MODERNITÀ E CONTEMPORANEITÀ. STORIA DEI PADRI

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MODERNITÀ E CONTEMPORANEITÀ. STORIA DEI PADRI Massimiliano stramaglia I nuovi padri. Per una pedagogia della tenerezza, EUM, Macerata, 2009

L’ancien regime si colloca nel lungo periodo che, dal Rinascimento alla Rivoluzione francese, opera il passaggio dal corporativismo feudale, fondato su una società cetuale e sulla decima, all’individualismo borghese, che si sviluppa in funzione e per opera di un’economia programmatica elaborata nella nuova forma del contratto.

CASALINGHITÀ RINASCIMENTALE Nel Quattrocento, la casa acquista il valore simbolico di spazio interiore che necessita di una valorizzazione e di un ridimensionamento strutturali. L’estetica della grandiosità dei palazzi rinascimentali esprime la potenza economica e politica della famiglia residente, più appartata e simile strutturalmente alla famiglia moderna, ridotta alla coppia coniugale e ai bambini. Il palazzo di città diviene ben presto stabile ad appartamenti, e la distribuzione degli spazi rispecchia in maniera sempre più evidente la nascente cultura domestica della privatizzazione.

Dal Rinascimento in avanti, la casa riprodurrà strutturalmente, come uno specchio, l’humus culturale della famiglia che vi risiede; la casa aristocratica, di conseguenza, non può che proporsi come specchio del crescente patriarcalismo: la sedia per il padre, come il trono per il re.

L’IMITAZIONE DEL PADRE Sul piano della filosofia della cultura, Giovanni Papini, nel 1942, definisce l’età rinascimentale quale fase di discrimine tra l’ascetismo medievale, imitazione della passione del Figlio, e la scomparsa di Dio in età moderna. Il Rinascimento è la riscoperta della deità nell’uomo, delle sue grandi potenzialità comunicative e conoscitive, della sua dignità accanto a Dio: è l’età dell’imitazione del Padre.

La tesi di Papini appare non solo suggestiva, ma estremamente veritiera: il principio di imitazione del padre – e del Padre – impererà sovrano per tutta l’età moderna, accanto al principio di autorità, sia come strategia educativa che come ordinamento teologico e politico.

L’AUTORITARISMO PATRIARCALE Nel Quattrocento, simboli del padre sono il trono e la frusta. L’età moderna, annota Roberto Sani, assiste a un rafforzamento dell’autorità maritale e paterna all’interno della famiglia in virtù di una concezione che tende a stabilire un collegamento diretto tra la figura del sovrano, padre e signore della nazione, e quella del genitore, padre e signore della famiglia. Entrambi, padre di famiglia e sovrano, attingono il loro potere vicariale da Dio, Padre e Signore dell’intera famiglia umana.

Il sentimento di lealtà verso lo Stato, secondo Lawrence Stone, riduce il sentimento di lealtà e di solidarietà che legava le famiglie coniugali del parentado, fino a nuclearizzarne la struttura.

Niccolò Machiavelli (Firenze, 1469-1527), ne Il principe (1513), consiglia al sovrano di incutere timore nei sudditi ma di rispettarne la proprietà privata, perché gli uomini, a suo parere, dimenticano prima la morte del padre che la perdita del patrimonio. Secondo Jean Bodin (Francia, 1529-1596), lo Stato non deve violare i diritti del padre di famiglia all’interno della compagine domestica, e, soprattutto, non deve violarne la proprietà. La monarchia, secondo Bodin, è preferibile all’aristocrazia e alla democrazia: come il padre governa la famiglia, così il re è chiamato a governare l’intera nazione.

Con Thomas Hobbes (Inghilterra, 1588-1679), perno della statualità non è più la famiglia, ma l’individuo. Il Leviatano (1651), rileva Mario Telò, “presenta l’immagine del monarca assoluto con in mano i simboli del potere (una spada, simbolo del potere temporale, e il pastorale, simbolo del potere religioso) e il corpo composto da una moltitudine di individui: la moltitudine diventa una sola persona”. Solo il sovrano, in quanto detentore del potere assoluto, è in grado di assorbire la ferinità degli individui.

