Il sistema della impugnazioni Cenni in tema di impugnazioni
Il principio di tassatività: i provvedimenti de libertate e le sentenze (ad eccezione di quelle in tema di competenza) sono sempre ricorribili per cassazione, mentre per la esperibilità degli atri mezzi di impugnazione è necessario seguire le indicazioni del legislatore. Vi deve essere, quindi, un formale provvedimento del giudice perché sia proponibile un qualsiasi mezzo di impugnazione.. I provvedimenti del P.M: non sono impugnabili perché atti di parte. Non sono ricorribili le decisioni della Corte di Cassazione, tranne che nel caso del ricorso straordinario per errore materiale o di fatto ex art. 625 bis c.p.p.
Fa eccezione al principio di tassatività Il provvedimento abnorme. che è quello oaratterizzato da assoluta estraneità ed incompatibilità con il sistema processuale; che per la sua stranezza e singolarità si pone al di fuori dell'intero sistema processuale sicché se ne impone la immediata eliminazione dal mondo del diritto. Ad esso può porsi rimedio solamente con il ricorso per cassazione (es: Archiviazione disposta in difetto di richiesta del p.m.- Imputazione coatta nei confronti di soggetto non oggetto di alcuna richiesta da parte del p.m.- Dichiarazione di ndp per morte indagato a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notitia criminis).
La nozione di interesse Si atteggia in forma diversa per il p.m.e per l'imputato. Per il pubblico ministero che è organo di giustizia l'interesse è rappresentato dall'intento di rimuovere una decisione in qualsiasi modo ingiusta quali che ne possano essere le conseguenze sfavorevoli o favorevoli per l'imputato. Per l'imputato l'interesse non può prescindere dalla necessità di rimuovere una situazione sfavorevole connessa al provvedimento e quindi da una prospettiva di vantaggio derivante dalla rimozione del provvedimento. Di qui il carattere della attualità dell'interesse che ha da perdurare fino al momento della decisione e della concretezza.
La Cassazione è ferma sul principio per cui nel sistema processuale penale la nozione di interesse non si basa sul concetto di soccombenza - a differenza delle impugnazioni civili che presuppongono un processo di tipo contenzioso, quindi una lite intesa come conflitto di interessi contrapposti - ma va piuttosto individuata in una prospettiva utilitaristica, ossia nella finalità negativa di rimuovere una situazione di svantaggio processuale derivante da una decisione giudiziale, e in quella, positiva, del conseguimento di un'utilità, ossia di una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame, e che risulti logicamente coerente con il sistema normativo (Sezioni Unite 27 ottobre 2011 n. 6624)
Esempio: Proposta impugnazione dell'imputato avverso la sentenza emessa in rito abbreviato per asserita invalidità della procura speciale rilasciata per il rito, la Cassazione ha escluso la sussistenza di interesse ad impugnare perché in caso di accoglimento del ricorso sarebbe stato eliminata la riduzione di un terzo della pena inflitta a seguito del giudizio abbreviato.
Il P.M. è organo garante dell'osservanza delle leggi e della pronta e regolare amministrazione della giustizia (art. 73 O.G.) portatore di interesse a proporre impugnazione ogni volta in cui ravvisi la violazione o l'erronea applicazione di una norma giuridica. Ciò non toglie che l'impugnazione debba anch'essa rivestire i caratteri dell'attualità e della concretezza, suscettibile di produrre la rimozione di un pregiudizio reale. Dunque è inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione avverso la sentenza di assoluzione di 'imputato di reato contestato ma già prescritto, sicché l'invocato annullamento con rinvio della sentenza mai potrebbe condurre a un giudizio di colpevolezza (Sez. Vi 19 ottobre 2012 n ),,
L'interesse della parte civile attiene alla esistenza di una ragione economica di ottenere la decisione richiesta al fine di rimuovere il pregiudizio che a quella ragione arreca il provvedimento impugnato (in tal senso, in motivazione di sez. V 26 gennaio 2001 n 8577) E' dunque ammissibile la impugnazione della parte civile, che richiede in appello una diversa definizione giuridica del fatto ai fini della quantificazione dei danni da reato,
Invero la definizione giuridica del fatto può essere svincolata dagli effetti penali conseguenti, senza essere per tale ragione fine a se stessa, poiché la sentenza penale di condanna, a norma dell'art. 651 c.p.p, ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale nel giudizio civile (o amministrativo) per le restituzioni e il risarcimento del danno. La diversa qualificazione richiesta del fatto illecito come doloso invece che colposo implica una sua valutazione di maggiore gravità, che va desunta da una serie di elementi tra i quali l'intensità del dolo e il grado della colpa, e implica una diversa quantificazione del danno da risarcire.(Sez. I 19 febbraio 2013 n. 3148)
Si ammette generalmente che l'imputato abbia interesse ad impugnare una pronuncia assolutoria con la formula "il fatto non costituisce reato" in luogo di quella "il fatto non sussiste", perché quest'ultima ha maggiore efficacia in senso a lui favorevole negli eventuali giudizi civili, disciplinari ed amministrativi, alla stregua dell'orientamento secondo cui la parte civile ha interesse ad impugnare sentenze di proscioglimento, ancorché non preclusive dell'azione civile, con formule che possano limitare il soddisfacimento della pretesa risarcitoria nella competente sede.
