentrata sulla verifica dei riarrangiamenti genici e sulla proliferazione delle cellule con riarrangiamenti produttivi. Allo stesso modo viene controllato l’avvicendarsi dei riarrangiamenti in modo che sia espresso un unico recettore. A questo punto, il destino del linfocita immaturo verrà determinato dalla specificità del suo recettore.

SELEZIONE NEGATIVA E POSITIVA DEI LINFOCITI B Quando un linfocita B immaturo arriva ad esprimere una IgM di membrana, il suo destino viene determinato dalla natura dei segnali che riceve attraverso il recettore antigenico. Esistono quattro possibili destini per il linfocita B immaturo, a seconda della natura del ligando: morte cellulare per apoptosi produzione di un nuovo recettore per modificazione del precedente induzione di uno stato di non responsività (anergia) all’antigene l’ignoranza antigenica: una cellula è definita ignorante quando ha affinità per un antigene autologo ma non ne rileva la presenza, o perché sequestrato o perché in bassa concentrazione o perché non reagisce con il recettore del linfocita.

SELEZIONE NEGATIVA E POSITIVA DEI LINFOCITI B L’apoptosi e l’eliminazione dei linfociti immaturi reattivi verso il self sembrano predominare quando l’antigene è multivalente, come nel caso delle copie multiple di una molecola MHC sulla superficie delle cellule stromali. La deprivazione di cellule dalla popolazione totale dei linfociti indotta dall’antigene è nota come delezione clonale. Prima della morte cellulare i linfociti B possono essere recuperati da ulteriori riarrangiamenti genici che rimpiazzano il recettore con uno nuovo, non più auto-reattivo -> revisione del recettore.

SELEZIONE NEGATIVA E POSITIVA DEI LINFOCITI B Il riarrangiamento continuato del gene della catena leggera avviene solo quando il recettore incontra un antigene fortemente reattivo. Al contrario, nei linfociti T, il riarrangiamento del gene a continua come parte del normale programma di sviluppo fino a quando la cellula viene selezionata positivamente oppure muore. La presenza di molteplici segmenti V e J nel locus della catena leggera permette che quelli non utilizzati vengano selezionati per ulteriori riarrangiamenti multipli. Inoltre, le cellule cha hanno terminato le regioni Jk possono riarrangiare il locus l. La revisione del locus della catena pesante è molto più difficile perché non ci sono segmenti D disponibili al locus riarrangiato per la catena pesante.

SELEZIONE NEGATIVA E POSITIVA DEI LINFOCITI B La revisione del recettore mette in questione il supposto meccanismo della esclusione allelica. Indubbiamente la diminuzione dei livelli di RAG, che si verifica in seguito a un riarrangiamento produttivo non auto-reattivo, è cruciale nel mantenimento della esclusione allelica, poiché riduce la possibilità di un riarrangiamento successivo. Comunque anche se avvenisse un altro riarrangiamento produttivo, sullo stesso cromosoma eliminerebbe il riarrangiamento precedente, sul cromosoma opposto sarebbe non produttivo in due casi su tre. La diminuzione dei livelli di RAG potrebbe essere sufficiente ad assicurare che un secondo riarrangiamento produttivo sia un evento raro e potrebbe essere il principale meccanismo di esclusione allelica.

ANERGIA DEI LINFOCITI B I linfociti immaturi che incorrono in una reazione più debole verso antigeni autologhi solubili che fanno da ponte tra due recettori, tendono a raggiungere uno stato di inattività permanente, o anergia. Le cellule B anergiche trattengono le loro IgM all’interno della cellula e ne trasportano sulla superficie solo una piccola quantità. Alla base dell’anergia esiste un blocco parziale della trasduzione del segnale, prima della fosforilazione di Iga e Igb. Oppure vi è incapacità di trasporto dei recettori a raggiungere le regioni della cellula in cui segregano normalmente altre molecole importanti per la trasduzione del segnale. Infine, cellule anergiche potrebbero incrementare il livello di molecole che inibiscono la trasduzione del segnale e la trascrizione.

ANERGIA DEI LINFOCITI B I linfociti B anergici mostrano alterazioni nelle migrazione verso gli organi linfoidi periferici e ne sono compromesse la durata di vita e la capacità di competere con i linfociti B immunocompetenti. I linfociti B anergici sono trattenuti in aree dei tessuti linfoidi periferici proprie dei linfociti T e sono escluse dai follicoli linfoidi. Essi non possono essere attivate dai linfociti T e comunque questi ultimi sono tolleranti verso antigeni autologhi. Le cellule B anergiche in realtà muoiono presto, presumibilmente per mancanza di segnali di sopravvivenza da parte dei linfociti T e ciò assicura che il pool di linfociti B periferici di lunga vita sia privato di potenziali cellule auto-reattive.

IGNORANZA DEI LINFOCITI B La quarta possibilità di evolvere per un linfocita B immaturo all’incontro con l’antigene è l’ignoranza del proprio antigene autologo. Questa avviene all’incontro con antigeni con bassa affinità per il recettore: il segnale di trasduzione è molto fievole o nullo. In alternativa, l’antigene è sequestrato cioè non è accessibile ai linfociti T in corso di maturazione nel midollo osseo o nella milza. E’ probabile che questi linfociti auto-reattivi con bassa affinità possano essere attivati in determinate circostanze causando malattie autoimmuni. Normalmente le cellule B auto-reattive vengono tenute sotto controllo dalla mancanza di attivazione da parte delle cellule T, dalla inaccessi- bilità dell’antigene autologo o dalla tolleranza, che può essere indotta nelle cellule B mature.

TOLLERANZA DEI LINFOCITI B VERSO IL SELF La maggior parte dei linfociti B auto-reattivi incontrano il loro antigene quando sono ancora immaturi, poiché molti antigeni autologhi circolano attraverso i tessuti in forma solubile o sono espressi da molti tipi cellulari, inclusi quelli presenti nel midollo osseo. Esiste comunque la possibilità che linfociti B maturi auto-reattivi si formino comunque e che siano eliminati anche quando siano già attivati. 1) I linfociti B che incontrano antigeni autologhi altamente reattivi in periferia sono direttamente indotti all’apoptosi, diversamente dai linfociti presenti nel midollo osseo, che invece tentano riarrangiamenti per modificare il loro recettore. E’ probabile che le cellule dello stroma (ad es. nella milza) impartiscano alle cellule B mature istruzioni diverse su come rispondere ai segnali del recettore, rispetto a quelle impartite dallo stroma del midollo osseo.

TOLLERANZA DEI LINFOCITI B VERSO IL SELF 2) I linfociti B che incontrano e legano un abbondante antigene solubile diventano anergici. 3) Infine esiste un meccanismo per eliminare i linfociti B attivati, se essi mutano diventando auto-reattivi durante la fase di replicazione e ipermutazione somatica che avviene nei centri germinativi dei tessuti linfoidi periferici.

SELEZIONE POSITIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO Solamente i timociti i cui recettori riescono ad interagire con i complessi MHC autologo:peptide autologo sopravvivono e arrivano alla maturazione. La componente timica responsabile della selezione positiva è lo stroma, in particolare le cellule epiteliali della corticale. Le cellule che non riconoscono le MHC presenti sull’epitelio del timo, non vanno mai oltre lo stadio di doppi positivi e muoiono nel timo 3-4 giorni dall’ultima divisione.

SELEZIONE POSITIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO Nel timo, il destino di un timocita è dunque determinato dalla specificità del recettore. La specificità può subire diversi cambiamenti dal momento che i geni per la catena a continuano a riarrangiare. La capacità di un singolo linfocita immaturo di esprimere diversi geni per la catena a riarrangiati mentre è sottoposto alla selezione positiva, aumenta significativamente la resa finale dei linfociti T. Senza questo meccanismo un numero maggiore di timociti non supererebbe la selezione positiva e morirebbe. I linfociti con doppia positività potrebbero dar luogo a risposte immunitarie inadeguate. Comunque, quando una cellula viene selezionata positivamente per un dato recettore, il riarrangiamento al locus della catena a si interrompe, e quindi si avrà selezione clonale.

SELEZIONE POSITIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO Al momento della selezione positiva, il timocita presenta entrambe le molecole co-recettoriali CD4 e CD8. Al termine del processo di selezione, i timociti pronti per essere esportati in periferia, esprimono solo uno dei due co-recettori. Inoltre, quasi tutte le cellule mature che esprimono CD4 hanno un recettore che riconosce peptidi legati a molecole MHC di classe II e sono programmate per diventare cellule secernenti citochine. Al contrario la maggior parte delle cellule che esprimono CD8 hanno recettori che riconoscono peptidi legati a molecole MHC di classe I e sono programmati per divenire cellule citotossiche. Quindi, la selezione positiva coordina l’espressione di CD4 o CD8 con la specificità del recettore e le potenziali funzioni effettrici delle cellule.

SELEZIONE POSITIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO Le molecole MHC sono importanti per le selezione positiva: la mancanza di MHC di classe I portano ad un’assenza di linfociti CD8, al contrario l’assenza di MHC II portano alla deficienza di linfociti CD4. Inoltre è stato anche visto che il legame del co-recettore alla molecola MHC è anche richiesto per la normale selezione positiva. Quindi la selezione positiva dipende dal reclutamento del recettore e del co-recettore con una molecola MHC, e determina la sopravvivenza di cellule che esprimono il co-recettore appropriato. Quale meccanismo coordini lo sviluppo della linea cellulare con la specificità del recettore non è ancora noto: è probabile che vi debba essere un’integrazione a livello di segnali di trasduzione.

SELEZIONE NEGATIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO I linfociti T che reagiscono intensamente agli antigeni autologhi ubiquitari vengono eliminati nel timo. L’eliminazione di queste cellule impedisce che si possano attivare in futuro, incontrando nuovamente lo stesso peptide come cellule mature. Tuttavia non tutte le proteine di un organismo sono espresse nel timo e quelle espresse in altri tessuti o in altri stadi dello sviluppo, ad esempio dopo la pubertà, incontreranno cellule T mature potenzialmente in grado di reagire ad esse. Esistono dei meccanismi che impediscono questo evento.

SELEZIONE NEGATIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO La selezione negativa nel timo può essere mediata da diversi tipi di cellule, ma le più importanti sono i macrofagi e le cellule dendritiche provenienti dal midollo osseo. Sono cellule la cui funzione è di presentare l’antigene, attivando anche i linfociti T maturi nei tessuti linfoidi periferici. Gli antigeni autologhi presentati da queste cellule sono perciò la fonte maggiore di possibili risposte autoimmuni e i timociti che rispondono a tali peptidi devono essere eliminati dal timo.

SELEZIONE POSITIVA E NEGATIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO Come fa l’interazione del recettore con i complessi peptidi:MHC a portare in un caso alla selezione positiva e nell’altro alla morte? Inoltre bisogna capire come la specificità e/o l’affinità dell’interazione tra complesso peptide:MHC ed il recettore dei linfociti T nella selezione negativa sia diversa da quella della selezione positiva. Altrimenti, tutte le cellule selezionate positivamente nella corteccia del timo verrebbero eliminate dalla selezione negativa.

SELEZIONE POSITIVA E NEGATIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO Sono state proposte due ipotesi per spiegare questi eventi. La prima è l’ipotesi dell’avidità. Essa afferma che il risultato del legame tra il complesso peptide:MHC e il recettore dei linfociti dipende dall’affinità del recettore per il complesso e dalla densità di complessi presenti sulle cellule corticali del timo. I linfociti che ricevono una stimolazione debole non vanno in apoptosi, al contrario succede per i timociti stimolati più intensamente. Dal momento che è più facile che un complesso leghi debolmente il recettore che in modo forte, ne deriverà una maggiore propensione per la selezione positiva, e quindi il repertorio di cellule selezionate positivamente sarà più vasto di quelle che subiscono una selezione negativa.

SELEZIONE POSITIVA E NEGATIVA DEI LINFOCITI T NEL TIMO In alternativa, la selezione positiva potrebbe essere spiegata con l’invio di segnali di attivazione incompleti da parte di peptidi autologhi -> ipotesi del segnale differenziale. E’ la matura del segnale inviato dal recettore e non il numero dei recettori che distingue la selezione positiva da quella negativa. Utilizzando peptidi con uguale affinità ma con effetti diversi sulla attivazione dei linfociti, è stato scoperto come la dimerizzazione dei recettori e quindi la trasmissione del segnale siano importanti nella risposta della cellula. Quindi l’ipotesi del segnale differenziale potrebbe essere corretta.

SOPRAVVIVENZA E MATURAZIONE DEI LINFOCITI NEGLI ORGANI LINFOIDI PERIFERICI

ORGANI LINFOIDI SECONDARI Una volta lasciati i tessuti linfoidi centrali, i linfociti si trasferiscono attraverso il sangue nei tessuti linfoidi periferici. Se il linfocita non incontra il suo antigene specifico e quindi si attiva all’interno di un tessuto linfoide periferico, esso lascia il tessuto e ricircola tra il sangue ed i tessuti, finché non incontra l’antigene o muore. Il suo posto viene preso da un linfocita di nuova formazione, permettendo un ricambio del repertorio di recettori e assicurando che il numero dei linfociti riimanga costante. Negli organi linfoidi secondari i linfociti T e B sono organizzati in aree distinte. Oltre che linfociti, sono presenti altri tipi di leucociti, principalmente macrofagi e cellule dendritiche, e cellule stromali non leucocitarie.

MILZA I linfociti di nuova formazione entrano nella milza attraverso il sangue e migrano fino alle aree di polpa bianca a loro riservate. I linfociti che sopravvivono al passaggio attraverso la milza, la lasciano passando nel seno laterale. I follicoli possono contenere i centri germinativi, aree in cui si trovano i linfociti B coinvolti attivamente nella risposta immunitaria, in proliferazione e sottoposti a ipermutazione somatica. I linfociti a riposo vengono sospinti più esternamente a costituire la zona del mantello o corona.

MILZA La zona dei linfociti B contiene una rete di cellule dendritiche follicolari o FDC, che presentano dei lunghi processi in contatto con le cellule B. Non sono però leucociti e non derivano dal midollo osseo; inoltre non fagocitano e non esprimono MHC di classe II. Sembrano essere specializzate nel catturare antigeni sotto forma di complessi immuni ( formati da antigene, anticorpi e complemento). Le FDC non internalizzano i complessi immuni i quali rimangono sulla superficie cellulare, dove l’antigene può essere riconsociuto dai linfociti B.

MILZA Le aree destinate ai linfociti T contengono una rete di cellule dendritiche derivate dal midollo osseo, le cellule dendritiche inter- digitate. Ne esistono due sottootipi, distinti da peculiari proteine di superficie: cellule dendritiche linfoidi: esprimono la catena a di CD8 cellule denditiche mieloidi non esprimono CD8 ma CD11b, una integrina espressa anche dai macrofagi

LINFONODI I linfociti di nuova formazione giungono al linfonodo dal sangue, attraverso le pareti di vasi specializzati, le venule con endoteli alti (HEV), collocate all’interno delle zone dei linfociti T. I linfociti B vergini migrano, attraverso l’area dei linfociti T, verso il follicolo dove, a meno che non incontrino il loro antigene specifico e vengano attivate, restano per circa un giorno. I linfociti T e B lasciano il linfonodo con la linfa del vaso linfatico efferente, che li riporta nel sangue.

TESSUTI LINFOIDI ASSOCIATI ALLE MUCOSE (MALT) Le cllule epiteliali che sono immediatamente al di sopra di questi tessuti linfoidi sono disperse all’interno di una densa rete di cellule dendritiche, che nella cute sono dette cellule di Langherans. Le cellule stromali dei MALT, in particolare a livello del GALT, secernono la citochina TGF-b, che induce la secrezione di IgA. Durante lo sviluppo fetale, ondate di cellule T g:d dotate di specifici riarrangiamenti genici lasciano il timo e migrano verso queste barriere epiteliali.

RUOLO DELLE CHEMOCHINE NELLO SVILUPPO E ORGANIZZAZIONE DEI TESSUTI LINFOIDI PERIFERICI La precisa localizzazione di linfociti B, T e cellule dendritiche nei tessuti linfoidi periferici è controllata da chemochine, prodotte sia da cellule stromali che da quelle derivate dal midollo osseo. I linfociti B sono attratti verso i follicoli dalle chemochine dei linfociti B o LBC, per le quali essi esprimono il recettore CXCR5. La fonte più probabile di BLC sono le cellule dendritiche follicolari (FDC). Inoltre, i linfociti B, a loro volta, sono la fonte di linfo- tossina (LT), necessaria allo sviluppo delle FDC. Anche i linfociti T possono esprimere CXCR5, anche se a livelli inferiori: questo può spiegare come mai essi siano in grado di entrare nei follicoli dei linfociti B, cosa che fanno quando sono attivati, e partecipare alla formazione dei centri germinali.

RUOLO DELLE CHEMOCHINE NELLO SVILUPPO E ORGANIZZAZIONE DEI TESSUTI LINFOIDI PERIFERICI Responsabili della localizzazione dei linfociti T nelle loro aree sono due chemochine, MIP-3b e la chemochina linfoide secondaria (SLC). Entrambe legano il recettore CCR7, presente sui linfociti T. SLC è prodotta dalle cellule stromali della zona T nella milza e dalle cellule endoteliali delle HEV nei linfonodi e nelle placche di Peyer. SLC e MIP-3b sono anche prodotti dalle cellule dendritiche interdigitate, anch’esse presenti in quantità nelle zone T. Anche i linfociti B - in particolare quelli attivati - esprimono CCR7, ma a livelli inferiori dei T. Questo potrebbe spiegare come fanno a migrare attraverso la zona T per gungere ai follicoli.

RUOLO DELLA SELEZIONE POSITIVA NELLA MATURAZIONE E SOPRAVVIVENZA DEI LINFOCITI B Almeno la metà delle cellule pre-B viene perduta durante la maturazione che avviene nel midollo osseo, per mancata produzione di riarrangia- mento produttivo e per la delezione clonale delle cellule immature auto-reattive. La maggior parte delle cellule immature, che esprimono alti livelli di sIgM, non sopravvivono fino a diventare cellule che esprimono bassi livelli di sIgM e alti di IgD.

