MODULO 1, d) Approccio culturale- evolutivo all’Antropologia filosofica.

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MODULO 1, d) Approccio culturale- evolutivo all’Antropologia filosofica

Cultura come agricoltura L’etimo latino della parola ci riporta all’età neolitica, al tempo in cui i nostri avi abbandonarono la vita nomade e cominciarono a vivere stabilmente/abitare in un luogo, in cui potevano praticare la coltivazione dei campi o agricoltura. Cfr.: La scoperta dell’agricoltura nel neolitico (Pdf)

L’esperienza della coltivazione Quale fu la conquista culturale, determinata dalla scoperta dell’agricoltura? Gli uomini sperimentarono ed appresero che la natura, sottoposta alle loro cure, “fioriva”, fruttificando secondo una fecondità impensabile nel suo stato selvaggio.

Estensione del significato della Cultura A seguito dell’esperienza sorprendentemente positiva della coltivazione dei campi, gli uomini estesero la pratica della coltivazione o cura anche alla natura in sé e nei propri simili. Fu così che in una società di agricoltori come quella della Roma delle origini, l’uso del verbo còlere fu esteso ad ambiti specificamente antropologici quali quello del culto dei morti e dell’educazione delle giovani generazioni.

Importanza dell’agricoltura presso i Romani La storia dei Romani documenta il loro apprezzamento per l’agricoltura, considerata il paradigma di ogni costruttività umana.

L’agricoltura presso i Romani (1) «Apud Romanos bonus civis bonus colonus erat. Presso i Romani il buon cittadino era contadino. Bonus colonus agros colebat magna cum diligentia terram Il buon contadino coltivava i campi con grande diligenza, laetamine conspergebat, subigebat aratro, cospargeva la terra di letame, la dissodava con l’aratro, rastro glebas aequabat, a saxis et malis herbis purgabat. con il rastrello pareggiava le zolle, le ripuliva dai sassi e dalle erbe cattive. Ita magnam hordei et frumenti copiam percipiebat. Così otteneva una grande quantità di orzo e frumento.

L’agricoltura presso i Romani (2) Agricola sedulous etiam vineas colebat L’agricoltore solerte coltivava anche le vigne et frugiferas plantas ut malos, piros et cerasos. e le piante da frutto come i meli, i peri e i ciliegi. Agricololarum villae abundabant porcis, haedis, Le cascine degli agricoltori abbondavano di maiali, di capretti agnis, gallinis, caseo et habebant di agnelli, di polli, disponevano anche di formaggio sed etiam in pugnis victoriam magna audacia obtinebant» ma pure nelle battaglie conseguivano la vittoria con grande audacia»

Cultura Il sostantivo cultus, tratto dal participio passato del verbo còlere, venne a indicare non solo il «coltivare» i campi, il «far crescere» le colture, ma anche la cura in generale per qualcosa e in senso specifico - tanto il servizio religioso verso i defunti e gli dei, quello cioè che tuttora chiamiamo «culto», - quanto la coltivazione degli esseri umani, in particolare dei giovani, cioè la loro «educazione»= «far venir fuori/far fiorire l’umanità». Da quest’ultima accezione proviene il valore della cultura nel suo senso moderno più generale: il complesso delle conoscenze, tradizioni e saperi, usi e costumi, che ogni popolo considera fondamentali, e in quanto tali meritevoli di essere trasmessi alle generazioni successive.

L’ultra-socialità, qualità evolutiva specie-specifica del genere umano Michael Tomasello, nel recente volume Le origini culturali della cognizione umana (1999), tr. it. di M. Ricucci, Bologna, Il Mulino 2005, ci fa cogliere come caratteristica specie-specifica dell’umano l’ ultra-socialità. Tomasello è uno scienziato di fama mondiale, -Direttore a Lipsia del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology (1998) e del Wolfgang Köhler Primate Research Center (2001). -Ha condotto confronti sistematici tra i due ambiti distinti rappresentati da conoscenza sociale e comunicazione nei primati non umani e linguaggio, conoscenza sociale e apprendimento culturale nei bambini.