Le Sezioni Unite si sono pronunciate (22 maggio 2008) sul punto se la parte civile abbia o meno interesse a proporre ricorso per Cassazione contro una sentenza che abbia prosciolto l'imputato (nel caso concreto dalla imputazione di diffamazione a mezzo stampa con la formula "perchè il fatto non sussiste a norma dell'art. 51 c.p.", allo scopo di ottenere la formula "perché il fatto non costituisce reato". Dopo avere ricordato che quella delle sentenze di proscioglimento è una categoria che "non costituisce un genus unitario, ma abbraccia ipotesi marcatamente eterogenee, quanto all'attitudine lesiva degli interessi morali e giuridici del prosciolto" la Corte ha motivato con i seguenti passaggi...
1) talune sentenze di proscioglimento "sono idonee ad arrecare all'imputato significativi pregiudizi, sia di ordine morale sia di ordine giuridico". Quanto ai pregiudizi di ordine morale, in alcune ipotesi, possono persino superare quelli derivanti da una sentenza di condanna, come nel caso di proscioglimento per totale infermità di mente o per cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti. I pregiudizi di ordine giuridico derivano dalla possibilità "che l'accertamento di responsabilità o comunque o di attribuibilità del fatto all'imputato, ancorché privo di effetti vincolanti, pesi comunque in senso negativo su giudizi civili, amministrativi o disciplinari connessi al medesimo fatto".
2) Le formule assolutorie per insussistenza dl fatto o per non aver commesso il fatto debbono essere adottate in via preferenziale rispetto a tutte le altre in quanto totalmente liberatorie poiché con tutte le altre formule diverse la sentenza di proscioglimento in realtà attribuisce all'imputato un fatto, o non esclude l'attribuzione di un fatto, che pur non costituire reato ma tuttavia essere giudicato sfavorevolmente dall'opinione pubblica o comunque dalla coscienza sociale. E ciò sia quando sia stata raggiunta la prova positiva dell'insussistenza del fatto o della sua non commissione da parte dell'imputato, sia quando la prova contraria manchi del tutto o sia insufficiente o contraddittoria.
3) La formula "perché il fatto non costituisce reato" viene normalmente utilizzata nelle ipotesi in cui, pur essendo presenti gli elementi oggettivi del reato, manchi invece l'elemento soggettivo della colpa o del dolo, ovvero sussista una scriminante, o causa di giustificazione, comune o speciale (cfr. Sez. V, 20 marzo 2007, n ) che elimini la antigiuridicità del fatto, La stessa formula "perchè il fatto non costituisce reato" va pronunciata non solo quando vi è la prova che il fatto sia stato commesso in presenza di una causa di giustificazione, ma anche quando vi è dubbio sull'esistenza della stessa (Sez. V, 25 settembre 1995, n ),
4)E' pacificamente riconosciuto l'interesse dell'imputato ad impugnare la sentenza di assoluzione con la formula "perché il fatto non costituisce reato" al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria "perché il fatto non sussiste" o "perché l'imputato non lo ha commesso", e ciò perché a parte le conseguenze di natura morale, l'interesse giuridico risiede nei diversi e più favorevoli effetti che gli artt. 652 e 653 c.p.p., connettono al secondo tipo di dispositivi nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare, a fronte degli effetti pregiudizievoli in tali giudizi derivanti dalla prima formula assolutoria.
5) Per quanto concerne l'interesse della parte civile all'impugnazione delle sentenze va ricordato che il codice di rito riconosce alla p.c.. il diritto di impugnazione, sia pure ai soli effetti della responsabilità civile, anche contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio, oltre che contro i capi della sentenza di condanna che attengono all'azione civile e, se ha consentito al rito, contro la sentenza pronunciata nell'abbreviato. Si ammette anche che per effetto dell'impugnazione della p.c., si possa rinnovare l'accertamento dei fatti a base della assoluzione, al fine di valutare l'esistenza di una responsabilità per illecito e così giungere ad una pronunzia che rimuova quella pregiudizievole per gli interessi civili.
6)Non vi sono ostacoli al riconoscimento dell'interesse della parte civile all'impugnazione, sempre ai soli effetti civili, avverso la sentenza di proscioglimento al fine di ottenere il mutamento della formula utilizzata. Essa infatti ha interesse ad impugnare tutte le sentenze di assoluzione che possono compromettere il suo diritto ad ottenere il risarcimento del danno, anche in considerazione dell'effetto preclusivo della sentenza dibattimentale irrevocabile di assoluzione nel giudizio civile di danno e ciò al fine di ottenere l'accertamento della responsabilità dell'imputato ai fini civili o anche solo una formula di assoluzione che abbia conseguenze pratiche più favorevoli per i suoi interessi civili
7) Tuttavia la necessaria sussistenza del carattere di concretezza dell'interesse va naturalmente verificata tenendo conto degli specifici effetti favorevoli che, nella concreta vicenda, la parte civile si ripromette di ottenere dall'impugnazione e valutando se il suo accoglimento davvero le arrecherebbe una situazione di vantaggio o le eliminerebbe una situazione pregiudizievole. Infatti Ai sensi dell'art. 652 c.p.p, la sentenza di assoluzione ha efficacia di giudicato nell'ambito del giudizio civile di danni solo con riguardo agli elementi relativi all'insussistenza del fatto, alla non commissione dello stesso, ed alla non illiceità per l'esistenza dell'esimente di cui all'art. 51 c.p.
8) La formula assolutoria "perché il fatto non sussiste", potendo astrattamente ricomprendere anche l'ipotesi della mancanza o dell'insufficienza delle prove in ordine alla sussistenza del fatto od all'attribuibilità di esso all'imputato, non è di per se stessa ostativa all'introduzione del giudizio civile, al giudice del quale é rimesso accertare, previa interpretazione del giudicato penale sulla base della motivazione di esso, se l'esclusione della responsabilità dell'imputato sia stata certa o dubbia e, di conseguenza, stabilire se l'azione civile ne sia, rispettivamente, preclusa o meno. L'art. 652 c.p.p. esige infatti l'“accertamento” della insussistenza del fatto etc...