LA MOLTIPLICAZIONE DEL PADRE Il paternalismo non si riproduce unicamente in termini politici, ma si moltiplica quale istanza educativa: in Italia, il trattato volto alla formazione dei coniugi Tre libri dell’educatione christiana dei figliuoli ad opera di Silvio Antoniano, poi cardinale di Santa Chiesa, è stampato per la prima volta nel 1584 e per una seconda volta nel 1852 (Dell’educazione cristiana e politica de’ figliuoli. Libri tre), coprendo quasi l’intero arco dell’età moderna. Nel trattato, Silvio Antoniano suggerisce come non solo il padre carnale, ma il sacerdote, il maestro, l’anziano, l’amico di famiglia debbano validarsi quali figure paterne.

IL PATERNAGE COME PRATICA-NON PRATICA DIFFUSIVA Martin Lutero (1483-1546) e Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) si collocano rispettivamente agli albori e nella fase finale dell’epoca moderna.

IL SACERDOZIO UNIVERSALE Contro la vendita delle indulgenze promossa da Leone X, Lutero affigge le sue 95 tesi sulle porte della Chiesa di Wittenberg (1517). La Chiesa, secondo il monaco agostiniano, non ha ragione di domandare la grazia attraverso ricompense estrinseche, perché ognuno è sacerdote a se medesimo. Mondanizzazione del matrimonio.

del sacramento matrimoniale , del celibato ecclesiastico. La Chiesa cattolica reagisce al duro colpo della Riforma Protestante con una Controriforma, o Riforma Cattolica, e con il Concilio di Trento (1542-1563) ristabilisce il valore: delle opere buone, del sacramento matrimoniale , del celibato ecclesiastico.

Secondo Dieter Lenzen, il monaco si trova a dover scegliere tra l’autorità papale e quella del padre: il primo ritiene lo stato sacerdotale superiore a quello coniugale, il secondo preme invece per il matrimonio del figlio. Lutero, non a caso, sposa Katharina von Bora, che, come lui, proviene da un ambiente monastico.

Ciò significa che Lutero risolve il conflitto tra paternità divina e paternità carnale attraverso un compromesso: il matrimonio diviene sacerdozio della vita, e il padre di famiglia una sorta di padreterno.

La mondanizzazione del matrimonio innesca una reazione durissima da parte della Chiesa Cattolica; il parroco, annota Giovanna Da Molin, dovrà accertarsi: che i nubendi abbiano scelto liberamente di contrarre matrimonio; che si siano confessati e comunicati; che non vi siano impedimenti alle nozze (pubblicazioni in Chiesa per tre domeniche successive) e dovrà annotare in appositi registri parrocchiali i nomi dei contraenti e dei testimoni presenti.

La Controriforma risponde a Lutero consacrando paternalisticamente il matrimonio come sacerdozio della creazione della vita.

Il padre di famiglia, detentore del culto domestico, diviene, con la Riforma Protestante, detentore del culto: come un parroco, legge la Bibbia, tradotta da Lutero in tedesco, a moglie e figli. Scompaiono, così, la Chiesa come “comunità di fedeli” e le figure vicariali del padre (il sacerdote, il maestro, l’anziano, l’amico di famiglia); resta solo quella, trasfigurata, del principe.

In verità, il pastore, o ministro della parrocchia, è circondato da maestri di scuola e da un concistoro di ragguardevoli anziani: una sorta di “chiericato minimo” che contraddice, nei fatti, il sacerdozio universale. La rinuncia all’anticomunitarismo produce il ritorno della nuova dottrina alla matrice generativa: la Chiesa di Roma.

LA VOLONTÀ GENERALE E LA SOVRANITÀ POPOLARE Jean-Jacques Rousseau nasce in Svizzera, a Ginevra, da famiglia calvinista. Secondo Rousseau, la società priva l’uomo della sua bontà originaria: ne è prova tangibile la legge del più forte stipulata attraverso il “falso contratto sociale”. Un nuovo contratto sociale, espressione della volontà generale, originerà sovranità popolare e un ritorno allo stato di natura (che Rousseau, spiega Franca Pesare, concepisce come semplice astrazione).

Secondo Rousseau, compito specifico dell’infanzia è lo sviluppo della qualità del “sentire”: per tale ragione, ogni bambino ha diritto ad avere un buon padre, così come ogni suddito avrebbe diritto ad avere un buon principe.