«Perché noi (esseri umani) e non loro (scimpanzé) siamo soggetti culturali?» La domanda si pone anzitutto a livello filogenetico perchè -la differenza genetica che separa gli umani dagli scimpanzé e minima (meno dell’1%). - anche gli scimpanzè giungono ad un efficace modellamento del loro ambiente di vita, disponendo di forme incipienti di cultura e di sistemi vocali e motori di segnalazione per la comunicazione referenziale e intenzionale

Competenze cognitive dei primati non umani - l’impiego di strumenti; - la comprensione delle relazioni di primo ordine (relazioni fra oggetti) - la comprensione delle relazioni di secondo ordine (relazioni fra relazioni), soprattutto nel campo delle relazioni sociali; - la comprensione della causalità fisica; - la comprensione dei conspecifici solo come esseri animati e agenti autonomi.

Competenze cognitive degli umani Competenza specie-specifica, esclusiva, degli esseri umani è : - la capacità di capire e interpretare gli altri come agenti intenzionali, al pari di sé, cioè in grado sia di produrre e comunicare simboli e significati dotati di scopi sia di elaborare piani per raggiungerli.

La filogenesi dagli australopiteci di anni fa – un evento evolutivo Una popolazione di grandi scimmie antropomorfe si trovò ad essere isolata riproduttivamente dai suoi conspecifici e diede origine al genere Australopithecus, suddiviso in varie specie di anni fa – altro evento evolutivo Una sola specie di australopitechi era sopravvissuta all’estinzione, ma si era talmente evoluta da richiedere una nuova denominazione di genere: Homo anni fa – nuovo evento evolutivo La popolazione africana del genere Homo spazzò via tutte le altre lasciando discendenti oggi noti come Homo sapiens.

Homo sapiens I membri di questa nuova specie avevano un cervello più grande dei loro antecedenti evolutivi e cominciarono -a produrre nuovi strumenti di pietra con specifiche funzioni e proprie tradizioni d’uso degli strumenti…..fino ai processi produttivi computerizzati -A usare simboli, linguistici e artistici, per comunicare e per strutturare la vita sociale…fino alla scrittura, al denaro, alla matematica, all’arte -A sviluppare nuovi tipi di pratiche e di organizzazioni sociali, dalla sepoltura cerimoniale dei morti all’addomesticamento di piante e animali…fino alle istituzioni religiose, amministrative, educative, commerciali

L’enigma dell’evoluzione umana I di anni che separano gli esseri umani attuali dalle altre scimmie antropomorfe sono un tempo troppo breve perché la normale evoluzione biologica basata sulla variazione genetica e sulla selezione naturale producesse le abilità cognitive necessarie agli esseri umani per creare, mantenere e far progredire l’intero complesso di tecnologie, tradizioni, forme di comunicazione e di rappresentazione simbolica, istituzioni e organizzazioni sociali, di cui il mondo umano è fatto. Fino a di anni fa il genere Homo non aveva abilità cognitive diverse dalle grandi scimmie Solo negli ultimi anni sono emersi i primi vistosi segni di abilità cognitive specie-specifiche dell’Homo sapiens

La trasmissione sociale/culturale E’ il solo meccanismo biologico noto che può produrre cambiamenti comportamentali e cognitivi notevoli in breve tempo, rispetto all’evoluzione organica.

Esempi di trasmissione socio/culturale -gli uccelli che apprendono dai genitori il canto tipico della loro specie -i piccoli di ratto che mangiano solo ciò che mangia la madre -le formiche che localizzano il cibo grazie ai feromoni secreti dai conspecifici -i giovani scimpanzè che apprendono le tecniche d’uso degli strumenti possedute dagli adulti intorno a loro -i bambini che acquisiscono le convenzioni linguistiche del loro gruppo sociale

Meccanismi di trasmissione socio-culturale -attivazione da parte dei genitori di schemi d’azione fissi nella prole -trasmissione di abilità tramite l’apprendimento imitativo -trasmissione di abilità tramite l’istruzione

Come avviene la trasmissione sociale/culturale -un individuo o un gruppo di individui inventano un comportamento o un artefatto -uno o più utilizzatori vi apportano un miglioramento adottato per molte generazioni -altri individui o gruppi introducono un’ulteriore modifica poi appresa e adottata - e così di seguito producendo un processo di evoluzione culturale cumulativa in tempi storici

Condizioni per l’evoluzione culturale cumulativa - la creatività - l’invenzione - una trasmissione sociale fedele con effetto «dente d’arresto» (ratchet effect), che impedisca slittamenti all’indietro, e corredata da processi di sociogenesi, nei quali una pluralità di individui crea quello che nessun individuo potrebbe creare da solo N. B. - Per i primati non umani la difficoltà maggiore non sta nel mettere in atto le prime due condizioni ma nell’ottemperare alla terza, indispensabile per l’effetto cumulativo.