9) Nel caso di specie, poiché l'impugnazione è stata avanzata esclusivamente per modificare la formula assolutoria senza alcun intervento sul contenuto dell'accertamento compiuto dalla sentenza impugnata,.l'accoglimento del ricorso e la sostituzione, ai soli fini civili, della formula errata "perchè il fatto non sussiste" con quella "perchè il fatto non costituisce reato porrebbe bensì rimedio ad un errore del giudice, ma non potrebbe portare alcuna posizione di vantaggio al ricorrente né eliminargli un qualche pregiudizio, perché la sua situazione relativamente all'esercizio dell'azione civile di danno (la sola invocata con il ricorso) rimarrebbe immutata.
L'ISTITUTO DELLA CONVERSIONE DEL MEZZO DI IMPUGNAZIONE L'art. 568 c.p.p., comma 5, determina l'automatico trasferimento del procedimento dinanzi al giudice competente per l'impugnazione secondo le norme processuali, sia che l'errore ne abbia investito la qualificazione formale sia che abbia investito l'individuazione del giudice competente. L'istituto costituisce espressione del principio di conservazione dell'impugnazione, derivante a sua volta dal principio generale di conservazione degli atti giuridici e del favor impugnationis (Sez. III, 20 gennaio 2004 n ).
La giurisprudenza della Corte di Cassazione, inoltre, ne ha esteso l'ambito concettuale fino al punto da ritenere ammissibile l'impugnazione, quand'anche il ricorrente abbia scelto e utilizzato un mezzo non contemplato dalla legge, prevalendo anche in detta ipotesi esclusivamente la volontà della parte intesa comunque a sottoporre a sindacato la decisione impugnata (Sez. I, sent. n del 19/12/1996), Così nel caso di appello contro sentenza inappellabile perché era inflitta la sola pena dell'ammenda l'appello si converte in ricorso e al giudice a quo non è consentita alcuna valutazione sulla sua inammissibilità e, men che mai procedere al giudizio (Sez IV 10 febbraio 2015 n ).
Allo stesso modo, secondo le regole che disciplinano le impugnazioni, la corte d'appello investita dell'impugnazione avverso sentenza predibattimentale, che l'art. 469 c.p.p. dichiara espressamente inappellabile, non ha il potere di decidere sull'impugnazione, ma in applicazione dell'art. 590 c.p.p. deve trasmettere la sentenza di primo grado appellata, l'atto di impugnazione, qualificato ai sensi dell'art. 568 c.5 c.p.p. come ricorso per cassazione, e gli atti del procedimento alla Corte di cassazione, competente a dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione ai sensi del secondo comma dell'art. 591 c.p.p.
IMPORTANTE Ll'istituto della conversione dell'impugnazione previsto dall'art. 568 c.p.p., comma 5, ispirato al principio di conservazione degli atti, determina unicamente l'automatico trasferimento di procedimento dinanzi al giudice competente in ordine all'impugnazione secondo le norme processuali ma non comporta una deroga alle regole proprie del giudizio di impugnazione correttamente qualificato. Pertanto l'atto convertito deve avere i requisiti di sostanza e di forma stabiliti ai fini dell'impugnazione che avrebbe dovuto essere proposta (Sez III, 21 aprile 2015 n )
Il principio in questione ha trovato ripetute applicazioni in tema di appello (poi qualificato come ricorso per cassazione) proposto da difensore non abilitato: alla regola secondo cui il ricorso per cassazione è inammissibile qualora i motivi siano sottoscritti da avvocato non iscritto nello speciale albo dei professionisti abilitati al patrocinio dinanzi le giurisdizioni superiori, non è prevista deroga per il caso di appello convertito in ricorso. In caso diverso verrebbero elusi, in favore di chi abbia erroneamente qualificato il ricorso, obblighi sanzionati per chi abbia proposto l'esatto mezzo di impugnazione.
LA CONVERSIONE DEL RICORSO IN APPELLO NELLA COMPRESENZA DI APPELLO DI ALTRI PARTI (art. 580 c.p.p) Nella pratica accade per lo più che il p.m. proponga ricorso per cassazione il quale, in pendenza dell'appello interposto dagli imputati, si converte ope legis in appello, non potendo pendere contemporaneamente due mezzi di impugnazione diversi contro la stessa sentenza. Ma la conversione in appello del ricorso per cassazione non snatura i tratti del ricorso per motivi di legittimità ampliando gli spazi del devoluto, poiché l'impugnazione ancorché convertita, resta ammissibile solo laddove siano denunciati vizi di legittimità della sentenza.
CASISTICA 1) il ricorso del PG, convertito in appello ex art. 580 c.p.p. a seguito di impugnazione dell'imputato, deve sviluppare motivi di legittimità evidenziando ad esempio la manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza impugnata in punto di pena, applicata nel minimo edittale a fronte di un dato ponderale dello stupefacente di rilievo e di connotazioni chiaramente negative della personalità dell'imputato (Sez. VI 7 novembre 2013 n )
2) Il ricorso del P.G. convertito in appello non può superare il vaglio di legittimità ex art. 606 c.p.p., quando richiede valutazioni di fatto, in sostituzione di quelle espresse dalla sentenza di primo grado, in tema di giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e di quantificazione della pena e, pertanto, risulta inammissibile. 3) è inammissibile l'appello incidentale dell'imputato non appellante, non rilevando la proposizione da parte del P.G. del ricorso per cassazione che si converte in appello ex art.580 c.p.p. solo se la sentenza è appellata da una delle parti e quindi, per il principio di tassatività delle impugnazioni, solo a seguito della proposizione dell'appello e non anche di appello incidentale.