RUOLO DELLA SELEZIONE POSITIVA NELLA MATURAZIONE E SOPRAVVIVENZA DEI LINFOCITI B Esistono due classi di linfociti B periferici. Quelli a vita breve sono rappresentati da quei linfociti che, formatisi di recente, non riescono ad entrare nei follicoli linfoidi o perché anergici o perché non superano una sorta di selezione positiva. Circa il 90% di tutti i linfociti periferici sono cellule B mature a vita relativamente lunga che sembrano aver superato la selezione positiva in periferia. Solo un piccolo gruppo di linfociti B riesce a sopravvivere per diventare pool di cellule periferiche a vita lunga.

RUOLO DELLA SELEZIONE POSITIVA NELLA MATURAZIONE E SOPRAVVIVENZA DEI LINFOCITI B L’impossibilità di sopravvivere per più di pochi giorni che incontra la maggior parte dei linfociti B in periferia sembra dovuta principalmente alla competizione per l’accesso ai follicoli nei tessuti linfoidi periferici. Sembra che i follicoli forniscano ai linfociti B vergini dei segnali essenziali per la sopravvivenza e forse per la maturazione. Perciò se i linfociti non riescono a penetrare nei follicoli, il loro passaggio attraverso la periferia è terminato e finiscono per morire. Le dinamiche di popolazione indicano che la competizione favorisce le cellule B mature che fanno parte del pool di cellule periferiche a lunga vita. Queste cellule potrebbero aver subito dei cambiamenti fenotipici che le avvantaggiano, es. CXCR5, o espressione elevata di CD21.

RUOLO DELLA SELEZIONE POSITIVA NELLA MATURAZIONE E SOPRAVVIVENZA DEI LINFOCITI B Comunque, cosa determina il destino di un linfocita B immaturo? La sua permanenza in vita è solo un fatto casuale oppure esso è determinato da un processo di selezione positiva che coinvolge la specificità del recettore (come accade ai linfociti T nel timo)? Sembra che la espressione continua del recettore e la relativa trasduzione del segnale attraverso di esso sia necessaria alla sopravvi- venza del linfocita B. Il recettore potrebbe dare un messaggio di “tonicità”. L’assemblaggio del complesso recettoriale potrebbe generare un segnale debole che di tanto in tanto scatena alcuni, oppure tutti i segnali a valle.

RUOLO DELLA SELEZIONE POSITIVA NELLA MATURAZIONE E SOPRAVVIVENZA DEI LINFOCITI B In alternativa, potrebbe essere la specificità del recettore ad avere un ruolo nella selezione dei linfociti B immaturi. Alcuni studi dimostrano che il repertorio di recettori dei linfociti maturi sopravvissuti è arricchito di determinate specificità antigeniche, se confrontato con la popolazione immatura. Comunque, i linfociti del pool a vita lunga potrebbero avere bisogno di altri segnali, che ora non sono stati ancora identificatI: per esempio, dalle cellule del loro ambiente naturale, il follicolo, attraverso il quale ripassano ad intervalli di pochi giorni. La continua perdita e produzione di linfociti B assicura che il repertorio di reecettori sia continuamente modificato in modo da raccogliere le nuove sollecitazioni antigeniche.

SOPRAVVIVENZA IN PERIFERIA DEI LINFOCITI T Al contrario dei linfociti B che vengono esportati in grande numero dal midollo osseo, solo un piccolo numero di linfociti T vengono esportati dal timo. I linfociti maturi vergini CD4 e CD8 sono sostenuti, al di fuori del timo, da ripetuti contatti con i complessi MHC:peptidi autologhi simili o identici a quelli che originariamente ne hanno determinato la selezione positiva. L’incontro tra i linfociti T e i loro ligandi sembra che avvenga sulle cellule dendritiche linfoidi delle zone T. Queste cellule sono simili a quelle che migrano verso i linfonodi dai siti periferici, ma mancano del potenziale co-stimolatorio sufficiente per attivare i linfociti T

RIASSUNTO DELLA MATURAZIONE E SOPRAVVIVENZA DEI LINFOCITI I linfociti B immaturi vanno incontro, nel midollo osseo, principalmente ad un processo di selezione negativa. La selezione positiva avviene in periferia, con un meccanismo ancora in parte sconosciuto. I linfociti T sono rigidamente controllati nel timo prima dalla selezione positiva. Le cellule che hanno superato questo passaggio potrebbero ancora essere auto-reattivi, pertanto vanno incontro alla selezione negativa, che induce tolleranza verso il self.

IMMUNITA’ MEDIATA DALLE CELLULE T

Cellule T mature circolanti che non hanno ancora incontrato il loro antigene sono chiamate cellule T naive. Le cellule che hanno invece incontrato l’antigene e vanno incontro a proliferazione e differenziazione in modo da contribuire alla rimozione dei patogeni sono chiamate cellule T effettrici armate. Le cellule su cui agiscono sono definite cellule bersaglio. Esistono tre classi funzionali di cellule T effettici armate: le cellule T citotossiche (virus) le cellule TH1 (stimolano i macrofagi e inducono le cellule B a produrre IgG estremamente efficaci nell’opsonizzazione dei patogeni extracellulari) 3) le cellule TH2 (stimolano cellule B naive a produrre IgM, e di altri isotipi compresi IgA e IgE, neutralizzanti e/o deboli opsonizzanti).

L’attivazione di cellule T naive e la loro successiva proliferazione e differenziazione costituisce la risposta immunitaria primaria. Tale risposta produce contemporaneamente cellule T effettrici armate e cellule della memoria. Le cellule T armate agiscono sia mediante meccanismi di citotossicità diretta che attivando i macrofagi -> immunità cellulo-mediata

DIFFERENZIAZIONE DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Per essere attivate, le cellule T naive devono riconoscere un frammento peptidico estraneo legato alle molecole MHC autologhe. La completa attivazione delle cellule T richiede la presenza di segnali co-stimolatori. Solo le cellule dendritiche, i macrofagi e le cellule B sono capaci di esprimere sia entrambe le molecole MHC che le molecole co-stimolatorie. Gli attivatori più potenti delle cellule T naive sono le cellule dendritiche mature e si pensa che queste inneschino la maggior parte, se non tutte, le risposte delle cellule T in vivo.

DIFFERENZIAZIONE DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Le cellule dendritiche immature dei tessuti: catturano l’antigene nei siti di infezione vengono attivate si spostano nel tessuto linfatico locale maturano in cellule che esprimono alti livelli di molecole stimolatorie e di adesione interagiscono con le cellule T naive L’attivazione e l’espansione delle cellule T naive, al loro primo incontro con l’antigene, sulla superficie delle cellule presentanti l’antigene (APC), è chiamato fenomeno di priming, per distinguerlo dalle risposte successive delle cellule T effettrici armate all’antigene esposto sulle cellule bersaglio e dalle risposte delle cellule T memoria.

CELLULE PRESENTANTI L’ANTIGENE In un linfonodo, le cellule dendritiche sono presenti principalmente nelle aree delle cellule T. Quando arrivano nel linfonodo le cellule dendritiche hanno perso la capacità di catturare nuovi antigeni. I macrofagi si trovano in molte aree dei linfonodi, specialmente nel seno marginale, dove la linfa afferente entra nel tessuto linfatico, e nel cordone midollare, dove si raccoglie la linfa efferente. Qui possono fagocitare microrganismi e antigeni particellari, impedendo che entrino nel sangue. Le cellule B si concentrano nei follicoli e sono particolarmente efficienti nel fagocitare antigeni solubili, come tossine batteriche. Dopo la internalizzazione recettore-mediata, i peptidi possono essere complessati a MHC di classe II -> stimolazione dei T CD4. Le cellule B non sono molto efficienti nell’iniziare una risposta immuni- taria acquisita.

DIFFERENZIAZIONE DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Le cellule T naive circolano continuamente tra il sangue ed il tessuto linfatico, dove prendono contatti con migliaia di APC. Questi contatti permettono di vagliare i complessi peptidi:MHC e sono importanti per due motivi: rinforzano la selezione positiva per l’incontro con complessi MHC autologhe:peptidi autologhi -> sopravvivenza 2) incontro con antigeni derivati dai patogeni. Ciò è fondamentale per l’inizio di una risposta immunitaria acquisita, dato che solo una cellula T su 104-106 è specifica per un particolare antigene e che l’immunità acquisita dipende dall’attivazione e dalla espansione di poche cellule antigene-specifiche.

MOLECOLE DI ADESIONE COINVOLTE NELLA ATTIVAZIONE LINFOCITARIA La migrazione delle cellule T naive attraverso i linfonodi e la loro interazione con le APC e successivamente con le cellule bersaglio dipende dalla presenza di molecole di adesione. Le classi principali di molecole di adesione che controllano le interazioni dei linfociti sono: selettine integrine membri della superfamiglia delle immunoglobuline addressine vascolari simil-mucina

MOLECOLE DI ADESIONE COINVOLTE NELLA ATTIVAZIONE LINFOCITARIA Le selettine possono essere espresse sia sulla superficie dei linfociti (L-selettine) o su quella delle cellule endoteliali (P-selettine ed E-selettine). Le L-selettine sono espresse sulla superficie delle cellule T naive e guidano il passaggio dal sangue ai tessuti linfatici periferici. Le selettine presentano un dominio lectinico nella porzione extra- cellulare della molecola. I domini lectinici legano particolari gruppi oligosaccaridici, come i domini di solfato sialyil-Lewis presenti sulle addressine vascolari CD34 e GlyCAM-1, espresse sulle venule con cellule endoteliali alte dei linfonodi. Una terza addressina, MadCAM-1, è espressa sulle cellule endoteliali delle mucose e aiuta i linfociti ad entrare nel MALT.

MOLECOLE DI ADESIONE COINVOLTE NELLA ATTIVAZIONE LINFOCITARIA L’interazione tra le L-selettine e le addressine vascolari è responsabile per lo stazionamento delle cellule T naive negli organi linfatici, ma non è sufficiente per permettere l’attraversamento della barriera enodteliale e giungere nel tessuto linfatico. Sono necessarie altre due famiglie di molecole di adesione, le integrine e la superfamiglia delle immunoglobuline. Queste due categorie di molecole sono importanti anche per le intera- zioni tra i linfociti e le APC e, inseguito, con le cellule bersaglio.

MOLECOLE DI ADESIONE COINVOLTE NELLA ATTIVAZIONE LINFOCITARIA Le integrine legano strettamente i loro ligandi dopo aver ricevuto segnali che inducono cambiamenti conformazionali. Le chemochine attivano le integrine delle cellule T durante la migrazione di queste cellule negli organi linfatici. La migrazione delle cellule T naive nei tessuti linfatici è mediata dalla chemochina SLC (chemochina linfoide secondaria). Questa è espressa dall’endotelio a cellule alte, dalle celluls tromali e dendritiche dei tessuti linfatici e lega il recettore CCR7 sulle cellule T naive. Questa interazione è in grado di aumentare il legame delle integrine, di arrestare i linfociti T sulle venule, permettendo ad essi di entrare nel tessuto linfatico.

MOLECOLE DI ADESIONE COINVOLTE NELLA ATTIVAZIONE LINFOCITARIA Le integrine dei leucociti hanno una comune catena b2 e diverse catene a. Tutte le cellule T esprimono LFA-1 (lymphocyte function-associated antigen-1). Svolge un ruolo nella migrazione sia di cellule T naive che effettrici. Inoltre sembra essere la molecola di adesione più importante per l’attivazione dei linfociti T. Le cellule T esprimono anche le integrine con la catena b1. L’espressione dell integrine b1 aumenta molto in uno stadio tardivo dell’attivazione delle cellule T, e pertanto sono chiamate VLA (very late antigen) e sono importanti nel dirigere le cellule T effettrici verso i tessuti bersaglio infiammati.

MOLECOLE DI ADESIONE COINVOLTE NELLA ATTIVAZIONE LINFOCITARIA Molte molecole di adesione sulla superficie cellulare appartengono alla superfamiglia delle immunoglobuline (recettori degli antigeni delle cellule B e T, co-recettori CD4, CD8e CD19, domini costanti delle molecole MHC). ICAM-1, ICAM-2 e ICAM-3 legano l’integrina LFA-1 delle cellule T. ICAM-1 e ICAM-2 sono espresse a livello endoteliale e sulle APC, permettendo ai linfociti di migrare attraverso la parete vascolare. ICAM-3 è espressa solo sui leucociti e sembra essere importante nella adesione alle APC: lega, oltre LFA-1, una lectina che si trova solo sulle cellule dendritiche, DC-SIGN. Un altro membro di questa famiglia, CD2 (LFA-2) delle cellule T, lega LFA-3, espressa dalle APC.

MOLECOLE DI ADESIONE COINVOLTE NELLA ATTIVAZIONE LINFOCITARIA Una volta extravasati nella parte corticale del linfonodo, le cellule T legano temporaneamente qualsiasi APC che incontrano. Le interazioni tra molecole di adesione mediano questo legame, e la loro interazione è mutuamente sinergica. E’ questo un sistema altamente rindondante, che permette di funzionare anche in assenza di una specifica molecola di adesione.

MOLECOLE DI ADESIONE COINVOLTE NELLA ATTIVAZIONE LINFOCITARIA Il legame transitorio delle cellule T naive alle APC è fondamentale per dare tempo alle cellule T di scrutinare un sufficiente numero di molecole MHC e di peptidi antigenici. Nella gran parte dei casi, non si ha nessun riconoscimento antigenico specifico. In questo caso avviene una dissociazione rapida, e la cellula T è in grado di migrare attraverso il linfonodo. Nei rari casi in cui la cellula T riconosca il suo ligando specifico, un segnale mediato dal recettore dell’antigene induce un cambio conforma- zionale in LFA-1 aumentandone l’affinità per ICAM-1 e ICAM-2. Questo stabilizza l’associazione tra cellula T antigene specifica e l’APC. Tale legame può durare molti giorni, durante i quali il linfocita T proli- fera e la sua progenie, che lega l’APC, matura in cellule effettrici.

SEGNALE CO-STIMOLATORIO NELL’ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI T Per l’espansione clonale e la differenziazione delle cellule T è necessario, oltre il segnale derivato dal legame del recettore e del co-recettore, un secondo segnale, o co-stimolatorio. Il segnale co-stimolatorio deve essere rilasciato dalla stessa cellula che presenta l’antigene. Le molecole cos-stimolatorie meglio caratterizzate sono le glicoproteine B7.1 e B7.2. Sono omodimeri e membri della superfamiglia delle immunoglobuline. Ciascuna catena è formata da un dominio simile alla regione V e da uno simile alla regione C. Il recettore per le molecole B7 è il CD28, anch’esso membro della superfamiglia delle Ig, omodimero con un solo dominio per catena simile alla regione V.

SEGNALE CO-STIMOLATORIO NELL’ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI T Una volta attivata, la cellula T naive esprime numerose molecole che contribuiscono a conservare o modificare il segnale co-stimolatorio e che guidano l’espansione clonale e il differenziamento. Una di queste è il ligando CD40, così chiamato perché lega CD40 sulla superficie delle APC. Il legame di CD40L a CD40 induce una ulteriore attivazione delle cellule T e le APC a esprimere molecole B7. CD40L e CD40 appartengono alla famiglia del TNF. Un’altra coppia di molecole della famiglia TNF, che interviene nella stimolazione delle cellule T, sono le molecole 4-IBB e il suo ligando 4-IBBL, espresso da tutte e APC.

SEGNALE CO-STIMOLATORIO NELL’ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI T Sulle cellule T attivate vengono anche indotte proteine associate al CD28 e servono a modificare il segnale co-stimolatorio. Una è CTLA-4, recettore aggiuntivo per le molecole B7. Il CTLA-4 lega le molecole B7 con un’affinità circa 20 volte più elevata di CD28 e invia segnali inibitori alle cellule T attivate. CTLA-4 fa sì che la progenie di una cellula T attivata sia meno sensibile alla stimolazione da parte di APC e rilasci meno IL-2, un fattore di crescita autocrino delle cellule T.

SEGNALE CO-STIMOLATORIO NELL’ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI T Le cellule T sono quindi impegnate in un dialogo co-stimolatorio con le APC, il quale sembra essere iniziato principalmente dal legame tra molecole B7 e CD28. La necessità di inviare simultaneamente segnali antigene-specifici e co-stimolatori, nell’attivazione di cellule T naive, implica che soltanto le APC, e in particolare le cellule dendritiche, possono iniziare la risposta delle cellule T. Poiché la selezione negativa intratimica non elimina completamente i cloni potenzialmente self-reattivi, la self-tolleranza potrebbe essere spezzata se cellule T naive autoreattive riconoscessero antigeni self sulle cellule dei tessuti e quindi fossero co-stimolate da una APC, localmente o in sito distante.

SEGNALE CO-STIMOLATORIO NELL’ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI T In effetti, antigeni che legano il recettore T in assenza di co-stimolazione, non soltanto non attivano le cellule, ma inducono uno stato di anergia, nel quale la cellule T diventa refrattaria alla attivazione di antigeni specifici, anche quando questi sono presentati tramite una cellula specializzata nel presentare l’antigene.

CELLULE DENDRITICHE L’unica funzione conosciuta delle cellule dendritiche è quella di presentare l’antigene alle cellule T, e questa proprietà è soprattutto delle cellule dendritiche mature, che si trovano nei tessuti linfatici. Al contrario, le cellule dendritiche immature, che si trovano nella cute o in organi solidi come il cuore e i reni, non presentano questa capacità. In questi tessuti hanno bassi livelli di molecole MHC e non presentano le molecole B7 sulla loro superficie. Possono riconoscere patogeni attraverso recettori del sistema innato e fagocitare antigeni mediante recettori come DEC205, oppure in maniera non specifica mediante macropinocitosi.