La forma umana della trasmissione socio/culturale Gli esseri umani sono in grado di mettere in comune le proprie risorse cognitive in modi sconosciuti alle altre specie animali Essi sono dotati di una specie-specifica forma di cognizione sociale, che li rende capaci di comprendere i conspecifici come esseri simili a loro stessi e di mettersi nei panni mentali degli altri.  gli umani imparano dagli altri, come i non umani, + imparano tramite gli altri Cfr.: Allegato T (nella parte evidenziata in giallo si riporta l’esempio, addotto da Tomasello, di trasmissione culturale cumulativa esponenzialmente potenziata negli uomini dall’impiego della immedesimazione intenzionale)

L’immedesimazione intenzionale La comprensione dell’altro come essere intenzionale al pari di me è cruciale nell’apprendimento culturale umano. Gli artefatti culturali (strumenti) e le pratiche sociali (simboli linguistici) puntano invariabilmente al di fuori di se stessi: ai problemi che sono chiamati a risolvere e alle situazioni comunicative che sono chiamati a rappresentare. Per apprendere l’uso convenzionale di uno strumento o di un simbolo in un contesto sociale, debbo riuscire a comprendere perché – verso quale terminale esterno – l’altro stia usando lo strumento o il simbolo  dimensione intenzionale dell’uso

La successione degli eventi evolutivi umani Da un unico adattamento biologico, gli umani hanno sviluppato una nuova forma di cognizione sociale  nuove forme di apprendimento culturale  nuovi processi di sociogenesi e di evoluzione culturale cumulativa I processi culturali messi in moto da questo adattamento non hanno creato dal nulla nuove abilità cognitive, ma sono partiti da abilità cognitive pre-esistenti a livello individuale e le hanno trasformate in nuove abilità cognitive a livello culturale con una dimensione sociale e collettiva, nei tempi storici di qualche migliaio di anni.

Verifica ontogenetica della forma umana di trasmissione socio-culturale Si tratta di appurare se l’immedesimazione intenzionale è la forma specie specifica della trasmissione socio-culturale umana anche a livello di evoluzione individuale attuale. Cosa succede nello sviluppo del bambino? Come si sviluppa nel bambino la competenza specie specifica dell’immedesimazione intenzionale?

I fattori dell’ultra-socialità umana Tre sono i fattori che documentano nel bambino la presenza della ultra-socialità umana e che ne determinano la maturazione: 1)fattore imitativo 2)fattore attentivo 2)fattore mezzo-fine

Il fattore imitativo - i neonati, diversamente dai piccoli dei primati non umani, sviluppano molto precocemente la capacità di imitare le azioni dei consimili.  semplice emulazione, cioè riproduzione meccanica e stereotipata del comportamento altrui (cosa fanno gli altri)  comprensione dell’intenzione e del piano mentale implicati nell’azione imitata (che cosa intendono fare gli altri).  imparare dagli altri + attraverso gli altri.

Il fattore attentivo - Il bambino, nel suo rapporto con un oggetto o un evento, si trova spesso coinvolto in «scene di attenzione congiunta». In esse, la relazione diadica (bambino-oggetto/evento; bambino- adulto) si trasforma in relazione triadica (bambino-oggetto/evento- adulto). Tale condivisione dell’attenzione comporta: a) la focalizzazione delle reciproche risorse psicologiche sul medesimo oggetto-evento b) favorisce l’incontro di menti fra adulto e bambino.

Il fattore mezzo-fine - fin verso gli otto mesi circa, la mente infantile funziona in modo alquanto rigido, Piaget direbbe quasi «magico», nello stabilire le connessioni fra le proprie azioni e i risultati ottenuti. - verso i nove mesi, il bambino diventa capace a) di usare mezzi differenti per raggiungere lo stesso scopo b) di riconoscere il valore strumentale delle azioni intermedie per il raggiungimento dello scopo. - Il bambino piccolo è anche in grado di cogliere le proprietà dinamiche degli oggetti, come è documentato dal gioco di finzione o simbolico, in cui i bambini estraggono le proprietà intenzionali di vari oggetti e le usano per giocare.