CONVERSIONE E PROVVEDIMENTO DEL GIUDICE DELLA ESECUZIONE Costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui avverso il provvedimento emesso dal giudice dell'esecuzione, qualora abbia deciso de plano ai sensi dell'art. 667 c.p.p., comma 4, è data esclusivamente facoltà di proporre opposizione. Non è, quindi, consentita l'impugnazione immediata dell'ordinanza emessa de plano, atteso che contro di essa è previsto il rimedio dell'opposizione, il cui preventivo esperimento è indispensabile per ottenere un provvedimento eventualmente ricorribile (Sez. l 20 febbraio 2008 n. 8785; Sez. I, 11 gennaio 2013 n. 4083)
RICORSO PER SALTUM Il ricorso "per saltum" non può riguardare i motivi di cui all'art. 606 comma 1 lettere e) d) sicché quando contenga tra i motivi, pur se in via subordinata, la censura di cui all'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e d), esso essere convertito in appello ai sensi dell'art. 569 c.p.p., comma 3, (da ultimo Sez,IV 10 aprile 2015 n. 1716)) La conclusione risponde a un principio generale dell'ordinamento processuale penale, secondo il quale non è possibile omettere il gravame di merito in caso di vizio di motivazione riparabile dal giudice dell'appello o da quello del riesame, abilitati entrambi a integrare la motivazione stessa.
RICORSO PER SALTUM E SENTENZE PRIVE DI MOTIVAZIONE L'orientamento giurisprudenziale preferibile appare quello che afferma che l'assenza totale di motivazione non determina l'inesistenza della pronuncia, dato che il dispositivo letto in udienza è "ex se" provvedimento decisorio idoneo a passare in giudicato se non impugnato. Sussiste, pertanto, in tal caso, l'interesse del P.M. a ricorrere in cassazione avverso la sentenza assolutoria del Tribunale pur in difetto di specifica indicazione delle ragioni di illegittimità della decisione, non potendosi verificare quelle poste a base dell'esclusione della colpevolezza e, pertanto, la correttezza della decisione (Sez.IV, 5 luglio 2012 n ).
In tema di competenza del p.m. ad impugnare Regola generale: La competenza del pubblico ministero ad impugnare è sempre collegata al giudice presso cui è costituito. Va escluso in via generale che il ricorso avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di Appello possa essere proposto dal pm. presso il Tribunale anche se delegato dal P.G. a rappresentarlo nel giudizio di appello ex art. 570 comma 3 c.p.p. Tale disposizione è da considerare eccezionale e, come tale, di stretta interpretazione (Sez IV 10 dicembre 2014 n ) Sul punto esiste anche un orientamento diverso ma minoritario.
Il P.M. di udienza può impugnare la sentenza che ha accolto le sue conclusioni? Anche di recente la Cassazione rifacendosi a SSUU 3/1997 ha ribadito che le conclusioni del PM non precludono la sua legittimazione. Nel caso del pubblico ministero "requirente", le sue "conclusioni" quali che esse siano, «non pregiudicano l'interesse del pubblico ministero ad impugnare il provvedimento» senza che si possa ravvisare una contraddittorietà di condotta e un correlato difetto di interesse perché nel nostro ordinamento, con l'azione penale si chiede al giudice semplicemente di vagliare la responsabilità penale dell'accusato, ma non anche di accogliere una richiesta specifica contra reum”.
Appello del sostituto In assenza di delega L'Ufficio del Procuratore della Repubblica si incarna in tutti i suoi componenti, senza che occorra, verso i terzi, una formale delega del titolare (salva la responsabilità disciplinare del sostituto che non abbia osservato le direttive ad hoc del procuratore). Ne consegue che anche il sostituto procuratore della Repubblica non espressamente delegato dal capo dell'ufficio è legittimato all'impugnazione. Infatti, la delega all'impugnazione costituisce atto interno all'ufficio di cui va presunta l'esistenza e l'imputato non ha, pertanto, titolo per dolersi della sua assenza (Sez. V, sent. n del 12 dicembre 2006).
Inammissibilità della impugnazione formulata dal VPO (Sez V, n.11902) il combinato disposto degli artt. 71 e 72 Ord. giud. rende evidente che al vice procuratore onorario sono riconosciute dal legislatore alcune specifiche funzioni, analiticamente indicate (tra le quali non quelle del potere di impugnazione), nonché altre funzioni indicate solo con il rinvio alle norme che eventualmente e specificamente" le attribuiscano. Tra queste ultime non può essere annoverato l'art. 570 comma 2 che è precetto che attribuisce, invero, il potere di impugnazione al PM che ha presentato le conclusioni in udienza. Tale figura giuridica, peraltro, è definita come "rappresentante" del PM in stretta relazione ai soggetti elencati nel primo comma dell'art SEGUE...
In altri termini i due commi, tra loro integrati, fanno riferimento, ai fini della legittimazione alla impugnazione, al titolare dei vari Uffici di Procura ed ai loro sostituti, magistrati togati, come del resto arguibile anche dalla lettura del terzo comma dell'articolo medesimo che riconosce al rappresentante del PM in udienza la possibilità di partecipare al processo di appello in sostituzione del procuratore generale. Inoltre, il disposto del comma 3 dell'art. 568 impone di ritenere che in mancanza di una espressa previsione attributiva (tassatività soggettiva del potere di impugnazione) il potere di gravame non può essere esercitato dal VPO.