CELLULE DENDRITICHE Le cellule dendritiche mature dei tessuti linfatici non sono più capaci di captare antigeni, tuttavia esprimono livelli molto alti di molecole MHC di classe I e II ed esprimono alti livelli di molecole B7, così come di molecole di adesione come DC-SIGN. Secernono una chemochina che attrae cellule T naive ed è espressa solo da cellule dendritiche mature, chiamata DC-CK.

CELLULE DENDRITICHE Sebbene le cellule dendritiche mature possano presentare alcuni peptidi autologhi, non potranno essere possibili risposte da parte delle cellule T a causa della selezione negativa intratimica. Le cellule dendritiche, inoltre, che giungono alla fine della loro vita senza essere state attivate migrano verso i tessuti linfatici locali. Poiché non esprimono le molecole co-stimolatorie, inducono tolleranza verso ogni antigene da loro esposto e derivante dai tessuti periferici.

CELLULE DENDRITICHE Le cellule dendritiche stimolano risposte delle cellule T contro batteri, virus e funghi. La risposta ai batteri Gram-negativi è mediata da recettori per gli LPS. LPS/TLR-4 NF-kB Espressione di B7 e di TNF TNF stimola la migrazione di cellule dendritiche tessutali.

CELLULE DENDRITICHE Altri membri della famiglia dei TRL riconoscono e segnalano la presenza di batteri Gram-positivi, mentre altri recettori possono legare i patogeni, quali i recettore per il complemento o i recettori dei fagociti, quali quello per il mannosio. I patogeni che eludono il riconoscimento da parte dei recettori sono catturati mediante macropinocitosi -> degradazione intracellulare del patogeno -> legame dei motivi CpG non metilati del DNA batterico da parte di TLR-9 -> attivazione della via delle MAP chinasi -> attivazione di NF-kB -> produzione di citochine (IL-6, IL-2, IL-18) e degli IFN a e b -> induzione delle molecole co-stimolatorie.

CELLULE DENDRITICHE Le cellule dendritiche sembrano essere molto importanti nello stimolare risposte delle cellule T contro i virus. I virus, entrati nelle cellule dendritiche mediante endocitosi, usano il sistema di sintesi proteica delle cellule e ciò porta all’espressione di peptidi virali associati a molecole MHC di classe I. In seguito alla captazione di virus da parte dei recettori fagocitici, come il recettore del mannosio, o attraverso macropinocitosi, peptidi virali possono essere presentati sia su molecole MHC di classe I che classe II. Si ritiene che le cellule dendritiche possano presentare antigeni derivati da funghi.

MACROFAGI Quando i macrofagi non riescono a distruggere i patogeni che hanno ingerito, stimolano la risposta immunitaria acquisita che, a sua volta, stimolerà l’attività fagocitaria e microbicida di tali cellule. I macrofagi a riposo esprimono bassi livelli di molecole MHC di classe II e non esprimono molecole B7. Una volta fagocitati e degradati negli endo-lisosomi, si originano peptidi che vengono presentati da molecole MHC di classe II. I recettori che riconoscono questi patogeni trasmettono un segnale che porta all’espressione di molecole MHC di classe II e molecole B7.

MACROFAGI I macrofagi continuamente sono impicate nella rimozione di cellule morte, le quali sono ricche sorgenti di antigeni propri. Ad es. le cellule del Kupffer dei sinuosidi epatici ed i macrofagi della polpa rossa della milza. E’ importante quindi che i macrofagi non attivino le cellule T. In effetti gli antigeni self non inducono attività co-stimolatoria. Quando invece questi antigeni sono mescolate con batteri diventano immunogeniche. I batteri che sono responsabili di questo meccanismo sono detti adiuvanti.

CELLULE B I macrofagi non possono catturare antigeni solubili efficientemente, mentre le cellule dendritiche immature possono fagocitare grandi quantità di antigeni dai fluidi extracellulari. Le cellule B, al contrario, sono particolarmente adatte a legare specifiche molecole solubili. Le cellule B internalizzano gli antigeni mediante le loro Ig di superficie, ed espongono i peptidi sulla superficie legati alle molecole MHC di classe II, le quali sono espresse ad alti livelli -> attivazione di cellule T CD4.

CELLULE B Le cellule B non esprimono costitutivamente attività co-stimolatoria ma possono essere indotte da componenti microbiche. Per questo motivo, le cellule B non sono capaci di di dare il via ad una risposta immunitaria contro proteine solubili self, in assenza di infezione. L’importanza dell’attivazione da parte delle cellule B delle cellule T naive durante la risposta immunitaria naturale non è chiaro. Antigeni solubili proteici (tossine) non sono abbondanti durante le infezioni. Le cellule dendritiche hanno più possibilità di incontrare l’antigene e di presentarlo alle cellule T di quanto possono fare le poche cellule B capaci di legare un determinato antigene. La possibilità che questo avvenga aumenta nel tessuto linfatico dopo che una cellula T è stata trattenuta.

APC: RIASSUNTO Le risposte mediate da cellule T possono essere stimolate da tre tipi distinti di APC. Le cellule dendritiche sono ben equipaggiate per presentare una gran varietà di antigeni alle cellule T. I macrofagi stimolano la risposta delle cellule T verso i patogeni che catturano, ma che non sono capaci di eliminare. Le cellule B sono specializzate nel presentare frammenti degli antigeni che legano le loro Ig di superficie. In ciascuno di questi tipi cellulari, l’espressione di attività co- stimolatoria è controllata in modo da produrre risposte contro i patogeni e non contro gli antigeni autologhi.

INTERLEUCHINA-2 La proliferazione e differenziazione delle cellule T sono guidate da una citochina, l’interleuchina-2 (IL-2), prodotta dalle stesse cellule T attivate. L’incontro iniziale con lo specifico antigene in presenza dello appropriato segnale co-stimolatorio induce l’entrata della cellula T in G1 e induce la sintesi di IL-2 e della catena a del recettore della IL-2. Le cellule T esprimono in fase di riposo solo le catene b e g del recettore (lega l’IL-2 con affinità ridotta). Il recettore completo lega l’IL-2 con alta affinità. Il legame di IL-2 al suo recettore induce la cellula a progredire attraverso il ciclo cellulare.

INTERLEUCHINA-2 Il legame di IL-2 al suo recettore induce la cellula a progredire attraverso il ciclo cellulare. Le cellule T attivate in tal modo possono dividersi due-tre volte al giorno generando un clone costituito da migliaia di cellule che portano tutte un identico recettore per l’antigene. IL-2 induce anche la differenziazione di queste cellule in linfociti T effettori armati.

INTERLEUCHINA-2 La funzione più importante del segnale co-stimolatorio è di indurre la sintesi di IL-2. Il fattore di trascrizione coinvolto nella sintesi di IL-2 è NFAT. La trascrizione del gene di IL-2 non porta di per sé alla produzione di IL-2, che richiede il legame di CD28 a B7. Tale legame determina la stabilizzazione del mRNA per IL-2. Un secondo effetto del legame di CD28 è l’attivazione di fattori di crescita (AP-1 e NFkB) che aumentano di 3 volte la trascrizione del mRNA di IL-2.

PROPRIETA’ DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Dopo che una cellula T si è differenziata in una cellula effettrice armata, l’incontro con il suo antigene specifico determina una risposta immunitaria senza la necessità di co-stimolazione. Questa proprietà è importante: Nel caso di linfociti T citotossici CD8 questo si risolve nella morte della cellula infettata target,sia che essa esprima molecole co-stimolatorie che non le esprima. Nel caso di linfociti CD4, per attivare macrofagi e cellule B, anche quando queste cellule abbiano un’attività co-stimolatoria troppo bassa per attivare le cellule T CD4 naive.

PROPRIETA’ DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Le cellule T effettrici armate presentano dei cambiamenti anche nelle molecole di adesione. Queste esprimono maggiori livelli di LFA-1 e di CD2, ma perdono l’espressione di L-selettine: pertanto non possono più circolare nei linfonodi. Esprimono invece l’integrina VLA-4 che permette loro di legarsi alle cellule endoteliali nei siti di flogosi e quindi di svolgere nella sede dell’infezione le loro funzioni.

CELLULE T CD4 POSSONO DIFFERENZIARE IN TH1 O TH2 Le cellule T CD8 che escono dal timo sono già predestinate a diventare linfociti citotossici, anche se non esprimono le funzioni delle cellule effettrici armate. Nel caso delle CD4, queste possono differenziarsi, una volta attivate, in cellule TH1 e TH2, che differiscono per le citochine che producono e per la loro funzione.

CELLULE T CD4 POSSONO DIFFERENZIARE IN TH1 O TH2 Che cosa decide se, durante le fasi precoci della risposta immunitaria, una cellula T CD4 proliferante si differenzierà in TH1 o in TH2? Sebbene la risposta non è ancora completamente chiara, vari fattori potrebbero avere un ruolo: la citochina prodotta (IFN-g, IL-12 o IL-4) le molecole co-stimolatorie usate per guidare la risposta natura del ligando MHC:peptide

CELLULE T CD4 POSSONO DIFFERENZIARE IN TH1 O TH2 Le conseguenze dell’induzione delle cellule TH1 invece che TH2 ha conseguenze profonde: la produzione selettiva di TH1 porta ll’immunità mediata da cellule, mentre la produzione di cellule TH2 attiva l’immunità umorale. LEBBRA Nella forma detta tubercoloide, si ha una prevalenza dell’induzione di cellule TH1 -> pochi batteri vivi, pochi anticorpi e, nonostante il danno ai nervi periferici e alla pelle dovuto all’infiammazione mediata dai macrofagi, la malattia procede lentamente. Nella forma detta lepromatosa, si ha prevalenza TH2 -> risposta principale umorale, gli anticorpi non possono raggiungere i batteri intracellulari, determinando una massiccia distruzione tessutale.

MODALITA’ DI ATTIVAZIONE DELLE CELLULE T CD8 Poiché l’azione effettrice delle cellule CD8, come cellule citotossiche, è più distruttiva delle CD4, le cellule CD8 naive richiedono una maggiore attività co-stimolatoria per essere attivate. Una modalità è l’attivazione da parte di cellule dendritiche, che hanno un’elevata attività co-stimolatoria intrinseca. Queste cellule possono direttamente stimolare cellule T CD8 a produrre IL-2 che guida la loro proliferazione e differenziazione. -> utile nella risposta delle cellule T ai tumori

MODALITA’ DI ATTIVAZIONE DELLE CELLULE T CD8 La seconda modalità richiede le cellule CD4 e sembra importante in alcune risposte verso virus e trapianti. In questo caso, sia le cellule CD4 che le CD8 riconoscono gli antigeni ad esse correlati sulla superficie della stessa APC. L’azione della CD4 è quello di compensare l’inadeguata co-stimolazione delle cellule CD8 naive da parte dell’APC. La cellula CD4 effettrice armata induce l’espressione di CD40 sulla superficie dell’APC. Il legame del CD40L sulla superficie della cellula T al CD40 delle APC stimola l’espressione di molccole B7 e permette alle APC di stimolare pienamente le cellule T CD8.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Dopo la loro differenziazione, la maggior parte delle cellule T effettrici lasciano il loro sito di attivazione nel sito linfatico ed entrano nel sangue. Solo alcune cellule TH2 incontrano le loro cellule B bersaglio senza abbandonare il tessuto linfatico. Le cellule T effettrici sono guidate ad incontrare i loro bersagli da cambiamenti nelle molecole di adesione degli endoteli e da fattori chemiotattici locali. Le interazioni delle cellule T effettrici con le cellule bersaglio sono mediate da molecole di adesione cellulare non antigene specifiche.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Il legame iniziale di una cellula T al suo bersaglio non dipende dallo antigene ed è mediato da LFA-1 e CD2. I livelli di queste molecole aumentano sulle cellule T armate rispetto alle cellule T naive. Tale interazione è temporanea, però il riconoscimento dell’antigene sulla cellula T determina un aumento dell’affinità di LFA-1 per i suoi ligandi -> la cellula T lega più strettamente il suo ligando e rimane legata a sufficienza per rilasciare le proprie molecole effettrici.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Il legame delle cellule CD4 permette di mantenere contatti con le cellule bersaglio per tempi più lunghi delle cellule CD8. Le cellule CD8 citotossiche si legano e si distaccano da un bersaglio al successivo velocemente dopo averlo ucciso.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Quando sono legate ai complessi peptide:MHC, le molecole del recettore e i loro co-stimolatori si raggruppano nel sito di contatto cellula-cellula. Il raggrupparsi dei recettori determina una riorganizzazione del citoscheletro che polarizza le cellule effettrici così come concentra il rilascio di molecole effettrici nel sito di contatto con la cellula bersaglio. La riorganizzazione del citoscheletro corticale di actina porta al riorientamento del centro di organizzazione dei microtubuli (MTOC) che, in risposta, allinea l’apparato secretorio, compreso l’apparato di Golgi, verso la cellula bersaglio, così come i granuli litici (nelle CD8).

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE La polarizzazione di una cellula T indirizza quindi la secrezione di molecole solubili effettrici, la cui sintesi è indotta de novo dal legame del recettore delle cellule T. Il recettore antigene-specifico delle cellule T controlla l’induzione di segnali effettori in tre modi: induce il legame stabile di cellule effettrici alle loro cellule bersaglio per creare una stretta associazione e uno spazio ridotto nel quale le molecole effettrici possano essere concentrate; 2) indirizza il loro invio nel sito di contatto inducendo il riorientamento dell’apparato di secrezione delle cellule effettrici; 3) induce la sintesi e/o il rilascio di molecole effettrici.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Le molecole effettrici prodotte dalle cellule T armate appartengono a due grandi gruppi: le citotossine, immagazzinate in granuli citoplasmatici specializzati e rilasciate dalle cellule T CD8; le citochine e relative proteine associate alla membrana, sintetizzate de novo, e sono i mediatori principali dell’azione delle cellule T CD4. Il rilascio delle citotossine deve essere regolato in maniera molto fine, dato che possono penetrare il bilayer fosfolipidico e attivare un programma di morte cellulare. Le citochine e le proteine associate alla membrana agiscono legando recettori specifici sulla superficie delle cellule bersaglio.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Le citochine possono essere raggruppate, a seconda della struttura, in famiglie: le ematopoietine gli interferoni la famiglia TNF Anche i loro recettori possono essere ragguppati: recettori di classe I delle citochine (IL-3, IL-4, Il-5) recettori di classe II delle citochine (interferoni) recettori per la famiglia del TNF (TNFRI e TNFRII, CD40) recettori per le chemochine

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Le molecole effettrici legate alla membrana sono tutte strutturalmente legate al fattore di necrosi tumorale o TNF. Tutte e tre le classi di linfociti T esprimono uno o più membri della famiglia TNF in seguito al riconoscimento dell’antigene sulle cellule bersaglio. Il ligando CD40 è particolarmente importante per le funzioni effettrici delle cellule T CD4. Viene indotto sulle cellule TH1 e TH2 e invia segnali di attivazione alle cellule B e ai macrofagi attraverso la proteina CD40. TNF-a è prodotto dalle cellule TH1, alcune cellule TH2 e da cellule citotossiche e può inviare segnali di attivazione ai macrofagi.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Alcuni membri della famiglia possono stimolare l’apoptosi, come il ligando Fas (FasL), una volta che si è legato sulle cellule bersaglio che espongono la proteina di membrana Fas (CD95). Alcune cellule TH1 esprimono il ligando Fas e possono uccidere le cellule che portano Fas. FasL e Fas sono coinvolti nei meccanismi di omeostasi dei linfociti T ovvero nella rimozione di linfociti; in caso di mutazioni di Fas o di FasL si avrà una malattia linfoproliferativa associata ad una grave reazione autoiimune.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE La principale citochina rilasciata dalle cellule T CD8 è IFN- g che può bloccare la replicazione virale oppure portare all’eliminazione dei virus all’interno delle cellule senza ucciderle. Le cellule TH1 e TH2 rilasciano citochine differenti. Le TH1 secernono IFN-g, la citochina principale dell’attivazione dei macrofagi, e le linfotossine (TNF- b), che attivano i macrofagi, inibiscono le cellule B e sono direttamente citotossiche su alcune cellule. Le TH2 secernono IL-4 e IL-5, che attivano le cellule B, e IL-10, che inibisce l’attivazione dei macrofagi.

PROPRIETA’ GENERALI DELLE CELLULE T EFFETTRICI ARMATE Le citochine agiscono localmente, anzi nel sito di contatto delle cellule bersaglio. Altre citochine hanno effetti a distanza. IL-3 e GM-CSF, rilasciati da entrambi i tipi di cellule T CD4, stimolano nel midollo osseo la produzione di macrofagi e di granulociti, entrambi effettori non specifici sia nell’immunità umorale che cellulo-mediata. Entrambe stimolano anche la produzione dei cellule dendritiche da precursori del midollo osseo.

CITOTOSSICITA’ MEDIATA DALLE CELLULE T Le cellule T CD8 svolgono il ruolo di difesa dell’organismi nei confronti di patogeni che proliferando all’interno delle cellule infettate non possono essere raggiunti dagli anticorpi: virus protozoi (Toxoplasma gondii): parassiti vescicolari che esportano peptidi nel citosol, i quali entrano nel processamento attuato dalle molecole MHC di classe I. L’eliminazione delle cellule infette senza la distruzione dei tessuti sani richiede che i meccanismi di citotossicità siano diretti accuratamente verso il bersaglio.

CITOTOSSICITA’ MEDIATA DALLE CELLULE T Le cellule T citotossiche (CTL) uccidono i loro bersagli inducendo apoptosi. I CTL possono indurre apoptosi nelle cellule bersaglio in 5 minuti, anche se la morte può impiegare ore per divenire completamente evidente. Il meccanismo di apoptosi non uccide solo le cellule bersaglio ma influenza direttamente anche i patogeni citoplasmatici. Ad es., le nucleasi attivate possono degradare anche il DNA virale, impedendo l’assemblaggio di virioni completi, che altrimenti infetterebbero cellule adiacenti. L’apoptosi è preferibile alla necrosi; durante la necrosi sono rilasciati microrganismi intatti dalle cellule morte.

