Tramite suoi emissari, il presbitero Luciano invia cibo a Montano e Lucio che si trovano in prigione e che erano a digiuno già da due giorni. Spesso la possibilità di visitare i carcerati dipendeva dall’arbitrio dei graduati militari. 3. Cfr. Passione dei santi Montano e Lucio 9.
Nella Passione di Perpetua e Felicita è solo dopo forti rimostranze che il tribuno diede ordine ai carcerieri di trattare più umanamente i prigionieri e fu consentito ai fratelli... di avvicinarli e di pranzare con loro Passione di Perpetua e Felicita 16,4, in Atti dei martiri, a cura di G. Chiarini, G. A. A. Kortekaas, G. Lanata e S. Ronchey, Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, s.l. 1987, p. 139.
Spesso solo attraverso doni e denaro passato alle guardie diveniva possibile visitare i detenuti.
Tertulliano (seconda metà del il secolo-prima metà del III secolo) attesta che nelle comunità cristiane è usuale fare collette per destinare il denaro raccolto per nutrire i poveri e seppellirli, per i bambini e le bambine rimasti privi di mezzi e di genitori, per i servitori e parimenti per i naufraghi e per... i condannati nelle miniere, nelle isole o nelle prigioni Tertulliano, Apologetico 39,6, in Id., Opere apologetiche, a cura di C. Moreschini e P. Podolak, Città Nuova, Roma Zoo6, p. 299.
Anche Cipriano (III secolo), vescovo di Cartagine, testimonia nelle sue Lettere l’usanza di raccogliere fondi da destinare ai fratelli nella fede finiti in carcere.
Dall’antichità fino ai nostri giorni le carceri sono quel luogo infernale che a volte è divenuto luogo di manifestazione della grazia e della misericordia di Dio in maniera assolutamente sorprendente.
Chi ne vuole avere un esempio legga lo splendido libro dell’archimandrita Spiridone, Le mie missioni in Siberia.
I racconti degli incontri del prete e monaco ortodosso russo Spiridone con i detenuti in prigioni siberiane tra il 1896 e il 1906, sono un vero magistero di compassione e una narrazione della potenza della grazia di Dio che si fa strada anche nei cuori dei più incalliti delinquenti Cfr. Archimandrita Spiridone, Le mie missioni in Siberia. Cose viste e vissute, Gribaudi, Torino 1982; cfr. anche S. Merlo, Una vita per gli ultimi. Le missioni del l’archimandrita Spiridone, Qiqajon, Bose 2008.
Visitare i carcerati oggi Visitare i carcerati ha ancora oggi un primo ed elementare significato: farsi presenti a chi vive in prigione.
La popolazione carceraria è formata in gran parte da poveri, emarginati, stranieri immigrati, tossicodipendenti: diversi di questi non hanno nessuno, non hanno persone che li vadano a visitare e dunque nessuno con cui parlare e da cui farsi ascoltare, ai cui occhi sapere di contare qualcosa.
La perdita della libertà, la solitudine affettiva e sessuale, l’assenza di vita sociale, la prospettiva di rimanere a lungo in carcere, spesso inducono atteggiamenti di perdita di interesse per la vita, provocano abbrutimento o tentazioni suicide.
Stretto tra disperazione e rivolta, il carcerato ha bisogno di un volto che lo ascolti e gli parli, gli faccia sapere con la sua presenza e la sua accoglienza che egli è più grande degli atti che ha commesso e che a essi non è riducibile.
Il contatto epistolare è particolarmente utile e importante.
Chi visita un carcerato e instaura con lui una relazione che dura nel tempo, si trova confrontato spesso con una persona in grave crisi “spirituale”, dove spirituale si riferisce al senso dell’esistenza.
Il dialogo sarà dunque un cammino comune verso un senso possibile, cammino che per il carcerato spesso comporta di mettere ordine nel rapporto con il tempo che la colpa commessa può aver turbato o distrutto.
Occorre imparare a guardare al passato senza restare ostaggio della colpa commessa o preda del rimorso; si tratta di assumere il presente così com’è, con le sue costrizioni e limitazioni; è importante volgersi al futuro confrontandosi realisticamente con l’attesa del giudizio, la durata della pena, il momento spesso critico dell’uscita di prigione.
Nel tempo chiuso, in quel non tempo in cui la prigione, quale istituzione totale, sprofonda il detenuto, si tratta di aiutare il carcerato a cogliersi nella dimensione temporale perché solo così egli può ricostruire l’immagine di sé abbattuta dalla colpa e depressa dalla pena.
Aiutarlo a guardare in faccia il male commesso può far sì che il periodo di detenzione diventi un tempo di liberazione interiore e di riconciliazione con se stesso.
La testimonianza di diversi cappellani delle carceri mostra che effettivamente a volte il periodo di detenzione può diventare occasione di comprensione rinnovata di sé, non certo a motivo dei mezzi che il carcere metterebbe a disposizione, ma a motivo delle rotture e delle crisi che la prigionia provoca.
Certamente, si tratta di infondere fiducia nel carcerato, aiutandolo a non disperare e a non lasciarsi andare (cosa che può facilmente succedere a chi si sente gettato in quelle pattumiere della società che sono le prigioni), a non abdicare alla propria umanità.
Ovviamente una pastorale che presti attenzione ai carcerati dovrà volgersi anche ai familiari del carcerato, fornire aiuto e sostegno alle famiglie, assicurarsi che esse conoscano le forme di assistenza di cui hanno diritto e ne usufruiscano...
Le forme di presenza cristiana nelle carceri sono molteplici e creative.
Certo, il lavoro di assistenza e di prossimità ai carcerati, insomma il “visitare i carcerati”, non può essere scisso da un lavoro politico e da una riflessione che, in nome della dignità dell’uomo e dei diritti umani, cerchi di intra vedere forme di pena che non privino della libertà ma che prevedano atti di riparazione.