LA SOCIETA’ OMERICA.

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Transcript della presentazione:

LA SOCIETA’ OMERICA

Le tracce di epoche diverse Omero, dipingendo un'epoca lontana grande e splendida, cioè quella dei re, dei combattenti e dei navigatori micenei, da un lato narra eventi e costumi che sapeva propri di quella età, ma introduceva anche, inconsapevolmente, elementi propri della realtà a lui contemporanea, cioè l’VIII secolo a.C., e del periodo intermedio (il medioevo ellenico). Fra le principali anacronie, ricordiamo: le armi e gli strumenti sono di bronzo, ma Omero, nelle similitudini nomina spesso il ferro (sconosciuto ai micenei, ma tipico della sua epoca); i guerrieri si servono di carri leggeri trainati da cavalli, come all'epoca micenea, ma Omero ricorda anche l’uso dei cavalcare i cavalli, che fu introdotto in Grecia dai Dori, dunque dopo la fine dell’età micenea. il viaggio di Ulisse ripercorre le rotte già tracciate dai Micenei nel Mediterraneo occidentale, ma l’autore descrive una società in cui la pratica dell’attività marinara è tipica; i riti funebri che vengono celebrati si concludono con la cremazione, tipica del Medioevo ellenico, cioè dell'età successiva a quella micenea, in cui si praticava l'inumazione (lo testimoniano le tombe micenee); la figura del re nell’Iliade è abbastanza vicina a quella del potente wanax miceneo, mentre nell' Odissea si avvicina di più a quella del basileus del medioevo ellenico, i cui poteri erano fortemente limitati dalle assemblee dei nobili.

ANTROPOLOGIA E TEOLOGIA NEI POEMI OMERICI

Le relazioni umane La concretezza del linguaggio omerico (Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo) I 9 verbi della vista: oéra^n, ièdei^n, leu@ssein, aèqrei^n, qea^sqai, ske@ptesqai, oòssesqai, dendi@llein, de@rkesqai = lampeggiare dello sguardo; paptainein = guardarsi intorno con circospezione). I sostantivi che indicano il corpo: sw^ma = il cadavere; de@mav = la corporatura; me@lea = i muscoli; gui^a = le articolazioni; crw@v = la superficie del corpo. La dimensione interiore dell’uomo: yuch@ = elemento vitale; qumo@v = l’organo che suscita le emozioni; no@ov = la funzione che genera le immagini; frh@n = il diaframma. Civiltà di vergogna (Eric R. Dodds, I Greci e l’irrazionale). Non un conflitto etnico: stessi dei e stessa cultura fra Greci e Troiani Scene tipiche e consuetudini sociali (W. Arend)

Gli uomini nell’Iliade Caratteri dell’eroe omerico (es. Achille): - Forza e bellezza: egli è kalo@v te me@gav te. - L’onore (timh@): nobiltà di nascita ma anche di comportamento in battaglia. - La vergogna (aièdw@v): reazione al giudizio negativo degli altri aòristoi. - L’ira (mh^niv): reazione all’onore oltraggiato. - L’individualismo : le aèristei^ai come duelli. - La fama (kle@ov) conseguita attraverso la vittoria o la morte in battaglia (la gioia del combattimento è qualcosa di lontanissimo dalla nostra sensibilità). Agamennone e la nuova base del potere: Scontro fra due ideali: aèreth@ (valore in battaglia) e aòfenov (ricchezza). Il peso dei “doni” nella società aristocratica: ma non placano l’oltraggio ricevuto. Ettore eroe moderno: Ettore, la sua famiglia e il suo popolo: ma non sfugge alla regola dell’ aièdw@v. L’amore e la morte: la figura di Andromaca e la preveggenza della fine. Achille dalla “ferinità” alla partecipazione umana: L’incontro con Priamo: inizio dell’umanesimo occidentale. Tersite e il mondo popolare

