La shoah Il giorno della memoria: legge istitutiva Le leggi razziali I campi di “annientamento” L’infanzia rubata La voce ai testimoni I giusti
La legge istitutiva del "Giorno della Memoria" Legge 20 luglio 2000, n. 211 "Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti" pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 31 luglio 2000 Articolo La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. Articolo In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere.
Una premessa fondamentale Noi apparteniamo ad una sola razza: quella umana! (cfr Albert Einstein) Invece nei primi decenni del novecento in Italia prendono forma le leggi razzialileggi razziali
La vergogna delle leggi razziali Con l’unità d’Italia erano stati aboliti gli ultimi ghetti superstiti e gli ebrei godevano di tutti i diritti civili e politici. Le cose cominciarono a cambiare con la conquista dell’impero quando i frequenti matrimoni misti fece emergere il “problema” della mescolanza delle razze. Il partito fascista cominciò a favorire la pubblicazione e diffusione di libri che esaltavano la superiorità della razza italiana. Nel luglio 1938 uscì un Manifesto degli intellettuali razzisti, firmato da un gruppo di scienziati, nel quale si affermava che la razza ebraica era costituita da elementi razziali non europei che non dovevano contaminare la “pura” razza italiana. Tra il settembre ed il novembre 1938 furono presi una serie di provvedimenti che colpirono duramente la comunità ebraica. Le leggi razziali esclusero gli ebrei dalle scuole e dalle università; proibirono il servizio nell’esercito, i matrimoni con gli italiani, il lavoro in enti pubblici; fu proibito di far parte di associazioni, di frequentare biblioteche pubbliche, ecc. Migliaia di ebrei furono privati della nazionalità italiana e del lavoro. Era iniziata la prima fase persecutoria, quella della persecuzione dei diritti. Ci fu una seconda fase dopo il 1943 con la persecuzione delle vite.
I campi di “annientamento”campi Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengono tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine "Campo di annientamento", e sarà chiaro che cosa intendiamo esprimere con questa frase: giacere sul fondo. (Primo Levi)
I campi di concentramento Auschwitz Birkenau Mauthausen Dachau
Auschwitz
Torre di controllo e forni crematori
Birkenau
Mauthausen Interno, camera a gas e forno crematorio
Dachau
L’infanzia rubata Disse Primo Levi a proposito di Anna Frank: "Una singola Anne Frank detta più commozione delle miriadi che soffrirono come lei, la cui immagine è rimasta nell’ombra. Forse è necessario che sia così; se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere". Buchenwald Terezin Immagini
Buchenwald C’è un paio di scarpette rosse numero ventiquattro quasi nuove: sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica “Schulze Monaco” c’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buchenwald Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi Di ciocche nere e castane A Buchenwald servivano a far coperte per i soldati non si sprecava nulla e i bimbi li spogliavano e li radevano prima di spingerli nelle camere a gas c’è un paio di scarpette rosse di scarpette rosse per la domenica a Buchenwald erano di un bambino di tre anni e mezzo chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni ma il suo pianto lo possiamo immaginare si sa come piangono i bambini anche i suoi piedini li possiamo immaginare scarpa numero ventiquattro per l’eternità perché i piedini dei bambini morti non crescono c’è un paio di scarpette rosse a Buchenwald quasi nuove perché i piedini dei bambini morti non consumano le suole. Joyce Lussu “C’è un paio di scarpette rosse”
Terezin Erano in : non ne sono sopravvissuti nemmeno 100. Avevano tutti un’età compresa tra i 12 ed i 16 anni. Terezin fu il maggiore campo di concentramento nazista sul territorio della Cecoslovacchia. Costruito come transito per gli ebrei che dal Protettorato di Boemia e Moravia venivano deportati verso i campi di sterminio dei territori orientali, dalla sua nascita vi furono deportati persone, fra le quali bambini. La maggior parte trovò la morte nel ghetto stesso o negli altri campi nazisti. Non ci sono immagini forti, non ci sono cumuli di scheletri. Ma i quattromila disegni, come le sessantasei poesie di quelle giovani anime strappate alla vita, hanno senza dubbio lo stesso effetto. Il campo di Terezin proprio perché di transito, è stato uno dei pochi che prevedeva uno spazio per i bambini. Stesse condizioni igieniche, stessa fame, stesse malattie. Proprio come gli adulti. Stessa Identica sofferenza.
Terezin Chi s’aggrappa al nido non sa che cos’è il mondo, non sa quello che tutti gli uccelli sanno e non sa perché voglia cantare il creato e la sua bellezza. Quando all’alba il raggio del sole illumina la terra e l’erba scintilla di perle dorate, quando l’aurora scompare e i merli fischiano tra le siepi, allora capisco come è bello vivere. Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza quando cammini tra la natura per intrecciare ghirlande coi tuoi ricordi: anche se le lacrime ti cadono lungo la strada, vedrai che è bello vivere.
Terezin E’ più di un anno che vivo al ghetto, nella nera città di Terezin, e quando penso alla mia casa so bene di che si tratta O mia piccola casa, mia casetta, perché m’hanno strappato da te, perché m’hanno portato nella desolazione, nell’abisso di un nulla senza ritorno? Oh, come vorrei tornare a casa mia, fiore di primavera! Quando vivevo tra le sue mura io non sapevo quanto l’amavo! Ora ricordo, quei tempi d’oro: presto ritornerò, ecco già corro. Che arrivi dunque quel giorno in cui ci rivedremo, mia piccola casa! Ma intanto preziosa mi sei perché mi posso sognare di te.