APPELLO P.M. E ORARIO CHIUSURA CANCELLERIA La Cassazione con riferimento a impugnazioni proposte dal Pubblico Ministero, ha affermato che è inammissibile il gravame presentato oltre l'orario di apertura al pubblico dell'ufficio nel giorno di scadenza del termine per impugnare, a nulla rilevando la presenza, nell'ufficio medesimo, al momento della presentazione dell'atto, di personale in servizio, precisando che il termine per fare dichiarazioni, depositare documenti e compiere altri atti in un ufficio giudiziario si considera scaduto ex art. 172 c.p.p. nel momento in cui, secondo i regolamenti, l'ufficio viene chiuso al pubblico, sicché esso non attiene al momento della chiusura effettiva dell'ufficio di cancelleria
A CHI SPETTA LA LEGITTIMAZIONE AD IMPUGNARE FRA DIFENSORE NOMINATO (DI UFFICIO O DI FIDUCIA) E DIFENSORE SOSTITUTO? La risposta di Sez. V 24 novembre 2014 n. 5620
Il codice di procedura ha stabilito la sostanziale equiparazione della difesa di ufficio a quella di fiducia, nel senso che anch'essa si caratterizza per l'immutabilità del difensore fino all'eventuale dispensa dall'incarico o all'avvenuta nomina fiduciaria, il diritto di impugnazione riservato in via autonoma al difensore, ai sensi dell'art. 571 c.p.p., comma 3, compete al difensore di ufficio a suo tempo designato dal giudice o dal pubblico ministero, che va considerato titolare dell'ufficio di difesa anche al momento del deposito del provvedimento impugnabile, pur se, in costanza di una delle situazioni previste dal quarto comma dell'art. 97 c.p.p., egli sia stato momentaneamente sostituito.
L'esigenza di non costringere la sostituzione del difensore di ufficio in limiti temporali aprioristicamente determinati e per l'impossibilità di pretendere dal difensore "sostituito" comunicazioni circa le cause ed i tempi di durata dell'impedimento, fa ritenere utilmente proposta l'impugnazione da parte del difensore "sostituto" che, nei tempi e con le forme prescritte dalla legge, abbia preso l'iniziativa di presentare gravame a fronte del silenzio del difensore "sostituito". Tale intervento (a garanzia dell'imputato), non produce effetti vincolanti per il difensore titolare dell'ufficio, al quale va coerentemente riconosciuto il diritto, se ancora nei termini, di proporre l'impugnazione, così superando quanto fatto in sua vece.
Per concludere: spetta al difensore designato dal giudice, ex art. 97 c. 4, una legittimazione a proporre impugnazione in sostituzione di quello non comparso, di carattere aggiuntivo e non sostitutivo, poiché egli esercita i diritti e assume i doveri del difensore di fiducia o di quello d'ufficio precedentemente designato, secondo quanto previsto in via generale dall'art. 102 c.p.p., fino al momento in cui questo, che pure conserva la sua qualifica, non vi provveda personalmente. Le eventuali notifiche (avviso di differimento di udienza etc...), vanno fatte in favore del titolare dell'ufficio di difesa, che resta sempre l'originario professionista designato, come anche quando si proceda alle notificazioni che, seppur relative all'indagato o all'imputato, a meno che non si versi nell'ipotesi di abbandono di difesa
Impugnazione del difensore del latitante Esisteva una precedente (e prevalente) giurisprudenza che considerava che il difensore del latitante fosse abilitato a proporre ricorso per Cassazione, anche se non iscritto all'albo speciale sul presupposto che l'ampio potere di rappresentanza dell'imputato latitante o evaso riconosciuto al difensore dall'art. 165 c.p.p., comma 3 includesse anche il riconoscimento del potere di rappresentarlo ai fini della presentazione del ricorso per Cassazione, indipendentemente dalla sua legittimazione professionale. Ma le Sezioni Unite ( sent. 11 luglio 2006 n ) lo hanno ribaltato con questa motivazione ….
Ha osservato la Corte che la natura personale del diritto di impugnazione riconosciuto all'imputato dall'art. 571 c.p.p., comma 1 lo escluda dall'ambito dei diritti esercitabili dal difensore a norma dell'art. 99 c.p.p., comma 1 mentre il potere del difensore di proporre impugnazione in favore dell'imputato trova nell'art. 571 c.p.p., comma 3 una fonte di legittimazione ben più forte e comunque autonoma rispetto a quella che potrebbe derivargli sia dall'art. 99 c.p.p. sia dall'art. 165 c.p.p. Ne discende che il difensore dell'imputato evaso o latitante è privo di legittimazione a proporre ricorso per Cassazione se non iscritto nell'albo speciale della Corte.
IMPUGNAZIONE E DIFENSORE DI FATTO La Cassazione ha ritenuto ammissibile l'appello depositato da difensore molto prima che questi fosse stato nominato dall'imputato, osservando che In tema di formalità per la nomina del difensore, i comportamenti concludenti idonei a documentare la riferibilità della nomina all'imputato costituiscono elementi sintomatici dell'esistenza di un rapporto fiduciario tra lo stesso imputato e colui il quale ha svolto di fatto le funzioni di difensore, in quanto la norma di cui all'art. 96 cod. proc. pen. non è inderogabile ma tipicamente ordinatoria e regolamentare, suscettibile, quindi, di una interpretazione ampia ed elastica in "bonam partem" (in tal senso Sez. III, 27 marzo 2003 n ). Inoltre …..