Franca Pesare annota come Rousseau si opponga vivamente all’espropriazione dell’autorità paterna da parte del monarca, perché il padre tratta i figli con autorità e amore, mentre il monarca incarna la figura paterna per meri fini utilitaristici, senza preoccuparsi dell’amorevolezza del padre. Rousseau auspica un ritorno allo stato di natura come metafora dell’infanzia (si pensi al bambino naturale, all’Emilio), e, nel promuovere la bontà e l’umanità del padre (e del principe), pone le radici per una futura pedagogia della tenerezza e della democrazia.

IL CULTO DI GIUSEPPE Accanto alla figura della Vergine, l’età moderna scopre la bellezza del simbolo paterno di Giuseppe, padre vicariale del Cristo e patrono della giusta morte. Anche il culto di Giuseppe contribuisce a incrementare la cultura del paternage come pratica diffusiva: assumendo la paternità legale del Cristo, Giuseppe si fa padre di tutti i figli del mondo. La tenerezza per il Figlio del Padre si fa tenerezza per i figli, perché salvando il Salvatore, Giuseppe partecipa per primo alla salvezza dell’intero creato.

La paternità legale del Santo (archetipo della giustizia sociale) si oppone all’odierno familismo, che priva la persona del figlio dell’autentica possibilità di scegliere il proprio futuro. Anche l’Aggiunto, sottolinea Tarcisio Stramare, educa il Figlio al mestiere, ma non lo favorisce: promuove il valore del lavoro e il rispetto dei materiali, ma nella sua umiltà – essenza della paternità di Giuseppe – insegna ai padri ad amare i figli dell’altro – dell’Altro – come fossero i propri. Sulla scorta della pedagogia divina, il familismo è comportamento antidemocratico per eccellenza.

IL SENTIMENTO DELLA FAMIGLIA Nell’età moderna, annota Marzio Barbagli, nasce la famiglia “coniugale intima”, o cosiddetta nucleare. Per Philippe Ariès, il sentimento della famiglia sorge in concomitanza di un inedito sentimento dell’infanzia (bamboleggiamento e tutela della salute della prole). Per Roberto Sani, la modernità non scopre “il sentimento della famiglia”, ma un nuovo sentimento della famiglia. Secondo il parere di Emiliano Macinai, lo storico francese rileva semplicemente il sorgere di un inedito “sentire”: vezzeggiare i bambini, nel Settecento, diviene norma comune e valore condiviso.

La famiglia domestica (fondata su relazioni di intimità non tanto tra coniugi, quanto tra coniugi e domestici), annota Randolph Trumbach, nasce in Inghilterra proprio nel XVIII secolo a opera di un ampio movimento egualitario sviluppatosi in seno alle rivoluzioni inglese (1688 – 1689), americana (1776) e francese (1789). Correlando tale fenomeno con quanto rilevato da Ariés circa la nascita del sentimento della famiglia nel Settecento, la famiglia domestica – fondata su relazioni e diacronica alla famiglia addomesticata dallo Stato, o tale per struttura – non può che sorgere in concomitanza delle rivoluzioni di matrice borghese e di ispirazione democratica.

IL SECOLO DEL PADRE: LE FAMIGLIE BORGHESI La famiglia borghese ottocentesca scopre la madre quale responsabile dell’educazione morale della prole. Tra i prodotti della moltiplicazione del padre, infatti, vi è anche una nuova madre: la casa borghese dell’Ottocento e gli ideali a essa connessi sono lo specchio diretto della famiglia contemporanea e degli ideali domestici del nostro tempo. Nel Rinascimento la casa è lo specchio dell’anima; nell’Ottocento, specchio dell’anima diviene la famiglia borghese.

Con la nascita della fotografia (1836), l’album di famiglia diviene riproduzione realistica dell’evolutività familiare. Le feste cristiane si fanno sempre più feste di famiglia, e il Natale diviene la festa dei bambini attraverso la quale la famiglia può auto-celebrarsi.

Il padre di famiglia borghese è spesso “fuori per affari”, ma presente durante i convivi. L’assenza del padre produce, pertanto, un’inedita forma di maternage, e il “no” del padre diviene, saltuariamente, un “no” genitoriale. Roberto Sani individua, accanto alla famiglia borghese, l’emergere di nuove figure paternali, come il medico di famiglia e il maestro di scuola elementare. Sul piano euristico, di conseguenza, assistiamo a una sorta di paternalismo societario parallelo al crescente patriarcato domestico.

