un giovane ramo di un grande albero. Era nato in primavera, tra il tepore dell’aria e il canto degli uccelli. In mezzo all’aria, alle lunghe giornate.

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Transcript della presentazione:

un giovane ramo di un grande albero. Era nato in primavera, tra il tepore dell’aria e il canto degli uccelli. In mezzo all’aria, alle lunghe giornate estive, al sole caldo, alle notti frizzanti, trascorse i suoi primi mesi di vita.

Era felice: aveva foglie bellissime e, poi, erano sopraggiunti fiori colorati ad adornarlo e, dopo ancora, grandi frutti succosi di cui tutti gli uccelli del cielo potevano nutrirsi. Ma un giorno cominciò a sentirsi stanco: era settembre...i frutti si staccarono, le foglie cominciarono a cambiare colore, divenivano sempre più pallide... addirittura, di tanto in tanto, il vento se ne portava via qualcuna.

Venne la pioggia, e poi l’aria fredda, e il ramo si sentiva sempre peggio; non capiva cosa stesse succedendo. In pochi giorni e in poche notti si trovò spoglio, infreddolito, completamente solo. Rimase così qualche tempo, fin quando non capì che non poteva far altro che mettersi a cercare i suoi fiori, le sue foglie, i suoi frutti per poter di nuovo stare insieme a loro. «Devo darmi da fare», disse risoluto tra sé e sé.

Cominciò, allora, a chiedere aiuto a tutti i suoi amici. Si rivolse dapprima al Mattino: «Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sai dove le posso trovare?». Il Mattino rispose: «Ci sono alberi che ne hanno tante, prova a chiedere a loro».

Si rivolse a quegli alberi: «Sono solo e infreddolito, ho perso tutte le mie foglie, sapete dirmi dove le posso trovare?». Gli alberi risposero: «Noi le abbiamo sempre avute, prova a chiedere agli alberi uguali a te».

Si rivolse ai rami spogli come lui. «Abbiamo tanto freddo anche noi, non sappiamo cosa dirti...», gli risposero. Queste parole lo fecero sentire meno solo. Si disse che, se avesse ritrovato le foglie, sarebbe subito corso dai suoi simili a rivelare il luogo in cui si trovavano.

Continuò la sua ricerca e chiese al Vento. «Io le foglie le porto solo via, è la Pioggia che le fa crescere», disse il Vento a gran voce.

Si rivolse alla Pioggia. «Le farò crescere a suo tempo», gli disse la Pioggia tintinnando. Si rivolse allora al Tempo. «Io so tante cose», gli disse con voce profonda, «il Tempo aggiusta tutto, non ti preoccupare: occorrono tanti giorni e tante notti».

Si rivolse alla Notte, ma la Notte tacque e lo invitò a riposare. Si sentiva infatti molto stanco. Mentre stava per addormentarsi, uno gnomo passò di là. Al vedere quel ramo così spoglio e indebolito dal freddo e dalle intemperie, si fermò e, un po’ preoccupato, gli chiese cosa stesse succedendo, lì ramo gli raccontò tutta la sua storia.

Lo gnomo stette con lui. Si fermò nel suo silenzio, lo ascoltò, sentì il suo dolore. Allora il ramo parlò ancora e disse: «Mi è sembrato di chiudere gli occhi, e, dopo averli riaperti, non ho più trovato le mie foglie, non sono stato più capace di vederle».

Lo gnomo pensò a lungo, poi capì: si tolse gli occhiali e li posò sul naso del ramo, spiegandogli che erano occhiali magici che servivano per guardare dentro di sé.

Il ramo, allora, aprì bene gli occhi e... meraviglia… vide che dentro di sé qualcosa si muoveva, sentiva un rumore, vedeva qualcosa circolare, provò ad ascoltare, guardò a fondo: era linfa, linfa viva che si muoveva in lui.

Incredulo, disse allo gnomo ciò che vedeva. Lo gnomo gli spiegò che le foglie, i fiori e i frutti nascono grazie alla linfa oltre che al caldo sole, all’aria di primavera e alla pioggia.

«Se hai linfa dentro di te, hai tutto», gli disse, «non occorre chiedere più nulla a nessuno, ma insieme all’acqua, alla luce, all’aria, agli altri rami, le foglie rinasceranno: le hai già dentro».