L’apprendimento per simulazione La comparsa delle competenze di ultra-socialità favorisce l’apprendimento per simulazione, basato sull’equazione: «gli altri sono come me». Con esse si manifesta anche 1)la tendenza a trattare gli altri come «simili a sé» 2)la tendenza a stabilire un’analogia sostanziale fra gli altri e se stessi. Tali competenze sociali determinano l’apprendimento culturale e la rappresentazione simbolica della realtà, che manca agli scimpanzé.

Ontogenesi dei fattori sociali di elaborazione simbolica della realtà Fasi cruciali: 1)La nascita 2)La rivoluzione dei nove mesi 3)L’acquisizione del linguaggio 4)L’acquisizione di una determinata lingua 5)Elaborazione di una teoria della mente degli altri (a circa 4 anni) 6)Capacità di metacognizione e di riformulazione delle rappresentazioni

La nascita -- Al momento della nascita il neonato viene al mondo come organismo biologico e con capacità nervose assai ridotte, controllate soprattutto dal midollo spinale e dal tronco dell’encefalo. -- Il neonato è perciò sostanzialmente un organismo sottocorticale ed è totalmente incapace di sopravvivere da solo (prole inetta). -- Tuttavia nel volgere di poco tempo egli diventa un soggetto in grado di interagire in modo significativo con i membri della propria comunità.

La rivoluzione dei nove mesi - fase critica nel passaggio da organismo biologico a soggetto sociale-culturale - vi è la comparsa osservabile di comportamenti intenzionali da parte dell’infante ovvero della messa in opera di segnali comunicativi (gesti) con l’intenzione di richiedere o richiamare l’attenzione dell’adulto: p. es. - i gesti deittici - i gesti rappresentativi - In questo periodo il bambino rafforza anche la sua capacità di comprendere gli atti comunicativi degli interlocutori come dotati di intenzionalità.

I gesti I gesti presentano un doppio valore - richiestivo = servono per chiedere all’adulto oggetti ed esprimono un desiderio - dichiarativo = servono per richiamare l’attenzione dell’adulto su un certo oggetto/evento e consentono di condividere la medesima referenza nel mondo esterno

Tipi di gesti - i gesti deittici, che non hanno un significato stabile e autonomo dal contesto, come il tendere un oggetto verso l’adulto con l’evidente intenzione di mostrare ciò che si tiene in mano; - i gesti rappresentativi che comportano l’uso di movimenti convenzionali delle mani, del corpo e del viso, associati stabilmente a qualche significato e veicolanti un’intenzione comunicativa non strettamente dipendente dal contesto, come l’alzare il braccio oscillando il palmo della mano= fare ciao.

La comunicazione non verbale Nella CNV, il bambino mostra di comprendere le intenzioni comunicative degli interlocutori  le imita praticando l’inversione dei ruoli  usa un simbolo nei confronti dell’adulto nello stesso modo in cui l’adulto l’ha usato nei suoi confronti

La comunicazione non verbale 2 Nella misura in cui, già nei gesti, con la pratica dell’inversione di ruoli, si manifesta nel bambino la capacità di immedesimazione intenzionale dobbiamo concludere 1)La CNV non solo precede ma pone le condizioni per lo sviluppo delle competenze linguistiche nel bambino 2)Con l’acquisizione del linguaggio le competenze simboliche già presenti nel bambino troveranno espressione adeguata 3)Cervello, pensiero e linguaggio hanno proceduto in modo indipendente, ma hanno seguito una traiettoria di co-evoluzione

L’acquisizione del linguaggio È resa possibile dall’interazione sociale con i propri simili ed è un processo contingente connesso con: - la funzione di supporto (scaffolding) dell’adulto; - la presenza di precisi format comunicativi; - la comprensione delle intenzioni comunicative dell’interlocutore  L’apprendimento delle parole, compresi i termini privi di senso, avviene nel flusso dell’interazione sociale attraverso l’imitazione per inversione dei ruoli

L’acquisizione del linguaggio 2 All’interno di cornici contestuali regolari e di format comunicativi stabili, il bambino ha modo di cogliere e di apprendere la prospettiva con cui l’adulto impiega certe parole in determinate situazioni. Come esito dell’esposizione a questo genere di esperienze, egli ha la possibilità di crearsi e condividere certe rappresentazioni simboliche degli oggetti e degli eventi.