CITOTOSSICITA’ MEDIATA DALLE CELLULE T Il meccanismo d’azione delle CTL nell’indurre apoptosi è mediato dal rilascio calcio-dipendente di granuli litici. Questi granuli sono lisosomi modificati che contengono almeno due classi di proteine effettrici espresse selettivamente dalle CTL.

CITOTOSSICITA’ MEDIATA DALLE CELLULE T La perforina forma una struttura cilindrica all’interno del bilayer di membrana della cellula bersaglio: lipofilica all’esterno e idrofilica verso il centro della cavità. I pori che si formano permettono all’acqua e ai Sali di passare rapidamente all’interno determinando la morte della cellula. Sia la perforina sia i granzimi sono necessari per uccidere le cellule bersaglio. I granzimi, una volta penetrati all’interno delle cellule mediante i pori formati dalla perforina, attivano una caspasi (CPP-32). Quest’ultima attiva una nucleasi, chiamata deossiribonucleasi caspasi- attiva (CAD), tagliando una proteina inibitoria (iCAD) e liberando una CAD attiva. L’altra modalità di induzione di apoptosi in maniera perforina- indipendente è dato dall’interazione ligando del Fas-Fas (CTL e cellule TH1)

CITOTOSSICITA’ MEDIATA DALLE CELLULE T Le CTL uccidono solo le loro cellule bersaglio, ma non le cellule “innocent bystander” (testimone innocente) e le stesse cellule T, anche se queste possono costituire un bersaglio, in quanto le molecole litiche mancano di qualsiasi specificità per l’antigene. Il modo altamente polarizzato di secrezione dei granuli litici permette l’uccisione solo delle cellule bersaglio con cui i CTL vengono a contatto. La sintesi delle proteine citotossiche dei CTL avviene durante il primo incontro di una cellula T naive con l’antigene specifico. Il legame del recettore T nei successivi incontri con le cellule bersaglio induce la sintesi de novo di perforine e granzimi, così che la riserva di granuli litici è mantenuta. Ciò permette ad una singola cellula T CD8 di uccidere più cellule bersaglio in successione.

CITOTOSSICITA’ MEDIATA DALLE CELLULE T Le cellule T CD8 rilasciano anche citochine: IFN-g, TNF- a e TNF- b. IFN- g inibisce direttamente la replicazione virale e induce un’aumentata espressione di molecole MHC di classe I e di altre molecole coinvolte nel trasporto di MHC . Attiva anche i macrofagi reclutandoli nel sito di infezione, sia come cellule effettrici che come cellule presentanti l’antigene. L’attivazione dei macrofagi è imprtante nella risposta immunitaria verso protozoi intracellualri come Toxoplasma gondii. TNF- a o TNF- b possono cooperare con IFN- g nell’attivazione dei macrofagi o nell’uccisione di alcune cellule bersaglio interagendo con TNFRI.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 Alcuni microrganismi, come i micobatteri, sopravvivono e crescono nei fagolisosomi dei macrofagi. Tali patogeni possono essere eliminati quando i macrofagi sono attivati dalle cellule TH1. I macrofagi riescono ad eliminare molti patogeni senza l’intervento delle cellule TH1, ma per molte infezioni le cellule TH1 sono necessarie per fornire segnali attivatori per i macrofagi. In effetti, l’azione effettrice principale dell cellule TH1 è l’induzione di meccanismi microbicidi nei macrofagi, azione conosciuta come attivazione macrofagica. Tra i patogeni extracellulari bersaglio dei macrofagi c’è Pneumo- cystic carinii, una delle cause di morte comune nei pazienti con AIDS, dove vi è deficienza di cellule CD4. La capacità dei macrofagi di danneggiare bersagli extracellulari si estende anche alle cellule sane, da cui la necessità di mantenere i macrofagi in uno stato inattivato.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 I macrofagi hanno bisogno di due segnali per essere attivati. Le cellule TH1 possono fornirli entrambi: IFN-g, la principale citochina secreta da cellule TH1 ligando di CD40, che invia segnali di sensibilizzazione in seguito al legame con CD40 sui macrofagi. I macrofagi possono essere resi più sensibili all’IFN- g da piccole quantità di lipoplisaccaridi batterici. TNF-a o TNF-b associati alla membrana possono sostituire CD40 nell’attivazione dei macrofagi, e stimolano i macrofagi a produrre TNF-a. Le cellule TH2 sono invece inefficaci nell’attivazione dei macrofagi, in quanto secernono IL-10, una citochina inibitoria dei macrofagi.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 Il riconoscimento del bersaglio da parte delle cellule TH1 induce la trascrizione dei geni delle citochine e la sintesi richiede ore, invece che minuti (nel caso delle cellule T CD8). Le citochine neosintetizzate sono trasportate al sito di contatto tra la membrana della cellula T e quella del macrofago. Così anche il ligando di CD40 viene espresso in modo polarizzato. Anche se tutti i macrofagi esprimono il recettore dell’IFN-g, i macrofagi che presentano l’antigene alle cellule TH1 armate sono più facilmente attivati rispetto a quelli vicini non infettati.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 L’attivazione da parte delle cellule TH1 converte i macrofagi in cellule effettrici con proprietà antibatteriche molto forti. I macrofagi attivati fondono i lisosomi in maniera più efficiente con i fagosomi e vi riversano un gran numero di enzimi litici. Producono radicali liberi dell’ossigeno e ossido nitrico, così come peptidi antibatterici e proteasi che possono essere rilasciate per attaccare patogeni extracellulari. Ulteriori cambiamenti aiutano ad amplificare la risposta immunitaria. Aumenta il numero di molecole di MHC di classe II, di molecole B7, di CD40 e di recettori per TNF, rendendo sia le cellule più efficienti nel presentare l’antigene a nuove cellule T naive, sia più responsive al ligando di CD40 e a TNF-a.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 Il TNF-a ha un’azione sinergica con IFN-g nell’attivazione dei macrofagi, specialmente nell’induzione di ossido nitrico, che ha una forte attività battericida, tramite la ossido nitrico sintetasi inducibile. I macrofagi attivati secernono IL-12 , che stimola la differenziazione di cellule T CD4 naive attivate in cellule TH1.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 L’attivazione macrofagica comporta un notevole dispendio di energia nonché potrebbe essere tossica per le cellule e i tessuti circostanti non infettati. Deve quindi esistere un meccanismo fine di controllo dell’attivazione dei macrofagi da parte delle cellule TH1. Un meccanismo è rappresentato dalla regolazione dell’emivita del mRNA che codifica per l’IFN-g. Gli mRNA per le citochine presentano una sequenza nella regione 3’ non tradotta che induce la degradazione del mRNA. La rapida degradazione del mRNA per l’IFN-g, insieme al trasporto di IFN-g nel punti di contatto tra le cellule TH1 ed i macrofagi limita l’azione delle clelule effettrici sulle cellule bersaglio.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 L’attivazione dei macrofagi è inibita fortemente da citochine come TGF-b, IL-4, IL-10 e IL-13. Dato che molte di queste citochine sono prodotte da cellule TH2, l’induzione di cellule T CD4 appartenenti al sottogruppo TH2 rappresenta un mezzo per controllare le funzioni dei macrofagi attivati.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 Sebbene IFN-g ed il ligando di CD40 siano le molecole effettrici più importanti prodotte dalle cellule TH1 e costituiscano il momento centrale nella risposta a patogeni che proliferano nei macrofagi, altre citochine prodotte dalle cellule TH1 hanno un ruolo importante nel coordinare queste risposte. Ad esempio, nel caso in cui i macrofagi siano cronicamente infettati da battteri intracellulari potrebbero perdere la capacità di essere attivati, costituendo un serbatoio di patogeni. Le cellule TH1 attivate possono esprimere il ligando del Fas e perciò uccidere un gruppo ristretto di cellule bersaglio che esprimono Fas, compresi i macrofagi.

ATTIVAZIONE DEI MACROFAGI DA PARTE DELLE TH1 Quando i microrganismi resistono all’azione battericida dei macrofagi attivati, possono svilupparsi infezioni croniche con infiammazione. Spesso si formano granulomi, costituito da una parte centrale di macrofagi circondati da linfociti. L formazione di cellule giganti a partire dai macrofagi serve a “murare” i patogeni che resistano alla distruzione. Sembra che le cellule TH2 partecipino, insieme alle cellule TH1, alla formazione dei granulomi, probabilmente regolando la loro attività.

RISPOSTA IMMUNITARIA UMORALE

Molti microrganismi si riproducono negli spazi extracellulari e la maggior parte dei microrganismi intracellulari diffondono da una cellula all’altra attraverso i fluidi extracellulari. La funzione principale della risposta immunitaria umorale è quella di distruggere i microrganismi extracellulari e di prevenire la diffusione di quelli intracellulari. L’attivazione delle cellule B e la loro differenziazione in plasma- cellule è indotta dall’antigene e solitamente richiede l’intervento delle cellule T adiuvanti. Poiché principalmente sono le cellule TH2 ad aiutare l’attivazione delle cellule B, ma talvolta anche un sottotipo TH1 può avere lo stesso ruolo, il termine di cellula T adiuvante verrà usato in generale per qualsiasi cellula T CD4. Le cellule T adiuvanti controllano anche lo scambio di isotipo e contribuiscono all’innesco dell’ipermutazione somatica dei geni della regione variabile dell’anticorpo.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE Le Ig di membrana che svolgono il compito di recettore per l’antigene inducono l’attivazione delle cellule B in due modi. Primo, al pari del recettore per l’antigene della cellula T, le Ig di superficie trasmettono direttamente un segnale alla cellula dopo il legame all’antigene. Secondo, trasportano l’antigene all’interno della cellula, il quale viene infine presentato sulla superficie legato alle molecole MHC di classe II -> attivazione delle specifiche cellule T adiuvanti armate -> rilascio di citochine che inducono la proliferazione e la differenziazione delle cellule B.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE Alcuni antigeni microbici possono attivare direttamente le cellule B in assenza di cellule T adiuvanti e questo garantisce una risposta più veloce ai microrganismi. Gli anticorpi prodotti in questa maniera sono meno variabili e funzionalmente versatili di quelli indotti con l’aiuto delle cellule T. I fenomeni che determinano lo scambio di classe e l’ipermutazione somatica e la conseguente maturazione per affinità sono invece sempre dipendenti dall’interazione tra cellule B, cellule T adiuvanti, e altre cellule presenti negli organi linfatici secondari.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE La regola generale dell’immunità acquisita è che i linfociti antigene specifici naive non possono essere attivati dal solo antigene. Le cellule B naive richiedono dei segnali accessori forniti o dalle cellule T effettrici armate o in alcuni casi direttamente dagli antigeni batterici. Le risposte anticorpali contro antigeni proteici richiedono l’aiuto dei linfociti T. Questi antigeni sono chiamati antigeni timo-dipendenti (TD). In assenza del segnale attivante fornito dalle cellule T adiuvanti i linfociti B che legano antigeni TD diventano anergici.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE Molti costituenti batterici, quali i polisaccaridi della capsula, possono attivare le cellule B anche senza intervento delle cellule T adiuvanti. Questi antigeni sono chiamati timo-indipendenti (TI). Il secondo segnale per attivare la produzione di anticorpi contro antigeni TI è predisposto dal riconoscimento di un costituente microbico comune o da una cellula accessoria di derivazione non timica in unione con un massiccio legame multiplo crociato dei recettori delle cellule B, che intervengono quando una cellula B lega epitopi ripetuti sulla cellula batterica.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE La cellula B e la cellula T che la deve attivare devono riconoscere lo stesso antigene -> riconoscimento congiunto Per attivare una cellula B, una cellula T adiuvante specifica deve essere attivata e maturare in una cellula T adiuvante armata in seguito all’interazione con una cellula APC che abbia processato lo stesso antigene. Sebbene i linfociti B ed i T riconoscano epitopi diversi nell’antigene, deve essere necessario che i due epitopi facciano fisicamente parte dello stesso antigene.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE Una cellula B può captare particelle grandi come virus le cui proteine capsidiche sono riconosciute dagli anticorpi di membrana. Dopo che è avvenuta l’internalizzazione, il virus è degradato e presentato tramite le molecole MHC di classe II. Le cellule T adiuvanti che sono state pre-attivate dai macrofagi o dalle cellule dendritiche che hanno presentato gli stessi peptidi interni delle proteine antigeniche possono attivare le cellule B che producono proteine contro le proteine del capside virale.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE Due conseguenze del riconoscimento congiunto: Vaccino contro un batterio capsulato: Hemophilus influenzae Reazioni allergiche agli antibiotici: penicilline

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE Il riconoscimento dei complessi peptide:MHC di classe II sulle cellule B stimola la cellula T CD4 che sintetizzerà molecole di superficie e molecole secrete, entrambe con effetto sinergico nell’attivazione delle cellule B. Una molecola di superficie delle cellule T e fondamentale nell’attivazione delle cellule B è il ligando del CD40 che lega CD40 sulla superficie delle cellule B. Il legame CD40L-CD40 fa entrare la cellula B in ciclo cellulare ed è essenziale per la risposta dei linfociti B agli antigeni timo-dipendenti.

ATTIVAZIONE DEI LINFOCITI B DA PARTE DELLE CELLULE T ADIUVANTI ARMATE Una molecola secreta importante per l’attivazione delle cellule B da parte delle cellule T adiuvanti è IL-4. CD40L e IL-4 hanno un’azione sinergica nell’induzione dell’espansione clonale delle cellule B che precede la maturazione in plasmacellule. L’IL-4 è secreta in modo focalizzato dalle cellule TH2 ed è rilasciata nel sito di contatto con la cellula B. Due altre citochine, IL-5 e IL-6, entrambe secrete dai linfociti T adiuvanti, inducono infine la maturazione delle cellule B.

LO SCAMBIO DI CLASSE RICHIEDE L’ESPRESSIONE DI CD40L SULLE CELLULE T Tutti i linfociti B naive esprimono IgM e IgD di superficie, ma le IgM rappresentano meno del 10% delle IgM plasmatiche. Nel plasma le più abbondanti sono le IgG, quindi la maggior parte degli anticorpi deriva da cellule B che hanno subito lo switch isotipico. Comunque, durante le fasi precoci della risposta immunitaria predominano le IgM. Nel seguito della risposta gli isotipi prevalenti saranno le IgG e le IgA, mentre le IgE saranno presenti in minima quantità. Questi cambiamenti isotipici non avvengono negli individui che non hanno il ligando del CD40, e pertanto si formano solo IgM che sono presenti ad elevati livelli e sono indotti da antigeni timo-indipendenti -> immunodeficienza da iper IgM.

LO SCAMBIO DI CLASSE RICHIEDE L’ESPRESSIONE DI CD40L SULLE CELLULE T Le citochine prodotte dai linfociti T possono influenzare lo scambio isotipico. La maggior parte di queste citochine (IL-4, IL-5 e TGF-b) sono prodotte da cellule TH2. IL-4 induce preferenzialmente lo scambio da IgG a IgE. Il TGF-b induce lo scambio di IgG2 a IgA. IL-5 favorisce la sintesi delle IgA secretorie dimeriche, in cellule che già hanno fatto questo scambio. Anche le cellule TH1 possono avere un ruolo, in quanto secernono IFN-g che induce uno scambio preferenziale da IgG2 a IgG3.

LO SCAMBIO DI CLASSE RICHIEDE L’ESPRESSIONE DI CD40L SULLE CELLULE T Le citochine inducono lo scambio di classe provocando lo scambio dei siti di ricombinazione posti all’estremità 5’ di ciascun gene C delle catene pesanti. Ad esempio, quando le cellule B sono esposte alla LPS, che è capace di attivare le cellule B indipendentemente dall’antigene, vengono indotte a secernere IgM. In seguito, quando vengono esposte ad IL-4 si può osservare la trascrizione a monte delle regioni di scambio Cg1 e Ce uno o due giorni prima che avvenga lo scambio.

