Declaratoria MED42 MED/42 IGIENE GENERALE E APPLICATA Il settore si interessa dell'attività scientifica e didattico-formativa, nonché dell'attività assistenziale.

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Declaratoria MED42 MED/42 IGIENE GENERALE E APPLICATA Il settore si interessa dell'attività scientifica e didattico-formativa, nonché dell'attività assistenziale a essa congrua nel campo dell’igiene generale e applicata; il settore ha specifica competenza nel campo dell ’igiene applicata all'ambiente, ai luoghi di lavoro, all’igiene scolastica, all’igiene degli alimenti e della nutrizione, della medicina di comunità, della medicina preventiva, riabilitativa e sociale, dell’epidemiologia, della sanità pubblica, della programmazione, organizzazione e gestione dei servizi sanitari e dell’educazione sanitaria.

Da: Definizione

Da:

L'epidemiologia si differenzia dalla clinica medica per due aspetti: Gli epidemiologi studiano un gruppo di soggetti, non i singoli individui; Gli epidemiologi studiano anche i soggetti sani e cercano di individuare i determinanti di salute/malattia studiando le differenze cruciali tra i sani e i malati.

Definizione frequenza: indica sia quanto spesso ('QUANTO') la malattia compare, sia il 'pattern temporale' ('QUANDO'); distribuzione: indica sia il pattern geografico ('DOVE') di comparsa o presenza della malattia che le caratteristiche della popolazione ospite (età, sesso, categorie varie, ecc); determinanti: per ora, è sufficiente considerarlo sinonimo di 'cause', anche se ciò non è del tutto esatto; salute/malattia: l'epidemiologia studia, oltre ai malati, anche i sani; meglio, malati a confronto con sani. Esistono infatti anche i «determinanti di salute» (fattori che contribuiscono a mantenere in salute o a far guarire): perché questo soggetto si è ammalato? perché quest'altro è rimasto sano? popolazioni: un insieme di individui che hanno uno o più caratteri in comune (es. sono presenti nella stessa area geografica, oppure hanno la stessa età, o altro). Modificata da:

Definizioni e scopi dell'epidemiologia L'epidemiologia è la scienza che ha per oggetto il fenomeno della insorgenza delle malattie nelle popolazioni di esseri umani, con particolare riguardo allo studio delle condizioni e dei fattori che le determinano (i determinanti di salute/malattia).

Da:

I determinanti (fattori causali) possono essere: necessari; sufficienti. Per le malattie non infettive, cronico- degenerative, i singoli fattori causali non sono in genere né necessari né sufficienti. associati Sono invece associati con un aumento della probabilità si sviluppare la malattia (aumento del rischio) e sono quindi denominati fattori di rischio.

Fattori di rischio: Fattori ambientali: esposizioni Fattori genetici (ereditari, per lo più non modificabili ) Fattori individuali non ereditari: malattie, età, sesso ( per lo più non modificabili ) Fattori individuali dovuti a stili di vita: fumo, dieta ecc. ( per lo più modificabili )

Al concetto di determinante si associa una concezione di "causa" diversa da quella tradizionalmente intesa, dove per causa si intende un qualsiasi fattore, elemento, circostanza che dà origine ad un effetto (malattia) o ad una sequenza di eventi che sfociano nell'effetto. Con il "determinante" si introduce invece il concetto di causa come "fattore capace di incrementare la probabilità" della malattia. Al concetto di determinante è strettamente connesso quello di «rischio», che rappresenta la probabilità, per un individuo o una popolazione, che un evento (in genere la malattia) si verifichi in un dato momento o in un dato periodo di tempo.

I determinanti primari sono rappresentati dai fattori la cui variazione esercita un effetto maggiore nella genesi della malattia. Spesso (ma non sempre), essi sono fattori indispensabili (necessari, ndr) per la comparsa della malattia. Nello schema viene proposta una classificazione dei determinanti primari in 'intrinseci' (o endogeni, ossia interni all'ospite) ed estrinseci (o esogeni); questi ultimi possono essere animati o inanimati. Determinanti 1 Da:

I determinanti secondari sono rappresentati dai fattori la cui variazione esercita un effetto minore nella genesi della malattia. In altre parole, essi non sono indispensabili né di importanza fondamentale per la comparsa della malattia. In molti casi essi corrispondono ai cosiddetti fattori "predisponenti" o "favorenti" Determinanti 2 Da:

La storia naturale comprende l'evoluzione naturale di una malattia nel tempo, ossia come essa si comporta, in assenza di qualsiasi intervento, sia nelle popolazioni che nei singoli animali. Ogni malattia prevede il verificarsi di diversi momenti che segnano il passaggio dallo stato di salute allo stato di malattia. Questi momenti sono riassunti nello schema che segue, in cui l'evento "diagnosi" è contrassegnato da una linea tratteggiata, ad indicare che esso è estraneo, a rigore, alla storia naturale della malattia. Da:

incidenza prevalenza riabilitazione Da:

Gli studi epidemiologici

Cominciamo col dire metaforicamente che la materia prima - malta, cemento, mattoni - di ogni edificio epidemiologico è costituita dai dati. Che cosa sono i dati? per ora basta dire che i "dati" sono numeri o valori o attributi inseriti in un particolare contesto, e che portano con sé una dose di informazione. I dati rappresentano il «raccolto» di ogni studio epidemiologico, ed anche il mezzo per giungere a conclusioni scientificamente valide. "Dati" sono contenuti, ad esempio, nel grafico (più precisamente: diagramma a barre) che segue: La scala dell'asse orizzontale indica i tassi di mortalità per persone e per anno (cioè il numero di morti ogni persone in 1 anno per ogni causa considerata). Da: 1.1www.quadernodiepidemiologia.it

I dati del diagramma sono stati raccolti dal più importante Ente internazionale che si occupa di sanità pubblica: l'Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization); essi rappresentano il numero di morti per alcune forme morbose nel 1900 e nel In primo luogo è da rilevare l'espressione dei dati numerici sotto forma di diagramma a barre; questo è un tipo di espressione molto utile perché consente di cogliere le caratteristiche salienti e di effettuare raffronti direttamente «a colpo d'occhio»

Una breve digressione: salute dei ricchi e salute dei poveri Nonostante i progressi compiuti, ancora molto resta da fare. Dovrebbe essere costantemente presente, nella nostra coscienza di popoli di Paesi ricchi economicamente (ma forse non altrettanto ricchi sul piano morale e spirituale), la triste condizione in cui ancora versa una parte considerevole dell'umanità. Dati emblematici sono rappresentati nel grafico a destra, che illustra l'andamento della mortalità infantile nel mondo. Dal 1960 al 2000 nei Paesi industrializzati la mortalità infantile è diminuita dell'80% circa (da 31 a 5.5); nell'Africa sub-sahariana, la diminuzione è stata molto più modesta (da 153 a 108, ossia circa il 30%). Deve far riflettere anche il fatto che nei Paesi non industrializzati la mortalità infantile è causata non da malattie intrinsecamente gravi o incurabili, bensì da patologie che potrebbero essere facilmente prevenute, quali semplice malnutrizione o disidratazione per diarrea. Da: 1.1www.quadernodiepidemiologia.it

Interpretazione dei dati... arte o scienza? OBIETTIVI: - apprendere l'impostazione di uno studio scientifico - osservare delle strutture fondamentali di uno studio epidemiologico; - riflettere sull'importanza dell'interpretazione dei dati L'epidemiologia viene considerata una scienza "eclettica" con molti punti di contatto con altri settori di studio: le scienze biomediche di base, le scienze cliniche, la statistica ed anche, relativamente alla epidemiologia umana, l’antropologia, la demografia e la sociologia. In ogni caso, l'epidemiologia (così come molte altre discipline scientifiche) si basa sul metodo scientifico. Il metodo scientifico viene usato nelle scienze naturali a partire dalla "rivoluzione scientifica" del XVII secolo ed è rimasto concettualmente invariato; esso si basa sull'osservazione dei fenomeni naturali e, in buona sostanza, consiste in un procedimento che avanza per passi successivi (vedi schema) dalle osservazioni fino alle conclusioni utilizzando un rigoroso sistema di generazione e verifica della ipotesi. Da: 1.2www.quadernodiepidemiologia.it