Il conferimento dell'incarico difensivo, invero, costituisce un negozio a forma libera, valido ed efficace, allorché ne sia garantita la provenienza dall'interessato anche attraverso fatti o comportamenti univoci e concludenti, perché l'intento del legislatore è quello di salvaguardare al massimo il diritto di difesa dell'imputato senza eccessivi formalismi mentre l'interpretazione delle norme in tale materia deve essere in bonam partem. Nel caso di specie che l'avv. XY fosse il difensore di fiducia dell'imputato si ricava non solo dal fatto che ha presentato l'appello, ma anche dalla circostanza che dopo 20 giorni dal deposito dei motivi di impugnazione è pervenuta la nomina dell'imputato del predetto avvocato alla Corte di appello (sez. II 20 maggio 2014 n ).
Quid iuris se l'imputato condannato muore dopo la pronuncia del dispositivo ma prima del deposito della sentenza? Eredi e difensore sono legittimati alla impugnazione?
Secondo la Cassazione (Sez. VI 15 gennaio 2008 n ) in tale ipotesi viene in essere una sorta di perenzione anomala dei processo che opera ex lege derivando le conseguenze di tale evento da circostanze extraprocessuali, definibili come effetti indiretti dell'evento morte dell'imputato, l'unico dato rilevante in quel processo. La morte dell'imputato determina la perenzione del rapporto processuale laddove tale evento non sia preceduto da un atto di iniziativa dell'interessato (è il caso in cui sia stato proposta impugnazione prima della morte dell'imputato), laddove la giurisprudenza consente che il giudice dell'impugnazione possa dichiarare l'estinzione del reato per morte dell'imputato che abbia mantenuto in vita il detto rapporto
La prima conseguenza è allora nel senso che una sentenza pronunciata nei confronti di soggetto in vita al momento della pubblicazione di essa ma deceduto ancor prima della scadenza del termine per impugnare diviene tamquam non esset nei confronti, non soltanto dell'imputato, ma anche nei confronti delle altre parti del processo penale. SI tratta di preclusione derivante non da una carenza di legittimazione, ma, in radice, dall'intervenuta caducazione del rapporto processuale e che mai avrebbe potuto consentire l'attivazione di una qualsiasi forma di riesame della sentenza proprio per l'assenza di un giudicato e, quindi, di un condannato.
La seconda conseguenza è nel senso che il giudice di appello non deve dichiarare la inammissibilità delle eventuali impugnazioni ma deve limitarsi ad adottare una pronuncia di accertamento della insussistenza del rapporto di impugnazione e conseguente improponibilità o irricevibilità dell'appello, poiché l'attivazione dello pseudo-rapporto nasce da un mero elemento formale inidoneo a dar vita a qualsivoglia progressione processuale. Infatti, il giudizio di ammissibilità deve seguire al giudizio di ricevibilità così da potersi definire il gravame (pure se invalido) dotato della idoneità a produrre l'impulso processuale necessario ad originare il giudizio di impugnazione.
Con riguardo alla impugnazione del difensore, la improponibilità deriva dalla estinzione del mandato defensionale per la morte del mandante, secondo l'art c.c. Quanto alla azione civile esercitata nel processo penale, essa ha caratteri del tutto autonomi dalla ordinaria azione civile essendo strettamente legata alla presenza, nel processo penale, di un imputato e poiché è esclusa una successione nel rapporto penale deve ritenersi esclusa anche la successione nel rapporto civile, come dimostrato dall'art. 574 c.p.p. che non contempla tra i soggetti legittimati a proporre impugnazione gli eredi dell'imputato.
Quando il giudice della impugnazione dichiara l'estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, se vi è stata condanna al risarcimento dei danni, deve decidere sull'impugnazione agli effetti civili (art. 578 c.p.p). "Decidere sull'impugnazione" significa prendere in considerazione le censure dedotte dall'impugnante e dar conto della loro fondatezza, o meno, nei riflessi sulle statuizioni civili è perciò non è sufficiente che il giudice dia atto dell'insussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 129 c.p.p. Il permanere dell'interesse della parte civile alla decisione sulla sua azione risarcitoria,, comporta l'obbligo di accertare, a questi limitati fini, la sussistenza del fatto reato e la responsabilità dell'imputato.
Attenzione! l'art. 578 c.p.p., si riferisce al caso in cui l'impugnazione sia dell'imputato o del p.m. e solo in questa ipotesi richiede che, in presenza di una declaratoria di amnistia o di prescrizione, per decidere agli effetti civili,vi debba essere stata in precedenza una valida pronuncia di condanna alla restituzione o al risarcimento. Differentemente l'art. 576 c.p.p. conferisce al giudice dell'impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto, sempreché vi sia la impugnazione della parte civile (Sez. Unite, n del 11/07/2006).
Sul punto vi è stata pronuncia delle Sezioni Unite (sent. 11 luglio 2008 n ) che ha chiarito come l'ipotesi disciplinata dall'art. 576 c.p.p. prescinda da una precedente sentenza di condanna; ciò perché il Giudice di appello, nel dichiarare l'estinzione del reato per prescrizione, può, su impugnazione della sentenza di assoluzione ad opera della parte civile, condannare l'imputato al risarcimento dei danni in favore di quest'ultima. La norma, conferisce al Giudice della impugnazione il potere di decidere sul capo della sentenza anche in mancanza di una precedente statuizione in proposito.