Gli uomini dell’Odissea Nell’Odissea si possono individuare: - componente epica: la strage dei Proci come duello (ma c’è “suspence” fino all’ultimo). - componente avventurosa: la prova sostituisce la guerra. I nuovi valori dell’eroe: L’intelligenza (mh^tiv): Odisseo è polu@metiv e polu@tropov e la fama si basa sulla astuzia non sulla forza. La civiltà: i Greci sono soggetti alle norme (qe@mistev), i Ciclopi privi di norme (aèqe@mistoi). Il no@stov: dall’infinito al finito, alla ricerca degli affetti. Il sentimento: è “privato” e “soggettivo”. Es. Nausicaa, Argo, Penelope. Verso la crisi della “società della vergogna”?

Gli dei nei poemi omerici Gli dei nei poemi omerici sono stati interpretati come: 1) ipostasi di aspetti dell’uomo (interpret. psicologica) 2) personificazione di forze della natura (interpret. antropologica) 3) specchio della società aristocratica (interpretaz. sociologica) Nell’Iliade: Divinità solari e non ipostasi di forze magiche. Ma il mistero c’è: la Moira e il lato oscuro della vita. Nell’Odissea: Gli dei garanti di giustizia Il mondo dell’oltretomba: da una visione laica all’idea di una vita ultraterrena, seppure negativa (Odissea XI: la ne@kuia).

Relazioni fra uomini e dei Il pantheon omerico: tratti arcaici: teriomorfismo; tratti moderni: antropomorfismo e irridente comicità. I poteri degli dei oscillano tra: un potere e una preveggenza quasi assoluti; Il condizionamento da un potere superiore non sempre chiaro. Es. Zeus ed Era assistono alla morte di Sarpedone (Iliade XVI, 431-461). Le relazioni fra dei e uomini (Albin Lesky): 1. prossimità/distanza: gli dei interferiscono con gli uomini, ma sono anche distanti da essi; 2. favore/crudeltà: un favore può trasformarsi in crudeltà improvvisa; 3. arbitrio/diritto: il comportamento degli dei è amorale, e sono spesso violenti e ingiusti, ma Zeus nell’Odissea si pone come garante del diritto.

LA QUESTIONE OMERICA

La figura di Omero Sin dall'antichità, ad Omero, si attribuiva la composizione di due poemi, l’Iliade e l’Odissea, e di numerose altre opere minori tra le quali gli Inni, che narrano le vicende degli dèi e ne tessono l'elogio, la Batracomiomachia, cioè la battaglia delle rane e dei topi, una parodia del genere epico e gli Epigrammi. La tradizione lo descriveva come un vecchio molto saggio, cieco, come indicava il nome (interpretato come oé mh# oérw^n, colui che non vede; anche se oçmhrov è parola greca che significa “ostaggio”), degno di venerazione e di rispetto anche per la sua menomazione, poiché ai ciechi ve­nivano spesso attribuite doti profetiche. Omero vagava di città in città per cantare i suoi poemi. Ben undici città si contendevano l'onore di avergli dato i natali, tra cui Smirne, Argo e la stessa Atene. Quanto all'epoca in cui il poeta visse, lo storico greco Erodoto (484-430 a.C.) indica la metà del IX secolo. Oggi si tende a pensare alla metà dell’VIII sec. A.C. Dubbi sull'attribuzione delle due opere principali ad uno stesso autore e sull'esistenza stessa del poeta Omero cominciarono a nascere già in età ellenistica (III secolo a.C.), quando ebbe inizio la cosiddetta questione omerica.

I termini della questione La questione omerica è quel complesso di problemi che la critica letteraria (o filologia) studia a proposito di Omero, cercando di rispondere alle seguenti domande: 1) è esistito il poeta Omero? 2) è l’autore di tutte le opere a lui attribuite? 3) I poemi omerici hanno una loro unità?

