Il centro è un concetto dinamico: “quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). È il punto di gravitazione, non dunque un punto statico: implica il gravitare verso. Questo, allora suppone che il problema dell’uomo, sia reale: l’uomo è un essere che ha bisogno di riferirsi a, di trovare un riferimento ultimo”. Quale sarà questo riferimento spetta all’individuo singolo deciderlo, ma in ogni caso non può esimersi dal farlo; chi non lo fa è come vivesse senza centro, perennemente instabile. Per il credente scegliere di mettere la croce al centro della vita vuol dire – accettare “l’esproprio da ogni centro illusorio”. Ed è proprio questa scelta che consente di divenire adulto nella fede, ovvero di generare altri alla scelta credente.
La croce è la verità della vita e della morte, perché svela il nesso indissolubile che lega la vita alla morte, nesso che è costituito dall’amore-che-si-dona, e tende allo stesso amore-che-si-dona. Si vive e si muore per lo stesso motivo, perché l’amore ricevuto tende per sua natura a divenire amore donato. E tutto questo è detto dalla croce di Gesù, l’espressione più grande dell’amore più grande, quello che viene da Dio, e assieme il più forte ed espressivo simbolo del mistero della vita e della morte dell’uomo.
Per questo la croce di Gesù è e dice anche la verità dell’uomo, “una verità teorica e pratica, una verità da fare, una verità a cui affidarsi, una verità che provoca la mia libertà e quindi diventa la questione del senso, del fine…della direzione in cui andare”. La croce svela fino a che punto l’uomo è stato considerato degno di amore.
Ci libera dalle tante paure che ammorbano la nostra vita… e dal potere, dalla pretesa di avere potere sugli altri…soltanto chi impara a mettere ogni giorno la croce al centro della vita e si lascia amare e giudicare da essa può caricarsi sulle spalle il fratello e avere a cuore il su cammino di vita. (cf. A. Cencini, La croce verità della vita, pp )
Inculturazione. Ogni comunità cristiana è chiamata a interpretare gli avvenimenti in cui vive attraverso l’esperienza di Gesù. Sempre è necessario riferirsi a Cristo come l’elemento da cui patire per ogni interpretazione. Si può definire questo riferimento come l’oggettivo della fede. L’oggettivo della fede è una storia che possiede una chiave interpretativa: la croce. A ben vedere è stato proprio questo suo modo di interpretare la storia che lo ha condotto alla morte. La croce appare nei Vangeli come conseguenza della sua interpretazione della vita.
Salvare sempre il senso della croce. Quanto detto ci aiuta a comprendere in che modo le diverse comunità cristiane possono realizzare un’autentica incarnazione della esperienza della fede e quindi una giusta inculturazione del messaggio stesso. Nel tentativo di rendere significativo e più incisivo il messaggio cristiano va sempre salvato il contenuto e il senso profondo della morte di Cristo. Quando si cercano parole per meglio aiutare i nostri adulti a scoprire il Vangelo come buona notizia, rivelazione di Dio, senso profondo della vita, guarigione della propria esistenza, messaggio di speranza, occorre sempre utilizzare come criterio di verifica se il nostro messaggio aiuta ad accettare il senso della croce come sapienza della propria esistenza e quella dell’intera umanità oppure stiamo proponendo una semplice filosofia umana. La croce di Cristo con tutta la sua carica simbolica di interpretazione della vita, di compito dei discepoli, di condivisione, di conversione, è l’unica garanzia della missione profetica della Chiesa e dei cristiani. (cf. Barbiglioni – Meddi, Adulti nella comunità cristiana, pp )