LO SCAMBIO DI CLASSE RICHIEDE L’ESPRESSIONE DI CD40L SULLE CELLULE T Cosa determina quale dei due geni attivati per la trascrizione subirà lo scambio? Ciascuna delle citochine coinvolte nello scambio sembra poter indurre un cambiamento nella conformazione della cromatina nella regione di scambio di due geni CH diversi e promuovere la ricombinazione di uno di questi geni. In effetti non si sa che cosa determinerà quale dei due geni verrà espresso. Quindi le cellule T adiuvanti regolano sia la produzione degli anticorpi che l’espressione dell’isotipo che ne condizionerà la funzione effettrice.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B Come fa una cellula B antigene specifica ad incontrare una cellula T adiuvante con l’appropriata specificità antigenica? La frequenza di linfociti naive specifici per qualsiasi antigene è bassa: è stimata tra 1:10.000 e 1:100.000. Pertanto, la possibilità di un incontro tra un linfocita B e un linfocita T che riconoscano lo stesso antigene dovrebbe essere tra 1: 108 e 1:1012. Inoltre, le cellule T e le cellule B occupano prevalentemente zone distinte nei tessuti linfoidi periferici. La risposta si trova nell’intrappolamento antigene specifico dei linfociti migranti.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B L’intrappolamento dei linfociti T nelle zone corticali di un linfonodo avviene grazie all’incontro con l’antigene presentato da cellule dendritiche. Le cellule B con recettori antigene specifici sono anch’esse intrappolate nelle zone a cellule T con un meccanismo simile. La maggior parte delle cellule B si sposta velocemente dalla zona a cellule T a quella delle cellule B (follicolo primario). Nell’incontro con l’antigene, le cellule B migranti sono fermate dalla attivazione di molecole di adesione e dal coinvolgimento di recettori per chemochine come CCR7, un recettore per MIP-3b e SLC. L’interazione con le cellule T adiuvanti attiva le cellule B ad iniziare un centro primario di espansione clonale, al confine tra la zone a cellule T e quella a cellule B.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B Dopo diversi giorni, il centro primario va incontro ad involuzione per apoptosi. Alcuni dei linfociti B proliferanti si differenziano in plasmacellule sintetizzanti anticorpi e migrano nella polpa rossa splenica o nei cordoni midollari del linfonodo. Le plasmacellule presentano delle notevoli caratteristiche morfologiche dovute all’impegno nel produrre Ig (10-20% delle proteine totali). Le molecole MHC di classe II non sono più espresse, così che le plasma- cellule non possono più presentare l’antigene alle cellule T, benché queste possano ancora dare importanti segnali di differenziazione e sopravvivenza alle plasmacellule, come IL-6 e CD40L.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B Le plasmacellule presentano ancora Ig di superficie, sebbene a livelli molto bassi, e la loro sopravvivenza potrebbe in parte dipendere dalla loro abilità nel continuare a legare l’antigene. In effetti, alcune plasmacellule sopravvivono alcuni giorni sino a poche settimane dopo la loro differenziazione finale, mentre altre vivono molto a lungo e sono responsabili della persistenza della risposta anticorpale.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B Un altro destino per alcune cellule B e T che proliferano nel centro primario è quello di migrare in un follicolo linfoide primario dove continuano a proliferare e formano da ultimo un centro germinativo. I centri germinativi sono formati principalmente da cellule B proliferanti, e le cellule T compongono circa il 10% dei linfociti e forniscono il necessario aiuto alle cellule B. I centri germinativi sono delle isole nell’ambito dei follicoli primari composti da cellule B a risposo addensate intorno alle cellule follicolari dendritiche (CDF), le quali attirano sia le cellule B naive che quelle attivate attraverso la secrezione della chemochina BLC.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B I primi eventi nel centro primario conducono alla pronta secrezione di specifici anticorpi che servono come immediata protezione agli individui. La reazione del centro germinativo predispone per una più energica risposta tardiva, altrimenti l’agente patogeno instaurerebbe una infezione cronica o l’ospite diventerebbe reinfetto. A tal fine le cellule B vanno incontro a numerose trasformazioni nel centro germinativo: mutazioni ipersomatiche con la conseguente maturazione per affinità, che determina la sopravvivenza di cellule B con alta affinità per l’antigene, e lo scambio isotipico, che permette a queste cellule B di esprimere una varietà di funzioni effettrici. Le cellule B selezionate inoltre si differenzieranno in cellule B di memoria o in plasmacellule, le quali secerneranno anticorpi ad alta affinità e diverso isotipo nella fase finale della risposta immunitaria primaria.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B Il centro germinativo è un centro di intensa proliferazione cellulare, dove le cellule B si dividono ogni 6-8 ore. Inizialmente sulla superficie delle cellule in proliferazione si riduce l’espressione delle Ig, in particolare le IgD e si formano i centrolasti. Le cellule poi si dividono di meno e ri-esprimono alti livelli di Ig sulla superficie: centrociti. I centroblasti inizialmente proliferano nel centro scuro del centro germinativo, così chiamato perché le cellule sono addensate. In seguito, le cellule iniziano a riempire la zona chiara, un’area del follicolo riccamente provvista di CFD e meno addensata di cellule.

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B La ipermutazione somatica è ristretta alle cellule B che stanno proliferando nei centri germinativi. Le mutazioni puntiformi si accumulano in maniera graduale come i cloni di cellule B si espandono nel centro germinativo. In linea generale, una cellula B non acquisisce più di una o due mutazioni in ogni generazione. Le mutazioni possono interferire con la capacità delle cellule B di legare l’antigene e questo determinerà il destino della cellula B nel centro germinativo. Alcune mutazioni (la >> parte) saranno sia negative che neutre -> recettore modificato o a bassa affinità -> apoptosi delle cellule B Mutazioni che detrminano alta affinità del BCR -> sopravvivenza delle cellule B

ATTIVAZIONE DELLE CELLULE B Le mutazioni deleterie sono un evento frequente, dal momento che i centri germinativi sono ricchi di cellule B apoptotiche che sono velocemente fagocitate dai macrofagi, risultando come macrofagi dai corpi sfumati. Le cellule che invece sono portatrici delle mutazioni che aumentano l’affinità del recettore sono selezionate e indotte a espandersi. Quindi vi sono ripetuti processi di espressione e selezione che, man mano, raffinano l’affinità del recettore.

DIFFERENZIAZIONE IN PLASMACELLULE E CELLULE MEMORIA Lo scopo della reazione del centro germinativo serve per aumentare l’ultima parte della risposta immunitaria tardiva, formando plasma- cellule e cellule memoria. Le pasmacellule migreranno nel midollo osseo, dove sopravviveranno per un lungo periodo di tempo grazie ai segnali mandati dalle cellule stromali. Queste plasmacellule costituiscono una fonte di anticorpi ad alta affinità Le cellule memoria sono discendenti di lunga vita di cellule che sono state stimolate a proliferare nel centro germinativo. Queste cellule, però, si dividono molto lentamente o per nulla; esprimono Ig di superficie, ma non secernono anticorpi ad alto tasso.

DIFFERENZIAZIONE IN PLASMACELLULE E CELLULE MEMORIA Le cellule B memoria ereditano i cambiamenti genetici che sono avvenuti nei centri germinativi, comprese le mutazioni somatiche e lo scambio isotipico Quali sono i segnali che stimola le cellule B a diventare cellule di memoria? Una possibilità è che i segnali derivino dalle CFD. Un’altra possibilità è che l’affinità per l’antigene controlli la loro differenziazione: le cellule ad alta affinità sono preferenzialmente stimolate a diventare cellule di memoria, mentre quelle a bassa affinità vengono indirizzate verso diversi cicli di proliferazione, mutazione e selezione.

ANTIGENI TIMO INDIPENDENTI Sebbene le risposte anticorpali contro antigeni proteici dipendano dalle cellule T adiuvanti, gli individui con deficienze di cellule T possono formare anticorpi contro molti batteri. Queste risposte sono tipicamente stimolate da polimeri proteici o polisaccaridi: antigeni timo-indipendenti (TI). Antigeni TI-1 possiedono la capacità intrinseca di indurre la prolifera- zione dei linfociti B. A concentrazioni elevate, questi antigeni inducono la proliferazione e la maturazione delle cellule B senza restrizione per la specificità antigenica di queste cellule -> attivazione policlonale. Uno di questi antigeni è la LPS che si lega alle proteine leganti la LPS e a CD14 e poi associa al recettore TLR-4.

ANTIGENI TIMO INDIPENDENTI A basse concentrazioni, solo le cellule B i cui recettori legano gli antigeni TI-1 vengono attivate -> risposta anticorpale specifica. In vivo sarà più probabile che tali antigeni si trovino a basse concentrazioni e quindi si svilupperà una risposta specifica. Il tempo di latenza di questa risposta sarà più breve poiché non vi è la necessità di indurre l’attivazione e l’espansione clonale dei linfociti T adiuvanti. Gli antigeni TI-1 non inducono scambio di classe, maturazione per affinità o induzione di cellule B memoria, che richiedono l’intervento dei linfociti T.

ANTIGENI TIMO INDIPENDENTI La seconda categoria di antigeni timo-indipendenti è composta da molecole quali i polisaccaridi della capsula batterica che possiedono strutture ripetute: antigeni TI-2, che non possiedono la capacità di stimolare direttamente le cellule B. Mentre i TI-1 sono capaci di attivare i linfociti B maturi ed immaturi, i TI-2 possono attivare solo i linfociti B maturi. (I linfociti B immaturi sono inattivati da antigeni ripetuti -> anergia del neonato verso antigeni polisaccaridici).

ANTIGENI TIMO INDIPENDENTI La risposta verso antigeni TI-2 è tipica delle cellule B1 (o cellule B CD5) che comprende una sottopopolazione di cellule B: compare per prima nell’ontogenesi si replica autonomamente in cavità pleurica e peritoneale richiede IL-10 per replicarsi e il fosfolipide fosfatidilcolina (si trova sulla superficie dei batteri che colonizzano l’intestino) presenta restrizione della variabilità anticorpale forse coinvolta nella risposta precoce, non adattativa, verso antigeni batterici comuni produce IgM che normalmente circolano nel sangue: anticorpi naturali che legano a bassa affinità sia antigeni batterici che quelli autologhi.

ANTIGENI TIMO INDIPENDENTI Gli antigeni TI-2 molto probabilmente agiscono tramite il legame contemporaneo di molte Ig di membrana del linfocita B maturo. Tuttavia, il legame contemporaneo di un numero troppo elevato di Ig di membrana rende le cellule B non responsive o anergiche -> la densità degli epitopi è cruciale per la risposta: una densità troppo bassa non è sufficiente per il legame contemporaneo di molte Ig di membrana -> non risposta una densità troppo alta -> anergia cellulare. Sembra che le cellule T possano comunque contribuire alle risposte anticorpali dirette contro antigeni TI-2 attraverso il riconoscimento di antigeni TI-2 tramite una molecola di superficie condivisa da tutti i linfociti.

ANTIGENI TIMO INDIPENDENTI Le risposte delle cellule B agli antigeni TI-2 costituiscono una risposta precoce e protettiva diretta contro una categoria importante di microrganismi infettanti. La >> parte dei microrganismi extracellulari possiedono polisaccaridi della parete che li rende resistenti alla fagocitosi, mancata presentazione da parte dei macrofagi e assenza di induzione di risposte mediate da cellule T. Gli anticorpi diretti contro i polisaccaridi potrebbero ricoprire questi batteri capsulati e stimolarne l’ingestione e la successiva distruzione. (I più comuni batteri caspulati sono i batteri piogeni)

ANTIGENI TIMO INDIPENDENTI Sia anticorpi IgM che IgG sono indotti dagli antigeni TI-2. Sembra che siano una componente essenziale nella risposta al polisaccaride della capsula di Hemophilus influenzae tipo B. I pazienti portatori di una immunodeficienza, la sindrome di Wiskott- Aldrich, presentano una risposta normale contro gli antigeni proteici ma non verso i polisaccaridi. Questi soggetti si ammalano di gravi infezioni causate da batteri extra- cellulari capsulati.

DISTRIBUZIONE E CARATTERISTICHE FUNZIONALI DELLE IMMUNOGLOBULINE Poiché i microrganismi extracellulari possono raggiungere qualunque localizzazione dell’organismo, di conseguenza anche gli anticorpi devono avere una distribuzione altrettanto ampia. La >> parte degli anticorpi diffondono per diffusione dal sito di produzione. Esistono anche dei meccanismi di trasporto per il trasferimento delle Ig sulle superfici epiteliali interne, quali quelle del polmone e dell’inte- stino. La localizzazione degli anticorpi è condizionata dal loro isotipo che può limitarne o promuoverne la diffusione o la capacità di legarsi a specifici trasportatori.

DISTRIBUZIONE E CARATTERISTICHE FUNZIONALI DELLE IMMUNOGLOBULINE I microrganismi il più delle volte penetrano nell’organismo attraverso le barriere epiteliali della mucosa respiratoria, urogenitale, del tratto intestinale o della cute danneggiata. Più raramente sono introdotti direttamente nel sangue tramite punture d’insetti, ferite o iniezioni. Tutti questi compartimenti sono difesi da anticorpi che si distribuiscono in base alla loro classe isotipica. Poiché una data regione variabile può essere associata con qualunque regione costante, la progenie di una singola cellula B può produrre anticorpi della stessa specificità antigenica in diversi compartimenti dell’organismo.

DISTRIBUZIONE E CARATTERISTICHE FUNZIONALI DELLE IMMUNOGLOBULINE I primi anticorpi prodotti durante la risposta immunitaria umorale sono sempre le IgM, perché sono espresse senza diversificazione isotipica. Queste IgM sono prodotte prima che le cellule B vadano incontro a ipermutazione somatica e quindi sono di bassa affinità. Le IgM formano tuttavia dei pentameri e sopperiscono alla bassa affinità con alta avidità per l’antigene. I pentameri IgM, date le dimensioni, non lasciano il sangue e sono particolarmente potenti nell’attivare il complemento. La rapida produzione di IgM e l’attivazione del complemento costituiscono un efficace meccanismo di controllo delle infezioni ematiche.

DISTRIBUZIONE E CARATTERISTICHE FUNZIONALI DELLE IMMUNOGLOBULINE Gli altri isotipi -IgG, IgA e IgE- sono di più piccole dimensioni e possono diffondere dal sangue ai tessuti. Le IgA formano dei dimeri, mentre le IgG e le IgE sono sempre monomeriche -> la maturazione per affinità è molto importante per l’efficacia protettiva di questi anticorpi. Le IgG costituiscono l’isotipo principale presente nei fluidi extra- cellulari dove sono presenti complemento e cellule accessorie -> sono fortemente opsonizzanti e attivano il complemento Le IgA si trovano soprattutto sulle superfici epiteliali su cui fagociti e complemento sono assenti -> sono neutralizzanti e blandamente opsonizzanti e deboli attivatori del complemento

DISTRIBUZIONE E CARATTERISTICHE FUNZIONALI DELLE IMMUNOGLOBULINE Le IgE sono presenti in bassissime concentrazioni nel sangue e nei fluidi extracellulari, ma sono legate con grande avidità dalle cellule granulose basofile presenti nel sottocutaneo, sottomucose e nel connettivo perivascolare. Il legame dell’antigene alle IgE attiva le cellule basofile a rilasciare potenti mediatori chimici che causano la tosse, gli starnuti e il vomito, che possono contribuire ad espellere l’agente infettante.

TRASPORTO DELLE IMMUNOGLOBULINE ATTRAVERSO LE BARRIERE EPITELIALI Le plasmacellule secernenti IgA si trovano prevalentemente nel tessuto connettivo denominato lamina propria situato immediatamente sotto la membrana basale di molti epiteli. Le IgA sintetizzate nella lamina propria vengono secrete come dimero a cui è associata una catena J singola. Il dimero IgA lega un recettore presente sulla superficie basolaterale dell’epitelio, chiamato recettore poli-Ig. Il complesso viene trasportato sulla superficie apicale mediante vescicole, chiamato transcitosi. Sulla superficie apicale, il recettore è staccato rimanendone solo una porzione legata alla regione Fc, denominata componente secretorio, che protegge la IgA dimerica dalla digestione enzimatica.

TRASPORTO DELLE IMMUNOGLOBULINE ATTRAVERSO LE BARRIERE EPITELIALI I siti principali di sintesi e secrezione delle IgA sono: intestino epitelio respiratorio ghiandola mammaria durante l’allattamento ghiandole salivari e lacrimali Si pensa che la funzione principale delle IgA sia la protezione delle superfici epiteliali dagli agenti infettivi. Le IgA prevengono l’attacco dei batteri o delle tossine alle superfici epiteliali. -> particolarmente importanti le IgA materne trasferite al neonato mediante l’allattamento.

TRASPORTO DELLE IMMUNOGLOBULINE ATTRAVERSO LE BARRIERE EPITELIALI Le IgG materne sono trasferite attraverso la placenta nel circolo ematico del feto durante la vita intrauterina. Nella placenta è presente una proteina specifica, FcRn, strettamente correlata alle molecole MHC di classe I. Nonostante questa somiglianza, FcRn lega la prozione Fc delle IgG, in quanto la tasca per il peptide è occlusa. Nei roditori, FcRn regola anche il trasporto di IgG materne ingerite con il latte o con il colostro, dal lume dell’intestino del neonato nel sangue e nei tessuti.

TRASPORTO DELLE IMMUNOGLOBULINE ATTRAVERSO LE BARRIERE EPITELIALI Tramite questi recettori di trasporto specializzati vengono forniti fin dalla nascita anticorpi protettivi contro microrganismi patogeni che si trovano comunemente nell’ambiente. Durante lo sviluppo l’organismo sintetizza i propri anticorpi di isotipo diverso che si distribuiscono in modo selettivo nei vari compartimenti dell’organismo.

NEUTRALIZZAZIONE DELLE TOSSINE DA PARTE DI IgG E IgA AD ALTA AFFINITA’ Molti batteri possono indurre effetti patologici tramite la secrezione di tossine che danneggiano la funzione delle cellule somatiche (t. tetanica, t. difterica, ecc.) Per indurre questi effetti le tossine interagiscono con una loro subunità con un recettore cellulare, vengono endocitate così che un’altra subunità induce l’effetto tossico. Gli anticorpi legano la subunità che interagisce con il recettore della cellula e quindi proteggono quest’ultima -> anticropi neutralizzanti. Sono soprattutto IgG che diffondono nei tessuti e legano rapidamente e con alta affinità le tossine. le IgA possono neutralizzare le tossine sulle superfici mucose.

NEUTRALIZZAZIONE DI VIRUS DA PARTE DI IgG E IgA AD ALTA AFFINITA’ Le IgG e le IgA ad alta affinità sono importanti per la neutralizzazione dei virus. L’ingresso di molti virus dipende dall’interazione di proteine del capside (o involucro) con proteine di superficie specifiche per ciascun tipo cellulare, e conseguente endocitosi. Ad es. il virus dell’influenza possiede l’emoagglutinina, che lega i residui di acido sialico terminali presenti sulle catene oligosaccaridiche laterali di glicoproteine espresse dalle cellule epiteliali dell’apparato respiratorio. (E’ denominata così perché causa agglutinazione di globuli rossi del pollo). Gli anticorpi neutralizzanti il virus agiscono grazie alla loro capacità di inibire il legame del virus ai recettori di superficie.

BLOCCO DELL’ADERENZA BATTERICA Molti batteri possiedono specifiche molecole di superficie, denominate adesine, che ne permettono l’adesione alla superficie delle cellule dell’organismo e possono quindi contribuire alla loro patogenicità. Alcuni batteri, una volta adesi, possono entrare nella cellula, come Samonella, o rimangono extracellulari, come nel caso di Neisseria gonorrheae. Quest’ultimo possiede la pilina che permette l’adesione alla superficie dell’epitelio della mucosa urogenitale ed è essenziale per l’infettività. le IgA secrete sulle superfici mucose possono svolgere un ruolo protettivo nei confronti di questi microrganismi.

ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO I complessi antigene:anticorpo possono attivare la via classica del complemento attraverso il legame con C1q. L’attivazione del complemento è innescata quando gli anticorpi legati alla membrana del patogeno legano C1q. C1q può essere legato sia da IgM o da IgG ma, a causa dei requisiti strutturali del legame con C1q, nessuno di questi isotipi può attivare C1q in soluzione; questo avviene solo quando gli anticorpi sono legati a siti multipli della superficie del patogeno. C1q viene attivato quando una o più unità globulari legano il dominio Fc delle Ig.

ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO Nel plasma le IgM pentameriche hanno una conformazione planare che non può legare C1q. Il legame alla superficie del patogeno deforma il pentamero così che assomiglia a una gruccia o a una stampella e questa deformazione espone i siti di legame con le unità di C1q.

ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO Sebbene C1q leghi con bassa affinità alcune sottoclassi di IgG in soluzione, l’energia di legame richiesta per l’attivazione di C1q è raggiunta solo quando una singola molecola di C1q può legare due o più molecole di IgG poste entro 30-40 nm tra di loro. Questo richiede che molte molecole di IgG siano legate a un singolo agente patogeno per attivare il complemento e implica che le IgM siano più efficienti delle IgG nell’attivare il complemento.

ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO E RIMOZIONE DEGLI IMMUNOCOMPLESSI Molti piccoli antigeni solubili formano con gli anticorpi i cosiddetti immunocomplessi, che contengono troppo poche molecole di IgG per poter essere legate dai recettori Fcg. Questi antigeni includono tossine legate da anticorpi neutralizzanti e detriti di microrganismi morti. Gli immunocomplessi solubili inducono la propria rimozione attivando il complemento, ancora attarverso il lgame di C1q, che porta al legame covalente di componenti attivate come C4b e C3b al complesso. Il recettore CR1 sulla superficie eritrocitaria lega C4b e C3b e trasporta gli immunocomplessi e complemento nel fegato e nella milza.

ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO E RIMOZIONE DEGLI IMMUNOCOMPLESSI I macrofagi di questi organi rimuovono i complessi dalla superficie dei globuli rossi senza distruggere le cellule e poi li degradano. I macrofagi legano sia Fc delle Ig sia mediante l’FcR che i fattori del complemento mediante CR1. Anche aggregati più grandi di antigeni particolati e anticorpi possono essere resi solubili attraverso l’attivazione della via classica del complemento e venire rimossi attraverso il legame con i recettori del complemento.

ATTIVAZIONE DEL COMPLEMENTO E RIMOZIONE DEGLI IMMUNOCOMPLESSI Gli immunocomplessi che non sono rimossi tendono a depositare nelle membrane basali dei piccoli vasi sanguigni, in particolare in quelli dei glomeruli renali. Gli immunocomplessi che passano la membrana basale del glomerulo legano il recettore del complemento CR1 sui podociti renali, che giacciono sotto la membrana basale. Possono svolgere un ruolo in alcune malattie autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico. Eccessivi livelli di i.c. circolanti causano un enorme deposito di antigeni, anticorpi e complemento sui podociti -> danno glomerulare. Pazienti con deficienze nei componenti del complemento non riescono a rimuovere i.c. -> danni tessutali, specialmente renali

DISTRUZIONE DEI PATOGENI La capacità degli anticorpi ad alta affinità di neutralizzare tossine, virus e batteri non può da sola anche rimuovere i microrganismi o i loro prodotti dall’organismo. Inoltre, molti microrganismi non vengono neutralizzati dagli anti- corpi e quindi devono venire distrutti da altri meccanismi. Un importante meccanismo di difesa è rappresentato dall’attivazione di cellule accessorie effettrici che espongono il recettore per l’Fc, specifico per la porzione Fc degli anticorpi di un determinato isotipo. Questo meccanismo rende massima l’efficacia di tutti gli anticorpi senza riguardo al loro legame con l’antigene.

DISTRUZIONE DEI PATOGENI Le cellule accessorie effettrici sono: fagociti professionali (macrofagi e neutrofili) cellule NK eosinofili cellule granulose basofile (stimolate a secernere mediatori preformati) Tutte queste cellule accessorie sono attivate quando i recettori Fc sono aggregati dal legame con la prozione Fc della molecola anticorpale legata all’antigene. Possono essere anche attivate da mediatori solubili che comprendono prodotti della cascata del complemento, che può essere attivato dagli anticorpi.

RECETTORI Fc Ciascun membro della famiglia dei recettori Fc riconosce le Ig di un isotipo o di pochi ristretti isotipi attraverso l’interazione di un dominio della catena a del recettore. I recettori Fc sono membri della superfamiglia delle immunoglobuline. Le diverse cellule accessorie espongono recettori Fc per gli anticorpi dei diversi isotipi -> l’isotipo determinerà quale cellule accessoria sarà attivata in una determinata risposta immunitaria.

RECETTORI Fc I recettori Fc, come i recettori delle cellule T, sono proteine composte da molte subunità, di cui solo la catena a è necessaria per il riconoscimento specifico. Le altre catene sono necessarie per il trasporto alla superficie della cellula e per la trasmissione del segnale. La >> parte dei segnali trasmessi sono mediati da una catena g che è strutturalmente simile alla catena z del recettore della cellula T. FcgRII-B1 e FcgRII-B2 sono recettori a singola catena ma che funzionano da recettori inibitori dal momento che contengono una sequenza ITIM che innesca una fosfatasi SHIP.

RECETTORI Fc La funzione più importante dei recettori Fc è l’attivazione delle cellule accessorie contro i microrganismi. Altre funzioni: il recettore FcgRII-B regola negativamente le cellule granulose basofile, macrofagi e neutrofili modulando la soglia alla quale gli immunocomplessi possono attivare queste cellule i recettori Fc espressi dalle cellule dendritiche le rendono capaci di fagocitare il complesso antigene-anticorpo e presentare i peptidi antigenici alle cellule T

RECETTORI Fc E FAGOCITOSI I fagociti sono attivati soprattutto da anticorpi IgG, specialmente le IgG1 e le IgG2. I fagociti vengono attivati non da anticorpi liberi ma da quelle che hanno interagito con l’antigene. Questa attivazione è dovuta all’aggregazione o multimerizzazione degli anticorpi quando questi ultimi legano antigeni multimerici o particelle multivalenti, quali virus o batteri. I recettori Fc legano anticorpi singoli con bassa affinità, mentre legano con alta avidità i complessi antigene:anticorpo.

RECETTORI Fc E FAGOCITOSI Molti batteri sono riconosciuti direttamente, ingeriti e distrutti dai fagociti professionali. I batteri con polisaccaridi capsulati in genere sono resistenti alla fagocitosi diretta. Questi batteri diventano suscettibili solo quando sono rivestiti dagli anticorpi e dal complemento che legano Fcg o Fca e CR1, rispettivamente. Il legame stimola sia l’internalizzazione che la distruzione del microrganismo.

RECETTORI Fc E FAGOCITOSI La fagocitosi mediata dal legame ai recettori del complemento è molto importante nella risposta immune iniziale, prima che sia avvenuta la differenziazione isotipica. I polisaccaridi capsulari appartengono alla classe TI-2 e possono stimolare la produzione di IgM. Le IgM non sono di per sé anticorpi opsonizzanti dal momento che non ci sono recettori Fc per le IgM, ma sono molto utili nell’attivare il sistema del complemento. Le IgM legano i batteri con capsula stimolano velocemente la loro ingestione e distruzione da parte dei fagociti che hanno recettori per il complemento.

RECETTORI Fc E FAGOCITOSI I recettori Fc ed i recettori del complemento sinergizzano nell’indurre la fagocitosi. Il legame dei recettori Fc e del complemento segnala ai fagociti di incrementare il grado di fagocitosi, di fondere i fagosomi con i lisosomi, ed incrementare l’attività battericida.

RECETTORI Fc ED ESOCITOSI I microrganismi troppo grandi per essere fagocitati, come ad esempio i vermi parassiti, sono distrutti mediante un altro meccansimo. In questi casi il fagocita si attacca alla superficie del parassita tramite i recettori Fcg, Fca o Fce e i lisosomi si fondono con la membrana cellulare -> il contenuto dei lisosomi viene riversato all’esterno sulla superficie del parassita provocandone la morte: esocitosi Le cellule accessorie più importanti per la distruzione dei batteri sono i macrofagi e i neutrofili, mentre i grandi parassiti sono solitamente attaccati dagli eosinofili.

RECETTORI Fc ED CELLULE NK Le cellule infettate sono normalmente distrutte da cellule T attivate da peptidi estranei o da cellule B mediante la produzione di anticorpi diretti contro epitopi esposti sulla membrana. Le cellule ricoperte dagli anticorpi possono essere uccise da cellule NK. La distruzione della cellula bersaglio ricoperta da anticorpi da parte delle cellule NK è denominata citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente (ADCC) ed è attivata quando l’anticorpo legato alla cellula bersaglio interagisce con i recettori Fc della NK.

RECETTORI Fc ED CELLULE NK Le cellule NK esprimono il recettore FCgRIII, che lega le IgG1 e IgG3 ed attiva l’attacco della cellula NK conro il bersaglio con meccanismi analoghi a quelli di una cellula T citotossica. -> rilascio di granuli citoplasmatici contenenti perforina e granzimi. Il ruolo dellìADCC nella difesa contro le infezioni virali o batteriche non è stato completamente chiarito.

RECETTORI Fce Una delle prime cellule specializzate ad intervenire nella difesa dell’organismo contro le infezioni che si possono instaurare attraverso le barriere epiteliali sono le cellule granulose basofile. Esse rilasciano i loro granuli e secernono mediatori lipidici della infiammazione e citochine quando sono attivate dal legame di anticorpi con il recettore specifico per le IgE (FceRI) o per le IgG (FcgRIII). Mentre la >> parte dei recettori Fc sono attivati dagli anticorpi solo quando questi sono legati all’antigene, il recettore FceRI lega le IgE monomeriche con un’elevata affinità -> anche in presenza di bassi livelli di IgE tipici del plasma degli individui normali, una notevole quantità di IgE è legata al FceRI sulle cellule granulose basofile e sui precursori circolanti di queste, i basofili.

RECETTORI Fce Gli eosinofili possono esprimere i recettori Fc, ma solo quello FceRI quando sono attivate e reclutate nel sito infiammatorio. Sebbene le cellule granulose basofile leghino normalmente i monomeri di IgE, questi non possono attivare la cellula. L’attivazione avviene nel caso che l’antigene multivalente leghi contemporaneamente più IgE legate alla cellula. L’esocitosi dei granuli avviene dopo pochi secondi -> rilascio di istamina -> rilascio di mediatori (prostaglandina D4, leucotriene C4) e di cirochine (TNF-a)

RECETTORI Fce Si ritiene che le cellule granulose basofile medino almeno tre importanti funzioni nell’organismo: reclutano effettori specifici ed aspecifici nei siti dove è più probabile la penetrazione dell’agente infettante 2) aumentano il flusso di linfa drenata dal sito di infezione ai linfonodi regionali -> attivazione delle cellule T naive 3) inducono la contrazione della muscolatura liscia che può favorire l’espulsione dell’agente patogeni dai bronchi o dall’intestino

RECETTORI Fce Queste risposte delle cellule granulose basofile sono conseguenti al legame dell’antigene alle IgE di superficie. La loro attivazione porta al richiamo e all’attivazione di basofili ed eosinofili che contribuiscono ulteriormente alla risposta mediata da IgE. Queste risposte sono cruciali nella difesa contro le infezioni parassi- tarie.

RECETTORI Fce E DIFESA CONTRO I PARASSITI Nelle infezioni da elminti si ha mastocitosi, cioè accumulo di cellule granulose basofile nell’intestino. Topi mutanti W/Wv, che hanno una grave carenza di cellule granulose basofile e di basofili, mostrano un deficit nell’eliminazione di nematodi intestinali. Le infezioni di certe classi di parassiti, in particolare gli elminti, sono associate alla produzione di anticorpi IgE ed alla presenza di un numero elevato di eosinofili (eosinofilia) nel sangue e nei tessuti.

RECETTORI Fce E DIFESA CONTRO I PARASSITI Le IgE, le cellule granulose basofile, i basofili e gli eosinofili svolgono anche un ruolo nella resistenza contro insetti ematofaghi come le zecche. Nel punto dove la zecca ha punto, la pelle mostra cellule granulose basofile degranulate ed un accumulo di basofili ed eosinofili che vanno incontro a degranulazione. La resistenza a questi insetti si sviluppa dopo il primo contatto, suggerendo un meccanimso immunologico specifico. Lo stesso sistema IgE/recettore FceRI ad alta affinità è coinvolto nelle reazioni allergiche (asma, febbre da fieno) quando l’allergene lega le IgE sulla superficie delle cellule granulose basofile.

IPERSENSIBILITA’ ED ALLERGIA

Le reazioni di ipersensibilità sono risposte immunitarie dannose che possono portare anche a malattie gravi. Le reazioni di ipersensibilità sono classificate in quattro gruppi.

ALLERGIA Le reazioni allergiche (reazione di ipersensibilità di tipo I o reazione di ipersensibilità di tipo immediato mediato dalle IgE) si manifestano quando un individuo che ha già prodotto IgE in risposta ad un antigene innocuo, o allergene, viene successivamente in contatto con lo stesso antigene. L’allergia è una malattia che si presenta in seguito ad una risposta del sistema immunitario verso un antigene innocuo.

LA PRODUZIONE DI IgE La produzione di IgE è favorita da particolari antigeni e da specifici modi di presentazione di essi. In questo tipo di risposta sono coinvolte le cellule CD4 TH2, le quali sono capaci di promuovere lo switch da IgM a IgE. Gli antigeni che richiamano le cellule TH2 e che scatenano una risposta immunitaria mediata da IgE sono chiamati allergeni. Molte allergie sono scatenate da basse dosi di piccoli antigeni inalati e la produzione di IgE si ha solo in individui suscettibili.

LA PRODUZIONE DI IgE L’entrata di basse dosi di antigene per via transmucosale è una via particolarmente efficace per indurre una risposta TH2 mediata da IgE. La produzione di IgE richiede la presenza di cellule TH2 che rilasciano IL-4 e IL-13. La presentazione di basse dosi di antigene favorisce l’attivazione di cellule TH2 più che quella di TH1. Di solito alcuni fra gli allergeni comuni pervengono alla mucosa respiratoria con l’inalazione di basse dosi.

ALCUNI ALLERGENI SONO ENZIMI I parassiti entrano nel nostro organismo secernendo enzimi proteolitici. Alcuni di questi enzimi funzionano da allergeni. L’allergene presente nelle feci dell’acaro è un cistein proteasi omologa alla papaina, Der p 1. Questo enzima ha il compito di tagliare la occludina, un componente delle giunzioni strette. Una volta attraversate le giunzioni strette, Der p 1 può essere captato dalle cellule dendritiche sub-epiteliali e determinare la generazione di cellule TH2 specifiche che la produzione di IgE Der p 1 specifiche. Der p 1 si può quindi legare alla IgE specifiche sui mastociti residenti.

ALCUNI ALLERGENI SONO ENZIMI La proteasi papaina viene generalmente usata per rendere più tenera la carne e causa allergie nei lavoratori che preparano questo enzima -> allergia occupazionale Un’altra comune allergia occupazionale è l’asma causata dall’inalazione dell’enzima batterico subtilisina, un componente biologico di alcuni detergenti usati in lavanderia.

CELLULE TH2 E SCAMBIO DI CLASSE VERSO LE IgE Sono necessari due eventi che portano la risposta immunitaria a produrre IgE: presenza di segnali che favoriscono la differenziazione delle cellule naive TH0 in cellule TH2; 2) l’azione di citochine e seganli costimolatori dalle cellule TH2 che stimolano le cellule B a produrre IgE. Nei siti dove la risposta IgE deve essere più importante, le cellule del sistema immunitario innato ed adattativo si sono specializzate a secernere principlamente citochine che conducono ad una risposta mediata da cellule TH2.

CELLULE TH2 E SCAMBIO DI CLASSE VERSO LE IgE Le cellule dendritiche presenti in questi siti, con fenotipo mieloide, dopo aver catturato l’antigene, migrano verso i linfonodi dove avviene l’interazione con cellule CD4 naive e ne promuovono la differenziazione in cellule TH2. lo fanno direttamente, perché esprimono un particolare set di citochine e di molecole costimolatorie non ancora caratterizzate b) queste cellule attivano le cellule NK1.1+, che secernono elevate quantità di IL-4, che induce le cellule T a differenziarsi in TH2 dopo la stimolazione antigenica.

CELLULE TH2 E SCAMBIO DI CLASSE VERSO LE IgE Nelle cellule B lo scambio di classe è indotto da due segnali diversi e che possono derivare dalle cellule TH2. Secrezione di Il-4 e IL-13 Interazione tra tra il ligando CD40 sulla superficie delle cellule T e il CD40 sulla superficie delle cellule B. Questa interazione è fondamentale per lo switch di tutti i tipi di anticorpi.

CELLULE TH2 E SCAMBIO DI CLASSE VERSO LE IgE La risposta mediata da IgE, una volta iniziata, può essere amplificata dai basofili, mastociti ed eosinofili, i quali possono stimolare la produzione di IgE. Le IgE secrete dalle plasmacellule si legano con alta affinità al recettore FceRI presente sulla superficie di queste cellule, che in seguito al cross-linking dei recettori, esprimono CD40 e secernono IL-4. L’interazione tra mastociti e granulociti eosinofili attivati e le cellule B avviene nel sito della reazione allergica poiché le cellule B formano centri germinali nei siti di infiammazione (ad es. nei tessuti linfonodali associati ai bronchi).

FATTORI GENETICI ED AMBIENTALI Per atopia si intende un’elevata tendenza a sviluppare una risposta allergica mediata da IgE (febbre da fieno ed asma). Gli individui atopici hanno livelli più elevati di IgE e più eosinofili nel sangue rispetto agli individui normali. Studi genetici hanno identificato regioni sui cromosomi 11q e 5q che sembrano essere importanti per lo sviluppo dell’atopia: 11q: gene che codifica la subunità beta del recettore ad alta affinità delle IgE 5q: cluster di geni per IL-3, IL-4, Il-5 Altre mutazioni associate sono quelle nel promotore del gene dell’IL-4 e quelle della subunità alfa del recettore dell’IL-4

FATTORI GENETICI ED AMBIENTALI Altre mutazioni ereditarie legate alla risposta mediata da IgE si trovano sulla regione dell’MHC di tipo II. E’ stato dimostrato che la produzione di IgE verso particolari allergeni è associata con alcuni alleli di MHC di classe II -> la combinazione di particolari peptidi con l’MHC potrebbe favorire una forte risposta TH2.