Fasi di elaborazione del linguaggio 1)l’elaborazione delle diverse costruzioni linguistiche si avvia con la formulazione delle espressioni olofrastiche 2)passa alle costruzioni a isola verbale 3)giunge alle costruzioni astratte 4)arriva alla narrazione

Le espressioni olofrastiche - si sviluppano dopo la fase della cosiddetta «lallazione», in cui il bambio emette sequenze sonore spontanee - sono espressioni in cui una sola parola rappresenta un intero enunciato: p. es., l'interiezione “toh!” = "Che sorpresa!" o altre parole propriamente "lessicali" come: "Birra!" in un bar, per chiedere "Vorrei avere una birra!" Anche in ambito gestuale troviamo i gesti-frase (ruotare la mano con le dita piegate = "Vai via!"; il pollice alzato ="Tutto a posto!; l'alzata di spalle = "Non me ne importa niente!") e i gesti-parola (strofinare l'indice contro il pollice per indicare il denaro; indicare se stessi in sostituzione della parola io).

Costruzioni a isola verbale Sono quelle costruzioni verbali in cui compare il verbo. Da esse il bambino si rende conto della funzione complementare, cioè del fatto che un verbo, per indicare un’azione o uno stato, deve completarsi con altri termini, immessi in varie posizioni, p. es.: agente/soggetto, oggetto, strumento….

L’acquisizione di una determinata lingua Apprendendo la lingua materna, cioè una lingua determinata, il bambino acquisisce le categorie cognitive con cui descrivere e spiegare i fenomeni. Le prime ad essere apprese sono le categorie spaziali e temporali, alle quali si aggiungono nel tempo quelle più complesse come le metafore e le altre figure retoriche.

Una teoria della mente degli altri A partire dai 3 anni circa, la congiunzione tra linguaggio e cultura nella socialità si completa attraverso l’educazione e l’istruzione impartite a livello istituzionale e sistematico. Verso i 4 anni, il bambino è in grado di elaborare una teoria della mente degli altri, cogliendo le loro credenze e i loro punti di vista. Gli altri simili a lui non sono soltanto animati e intenzionali, ma anche governati da uno specifico sistema di credenze

La metacognizione E’ un ampliamento della teoria della mente Consiste nella consapevolezza della ricorsività della conoscenza, per cui «conosco di conoscere» Ha come conseguenza la riformulazione delle rappresentazioni, cioè la capacità di ricombinare in forme nuove le rappresentazioni mentali già in proprio possesso.

Conclusione La cognizione culturale si è presentata come sintesi dell’evoluzione filogenetica, della traiettoria storica e del percorso ontogenetico del soggetto. Nell’intreccio tra natura e cultura, innato e acquisito, geni e ambiente, imprescindibile è apparsa la base sociale E’ come se l’individuo fosse portato sulle spalle degli individui che l’hanno preceduto e a sua volta portasse sulle spalle chi verrà dopo In ciò sembra consistere la dignità dell’esperienza umana.

Excursus sull’empatia

Il fenomeno della vita psichica altrui (1) Procediamo, con Edith Stein, ad affrontare il caso dell’immedesimazione intenzionale, che così si delinea fenomenologicamente: «Il mondo in cui viviamo non è solo un mondo di corpi fisici. È anche un mondo di soggetti estranei, oltre a me, ed io sono a conoscenza di questa esperienza vissuta. Questo sapere è qualcosa di cui è legittimo dubitare, dato che da esso siamo spesso tratti in inganno Ma il fenomeno della vita psichica estranea esiste ed è indubitabile, perciò possiamo osservarlo»

Il fenomeno della vita psichica altrui (2) - Stando alla nostra esperienza vissuta, ci rendiamo subito conto che il fenomeno di un individuo psicofisico è decisamente diverso da quello di un oggetto fisico. - L’individuo psicofisico non si dà soltanto come un corpo fisico, ma anche come un corpo-proprio di un Io, capace di avere delle sensazioni, di pensare, di sentire e volere. - Tale corpo-proprio inoltre non fa parte solo del mio mondo fenomenico ma è, a sua volta, centro di orientamento di tale mondo fenomenico, di fronte al quale si trova e con il quale io pure sono in rapporto reciproco. - Infine, potremmo intraprendere una ricerca per ricondurre alla coscienza, tutto quello che ci appare in aggiunta al corpo fisico

Il fenomeno della vita psichica altrui (3) Se poi prendiamo in considerazione i concreti e singoli vissuti di questi individui, possiamo renderci conto che ci sono altri modi di datità in aggiunta a quelli che rientrano nella cosiddetta «relazione simbolica». P. es.: -Sono in grado di vedere che uno non prova un sincero sentimento di tristezza, anche se ha un’espressione triste sul volto. - di uno che dice cose sconsiderate e insieme arrossisce vedo che ha detto cose sconsiderate, che se ne vergogna e pure che è consapevole di aver detto cose sconsiderate e se ne vergogna (= sono in grado di procedere oltre l’apparenza sensibile verso l’interiorità intenzionale).