Il metodo scientifico si basa non soltanto sull'osservazione, ma su un processo chiamato «ragionamento ipotetico-deduttivo», che è un processo di generazione dell'ipotesi seguito da tentativi di negare l'ipotesi stessa - cioè un processo basato sulla «falsificazione dell'ipotesi». In sostanza, l'impossibilità di rifiutare l'ipotesi rappresenta la prova migliore della sua veridicità. Pertanto, la forza di una ipotesi dipende dal grado con cui essa può essere confutata. Questo concetto è stato espresso magistralmente dalla famosa frase di Sherlock Holmes (il detective creato da sir Arthur Conan Doyle): «È una mia vecchia massima che, una volta escluso l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, non può che essere la verità». Anche fra le famose «Leggi di Murphy» si trova qualcosa di adatto: la Legge di Bates sulla ricerca, che recita: «La ricerca consiste nel percorrere vicoli per vedere se sono ciechi». Comunemente, quando si effettuano indagini epidemiologiche "di routine" nella pratica clinica e su argomenti già ampiamente noti, alcuni dei passi del classico metodo scientifico vengono omessi, e lo schema dell'indagine può essere riassunto in sole 3 fasi: raccolta dei dati elaborazione dei dati interpretazione dei dati (conclusioni) Da: 1.2www.quadernodiepidemiologia.it

Da: 1.2www.quadernodiepidemiologia.it

Modificata da: 1.2www.quadernodiepidemiologia.it I DATI sono numeri (oppure valori non numerici, come ad esempio sì o no, malato o sano ecc.), ma non sono soltanto numeri. I dati sono numeri in un contesto. Ad esempio, il numero "3.8" o il valore "3.8 kg" in sé non portano alcuna informazione. Ma se veniamo a sapere che una conoscente ha dato alla luce un bambino del peso di 3.8 kg, allora questo numero assume significato in uno specifico contesto e, ad esempio, possiamo congratularci per il buon peso del bambino, indice di presumibile buona salute. Il contesto implica il possesso di conoscenze sull'argomento, le quali ci consentono di formulare giudizi. Ad esempio, sappiamo che un bambino alla nascita non può pesare 450 grammi, né 45 kg. Il contesto fa sì che il numero contenga informazione. La struttura logica descritta (cioè i processi di raccolta-elaborazione-interpretazione dei dati) non è peculiare dell'epidemiologia, ma è comune anche ad altri settori delle professioni sanitarie. Ad es., nel procedimento diagnostico di fronte ad un malato, il sanitario raccoglie dati (anamnesi, visita con rilevazione dei sintomi, segni, esami di laboratorio ecc.); questi dati vengono «elaborati» (spesso quasi inconsciamente!) nella mente del sanitario che infine, interpretandoli anche in base al suo «buon senso clinico», arriverà alla diagnosi. Durante la visita clinica, alcuni dei dati raccolti non sono esprimibili in forma numerica. Ad esempio, è impossibile (o molto difficile) misurare e rappresentare con precisione attraverso un numero fenomeni come l'entità di una edema o il dolore provocato da una manovra di palpazione addominale. In altri casi, invece, i dati sono esprimibili in forma numerica (il numero di pulsazioni cardiache al minuto, la pressione arteriosa, ecc).

Quasi sempre, le osservazioni non quantificabili numericamente possono essere trasformate in un numero in base a criteri più o meno arbitrari. Ad esempio, ….. Questo tipo di trasformazione è molto utile quando i dati devono essere sottoposti ad una elaborazione. In epidemiologia i dati sono sempre rappresentati da numeri. Ad esempio, uno studio epidemiologico potrebbe mirare a stabilire QUANTI soggetti sono affetti da una malattia in un determinato momento, oppure QUANTI nuovi casi si sono verificati in un lasso di tempo, oppure QUANTI soggetti esposti ad un certo fattore vengono colpiti dalla malattia, ecc. Ecco perché l'epidemiologia, servendosi di dati numerici, ricorre più di altre discipline a tabelle o grafici in cui riportare i dati numerici. Per lo stesso motivo, l'epidemiologia si serve frequentemente di due altre discipline: la matematica e, soprattutto, la statistica. Quest'ultima comprende i metodi di studio dei fenomeni collettivi e quindi rappresenta logicamente la compagna ideale dell'epidemiologia. I dati purtroppo non parlano da soli, ma vanno interpretati. L'interpretazione, però, non deve essere lasciata al buon senso soggettivo dello sperimentatore. È necessario definire una serie di metodi formali, accettati e condivisi dal mondo degli scienziati; questi metodi devono essere usati per l'analisi dei dati, allo scopo di trarre conclusioni il più possibili veritiere. La statistica comprende appunto questi metodi. Riassumendo: la statistica è l'interfaccia tra la matematica e la scienza medica Modificata da: 1.2www.quadernodiepidemiologia.it