LE FAMIGLIE CONTADINE E OPERAIE Il paternalismo societario coinvolge anche le famiglie contadine e operaie. Il paternalismo è il primo sistema di rivoluzione industriale: il padrone è il “padre” degli operai e l’impresa è una “grande famiglia”, il cui fallimento significherebbe la “morte” dell’operaio salariato. Pure all’interno della famiglia operaia assistiamo alla nascita di un’inedita forma di maternage: nei primi anni del Novecento, infatti, il sostentamento della famiglia sarà nelle mani di entrambi i coniugi.

Il paternage si moltiplica, nondimeno, nella famiglia mezzadrile dell’Italia del secondo Ottocento. Si tratta di un’organizzazione padronale in cui, al vertice, il padrone del podere dirige il massaro – e, di conseguenza, la famiglia del massaro. La moglie del massaro, o reggitrice, contribuisce attivamente alla conduzione del podere: le sue funzioni di comando si esercitano sia sulla domesticità interna (cucina, bucato, orto, tessitura), che sulla futura nuora, la quale non solo deve procreare, ma partecipare a tutte le attività dell’azienda.

Se non vi fosse stata moltiplicazione del padre, la casalinghità della madre non avrebbe potuto assumere una dimensione produttiva – educazione morale della madre borghese, contributo economico della madre operaia, co-conduzione dell’impresa da parte della madre contadina.

Il medico di famiglia riveste per i ceti meno abbienti un ruolo paternalistico di tipo assistenziale, mentre il maestro di scuola è concepito come un usurpatore che sottrae i figli al lavoro delle campagne. L’Ottocento, pertanto, è il secolo del padre in antagonismo con i poteri crescenti del non-padre: è questa la cifra più intima della moltiplicazione.

LA PATRIA POTESTÀ Codici e leggi confermano i fenomeni crescenti del patriarcato domestico e del paternalismo societario. Natale Filippi illustra i tre istituti paterni su cui si fonda il Codice Napoleone del 1804: rapporti tra coniugi regolati a beneficio del marito, gestione dei patrimoni ad appannaggio del marito, patria potestà del padre sui figli minori. Una “famiglia forte in un forte stato”: paternalismo di uno stato accentratore e patriarcato di un padre despota.

I Codici dei governi restaurati, caduto l’Impero di Napoleone, si discosteranno solo relativamente dallo stesso, confermando il primato della potestà paterna. Nello Statuto Albertino del 1848, “con lealtà di Re e con affetto di Padre” Carlo Alberto avoca a sé i diritti del padre sull’intero Regno. La situazione non cambia con il Codice Pisanelli del 1865, fondato sull’autorità maritale nei riguardi della moglie e sulla patria potestà nei confronti dei figli.

TOTALITARISMO E AUTORITARISMO Il ventennio fascista rappresenta uno dei massimi momenti di addomesticamento della famiglia all’autorità statale. Il totalitarismo si traduce in una rigida stereotipizzazione dei ruoli del marito-padre e della moglie-madre: il primo è un despota al servizio della nazione, la seconda una casalinga devota. Il Codice Rocco del 1942 decreterà come un’educazione difforme dal sentimento nazionale fascista costituisca un abuso di patria potestà; l’autorità del capofamiglia, inoltre, è dichiarata strumento fondamentale di coesione dell’unità familiare.

LA LETTERA AL PADRE Nel 1919, Franz Kafka ha trentasei anni. Scrive la famosa “Lettera al padre”, che tuttavia finirà in un cassetto e non sarà mai consegnata al temuto capofamiglia. La lettura di questo capolavoro della letteratura consente di giungere ad alcune importanti conclusioni: un padre dispotico, punitivo, castrante, impedisce al figlio di sviluppare un autentico senso della famiglia. Chi nasce in contesti familiari simili a istituzioni totali, infatti, tende a generalizzare l’esperienza anche in età adulta.