Il ramo, immediatamente, si sentì più forte, rinvigorì: aveva la linfa in sé, non doveva più chiedere consigli, gli bastava lasciar vivere la linfa che circolava in lui. La linfa da cui, un giorno, sarebbero rinate le amiche foglie.

L’EDUCAZIONE non può più essere pensata se non a partire dalla sua complessità: di materia (l’uomo), energia (l’intelligenza), spazio (sociale e culturale) tempo (questo e non un altro).

DENTRO L’EDUCAZIONE inoltre gli elementi perturbatori sono molteplici e imprevedibili “Noi abbiamo dato tutto a nostro figlio, non gli abbiamo fatto mancare niente come mai si droga?”

NELL’EDUCAZIONE possiamo giungere ad un’approssimazione ma non sarà mai quello che noi avevamo nella testa.

Si acquisisce conl’esperienza la pazienza l’umiltà

Quanti genitori sussurrano e sospirano che al compito dell'educazione e al ruolo di educatori non sono mai stati preparati e formati. Si vive spesso di buon senso, di memoria storica, di esperienze pregresse, di imitazione ed emulazione delle esperienze migliori attuate dai propri genitori.

Si dice, e giustamente, che i tempi sono cambiati; la cultura non è più quella di una volta. E' cambiata la società in modo repentino, imprevedibile e con essa l'istituzione familiare, che della società è la cellula prima e vitale.

Non manca il disorientamento degli stessi educatori, che denunciano i propri limiti, la propria perplessità, i propri imbarazzi, la propria impreparazione in ordine alla educazione e si chiedono - che cosa sia giusto chiedere ai figli - che cosa sia giusto dare ai figli - che cosa sia giusto proporre ai figli

c'è tutta una cultura nuova da creare per combattere una ideologia che vorrebbe relegare in un angolo i valori tradizionali. Perciò - senza avvilimenti, ripiegamenti o chiusure, senza proclamarsi incapaci – occorre unire le forze e impegnarsi a scoprire un nuovo progetto educativo.

tre considerazione sulla difficoltà di educare oggi:

Prima Considerazione C’è una situazione di conflittualità interiore tra vecchi modelli ritenuti non più idonei e nuovi modelli non del tutto condivisi. Vecchi modelli basati su una educazione impositiva che aveva a fondamento il sacrificio; nuovi modelli costruiti sull’amicizia tra genitori e figli.

Seconda Considerazione C’è una frantumazione di punti di riferimento Un tempo la famiglia patriarcale condivideva interamente l’educazione, il padre, la madre, gli zii, i nonni si ritrovavano sostanzialmente d’accordo. Ora non è più così, non c’è omogeneità di educazione, inoltre le agenzie educative si sono moltiplicate a dismisura (famiglia, scuola, istituzioni pubbliche e private, mass media, internet). La famiglia non detiene più il potere centrale sull’educazione.

Terza Considerazione C’è un’informazione staccata ed autonoma dai processi formativi. Un esempio può essere quello delle favole o dei cartoni animati televisivi: quanti genitori conoscono chi e Pkachu e i Pokèmon cosa dicono, che fanno ecc… Una volta Cappuccetto rosso era quello e tutti lo sapevano. I genitori non hanno più in mano il processo formativo dei loro figli, questi lo acquisiscono autonomamente.

“Il nostro errore più grande è quello di cercare negli altri le qualità che non hanno trascurando di esaltare quelle qualità che realmente possiedono ” Marguerite Yourcenar

L'uomo, ha bisogno di educazione. Al momento della nascita egli possiede un ampio bagaglio di informazioni genetiche, sociali, culturali, psicologiche che - nel corso degli anni – è chiamato a sviluppare per un armonioso adattamento all'ambiente e alla storia.

Tre considerazioni in ordine al concetto di educazione.

1.L'educazione è una azione che tende a sviluppare ciò che nell'uomo è già costituito.

2. L'educazione è un intervento inteso ad attualizzare le potenzialità native dell'individuo, adattandole concretamente ai modelli socio-culturali dell'ambiente sociale in cui l'individuo vive.