Da:

Gli studi osservazionali (detti anche "ecologici"), sono quelli nei quali le variabili in studio (nel caso più semplice, la variabile malattia e la variabile presunta causa) vengono monitorate, ma su di esse non si effettua alcun tipo di intervento (vedi storia naturale, ndr). Ci si limita a trarre informazioni sull'esistenza di un rapporto causa-effetto dalla semplice osservazione dei fatti. Gli studi sperimentali (o esperimenti controllati) sono i più adatti a identificare i determinanti di malattia. Possono essere effettuati in laboratorio o in campo. Da:

I stadio. È necessario accertare se la variabile indipendente (supposta causa o fattore di rischio/esposizione) è statisticamente associata con la variabile dipendente (l'«effetto», come ad es. la comparsa di malattia). II stadio. Soltanto nel caso in cui le variabili siano statisticamente associate, è necessario accertare, mediante una serie di criteri accettati, che le due variabili siano causalmente associate; III stadio. È la fase finale in cui, sulla base del rapporto causale tra le due variabili dimostrato nelle due fasi precedenti, possono essere effettuate elaborazioni sulla natura e sulle conseguenze dell'associazione, utilizzando modelli teorici, simulazioni, esperimenti in laboratorio o in campo ecc.

sperimentali Quando i ricercatori possono agire attivamente sulla variabile indipendente (cosa che non avviene negli studi osservazionali ma in quelli sperimentali), e osservare le conseguenti modificazioni sulla variabile dipendente, essi possono trarre valide conclusioni su quanto tali modificazioni nella variabile dipendente siano causate da quelle verificatesi nella variabile indipendente. osservazionali Al contrario, quando i ricercatori possono soltanto osservare la contemporanea variazione delle due variabili (come negli studi osservazionali), allora essi possono solo definire una associazione tra di esse, dimostrata dal fatto che al modificarsi dell'una si modifica anche l'altra. In questo caso, però, non si può escludere l'eventualità che entrambe le variabili siano, in maniera indipendente l'una dall'altra, influenzate da una terza variabile. In questo caso, tra le due variabili considerate non esiste un nesso causale, e l'apparente (ma inesistente!) relazione causa-effetto è dovuta ad un effetto detto di «confondimento».

INFERENZA

In particolare, l'ipotesi (1), se verificata, è frutto di una "colpa" dello sperimentatore, che ha selezionato un campione NON rappresentativo della popolazione oggetto dello studio. Un campione non rappresentativo si dice distorto (o affetto da «bias», dall'inglese bias=distorsione). Ovviamente un campione distorto fornisce risultati non affidabili. L'ipotesi (2) chiama in causa il caso e la variabilità biologica. Pensa di eseguire di nuovo, però su altri soggetti, l'esperimento sull'efficacia dei due farmaci già fatto: sei sicuro che otterresti gli stessi risultati? No, appunto perché nell'andamento dell'esperimento si inseriscono fattori diversi, noto e ignoti, dovuti appunto al caso (glicemia, P.A, ecc, ndr). Per isolare l'effetto del caso, e quindi per escludere l'ipotesi (2), devi ricorrere alla statistica, applicando un test che ti permetta di verificare la «significatività» dei tuoi risultati.

Da:

Un'associazione spuria è quella dovuta alla presenza di errori sistematici. Questo è un errore che prevedibilmente causa, durante le osservazioni di raccolta dei dati, lo stesso tipo di errore oppure un errore che va sempre nella stessa direzione. Esso è dovuto a vizi nella impostazione o nella esecuzione di uno studio. Una associazione non causale può essere la conseguenza di una confusione fra causa ed effetto. Più frequentemente, una associazione non causale deriva dal fatto che la malattia e l'esposizione sono entrambe associate ad un altro fattore x, che è il vero responsabile dell'associazione; in questo caso si dice che l'associazione è mediata dal fattore x. Una interazione di questo tipo prende il nome di «confondimento».