FATTORI GENETICI ED AMBIENTALI La prevalenza dell’allergia atopica, e dell’asma in particolare, è aumentata nelle regioni economicamente sviluppate. Sono quattro i fattori invocati: l’esposizione a malattaie infettive nella prima infanzia inquinamento ambientale livelli di allergeni cambiamenti nella dieta

FATTORI GENETICI ED AMBIENTALI L’atopia è associata negativamente con il morbillo o con il virus dell’epatite A e con la positività al test della tubercolina. Al contrario, i bambini che hanno avuto attacchi di bronchite acuta dovuta a infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV) tendono a sviluppare successivamente l’asma. E’ possibile che le infezioni di un microrganismo che richiama una risposta immunitaria dominata da TH1 nella prima infanzia riduca la probabilità di una risposta TH2 e viceversa.

MECCANISMI EFFETTORI DELLE REAZIONI ALLERGICHE Le reazioni allergiche si scatenano quando gli allergeni (antigeni innocui non associati a microrganismi patogeni) si legano alle IgE già preformate e legate ai propri recettori FceRI presenti sui mastociti. Una volta attivate , queste cellule inducono una reazione infiammatoria immediata. Gli effetti dell’attivazione dei mastociti dipendono dalla dose di antigene e dalla via di entrata di questo. La reazione allergica è seguita da una infiammazione più sostenuta, conosciuta come risposta di fase ritardata, caratterizzata dal richiamo di cellule TH2, eosinofili e basofili.

I MASTOCITI La degranulazione dei mastociti avviene entro pochi secondi dal cross-linking dei recettori FCeRI da parte degli antigeni. I mastociti presentano dei mediatori preformati: Istamina -> aumento del flusso sanguigno e aumentata permeabilità vascolare 2) Enzimi (chinasi dei mastociti, triptasi e serin esterasi) -> attivano le metalloproteasi della matrice con distruzione tessutale 3) Una piccola quantità di TNF-a è racchiusa nei granuli -> attivazione delle cellule endoteliali inducendo un’aumentata espressione di molecole di adesione.

I MASTOCITI Dopo l’attivazione, i mastociti sintetizzano e rilasciano chemochine, mediatori lipidici dell’infiammazione (leucotrieni e PAF) e citochine. Mediatori lipidici Leucotrieni C4, D4, E4: contrazione muscolatura liscia, aumento della permeabilità vascolare, secrezione di muco PAF: richiamo ed attivazione dei leucociti (eosinofili, neutrofili e piastrine) Citochine IL-4 e IL-13: stimolano ed amplificano la risposta TH2 IL-3, IL-5, GM-CSF: promuovono la produzione ed attivazione degli eosinofili

I GRANULOCITI EOSINOFILI I granulociti eosinofili si trovano nella maggior parte nei tessuti, specialmente in quello connettivo del tratto respiratorio, intestinale ed urogenitale. Gli eosinofili, una volta attivati, possono rilasciare dai granuli proteine tossiche e sintetizzare mediatori lipidici, citochine e chemochine. Poiché le proteine tossiche possono indurre dei danni molto gravi ai tessuti, gli eosinofili sono controllati da tre meccanismi: in assenza di infezioni vengono generalmente prodotti pochi eosinofili. Nel caso di attivazione delle cellule TH2 -> rilascio di IL-5 che stimola la produzione nel midollo osseo

I GRANULOCITI EOSINOFILI 2) entrata nei tessuti per rilascio di chemochine CC: eotaxina 1 e eotaxina 2. Queste chemochine hanno anche la proprietà di attivare gli eosinofili 3) nel loro stato non attivato, gli eosinofili non esprimono i recettori ad alta affinità per le IgE e hanno un’elevata soglia per il rilascio del contenuto dei loro granuli. Dopo l’attivazione da parte di citochine e chemochine, esprimono i recettori FCeRI, si abbassa la soglia di rilascio.

I GRANULOCITI BASOFILI I granulociti basofili sono normalmente presenti a bassi nel torrente circolatorio e sembrano avere un ruolo simile a quello degli eosinofili nella difesa contro i patogeni (Parassiti) e vengono reclutati nel sito di reazioni allergiche. Esprimono FceRI e dopo essere stati attivati dalle citochine o dagli antigeni rilasciano istamina e IL-4. Eosinofili, basofili e mastociti sono in grado di interagire tra loro. Gli eosinofili rilasciano la proteina basica maggiore, che stimola a sua volta la degranulazione dei mastociti e dei basofili. IL-3. IL-5 e GM-CSF, citochine che stimolano la crescita e differen- ziazione degli eosinofili e dei basofili, amplificano questo effetto.

RISPOSTA IMMEDIATA E RITARDATA La risposta infiammatoria che segue l’attivazione dei mastociti comprende una reazione immediata che inizia dopo pochi secondi e una reazione ritardata che si sviluppa entro 8-12 ore. Reazione immediata Rilascio di istamina e TNF-a che inducono un aumento della permea- bilità vascolare e la contrazione delle cellule muscolari lisce Reazione ritardata Mediatori neo sintetizzati richiamano altri leucociti, eosinofili e cellule TH2 -> edema, contrazione muscolatura liscia. Iperreattività delle vie aeree superiori a stimoli broncocostrittori non specifici come istamina e metacolina. meno evidente clinicamente della reazione immediata.

RISPOSTA IMMEDIATA E RITARDATA La reazione di fase ritardata è causa importante di malattie gravi, come l’asma cronica. Nella reazione ritardata si ha richiamo di leucociti, in particolare eosinofili e cellule TH2. Questa risposta può diventare facilmente cronica se la presenza dello allergene persiste perché richiama costantemente le cellule TH2 allergene-specifiche, che promuovono a loro volta eosinofilia e ulteriore produzione di IgE.

MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLE REAZIONI ALLERGICHE Gli aspetti clinici della reazione allergica dipendono principalmente da tre variabili: percentuale di IgE specifiche per un particolare allergene via di ingresso dell’allergene dose di allergene

MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLE REAZIONI ALLERGICHE Se un allergene entra direttamente nel sangue o viene assorbito rapidamente dall’intestino, vengono attivati tutti i mastociti connettivali associati ai vasi sanguigni -> reazione di anafilassi sistemica Shock anafilattico: repentino abbassamento della pressione sanguigna per aumento generalizzato della permeabilità vascolare, forte difficoltà respiratoria e rigonfiamento dell’epiglottide. Si ha in seguito a: somministrazione di farmaci a persone che hanno IgE specifiche per quei farmaci dopo puntura di insetto in individui allergici alle loro tossine ingestione di cibi, come le noci brasiliane e arachidi

MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLE REAZIONI ALLERGICHE La penicillina si comporta come un aptene (piccola molecola che da sola non riesce ad indurre una risposta immunitaria). La penicillina contiene un anello beta-lattamico che reagisce con i gruppi aminoacidici delle proteine dell’ospite per formare coniugati covalenti. Quando la penicillina viene ingerita o iniettata per la prima volta, forma dei coniugati che, in alcuni individui, possono provocare una risposta delle cellule TH2, che poi stimolano le cellule B a produrre IgE specifiche per l’aptene penicillina. Quando la penicillina viene iniettato in individui allergici, le proteine autologhe modificate dalla penicillina causano un cross-link delle IgE legate sui mastociti e inducono anafilassi.

REAZIONI ALLERGICHE RESPIRATORIE La rinite allergica è causata da allergeni ambientali presenti solamente durante certe stagioni: pollini di alcuni alberi o erbe, come l’ambrosia. E’ caratterizzata da intenso prurito, starnuti, edema locale che causa il blocco delle vie respiratorie nasali e da essudato nasale, tipicamente ricco di eosinofili -> rilascio di istamina. L’asma allergico è invece causato dall’attivazione dei mastociti presenti nelle vie aeree più basse. In pochi secondi si ha costrizione bronchiale e ipersecrezione di fluidi e muco. La risposta cronica è caratterizzata da un aumentato numero di linfociti TH2, eosinofili, e neutrofili.

REAZIONI ALLERGICHE RESPIRATORIE Anche se l’asma allergico si presenta inizialmente in riposta ad uno specifico allergene, l’infiammazione cronica che segue sembra perpetuarsi anche in assenza di quell’allergene. Le vie aeree diventano iperattive e altri fattori oltre all’esposizione all’antigene possono scatenare attacchi asmatici.

REAZIONI ALLERGICHE CUTANEE L’entrata dell’allergene nell’epidermide o nel derma scatena una reazione allergica locale -> eritema cutaneo. L’attivazione dei mastociti porta a: aumento della permeabilità vascolare -> gonfiore riflesso assonale -> vasodilatazione cutanea -> arrossamento Dopo 8 ore -> risposta di fase ritardata Quando un allergene ingerito entra in circolo e raggiunge la cute si ha un eritema disseminato conosciuto come orticaria. Le cause dell’orticaria cronica sono poco conosciute. In un terzo dei casi sembra essere una malattia autoimmune causata da anticorpi diretti contro la catena a del recettore FceRI (reazione di ipersensibilità di II tipo).

REAZIONI ALLERGICHE CUTANEE Una vera e propria risposta infiammatoria cronica è rappresentata dall’eczema o dermatite atopica. L’eziologia dell’eczema non è ancora bene conosciuta. Sono coinvolte le IgE e le cellule TH2 e generalmente scompare durante l’adolescenza, al contrario di asma e riniti che possono persistere per tutta la vita.

REAZIONI ALLERGICHE AI CIBI L’ingestione di allergeni può causare due tipi di reazioni: attivazione dei mastociti associati alla ucosa del tratto gastro- intestinale -> perdita di fluidi transepitelilae e contrazione delle cellule muscolari lisce -> vomito e diarrea entrata in circolo -> attivazione dei mastociti del derma e del tessuto sottocutaneo -> orticaria (ad es. penicillina) anafilassi sistemica con collasso cardiocircolatorio e bronco- costrizione dopo ingestione di noci, arachidi e crostacei

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI II TIPO In queste reazioni non comuni il farmaco si lega alla superficie cellulare e diventa bersaglio per gli anticorpi IgG anti farmaco e ne diventano causa di distruzione da parte dei macrofagi tissutali presenti nella milza che possiedono i recettori Fcg. Cellule bersaglio: eritrociti (anemia) e piastrine (trombocitopenia) Farmaci: penicillina, quinidina (antiaritmico), metildopa (antiipertensivo)

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI III TIPO Queste reazioni si hanno in presenza di antigeni solubili. I complessi antigene:anticorpo o immunocomplessi che si formano durante la risposta anticorpale possono essere di due tipi: gli aggregati più grandi fissano il complemento e vengono rimossi dalla circolazione dal sistema reticolo-endoteliale; 2) i complessi più piccoli che si formano a causa di un eccesso di antigene si depositano sulla superficie delle pareti vascolari, si possono legare ai recettori Fc dei eucociti causano la loro attivazione e quindi i danni tessutali.

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI III TIPO Le reazioni di ipersensibilità di III tipo localizzata a livello cutaneo può avvenire in soggetti sensibilizzati che possieodno IgG contro antigeni specifici. Reazione di Arthus: quando un antigene viene iniettato nella pelle, le IgG circolanti diffondono nel sito di iniezione formando immuno- complessi, i quali attivano i mastociti che hanno i recettori FcgRIII -> aumento della permeabilità vascolare e invasione da parte delle cellule infiammatorie Gli immunocomplessi attivano anche il complemento causando il rilascio di C5a.

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI III TIPO Una reazione di ipersensibilità di III tipo sistema è la malattia da siero. Si aveva soprattutto in era pre-antibiotica quando il siero di cavalli immunizzati veniva usato come terapia della polmonite da pneumococco. La reazione agli antigeni presenti nel siero avviene tipicamente dopo 7-10 giorni dalla somministrazione, tempo necessario per avere lo switch di classe da IgM a IgG. A livello clinico si ha: brividi, febbere, arrossamento cutaneo, atrite, e talvolta glomerulonefrite.

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI III TIPO La malattia da siero è dovuta alla deposizione degli immunocomplessi in tutto il corpo, i quali fissano il complemento e possono legare e attivare i leucociti che hanno i recettori Fc. La formazione degli immunocomplessi causa la captazione degli antigeni estranei per cui la malattia da siero è normalmente auto-limitante. Oggi si sviluppa dopo la somministrazione di globuline anti-linfociti (nei pazienti trapiantati come agenti immunosoppressori) o di streptochinasi (enzima batterico usanto come agente antitrombolitico).

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI III TIPO Una risposta di III tipo avviene anche in due situazioni in cui c’è persistenza dell’antigene: una risposta anticorpale non riesce ad eliminare un agente infettivo: nelle endocarditi batteriche subacute o epatiti virali croniche i batteri o i virus continuano a produrre antigeni anche in presenza di una risposta anticorpale persistente che non riesce ad eliminarli. Gli immunocomplessi inducono una malattia persistente, causando danni ai vasi sanguigni più piccoli in alcuni tessuti e organi, inclusi cute, reni e nervi. 2) Gli immunocomplessi si formano anche in alcune malattie auto- immunitarie (lupus eritematoso sistemico), dove c’è persistenza dello antigene self.

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI III TIPO Alcuni allergeni inalati provocano una risposta mediata da IgG più che da IgE perché presenti nell’aria a dosi elevate. La reintroduzione dell’antigene causa la deposizione degli immuno- complessi negli alveoli polmonari -> accumulo di fluidi, proteine e cellule nelle pareti alveolari con compromissione degli scambi polmonari. Malattia del polmone da agricoltore: esposizione continua a polvere di fieno e spore di muffa.

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI IV TIPO Al contrario delle reazioni di ipersensibilità immediate e mediate da anticorpi, l’ipersensibilità ritardata o di IV tipo è mediata da cellule T antigene-specifiche (TH1 e CD8 citotossiche). Se ne distinguono tre tipi: ipersensibilità di tipo ritardato (antigene iniettato all’interno della pelle) 2) ipersensibilità da contatto (antigene viene assorbito dalla cute) 3) enteropatia sensibile al glutine (antigene assorbito dall’intestino)

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI IV TIPO DI TIPO RITARDATO Test alla tubercolina La tubercolina, una miscela di peptidi e carboidrati derivati da M. tubercolosis, è usata per individuare gli individui già esposti al batterio. Dopo l’iniezione nel derma, si ha una reazione infiammatoria localizzata nel giro di 24-72 ore. La risposta è mediata da cellule TH1, che entrano nel sito di iniezione dell’antigene, riconoscono il complesso peptide:MHC II sulle che presentano l’antigene e rilasciano citochine infiammatorie quali IFN-g e TNF-b. Le citochine stimolano l’espressione di molecole di adesione sullo endotelio e aumentano la permeabilità vascolare -> ingresso e attivazione di monociti/macrofagi e liquidi nel sito di iniezione (gonfiore).

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI IV TIPO DA CONTATTO Alcuni antigeni che causano ipersensibilità cutanea sono piccole molecole altamente reattive che possono facilmente penetrare nella pelle intatta, specialmente se causano prurito. Fungono da apteni e reagiscono con proteine autologhe ed essere processati ed esposti insieme a molecole MHC. Due fasi della risposta da ipersensibilità cutanea: sensibilizzazione: le cellule cutanee di Langherans catturano e processano l’antigene, migrano nei linfonodi a ttivano le cellule T in cellule T memoria che a loro volta migrano nel derma.

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI IV TIPO DA CONTATTO 2) reazione: la riesposizione all’antigene porta alla presentazione di questo alle cellule T memoria le quali rilasciano citochine quali IFN-g e IL-17: attivazione dei cheratinociti a rilasciare altre citochine (IL-1, IL-6, etc.) e chemochine CXC (come IL-8 e MIG (monokine induced by IFN- g). Queste citochine aumentano la risposta infiammatoria inducendo la migrazione dei monociti nel sito della lesione dove maturano a macrofagi e infine attirano altre cellule T.

REAZIONI DI IPERSENSIBILITA’ DI IV TIPO DA CONTATTO Reazioni a cationi divalenti come il nichel: può alterare la conformazione il legame dei petidi all’MHC II e provocare una risposta delle cellule T. Reazione da contatto con il veleno dell’edera: pentadecacatecolo, solubile nei lipidi, attraversare la membrana cellulare e modificare proteine intracellulari -> queste proteine modificate generano peptidi che vengono esposti sulla membrana dall’MHC di classe I. Questi vengono riconosciuti dalle cellule CD8 le quali uccidono le cellule che espongono tali peptidi e secrenono IFN-g -> danni tessutali

AUTOIMMUNITA’

Le malattie autoimmuni sono provocate da una risposta immunitaria acquisita specifica verso il self. Quando si innesca una risposta adattativa contro il self è impossibile per i meccanismi immunitari eliminare completamente l’antigene e quindi si innesca una risposta che si autoperpetua -> infiammazione cronica che danneggia i tessuti e può essere letale Nelle malattie autoimmuni i danni ai tessuti sono prodotti essenzialmente dagli stessi meccanismi che intervengono nell’immunità protettiva e nell’allergia.

Le risposte immunitarie adattative iniziano con l’attivazione delle cellule T antigene-specifiche. Le reazioni autoimmuni iniziano alla stessa maniera. Le cellule T possono danneggiare i tessuti in due maniere: diretta: risposta delle cellule T citotossiche e attivazione incongrua dei macrofagi da parte delle cellule TH1 -> danno ai tessuti; 2) indiretta: aiuto inappropriato delle cellule T alle cellule B sensibiliz- zate verso il self -> risposte anticorpali

La tolleranza per il self è la regola. Nei soggetti normali non si hanno risposte immunitarie acquisite di lunga durata contro gli antigeni propri, anche se risposte transitorie contro i tessuti danneggiati possono avvenire. Nell’uomo l’autoimmunità insorge di solito spontaneamente, anche se agenti infettivi sono stati invocati, come nella febbre reumatica. Alcune forme di autoimmunità possono derivare da disordini interni del sistema immunitario.