Ciò che Kafka condanna è l’autoritarismo del padre, non “il padre” Ciò che Kafka condanna è l’autoritarismo del padre, non “il padre”. La famiglia, per Kafka, è luogo degli affetti; egli scrive: “Sposarsi, metter su famiglia, accogliere tutti i figli che verranno, mantenerli in questo mondo incerto e magari guardarli anche un po’ è, ne sono convinto, il compito estremo che un essere umano può riuscire a svolgere. Non è mica necessario levarsi in volo fino al sole, basta strisciare fino a un posticino pulito sulla terra dove ogni tanto il sole faccia la sua comparsa e ci si possa riscaldare un po’”.

Nel viaggio che conduce dal deserto domestico al chiaro di bosco, dalla luce che acceca a quella che consente di vedere, si può finalmente imparare a “camminare”, a scegliere liberamente il proprio modello di famiglia, consapevoli che il loto cresce nel fango e che si può scegliere di essere Ottla, e non Franz.

LA SOCIOLOGIA DEL DOPOGUERRA Sul versante delle indagini sull’autoritarismo paterno, la Scuola di Francoforte inaugura un filone di studi che opporrà, agli orrori dell’antisemitismo fascista, la prospettiva di un’efficace rieducazione alla democrazia. La ricerca su La personalità autoritaria (Adorno et alii, 1950) individua come, tra le tendenze antidemocratiche implicite, vi siano l’anti-intraccezione (odio verso gli uomini di animo tenero) e il potere-durezza (preoccupazione per la dimensione del dominio).

Pertanto, la struttura di personalità democratica si fonda anche sulla tenerezza (intraccezione) e sulla gestione morbida del potere, opposta al complesso del potere. La ricerca, in sintesi, non si oppone al principio di autorità, quanto all’autorità autoritaria (E. Frenkel-Brunswik).

LE DONNE ALLE URNE Il 2 giugno 1946, per la prima volta nella storia, le donne italiane sono chiamate alle urne insieme agli uomini per votare il referendum che proclamerà l’Italia, fino ad allora governata da Vittorio Emanuele III, una Repubblica. Il 1 gennaio 1948 entrerà in vigore, in sostituzione del secolare Statuto Albertino, la nostra Carta costituzionale. L’articolo 29, comma 2, della Costituzione, recita: “Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

LA LEGISLAZIONE SULLA FAMIGLIA IN ITALIA Nel 1974, il popolo approva mediante referendum la legge sul divorzio (n. 898 del 1970: Disciplina nei casi di scioglimento di matrimonio). I figli del divorzio sono solitamente affidati alla madre, che assume una funzione materna e paterna insieme piuttosto che promuovere il valore del padre in quanto tale, e non in quanto coniuge.

Nel 1981, il popolo approva mediante referendum la legge sull’aborto (n. 194 del 1978: Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza). La riforma del Diritto di famiglia (legge n. 151 del 1975) abolisce per sempre la patria potestà, sostituita finalmente dalla potestà genitoriale.

PER UNA PEDAGOGIA DELLE RELAZIONI EDUCATIVE FAMILIARI La Costituzione obbliga inderogabilmente a garantire i diritti inviolabili dell’uomo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (articolo 2). La famiglia di fatto, in quanto formazione sociale ove si svolge la personalità del singolo (e non in quanto “famiglia”), dovrebbe essere tutelata affinché sia tutelata la persona che si muove all’interno della formazione sociale stessa, in primo luogo la donna e il bambino.

Un esempio classico è quello della coppia convivente con figli: in base a quale criterio le politiche sociali dovrebbero eludere una formazione sociale di siffatta specie dall’alveo delle “comunità educanti”? Il problema, piuttosto, è quello di trovare una formula giuridica alternativa a “famiglia” – ad esempio, “comunità di relazioni familiari” – che consenta tuttavia alle persone di esercitare i propri diritti e osservare i propri doveri.

PER UNA POLITICA DELLA TENEREZZA Se la famiglia nasce storicamente come comunità di famuli riunita intorno a un pater familias, il recupero di valori patriarcali porrebbe al centro il padre e la famiglia. La politica della tenerezza, al contrario, promuove il recupero di valori paterni, che, non esprimendosi nella logica del dominio, pone al centro i padri e le relazioni educative familiari. Uno Stato paterno e non paternalistico accoglie il primato del bambino e tutela la famiglia, formazione sociale naturalmente predisposta all’accoglienza del futuro di cui ogni nuovo nato è portatore.