Rimando all’empatia Tutte queste datità, relative all’esperienza vissuta estranea rimandano ad un genere di atti nei quali è possibile cogliere la stessa esperienza vissuta estranea. Su tali atti si basa quella particolare conoscenza che vogliamo indicare col termine «empatia» (Einfühlung), astraendo dal senso che al termine è stato attribuito da tutte le tradizioni storiche. Nell’ambito di esperienza vissuta/atti così circoscritto, possiamo cogliere e descrivere l’essenza stessa di questi atti.

Una situazione empatica «Un amico viene da me e mi dice di aver perduto il fratello ed io mi rendo conto del suo dolore» «Che cos’è questo “rendersi conto” (gewahren)?» Non ci interessa qui invece sapere da dove so di questo dolore (forse dal suo volto pallido, dalla sua voce sommessa quasi afona, dalle parole attraverso le quali si esprime…)

Percezione esterna ed empatia Il rendermi conto del dolore dell’amico è un atto della percezione esterna? NO! perché gli atti della percezione esterna danno in carne ed ossa l’essere cosale-temporale e il suo accadere, mentre qui ciò di cui mi rendo conto è il dolore, - che non è una cosa e - che mi viene dato «assieme» al volto percepito esteriormente. Anche l’oggetto dell’empatia, però, si rivela hic et nunc (=qui e ora), come quello della percezione

Ricordo, attesa, fantasia ed empatia C’è invece analogia tra gli atti di empatia e altri atti quali ricordo, attesa, fantasia, che non hanno il loro oggetto davanti a sé presente in carne ed ossa, ma se lo rendono presente. -Il ricordo è atto di presentificazione che si compie ora, mentre il suo contenuto è non originario, ma è presentificato “come è stato vissuto una volta” oppure “come vorrei che fosse vissuto in seguito”, nel caso dell’atto dell’attesa. - Il fantasticare è atto di presentificazione di qualcosa che non c’è - L’empatia è l’atto di presentificare in me un vissuto che è in un altro

La dinamica empatica Nell’istante in cui il vissuto emerge improvvisamente dinanzi a me (= l’espressione di dolore che leggo nel volto di un altro), io l’ho dinanzi come un oggetto IO  D (emersione del vissuto) Mentre, però, mi rivolgo alle tendenze in esso implicite e cerco di portare a datità più chiara lo stato d’animo in cui l’altro si trova, quel vissuto non è più propriamente oggetto davanti a me, perché mi ha attratto dentro di sé, IO  D (t, t 1,t 2,t 3 …)   (esplicitazione riempiente)

La dinamica empatica (segue) per cui adesso io non sono più rivolto a quel vissuto (D), ma immedesimandomi in esso, sono rivolto al suo oggetto, lo stato d’animo altrui (t, t 1,t 2,t 3 …), e sono presso il suo soggetto (ALTRO), al suo posto. IO  D (t, t 1,t 2,t 3 …)   ALTRO (esplicitazione riempiente) Soltanto dopo la chiarificazione, cui si è pervenuti mediante l’attuazione giunta a compimento, il vissuto stesso torna davanti a me come oggetto IO  D (t, t 1,t 2,t 3 …)   ALTRO         

L’empatia non è contagio emotivo, ma atto -Nell’empatia il soggetto del vissuto empatizzato non è lo stesso che compie l’atto dell’empatizzare, ma è un altro, dal momento che i due soggetti sono reciprocamente separati (  da ricordo, attesa, fantasia) - Mentre io vivo la gioia/il dolore provata da un altro, non avverto alcuna gioia/dolore originaria in me: essa non scaturisce in maniera viva dal mio io, ma è l’altro soggetto quello che prova in maniera viva l’originarietà ed io me ne rendo conto, sebbene non la viva.

L’empatia è atto Nella mia esperienza vissuta non originaria mi sento accompagnato da un’esperienza vissuta originaria, la quale non è stata vissuta da me, eppure si annunzia in me, manifestandosi nella mia esperienza vissuta non originaria. In tal modo perveniamo, per mezzo dell’empatia, ad una specie sui generis di atti esperienziali di presentificazione.