MALATTIE AUTOIMMUNITARIE SISTEMICHE O ORGANO-SPECIFICHE Le malattie autoimmuni organo-specifiche si trovano spesso nello stesso individuo sistemiche possono coesistere in membri della stessa famiglia Le anemie emolitiche autoimmuni possono essere organo-specifiche o associate al LES

MALATTIE AUTOIMMUNITARIE SISTEMICHE O ORGANO-SPECIFICHE Gli autoantigeni riconosciuti in queste due categorie di malattie sono rispettivamente sistemici ed organo-specifici. Organo-specifici Malattia di Graves: anticorpi contro il recettore dell’ormone tireotropo Tiroidite di Hashimoto: a. contro la perossidasi tiroidea Diabete di tipo I: anticorpi anti-insulina Sistemici LES: anticorpi contro antigeni ubiquitari: contro la cromatina o contro le proteine dello spliseosoma.

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI Studi sui gemelli e sulle famiglie hanno evidenziato l’importanza sia di fattori genetici che ambientali nella suscettibilità alle malattie autoimmuni. La componente genetica più importante sembra essere l’MHC e soprattutto l’associazione è con MHC di classe II, mentre in alcuni casi è con MHC di classe I. L’associazione del genotipo MHC con una malattia viene valutata confrontando la frequenza di un determinato allele presente nei pazienti con la frequenza dello stesso allele nella popolazione normale.

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI Associazione tra alleli MHC di classe II HLA-DR3 e DR4 e diabete insulino-dipendente (o di tipo I). Effetto protettivo dell’allele MHC di classe II HLA-DR2: solo pochi casi di diabete presentano questo allele e soggetti portatori di questo allele, anche in presenza di alleli associati alla sucettibilità, raramente sviluppano diabete.

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI Un altro modo per determinare se i geni MHC sono importanti nelle malattie autoimmuni è lo studio delle famiglie dei soggetti colpiti. In questi studi si è osservato che è molto probabile rispetto all’atteso che due consanguinei colpiti dalla stessa malattia autoimmune condividano lo stesso aplotipo MHC.

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI Alla sietotipizzazione con anticorpi delle molecole MHC si sono aggiunte metodiche più precise, come il sequenziamento dei geni HLA. Gli alleli HLA-DR3 e DR4 sono associati con gli alleli DQb che conferiscono suscettibilità al diabete insulino-dipendente. Nella popolazione normale nella posizione 57 di DQb cìè un residuo di acido aspartico capace di formare un ponte. I pazienti diabetici hanno valina, serina o alanina che non formano ponti.

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI Il legame tra genotipo MHC e malattie autoimmuni è spiegabile dal fatto che in tutte le risposte autoimmuni intervengono le cellule T, la cui capacità di rispondere a un particolare antigene dipende dal genotipo MHC. Una ipotesi riguarda la capacità delle diverse varianti alleliche del complesso MHC nel presentare i peptidi dell’autoantigene alle cellule T autoreattive. Un’altra tiene conto del ruolo degli alleli MHC nella selezione del vasto repertorio dei recettori delle cellule T.

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI La risposta dei linfociti T immaturi alla stimolazione antigenica è alla base della selezione negativa intratimica. I linfociti T che reagiscono intensamente agli antigeni autologhi ubiquitari vengono eliminati nel timo. -> allele MHC che lega debolmente i peptidi o peptidi espressi poco -> malattia autoimmune

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI Il genotipo MHC da solo non indica se una persona svilupperà la malattia autoimmune. I gemelli identici hanno molte più probabilità di avere la stessa malattia autoimmune rispetto a due consanguinei con identico MHC -> altri fattori genetici diversi dall’MHC influenzano la suscettibilità.

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI La maggiore anormalità sierologica del LES è la presenza di anticorpi contro antigeni intracellulari abbondanti e ubiquitari, come la cromatina. Numerosi geni sono coinvolti nell’eziologia del LES e sono classificati in tre categorie in base alle loro funzioni fisiologiche.

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI Proteine coinvolte nella eliminazione di frammenti cellulari C1q e PTX3: cellule apoptotiche Componente P amilide sierica: lega la cromatina e può mascherarne il riconoscimento dal sistema immune DNase I: digersice la cromatina extracellulare 2) proteine che regolano la soglia di tolleranza e l’attivazione dei linfociti Fas, ligando del Fas la fosfatasi inibitoria SHP-1 il recettore CD22 inibitore delle cellule B il recettore FCgRIIB inibitore del ciclo cellulare p21

SUSCETTIBILITA’ ALLE MALATTIE AUTOIMMUNI 3) proteine che potrebbero avere un ruolo organo-specifico attraverso un loro coinvolgimento nell’infiammazione mediata dagli immuno- complessi Polimorfismi geni FcgRIIa e FcgRIII: diversa capacità di legare gli immunocomplessi ->nefriti Un altro importante fattore nella malattia è il sesso e lo stato ormonale. -> incidenza massima negli anni della fecondità con aumentata produzione di estrogeni e progesterone.

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Nelle malattie autoimmunitarie , il danno tessutale può essere causato sia dalle cellule T che dagli anticorpi. Le malattie autoimmunitarie in cui i danni sono causati da reazioni di ipersensibilità di tipo II sono le più comuni. Nelle reazioni di tipo III si hanno malattie autoimmunitarie di tipo sistemico caratterizzate da vasculiti. Nelle malattie organo-specifiche, la risposta delle cellule T è responsabile del danno tessutale.

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Il legame delle IgG e delle IgM agli antigeni localizzati sulla superficie degli eritrociti ne causa la lisi -> anemia emolitica autoimmune La porpora trombocitopenica autoimmune è dovuta ad autoanticorpi diretti contro il recettore del fibrinogeno, GpIIb:IIIa presente sulle piastrine -> emorragie. Anticorpi contro i neutrofili causano neutropenia, con aumento della suscettibilità alle infezioni piogeniche.

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ La lisi delle cellule nucleate mediante il complemento è meno importante perché queste cellule posseggono delle proteine regolatrici del complemento sulla loro superficie. Inoltre, le cellule nucleate sono in grado di resistere alla lisi mediante endocitosi di porzioni di membrana cellulare che sono state legate dal complesso di attacco alla membrana.

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Comunque la fissazione del complemento sulle cellule a dosi sub-litiche può causare una risposta infiammatoria e danno tessutale mediante diversi meccanismi. A seconda del tipo di cellula, l’interazione del complesso del complemento con la membrana cellulare può determinare: rilascio di citochine attivazione metabolica ossigeno-dipendente liberazione di acido arachidonico -> prostaglandine e leucotrieni Si forma anche C5a -> chemoattractante sulle cellule del sistema immune

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Anche i leucociti sono attivati dopo il legame con l’Fc dell’auto-anticorpo sulla loro superficie. I leucociti attivati e la citotossicità cellulare anticorpo-dipendente, mediata dalla cellule NK contribuiscono ai danni tessutali. Un esempio di questo tipo di autoimmunità è la tiroidite di Hashimoto, anche se in questa malattia è molto importante anche la citotossicità mediata dalle cellule T.

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Una particolare classe di reazioni di ipersensibilità di tipo II si verifica quando gli autoanticorpi si legano ai recettori sulla superficie cellulare, determinando una loro attivazione o bloccarne la stimolazione da parte del ligando fisiologico. Malattia di Graves Autoanticorpi contro il recettore per l’ormone tireotropo delle cellule tiroidee determinando una produzione di ormone tiroideo in ecesso -> ipertiroidismo

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Miastenia gravis Autoanticorpi contro la catena alfa del recettore nicotinico per l’acetil- colina delle giunzioni neuromuscolari bloccano la trasmissione neuro- muscolare. Gli anticorpi determinano endocitosi e degradazione dei recettori per l’acetilcolina. Diabete resistente all’insulina (di tipo II) Autoanticorpi contro il recettore per l’insulina (antagonista) -> iperglicemia Ipoglicemia Autoanticorpi contro il recettore per l’insulina (agonista) -> ipoglicemia

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Le risposte anticorpali contro le molecole della matrice extracellulare non sono frequenti. Nella sindrome di Goodpasture, si formano anticorpi contro la catena a3 del collagene della membrana basale (tipo IV) dei glomeruli e, in alcuni casi, degli alveoli. Gli autoanticorpi legano i recettori Fcg presenti sui leucociti, attivando così monociti e mastociti tessutali. Quest’ultimi rilasciano chemochine che richiamano i neutrofili causando un grave danno tessutale. Gli autoanticorpi determinano l’attivazione del complemento, che amplifica il danno tessutale.

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Le reazioni di ipersensibilità di tipo III sono mediate da complessi immuni che non vengono rimossi efficacemente dal sistema reticolo- endoteliale. Nel lupus eritematoso sistemico, viè produzione cronica di autoanticorpi IgG contro tre costituenti cellulari (nucleoproteine): nucleosoma, spliceosoma, complesso citoplasmatico ribonucleoproteico (contenente due proteine conosciute come Ro e La). Questi antigeni vengono continuamente esposti dalle cellule morte o morenti e sono rilasciate nel danno tessutale.

MECCANISMI EFFETTORI NELL’AUTOIMMUNITA’ Nel LES, i piccoli immuno-complessi che si formano in presenza di eccesso di antigene si depositano sulle pareti dei vasi sanguigni dei glomeruli renali e sulla membrana basale dei glomeruli, nonché sui vasi delle articolazioni e di altri organi -> attivazione dei fagociti mediante il legame del recettore Fc -> il danno tessutale rilascia complessi nucleoproteici che stimola la formazione di ulteriori immunocomplessi -> attivazione del complemento

INFLUENZA DEI CO-FATTORI AMBIENTALI Il collagene di tipo IV si trova in tutte le membrane basali dell’organismo, incluse quelle dei glomeruli renali, degli alveoli polmonari e della coclea dell’orecchio interno. I pazienti con sindrome di Goodpasture sviluppano tutti glomerulonefrite, circa il 40% sviluppa emorragie polmonari, nessuno divenat sordo. Nel rene gli anticorpi passano attraverso la membrana basale glomerulare che è fenestrata. Negli alveoli è necessario un danno alla membrana basale che viene stimolato dal fumo di sigaretta -> infiammazione che danneggia i capillari esponendo gli autoantigeni. La membrana basale cocleare sembra essere immune agli autoanticorpi.

INFLUENZA DEI CO-FATTORI AMBIENTALI Nella granulomatosi di Wegener, una vasculite necrotizzante, sono presenti anticorpi citoplasmatici anti-neutrofili (ANCA). L’autoantigene è una serin proteasi dei ganuli dei neutrofili, la proteasi-3. E’ comune che pazienti con granulomatosi abbiano alti livelli di ANCA ma siano senza sintomi. Se l’individuo sviluppa un’infezione si ha invece la comparsa veloce di una vasculite. In assenza di infezione, la proteasi-3 si trova all’interno dei granuli. In caso d’infezione, le citochine attivano i neutrofili e la proteasi-3 viene esposta sulla superficie cellulare. Gli anticorpi anti-proteasi-3 legano i neutrofili -> degranulazione e rilascio di radicali liberi. L’infezione determina attivazione delle cellule endoteliali con aumento di espressione di molecole di adesione -> interazione endotelio-neutrofili -> lesione vascolare

DANNI TESSUTALI CAUSATI DA CELLULE T AUTOREATTIVE Le cellule T specifiche attivate da peptidi “self”: complessi MHC possono determinare infiammazione e danno locale attraverso l’attivazione dei macrofagi o danneggiare direttamente le cellule tessutali. Questi meccanismi sono rilevanti nel diabete insulino-dipendente, nella artrite reumatoide e nella sclerosi multipla. I tessuti di questi pazienti sono inflitrati da linfociti T e macrofagi attivati. Inoltre, le cellule T sono richieste per sostenere le risposte anticorpali.

DANNI TESSUTALI CAUSATI DA CELLULE T AUTOREATTIVE Mediante modelli murini è stato possibile identificare l’antigene responsabile della risposta mediata dalle cellule T. Nella encefalomielite allergica sperimentale (EAE) si possono avere dei sintomi simili alla scelrosi multipla, in cui placche di demielinizzazione sono disseminate lungo il sistema nervoso centrale. Tra gli antigeni identificati c’è la proteina basica della mielina (MBP) e i sintomi della malattia sono causati anche dalla somministrazione di cellule TH1 (infiammatorie) specifiche per MBP ottenute da animali ammalati in animali sani -> questi animali sviluppano la EAE.

DANNI TESSUTALI CAUSATI DA CELLULE T AUTOREATTIVE In altre malattie, come il diabete insulino-dipendente (IDDM) si è riconosciuto il ruolo delle cellule T CD8. Nell’IDDM le cellule b del pancreas sono distrutte specificatamente da cellule CD8. Questo suggerisce che una proteina espressa dalle cellule b sia la fonte del peptide riconosciuto dalle cellule T CD8 patogenetche. Gli studi su topi NOD (non obese diabete) con diabete di tipo I hanno dimostrato che i peptidi derivati dlal’insulina sono riconsociuti da cellule T trovate nelle lesioni insulari. Alcuni studi indicano anche un ruolo patogenetico delle cellule T CD4 nell’IDDM. Vi è associazione tra suscettibilità alla malattia e particolari alleli di classe II.

LA TOLLERANZA AL SELF E’ LA REGOLA La tolleranza al self si acquisisce per delezione clonale intratimica da parte degli antigeni “self” ubiquitari per inattivazione clonale da parte degli antigeni specifici tessutali presentati in assenza di segnali co-stimolatori -> anergia Inoltre, la tolleranza viene mantenuta in quanto la maggior parte dei peptidi “self” saranno presentati a livelli troppo bassi per poter attivare le cellule T effettrici. E’ improbabile che l’autoimmunità rifletta l’insufficienza dei principali meccanismi di tolleranza, perché questi meccanismi sono estremamemte efficaci.

ANTIGENI PRESENTI IN SITI IMMUNOLOGICAMENTE PRIVILEGIATI Gli organi immunologicamente privilegiati sono quelli in cui i trapianti di tessuto non provocano una risposta immunitaria: Cervello Camera anteriore dell’occhio Testicoli Utero (feto)

ANTIGENI PRESENTI IN SITI IMMUNOLOGICAMENTE PRIVILEGIATI Alcuni antigeni espressi in queste localizzazioni non inducono tolleranza né attivazione, ma se l’attivazione è indotta altrove possono divenire bersaglio di un attacco autoimmune. Oftalmia simpatica Se un occhio è lesionato da un trauma, si può avere una risposta auto- immune contro le proteine dell’occhio. La risposta attacca entrambi gli occhi.

CONTROLLO DELLE CELLULE B AUTOREATTIVE Durante la maturazione delle cellule B, se una molecola self viene espressa in forma adeguata, la delezione clonale e la “revisione” del recettore potranno rimuovere tutte le cellule B reattive al self. Molte molecole self sono solo disponibili in periferia ed espresse solo da particolari organi: es. la tiroglobulina (precursore della tiroxina) presente solo nella tiroide e a livelli molto bassi nel plasma. Quattro meccansimi di controllo assicurano che una cellula B matura non rispondi all’incontro con un autiantigene -> l’autoimmunità potrebbe essere dovuta al venir meno di questi meccanismi

CONTROLLO DELLE CELLULE B AUTOREATTIVE Le cellule B autoreattive non riescono a lasciare la zona T dei linfonodi e ad entrare nei follicoli linfatici. Le cellule B che legano gli antigeni self non sono in grado di interagire con i T CD4 perché tali cellule per gli stessi antigeni self sono assenti -> assenza di segnali di sopravvivenza -> apoptosi.

CONTROLLO DELLE CELLULE B AUTOREATTIVE 2) Induzione dell’anergia in cellule B periferiche. Se avviene l’incontro con un antigene self solubile nel sangue periferico, ciò porta alla regolazione negativa dell’espressione di IgM e alla parziale inibizione dei segnali nelle cellule B. 3) Inoltre non possono essere attivati dai linfociti T e anzi vengono rimossi per apoptosi in seguito al legame Fas/Fas-L.

CONTROLLO DELLE CELLULE B AUTOREATTIVE 4) Nella fase di maturazione nel centro germinativo, l’ipermutazione somatica può portare alla formazione di un anticorpo fortemente reattivo contro il “self”. L’incontro di queste cellule B con antigeni solubili determina l’apoptosi di queste cellule in assenza di cellule T helper.

CONTROLLO DELLE CELLULE B AUTOREATTIVE 4) Nella fase di maturazione nel centro germinativo, l’ipermutazione somatica può portare alla formazione di un anticorpo fortemente reattivo contro il “self”. L’incontro di queste cellule B con antigeni solubili determina l’apoptosi di queste cellule in assenza di cellule T helper.

RUOLO DELLE INFEZIONI NELL’AUTOIMMUNITA’ Un possibile meccanismo per la perdita della tolleranza è che i micoorganismi inducano attività co-stimolatoria nelle cellule che presentano bassi livelli di antigene (es. cellule dei tessuti) attivando così le cellule autoreattive. L’autoimmunità potrebbe essere iniziata da un meccanismo denominato mimetismo molecolare: gli anticorpi o le cellule T prodotte nella risposta a un microrganismo danno reazione crociata con antigeni self. Le proteine dell’ospite che formano complessi con i batteri possono indurre una risposta autoimmune temporanea: il batterio funge da trasportatore (“carrier”), permettendo alle cellule B che esprimono un recettore autoreattivo di ricevere un aiuto non dovuto dalle cellule T.

RUOLO DELLE INFEZIONI NELL’AUTOIMMUNITA’ Parecchie malattie autoimmuni nell’uomo sono precedute da una infezione con un patogeno specifico o con una classe di microorganismi che causano una particolare malattia. La suscettibilità a tale malattia è determinata in larga misura dal genotipo MHC.