A fondamento della decisione la Corte ha osservato che il codice di rito ha scelto l'autonomia dei giudizi sui due profili di responsabilità civile e penale, nel senso che l'impugnazione proposta ai soli effetti civili non può incidere sulla decisione del giudice del grado precedente in merito alla responsabilità penale del reo, ma il giudice penale dell'impugnazione, dovendo decidere su una domanda civile necessariamente dipendente da un accertamento sul fatto di reato e dunque sulla responsabilità dell'autore dell'illecito extracontrattuale, può, seppure in via incidentale, statuire in modo difforme sul fatto oggetto dell'imputazione, ritenendolo ascrivibile al soggetto prosciolto.
Ma se la prescrizione avrebbe dovuto essere pronunziata già in primo grado, in luogo della formula più liberatoria, allora, e solo in questo caso, il giudice dell'impugnazione, sebbene adito ai sensi dell'art. 576 c.p.p., non può provvedere agli effetti civili, per effetto dell'art. 538 c.p.p., comma 1 (condanna al risarcimento a favore della pare civile in caso di pronuncia di condanna).
L'effetto estensivo della impugnazione Nel processo plurisoggettivo, la impugnazione proposta dal coimputato - ancorchè sostenuta da motivo non esclusivamente personale - non impedisce che diventi irrevocabile la sentenza relativamente al rapporto concernente l'imputato non impugnante (o la cui impugnazione sia stata dichiarata inammissibile), la cui esecutorietà resta per costui ferma, e neppure il giudice dell'esecuzione può sospendere il relativo procedimento esecutivo in mancanza di disposizioni che gli attribuiscano un simile potere. L'effetto estensivo di un motivo comune (art. 587 c.p.p) implica esclusivamente il diritto del condannato originariamente non impugnante di partecipare al giudizio per evitare giudicati contrastanti, ma non anche una restituzione del termine, essendo ormai irrevocabile la decisione nei suoi confronti: (Sez. VI, del 02 ottobre 2013 n )
Presupposto del verificarsi dell'effetto estensivo favorevole é la omogeneità delle diverse decisioni, sicché resta escluso quando in un secondo giudizio il giudice pervenga a una decisione diversa e incompatibile con quella di cui si chiede l'estensione. Pertanto, qualora per ragioni di diversa strategia processuale si proceda separatamente nei confronti di imputati per reato plurisoggettivo e, come nella specie, per concorso di persone nel reato previsto dall'art. 73 Legge Stup., correttamente il giudice non applica al coimputato appellante, separatamente giudicato, la sentenza patteggiata - che ha definito in altro giudizio il rapporto (Sez III, 2 luglio 2014 n ).
L'effetto estensivo dell'impugnazione riguarda le conseguenze delle decisioni adottate nei confronti di coimputati non appellanti e pronunziate su motivi di impugnazione non esclusivamente personali, ma mai l'istituto è stato interpretato in termini di obbligo del giudice di vagliare i motivi di impugnazione del coimputato, ove di natura non esclusivamente personale, anche in ipotesi di separazione dei giudizi. Il verbo "giovare" ripetutamente declinato dall'art. 587 c.p.p., si riferisce, infatti, senza alcun dubbio ai soli effetti finali, positivamente conseguiti, dall'impugnazione proposta da uno dei coimputati i quali si riverberano in favore di altri non impugnanti
EFFETTO ESTENSIVO E PLURALITA' DI SENTENZE Sul punto si registrano opinioni divergenti. 1) L'effetto estensivo dell'impugnazione opera a condizione che il procedimento, riguardante unico reato con pluralità di imputati, non abbia subito separazioni tali da impedire che tutti i coimputati siano destinatari di una stessa pronuncia soggetta ad impugnazione (Sez. II 12/06/2014 n ).
2) Sez. I, primo marzo 2013 n ha valorizzato il contenuto dell'art. 601 c.p.p. (obbligo di citazione del coimputato non appellante) la cui premessa consiste nel fatto che il soggetto da citare sia da qualificarsi come imputato in quel medesimo procedimento e che quindi sia stato destinatario della medesima sentenza che altri coimputati abbiano impugnato. Ciò al al fine di assicurare la par condicio degli imputati che si trovino in situazioni identiche, In caso di separazione dei giudizi il rimedio sarebbe rappresentato dal giudizio di revisione.
3) Il presupposto dell'unicità della sentenza di condanna non deve essere inteso in senso rigidamente formale, con la conseguenza che l'estensione degli effetti della sentenza favorevole non può essere esclusa in presenza delle altre condizioni di legge, in forza della mera contingenza di una occasionale separazione delle diverse posizioni (Sez. I, 11 febbraio 2015 n. 8861). Nel caso di specie la posizione di un coimputato, dopo la condanna in primo grado, era stata stralciata nel giudizio di appello per legittimo impedimento determinato da motivi di salute.
EFFETTO ESTENSIVO E INCOSTITUZIONALITA' DELLA NORMA Lo ius superveniens più favorevole in materia di disciplina sanzionatone delle sostanze stupefacenti "leggere", determinato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, deve applicarsi anche nei confronti dell'imputato che non abbia presentato impugnazione in ragione dell'effettivo estensivo dell'impugnazione sia perché non può qualificarsi questione esclusivamente personale quella attinente alla applicazione di una norma dichiarata incostituzionale, sia perché il principio del favor rei e di legalità costituzionale inducono ad una lettura lata dell'effetto estensivo (Sez. IV 11 dicembre 2014 n. 1893)
Perché possa operare l'effetto estensivo nei confronti dell'imputato non appellante è necessario che il gravame dell'imputato appellante sia accolto. Questo principio, benché non risulti espressamente codificato fra le condizioni stabilite nell'art. 587 c.p.p, comporta nel caso di mancato accoglimento dei motivi presentati dell'imputato appellante, che l'imputato, il cui appello sia stato dichiarato inammissibile, non ha un autonomo diritto di ricorso per cassazione, potendo ricorrere in cassazione solo per far valere la mancata pronuncia dell'effetto estensivo nei suoi confronti.