Le premesse: i filologi alessandrini In epoca ellenistica (III-II secolo a.C.) i filologi che lavoravano alla Biblioteca di Alessandria d’Egitto (noti come “grammatici alessandrini”, fra i quali ricordiamo Aristarco di Samotracia, Aristofane di Bisanzio e Zenodoto di Efeso) iniziarono a studiare in modo scientifico tutte le opere attribuite al poeta Omero e sollevarono dubbi circa l'autenticità delle opere cosiddette minori. Ma studiarono soprattutto l'Iliade e l'Odissea: li divisero in 24 libri e ne pubblicarono le prime edizioni critiche. Due grammatici, Xenone ed Ellanico ipotizzarono, per le evidenti differenze che esistono fra i due poemi, che solo l'Iliade fosse opera di Omero, assegnando l'Odissea ad un altro poeta di epoca più tarda (furono detti cwri@zontev, cioè separatisti). Prevalse, tuttavia, la teoria unitaria, sostenuta da Aristarco di Samotracia, che riconosceva come non autentiche le opere minori, ma sosteneva che Iliade e Odissea erano stati scritti da una sola persona. L’autore anonimo del trattato “Sul sublime” (I sec. d.C.) assegnerà l’Iliade alla giovinezza e l’Odissea alla maturità di Omero.

Le premesse: tra Sei e Settecento La questione venne ripresa intorno alla metà del Seicento, quando il francese François Hédelin, abate D'Aubignac (1604-1676) sostenne, nelle Congetture accadeiche o dissertazione sull’Iliade (1668), che Omero non fosse mai esistito e che i due poemi fosero, in realtà, un insieme di canti staccati (definiti “piccole tragedie”, opera di aedi diversi, privi di unità e coesione interna, messi per iscritto all'epoca di Pisistrato (VI sec. a.C). Il filosofo italiano Gian Battista Vico (1668-1744) nella II edizione dei Principii di Scienza Nuova (1730) proclamò Omero una figura favolosa e simbolica, un'idea che incarnava la storia di un popolo, e definì i poemi una “opera collettiva” del popolo greco che celebrava il proprio patrimonio culturale. Nel Saggio sulle origini delle lingue (1762), il filosofo illuminista Jean-Jaques Rousseau rivendicò anche per Omero la nozione di “linguaggio naturale o selvaggio”, rispetto al quale la scrittura rappresentava un asservimento della passione e della fantasia. L’inglese Robert Wood, nel 1769, ribadì nel suo libro Un saggio sul genio originario di Omero, che la composizione e la trasmissione dei poemi dovevano essere avvenute oralmente.

La scuola analitica… La prima indagine rigorosa dal punto di vista scientifico venne fornita dal filologo tedesco Friedrich August Wolf (1759-1824), nei Prolegomena ad Homerum (1795), che dovevano essere la premessa ad una edizione critica del testo dei due poemi: essi erano una serie di canti separati tramandati dagli aedi per via orale e quindi soggetti a modificazioni ed ampliamenti, fissati in forma scritta intorno al VI sec. a.C. (sarebbe stato Pisistrato a far cucire insieme diversi canti tramandati separatamente). Le idee di Wolf furono riprese nell'Ottocento dalla cosiddetta corrente analitica, (da aènalu@ein = enucleare) i cui maggiori esponenti furono: Karl Lachmann (1793­1851), con la celebre teoria dei canti sparsi (individuò nell’Iliade da 16 a 18 rapsodie). Gottfried Herder (1772-1848), con la teoria del nucleo originario (secondo la quale Omero avrebbe composto due canti originari, Urilias e Urodissias, che sarebbero poi stati progressivamente ampliati da altri autori),; Adolf Kirchhoff (1826-1908), per il quale l’Odissea era l’unione di quattro poemi più brevi (Kleinepen); Ulrich von Wilamowitz (1848-1931), il princeps filologorum, che sosteneva anche per l’Iliade la teoria dei Kleinepen, ma riteneva che doveva essere esistito un poeta che intorno all’VIII sec. a.C., aveva unificato i poemetti in un epos monumentale (Grossepos).