3. L'educazione è un processo volto a promuovere concretamente la realizzazione dell'individuo in modo completo e armonico.

Educare, dunque, significa impegnare e orientare in esperienze che promuovono l'autosviluppo completo ed armonico della dinamica interna della personalità, definendola e differenziandola in relazione alla diversa situazione sociale e all'influenza esterna dell'ambiente. L'educazione - in sostanza - è un processo razionale di formazione

La virtù verrà naturalmente in un genitore che sta bene nella sua pelle ed è contento della sua vita. Piacersi, occuparsi di sé, valorizzarsi per avere la giusta distanza con i figli Ritrovare un senso alla vita promuovere la passione di conoscere se stessi per conoscere gli altri

AVERE CURA DI SE’ RIVEDERE IL PROPRIO TEMPO STIMARSICONFRONTARSI CONDIVIDERE ESPERIENZE CURARE PROPRI INTERESSI SPAZI DI COPPIA COLTIVARE RELAZIONI

Obiettivi Uscire da eventuali schemi rigidi di comportamento. Cogliere la differenza fra comportamento spontaneo e comportamento educativo

Educare è difficile, ma possibile Il punto non è non sbagliare, ma accorgersene e sapersi correggere: I figli non vogliono genitori «perfetti», si accontentano di genitori «passabili»!

La prima qualità per essere educatori non è quella di aver raggiunto la propria maturità e di ritenersi pronti per educare, ma è piuttosto la disponibilità a un’azione educativa su di sé

Il tentativo non è quello di trovare la soluzione magica per ogni tipo di situazione, ma invece di capire quali sono le domande che ci si può porre per vedere come destreggiarsi il meglio possibile in quelle stesse situazioni

“Chiarezza di fini e obiettivi” “Costante nel tempo e non occasionale” “l’educando può crescere perché l’educatore è impegnato nella propria crescita”

L’atto educativo è inteso quale atto cooperativo in cui l’attività di uno dei due soggetti rende possibile quella dell’altro.

Il fine è che l’educando sia messo nella condizione di partecipare attivamente al proprio iter evolutivo Il fine è la sua libertà, la sua capacità di compiere scelte mature

REALIZZA TE STESSO REALIZZANDO L’ALTRO La relazione educativa è, una relazione APPASSIONATA fra due persone in divenire, anche se una è più matura dell’altra, in cui c’è dialogo profondo, dialogo da cui emerge l’impegno di essere e continuare a essere l’una per l’altra. Ciò che definisce questo tipo di relazione è, sostanzialmente, l’equilibrio tra intenzionalità e consenso, fra autorità e libertà e il suo realizzarsi nell’orizzonte del POSSIBILE perché c’è sempre lo spazio per la libertà dell’altro; lo scacco, pertanto, ha tante possibilità quante il successo.

Comunicare non è solo parlare Quanta parte del nostro parlare non è costruttiva: Ridire Ridire Rimproverare Rimproverare Criticare Criticare Ammonire Ammonire Fare richieste Fare richieste Minacciare Minacciare Dare valutazioni Dare valutazioni

Comunicare non è solo parlare E’ molto importante per un figlio sapere che c’è chi lo desidera accogliere, ricevere nel suo cuore.

Vari stili comunicativi 1 Controllo Amichevole Affettuoso E collaborativo Esplorativo Cortese e accomodante Questioni poco impegnative. Si rivela poco di se. Si evitano i conflitti Regole, norme, direttive, intenzione di convincere, persuadere Si usa molto la testa e le sensazioni in prima persona. Si agisce poco. Aiuto, sostegno, rafforza l’autostima è coinvolgente. Si va sulle sensazioni

IL GENITORE CONSIDERA IL FIGLIO Quando presta attenzione a lui e alle manifestazioni della sua esperienza interiore. Quando rispetta e accetta i suoi pensieri, sentimenti, aspirazioni. Quando lo incoraggia e lo invita a esprimere l’idea che ha di se stesso. Quando gli lascia lo spazio necessario perché possa assumersi la responsabilità delle sue scelte. Quando esprime affetto e simpatia. Quando lo lascia esprimere i propri sentimenti. Quando non riconosce la sua esperienza. Quando nega le differenze tra figli. Quando vuole tutto secondo le proprie aspettative. Quando prende il posto del figlio. Quando si comporta come se del figlio non gli importa nulla. Quando non gli manda segni e messaggi che lo incoraggiano e lo fanno sentire utile. IL GENITORE NON CONSIDERA IL FIGLIO