EFFETTO ESTENSIVO E GIUDICE ESECUZIONE Quando il giudice della impugnazione ( in questo caso di rinvio) pur sussistendone i presupposti, non abbia citato i coimputati non ricorrenti e non abbia estensivamente applicato gli effetti favorevoli dell'annullamento disposto dalla Corte di Cassazione, il rimedio spettante ai soggetti pretermessi consiste nell'incidente di esecuzione, atteso che questi, in quanto non citati, non sono "parti" del giudizio di rinvio e che il giudice dell'esecuzione è titolare del potere di intervenire sul titolo esecutivo e di rivedere la condanna, eliminandola o ridimensionandola sulla scorta del citato effetto estensivo della più favorevole decisione assunta.
EFFETTO ESTENSIVO E GIUDICATO Non è precluso dal passaggio in giudicato della sentenza che abbia condannato il soggetto destinatario potenziale degli effetti vantaggiosi dell'altrui impugnazione. Come hanno precisato le SSUU (sent. 2 marzo 1995 n. 9). "il fenomeno processuale dell'estensione dell'impugnazione in favore del coimputato non impugnante (o l'impugnazione del quale sia stata dichiarata inammissibile ex art. 587 c.p.p.) è rimedio straordinario che opera di diritto al verificarsi dell'evento consistente nel riconoscimento, in sede di giudizio conclusivo sul gravame, del motivo non esclusivamente personale dedotto dall'imputato diligente, idoneo a revocare il giudicato in favore del non impugnante.
LE IMPUGNAZIONI DELLE ORDINANZE Principio generale è quello per cui le ordinanze possono essere impugnate solamente con la sentenza che definisce il giudizio, ad eccezione dei provvedimenti de libertate suscettibili di immediata impugnazione
ESEMPI 1) L'ordinanza con la quale il giudice del dibattimento rigetta la richiesta di restituzione di beni sottoposti a sequestro probatorio non può essere impugnata autonomamente, ma solo unitamente alla sentenza che definisce il relativo grado di giudizio, non risultando applicabile la disciplina dettata dall'art. 325 c.p.p., (Sez. II sentenza del 10 ottobre 2013 n ).
2)La ordinanza di estromissione della parte civile, non è impugnabile neanche con l'impugnazione contro la sentenza.(giurisprudenza costante della Corte di legittimità) perché il codice di rito all'art. 88, comma 2, stabilisce espressamente che "l'esclusione della parte civile non pregiudica l'esercizio in sede civile dell'azione per le restituzioni ed il risarcimento del danno" e dunque la persona offesa una volta estromessa dal processo, perde la qualità di parte e non è più legittimato ad impugnare l'eventuale sentenza assolutoria dell'imputato, che non contiene alcuna statuizione decisoria che lo riguardi, chiudendosi definitivamente il rapporto processuale civile davanti al giudice penale (Sez. II 10 gennaio 2013 n. 3808)
3)Al contrario come affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 12 del , l'ordinanza di inammissibilità o di rigetto della richiesta di esclusione è impugnabile da parte dell'imputato, unitamente all'impugnazione della sentenza. La stabilità decisoria dell'ordinanza dibattimentale ammissiva della parte civile deve ritenersi in ogni caso provvisoria, "allo stato degli atti", idonea perciò a giustificare una limitata preclusione endo processuale, la cui ratio è quella di garantire per economia processuale, l'ordinato e progressivo svolgimento del giudizio in presenza di una parte eventuale, senza l'instaurazione di fasi incidentali produttive di stasi nel processo penale.
4) Se nel corso del dibattimento si verifica una di quelle nullità che si sanano se non immediatamente eccepite, è invocato a sproposito l'art. 586 c.p.p. concernente l'impugnazione di ordinanze emesse in dibattimento possibile solo qualora non sia previsto diversamente dalla legge, mentre nel caso in esame c'è una disposizione di legge che prevede una disciplina diversa nel caso in cui la parte presente intenda far valere la nullità relativa od intermedia di un'ordinanza dibattimentale: si tratta dell'art. 182 c.p.p., comma 2.
5) Fa eccezione alla regola generale la categoria dell'atto abnorme impugnabile ex se autonomamente (es: è abnorme la pronuncia del giudice successiva al dispositivo nella quale si modifichi quanto in esso statuito, poiché interviene quando il potere decisionale è stato esercitato definitivamente (Sez. 5 aprile 2011 n ).
6) l'art. 71 c.p.p., comma 3, stabilisce che contro l'ordinanza che dispone la sospensione del processo per incapacità sopravvenuta dell'imputato possono ricorrere per cassazione “il p.m. l'imputato e il suo difensore, nonché il curatore speciale nominato all'imputato". Il disposto si riferisce soltanto all'ordinanza con la quale il processo sia stato sospeso e ne consegue che l'ordinanza con la quale, pur in presenza di conclusioni peritali che escludano la capacità dell'imputato di partecipare coscientemente al processo, venga disposta la prosecuzione di quest'ultimo, per qualsiasi ragione, non è impugnabile in via autonoma.