Terezin Per le strade girano i reclusi e in ogni volto che incontri tu vedi che cos’è questo ghetto, la paura e la miseria. Squallore e fame, questa è la vita che noi viviamo quaggiù, ma nessuno si deve arrendere: la terra gira e i tempi cambieranno.
Immagini di bambini Bambini in campo di concentramento
Separazione dai genitori e deportazione di bambini
La voce dei testimoni "Prima vennero per gli ebrei e io non dissi nulla perché non ero ebreo. Poi vennero per i comunisti e io non dissi nulla perché non ero comunista. Poi vennero per i sindacalisti e io non dissi nulla perché non ero sindacalista. Poi vennero a prendere me. E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa." Martin Niemoeller Pastore evangelico deportato a Dachau
La voce dei testimoni …Emersero invece nella luce dei fanali due drappelli di strani individui. Camminavano inquadrati, per tre, con un curioso passo impacciato, il capo spenzolato in avanti e le braccia rigide. In capo avevano un buffo berrettino, ed erano vestiti di una lunga palandrana a righe, che anche di notte e di lontano si indovinava sudicia e stracciata. Descrissero un ampio cerchio attorno a noi, in modo da non avvicinarci, e, in silenzio, si diedero ad armeggiare coi nostri bagagli, e a salire e scendere dai vagoni vuoti. Noi ci guardavamo senza parola. Tutto era incomprensibile e folle. Ma una cosa avevamo capito. Questa era la metamorfosi che ci attendeva. Domani anche noi saremmo diventati così. Primo Levi “Se questo è un uomo”
La voce dei testimoni Poi ci portarono alle docce. La parola "doccia" non ci faceva ancora paura. Mentre rabbrividivo sotto l'acqua gelata sentii un tonfo. Una donna giaceva a terra. Era una giovane tedesca arrivata chissà come con noi. Si era avvelenata. Era la prima morta che vedevo; la prima di moltissime altre. Passammo alla tosatura. Dico "tosatura" perché ci tosarono proprio, come le bestie. Sedevo su uno sgabello basso e la tosatrice mi passò tra i capelli - li portavo lunghissimi - al centro della testa. Sentii una lunga ciocca scivolarmi sulla schiena nuda. Ogni volta che ci ripenso risento quel brivido. Ci dettero dei vestiti, degli stracci per coprirci. Per noi non c'erano neppure quei vestiti a strisce da carcerato che tutti conoscono. In compenso non avemmo neanche la stella gialla. Ci misero di fila tutte e quarantotto, in fila per cinque, e ci avviarono verso l'interno del campo. Si vedevano delle baracche e anche delle prigioniere. A parte i vestiti avevano un'aria abbastanza normale. Una di loro porse la mano a Giuditta. Lei la prese e si ritrovò sul palmo della mano una piccola radice. La gettò via; non aveva capito che la donna le aveva regalato un giorno di vita. Era ormai sera. Ci fecero entrare in una baracca. Eravamo in dieci e c'era un solo tavolaccio di un metro e mezzo e una sola coperta. Non sapevamo come sistemarci e cominciammo a litigare; stanche com'eravamo, non si riusciva a dormire. Alla fine crollammo. Mi ero appena addormentata - o così mi sembrava - quando arrivò la sveglia. A colpi di nerbo, un affare di gomma durissima, ci buttarono giù dal tavolaccio, fuori dalla baracca, nell'aria gelida del primo mattino. Era quasi buio; ci fu un appello. Ci tennero in piedi per ore, mentre i soldati passavano e ammucchiavano davanti alle baracche i corpi di quelle che erano morte durante la notte. Si avvicinarono delle prigioniere. Erano ben diverse da quelle che avevamo visto all'arrivo; queste erano scheletri coperti di stracci, il numero tatuato sul braccio. "Ma che posto è questo?" - chiedemmo inorridite. "Questo è Auschwitz-Birkenau, in Polonia" Settimia Spizzichino "Gli anni rubati"
La voce dei testimoni Il numero, una volta tatuato, veniva trascritto su un apposito registro, in corrispondenza delle generalità del detenuto. Da quel momento scomparivamo da esseri umani diventando numeri, pezzi per la macchina di sterminio del Reich. 1° novembre 1995: sono tornata ad Auschwitz. Ho rivisto i reticolati, le torrette, quel che resta dei forni crematori e le baracche, dove ci raccoglievamo tremanti. Ho risentito, nel silenzio assoluto di oggi, le voci e le invocazioni di ieri. Ho capito che non bastano cinquant’anni, per cancellare il ricordo di un crimine così grande. L’immagine di quei luoghi, e il dolore che ne derivò, sono impressi in maniera indelebile nei miei occhi: non mi hanno mai abbandonato. Oggi più che mai, è necessario che i giovani sappiano, capiscano e comprendano: è l’unico modo per sperare che quell’indicibile orrore non si ripeta, è l’unico modo per farci uscire dall’oscurità. Elisa Springer
I giusti Secondo quanto sta scritto nel Talmud - monumentale opera della letteratura ebraica post biblica, che contiene le spiegazioni della Torah (il Pentateuco) elaborate nel corso dei secoli dai maestri del pensiero religioso e giuridico ebraico - in qualsiasi momento della storia, ci sono sempre Trentasei Giusti al mondo. Essi sono nati Giusti, non possono ammettere l'ingiustizia. E' per amor loro che dio non distrugge il mondo. Nessuno sa chi sono, e meno che meno lo sanno loro stessi. Ma sanno riconoscere le sofferenze degli altri e se le prendono sulle spalle. Esiste un luogo a Gerusalemme, sul monte delle Rimembranze, che prende il nome di "Parco dei Giusti", dove migliaia di piante ricordano i nomi di tutti coloro che aiutarono gli ebrei durante gli anni dell'Olocausto.
Il parco dei giusti