Non basta che il genitore senta di amare, di comprendere e accettare il figlio. Deve esprimere in modo adeguato e comprensibile questa accettazione. Il figlio deve sentire, fare esperienza di essere accettato, di venire compreso. E’ impossibile ascoltare e comunicare se manca il rispetto reciproco. E’ una reciprocità che in alcuni momenti e in alcune situazioni è relativa: non sempre è opportuno che un genitore dica al figlio tutto ciò che pensa e tutto ciò che sente; l’età e le circostanze suggeriscono prudenza, silenzi e attese. L’ideale sarebbe che genitori e figli potessero manifestarsi apertamente e sinceramente ciò che pensano, ciò che provano e ciò che sentono, senza la paura di venire respinti, rifiutati, offesi, incompresi.

Per molti genitori è assai più semplice accettare nuovi metodi per cambiare i figli e per modificare l’ambiente piuttosto che accettare l’idea di modificare se stessi. Troppo spesso l’essere genitori viene inteso come “tirar su i figli”. Nella nostra società l’essere genitori è considerato più un modo per determinare la crescita e lo sviluppo dei figli piuttosto che un occasione di crescita reciproca Insomma, sono sempre gli altri a dover cambiare

Numerosi studi ormai da tempo hanno evidenziato l’esistenza di uno stretto rapporto tra il grado di accettazione degli altri e il grado di accettazione di se stessi. Le persone che non tollerano molti aspetti della propria personalità normalmente hanno difficoltà a tollerare molti aspetti degli altri.

QUANTO MI PIACCIO?

I genitori che soddisfano i propri bisogni grazie ai propri sforzi produttivi si accettano e la loro gratificazione non è subordinata al comportamento dei figli. Questi genitori non dipendono dalla riuscita dei figli. Se invece un genitore ha poche o nessuna fonte propria di appagamento, ma dipende gravemente da come gli altri giudicano i propri figli, è probabile che non riesca ad accettare i propri figli, specialmente quando si comportano in modo da farlo apparire un cattivo genitore.

IN UN CERTO SENSO MOLTI GENITORI USANO I PROPRI FIGLI PER AUTOSTIMARSI E PER SENTIRSI MERITEVOLI

“I vostri figli non sono i vostri figli. Sono i figli e le figlie dell’ardore che la Vita ha per se stessa. Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi,e benché vivano con voi, non vi appartengono. Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri, poiché essi hanno i loro propri pensieri… potete sforzarvi di assomigliare a loro,ma non cercate di farli somigliare a voi. Poiché la vita non va indietro né indugia su ieri”. Gibran, Il Profeta

Una volta una mamma, preoccupata per la figlia che aveva preso la brutta abitudine di abbuffarsi di dolci, si recò da Gandhi. Lo scongiurò: "Per favore, Mahatma, parla tu con mia figlia in modo da persuaderla a smettere con questo vizio. Accetti?". Gandhi rimase un attimo in silenzio, un po' imbarazzato, poi concluse: "Riporta qui tua figlia fra tre settimane, e allora parlerò con lei, non prima". La donna se ne andò perplessa, ma senza replicare.

Tornò, come le era stato proposto, tre settimane dopo, rimorchiandosi dietro la figlia, golosa, insaziabile. Stavolta Gandhi prese in disparte la ragazza e le parlò dolcemente, con parole semplici e assai persuasive. Le prospettò gli effetti dannosi che possono causare i troppi dolci. Quindi le raccomandò una maggiore sobrietà. La madre, allora, dopo averlo ringraziato, nell'accomiatarsi, gli domandò: "Toglimi una curiosità, Mahatma... Mi piacerebbe sapere perché non hai detto queste cose a mia figlia tre settimane fa".

"Tre settimane fa - rispose tranquillamente Gandhi - il vizio di mangiare i dolci l'avevo anch'io!". Solo l'esempio permette di parlare; solo chi è può colpire a tal punto da poter essere ascoltato.