…e quella unitaria In opposizione alla corrente analitica, agli inizi del ‘900 la teoria “unitaria” fu rilanciata dal filologo tedesco Wolfgang Schadewalt che nei suoi Studi sull’Iliade (1938), sosteneva la coerenza interna dell’Iliade e attribuiva la loro composizione ad un unico poeta di genio, vissuto presumibilmente intorno all'VIII secolo a.C., che avrebbe rielaborato in modo del tutto originale del materiale preesistente. Sull’Odissea, invece, la posizione di Schadewalt resta parzialmente analitica. Da queste basi, nel corso del novecento, si è sviluppata la corrente “neo-unitaria”, della quale ricordiamo Karl Reinhardt, che nel saggio L’Iliade e il suo poeta (1961) sostiene e che l’Iliade e l’Odissea sono opere concepite in modo unitario (e non frutto dell’unione di canti preesistenti), come prova la complessa architettura dei due poemi.

Milman Parry e l’oralistica Tra il 1928 e il 1932 lo studioso americano Milman Parry (1902-1935) pubblicò dapprima una serie di studi, poi i risultati di una serie di campagne di ricerca in Serbia e Croazia condotte insieme ad Albert B. Lord tra il 1933 e il 1935 (registrò più di 12500 esecuzioni orali). Egli scoprì che i cantori popolari serbo-croati (detti “guslari”, perché si accompagnavano con la “gusla”, una sorta di violino) erano in grado di improvvisare canti eroici di estensione paragonabile all’Iliade e all’Odissea, ricorrendo a un patrimonio formulare tramandato mnemonicamente: dunque, come loro, gli antichi aedi improvvisavano la loro poesia nel momento stesso in cui la recitavano, attingendo ad un materiale precostituito da una lunga tradizione. È dunque per questo motivo che utilizzavano uno stile formulare: le formule, infatti, grazie alla loro ripetitività, aiutavano il cantore, che narrava i vari episodi basandosi sia sulla memoria sia sull'improvvisazione, a ricordare i versi; inoltre rappresentavano un serbatoio a cui attingere per completare i propri versi improvvisati o non ricordati. L’Iliade e l’odissea sarebbero dunque la rielaborazione in forma scritta di materiale precedente tramandato oralmente.

Dizione epica e genesi dei poemi Canti magici e preghiere Canti mitici e mitologia divina Mitologia degli eroi Il canto di Achille, Femio e Demodoco Il cantore guerriero Gli aedi e il loro repertorio Formularità: esempi Interazione simpatetica fra pubblico e aedo Oralità e scrittura convivono. Ciò spiega: - la convivenza di anacronismi: Stratificazione di civiltà - la aritificialità della lingua

L’ “Erta Vilusa” Calvert Watkins e l’ “Erta Vilusa”

Punti fermi e questioni aperte Oggi molte questioni restano ancora aperte, ma possiamo affermare con una certa sicurezza che: 1) la composizione dell'lIiade è precedente a quella dell'Odissea, in quanto sussistono differenze nella rappresentazione della società sia in ambito politico sia culturale e religioso: la prima fu redatta nel corso dell'VIII secolo, la seconda alla fine del medesimo secolo e testimonia un livello di evoluzione sociale maggiore; 2) la nascita dei poemi si colloca nel momento in cui la tradizione orale stava lasciando il posto a quella scritta ed essi rappresentano l'elemento di transizione dall'oralità alla scrittura; 3) i due poemi sono il risultato più raffinato di opere tramandate oralmente, come testimoniato da epiteti, formule fisse, versi identici impiegati dagli aedi per ricordare i canti recitati; essi, dunque, hanno subito rimaneggiamenti, aggiunte, tagli effettuati dagli stessi cantori e confluiti nella stesura del testo scritto; 4) l'elaborazione della materia orale in forma scritta è stata effettuata da uno o più poeti, che, secondo alcuni, si sarebbero limitati a riunire e organizzare canti già esistenti, secondo altri, avrebbero impresso al ma­teriale in loro possesso un'impronta decisiva e del tutto personale, modificandolo in modo significativo.

LE CARATTERISTICHE DELLA NARRAZIONE

Una struttura stereotipata I poemi omerici presentano una struttura rigida: I poemi epici si aprono solitamente con un proemio o protasi, in cui l'autore espone brevemente l'argomento dell'opera. Nelle opere antiche esso contiene anche l'invocazione alle muse, chiamate ad ispirare il poeta affinché possa efficacemente ricordare ed esprimere il passato. Per il resto i poemi epici presentano una sostanziale unità di azione e di intreccio, articolata intorno alla figura centrale di un eroe protagonista. Spesso, però, i poemi epici tendono a isolare degli episodi che, pur avendo un legame con la struttura complessiva, costituiscono sezioni a sé stanti, come nell’'Iliade, dove l'eroe Glauco e Andromaca, la moglie di Ettore, narrano la storia della famiglia per giustificare i loro comportamenti. Talvolta sono questi episodi secondari che sottolineano l'a­spetto umano dei personaggi, la loro capacità di provare dolore, disperazione, pietà, amore.

Il tempo del racconto Tempo del racconto caratterizzato da un uso sapiente e articolato di prolessi o flash-forward (anticipazioni su sviluppi futuri della vicenda) e analessi o flash-back (narrazione di eventi accaduti molto tempo prima). Tale espediente rende vario l'intreccio e rivela sensibilità nell'organizzare la struttura narrativa. Un esempio di prolessi è, nell’IIiade, il concetto, più volte ribadito, della caduta di Troia, nell'Odissea il ritorno certo di Ulisse, dichiarato già nel prologo. Le analessi sono numerose e accompagnano le descrizioni dei vari personaggi fornendo notizie sul loro passato o spiegando eventi già accaduti. Talvolta, come nell'Odissea, sono introdotte dalla voce stessa del protagonista che attraverso il “tempo del ricordo” trasmette al pubblico le sue emozioni e i suoi sentimenti.

LA LINGUA E LO STILE DEI POEMI OMERICI

L’esametro e le similitudini Nei poemi epici greci e latini viene usato l'esametro, il tipo di verso più idoneo al racconto per il suo ritmo ampio e fluente. Nel genere epico si fa grande impiego di similitudini, cioè di paragoni tra personaggi o situazioni con immagini forti che ne sottolineano un aspetto particolare. Ad esempio, l'eroe che si getta in battaglia è simile ad un leone che si avventa sulla sua preda; Achille all'inseguimento di Ettore appare come un cane sui monti che insegue un piccolo di cerva. L'uso di questa figura retorica è particolarmente significativo, poiché i paralleli, attingendo spesso al mondo quotidiano (caccia, agricoltura) come a quello religioso, mitologico o naturale, ci forniscono informazioni sulla vita, sui sentimenti e sul pensiero di popoli di cui il canto epico è l'espressione.

Lo stile formulare Nell'epica antica vi sono frequentissime espressioni ricorrenti, tanto che si può parlare di uno stile formulare, cioè fatto di formule fisse (nei poemi omerici, ad esempio, dee e donne bellissime sono sempre dotate di «bianche braccia», i guerrieri valorosi sono sempre paragonati a feroci leoni). Lo stile formulare consiste nella ripetizione insistita di: - patronimici (ad esempio: Achille è definito il Pelide in quanto figlio di Peleo; analogamente troviamo il Laerziade, figlio di Laerte, l'Atride, figlio di Atreo); - epiteti, che indicano qualità fisiche o morali (ad esempio: Achille dal piede veloce, Agamennone il re dall'ampio potere, Atena dagli occhi azzurri; Odisseo distruttore di città; Apollo, che è in grado di saettare lontano); - espressioni ricorrenti per definire condizioni del mondo naturale (ad esempio: l'Aurora dalle dita di rosa) o situazioni (ad esempio i personaggi parlano sempre con parole alate), ecc. - interi versi o gruppi di versi ripetuti