Da:

L'associazione fra infarto e consumo di caffè non è reale, ma è mediata dal fumo di sigaretta. La variabile fumo ha agito come fattore di confondimento, perchè non era distribuita uniformemente all'interno dei due gruppi C+ e C- (guarda i due diagrammi a torta) ed essa era in grado di influenzare l'effetto studiato (l'infarto). Se essa fosse stata distribuita uniformemente, l'effetto di confondimento non avrebbe potuto essere evidenziato. In sostanza, l'eccesso di casi di infarto riscontrato nei C+ è dovuto alla più alta proporzione di fumatori in questo stesso gruppo rispetto al gruppo C-. Consumo di caffè: indicatore di rischio (ndr) Da:

Ora vediamo come si fa a quantificare l'associazione eventualmente riscontrata, ossia a quantificare il rischio cui sono soggetti gli animali esposti. Il procedimento è diverso a seconda che si tratti di uno studio retrospettivo oppure di uno studio prospettivo. Se lo studio è retrospettivo si calcola l'odds ratio, se lo studio è prospettivo si calcola il rischio relativo.

Proseguiamo l'esempio dell'unità precedente riguardante l'associazione fra obesità e urolitiasi del cane, ricordando che in uno studio retrospettivo si inizia selezionando i casi e i controlli e poi andando ad accertare quanti fra i casi (e quanti fra i controlli) sono stati esposti alla presunta causa. Lo studio ha fornito i seguenti risultati: Il metodo da utilizzare per la misurazione dell'associazione in uno studio retrospettivo è il calcolo del cosiddetto «odds ratio (OR)» o «rapporto degli odd» o «rapporto incrociato»

Il metodo da utilizzare per la misurazione dell'associazione in uno studio retrospettivo è il calcolo del cosiddetto «odds ratio (OR)» o «rapporto degli odd» o «rapporto incrociato». Per comprendere questa misura, occorre introdurre il concetto di "odds" (termine che non ha un corrispondente in italiano; può essere reso con "probabilità a favore"). Gli odds sono rappresentati dal il rapporto fra il numero di volte in cui l'evento si verifica (o si è verificato) ed il numero di volte in cui l'evento non si verifica ( o si è verificato). L'"odds ratio" si calcola attraverso i semplici rapporti (odds) fra le frequenze osservate e non attraverso le proporzioni. Nel nostro esempio sulla urolitiasi del cane, calcoliamo gli odds (ricordati: odds = p a favore / p contro) di esposizione nel gruppo dei casi e gli odds di esposizione nel gruppo dei controlli, e poi ne facciamo il rapporto. Il calcolo dell’O.R. e del R.R (la forza dell’associazione)

Notare che si utilizzano i semplici rapporti tra le frequenze osservate (a/c, b/d) e non le proporzioni (a/a+c e b/b+d). Notare anche che, applicando le proprietà delle frazioni, l'odds ratio può venire più facilmente calcolato attraverso i prodotti delle celle incrociate della tabella (a*d e b*c); perciò viene anche detto, in italiano, "rapporto incrociato". Ritorniamo all'esempio dell'obesità-urolitiasi e calcoliamo l'odds ratio (per tua comodità, i dati dello studio sono riprodotti nella tabella qui sotto). A questo punto, sorge la domanda: qual è il significato del valore ottenuto? Ossia: come si interpreta l'OR? l'interpretazione è identica a quella del rischio relativo

Diversamente da uno studio retrospettivo, uno studio prospettivo inizia suddividendo la popolazione in esposti e non esposti e poi osservando nel tempo quanti fra gli esposti (e quanti fra i non-esposti) si ammalano. Supponiamo di intraprendere un nuovo studio per verificare se esiste una associazione fra allevamento dei vitelli in ricoveri chiusi (esposizione, o variabile indipendente) e la comparsa di polmonite (variabile dipendente). A questo scopo effettuiamo uno studio prospettivo, seguendo nel tempo gruppi di vitelli allevati al chiuso oppure all'aperto e contando i casi di polmonite che si verificano nei due gruppi. Alla fine dello studio i risultati ottenuti [dati fittizi] vengono tabulati nella «solita» tabella di contingenza:

Questa volta si tratta di uno studio prospettivo, e quindi si può calcolare il «rischio relativo (RR)», denominato in inglese «risk ratio» ossia rapporto fra i rischi. Infatti, il rischio relativo è il rapporto fra il rischio nel gruppo degli esposti e il rischio nel gruppo dei non esposti. Forse è più efficace e più precisa la seguente definizione: il rischio relativo è il rapporto tra l'incidenza negli esposti e l'incidenza nei non esposti (dove «incidenza» significa proporzione di nuovi casi). In base a quest'ultima definizione si comprende perché il rischio relativo viene detto anche rapporto di incidenza. Pertanto il calcolo del RR si sviluppa come segue:

Utilizzando i dati dello studio sulla polmonite dei vitelli (riprodotti nella tabella qui sotto), abbiamo:

Interpretazione dell'odds ratio e del rischio relativo L'interpretazione è identica sia che si tratti di valori di OR che di valori di RR. Dapprima occorre sottolineare entrambi possono assumere valori teorici compresi fra 0 e +infinito. È intuitivo che un valore =1 indica assenza di associazione tra malattia ed esposizione, in quanto testimonia che: - per il rischio relativo: l'incidenza negli esposti è all'incidenza nei non esposti oppure - per l'odds ratio: l'odds di esposizione nei casi è all'odds di esposizione nei malati. Un valore 1 indica l'esistenza di una associazione positiva (il fattore può causare la malattia). Più i valori si discostano da 1, in un senso o nell'altro, più l'associazione è forte. Ricordati però che, prima di dichiarare l'esistenza di un rapporto causa-effetto tra l'esposizione e la malattia, devi eseguire un test di significatività statistica (per escludere che la differenza sia dovuta al caso) e poi devi verificare i cinque criteri di causalità. A rigore, l'odds ratio non è una autentica misura del rischio in quanto si riferisce alla probabilità di avere già una malattia, mentre nel termine "rischio" è implicita l'idea di un evento che si verificherà in futuro. Tuttavia, se si suppone che la durata media della malattia negli esposti sia simile a quella nei non-esposti (e che la malattia non influenzi lo stato di esposizione), allora l'odds ratio rappresenta una buona misura (stima) del rischio relativo.

In sintesi, l'interpretazione dell'odds ratio o del rischio relativo viene effettuata in base allo schema che segue:

Variabilità biologica

Variabilità biologica e distribuzione di frequenze Da:

Definizione di epidemiologia: le cinque parole-chiave Da:

L'EPIDEMIOLOGIA Osserva il fenomeno oggetto di studio; Descrive il fenomeno oggetto di studio, ricorrendo ad appropriate misure di esposizione e di insorgenza di malattia; Studia la distribuzione nel tempo e nello spazio del fenomeno; Formula ipotesi circa le sue cause (determinanti), sulla base delle caratteristiche osservate o sulla base di osservazioni cliniche e/o di laboratorio;

L'EPIDEMIOLOGIA Disegna e conduce studi appropriati a saggiare la bontà delle ipotesi formulate, preoccupandosi di valutare attentamente la qualità dei dati raccolti; Analizza i dati raccolti e interpreta i risultati ottenuti, considerando attentamente le possibili fonti di distorsione e concludendo circa la plausibilità o meno di una relazione causale; Stima l'impatto dell'utilizzazione, a fini preventivi, dei risultati; Valuta l'impatto reale, sulla popolazione, delle misure adottate.

Compiti specifici e scopi pratici della epidemiologia Da:

Criteri di causalità Per stabilire un’associazione di causalità occorre eliminare tutti i possibili fattori di confondimento. Da:

Obiettivi di uno studio epidemiologico

Da:

Gli studi osservazionali (detti anche "ecologici"), sono quelli nei quali le variabili in studio (nel caso più semplice, la variabile malattia e la variabile presunta causa) vengono monitorate, ma su di esse non si effettua alcun tipo di intervento (vedi storia naturale, ndr). Ci si limita a trarre informazioni sull'esistenza di un rapporto causa-effetto dalla semplice osservazione dei fatti. Gli studi sperimentali (o esperimenti controllati) sono i più adatti a identificare i determinanti di malattia. Possono essere effettuati in laboratorio o in campo. Da:

I stadio. È necessario accertare se la variabile indipendente (supposta causa o fattore di rischio/esposizione) è statisticamente associata con la variabile dipendente (l'«effetto», come ad es. la comparsa di malattia). II stadio. Soltanto nel caso in cui le variabili siano statisticamente associate, è necessario accertare, mediante una serie di criteri accettati, che le due variabili siano causalmente associate; III stadio. È la fase finale in cui, sulla base del rapporto causale tra le due variabili dimostrato nelle due fasi precedenti, possono essere effettuate elaborazioni sulla natura e sulle conseguenze dell'associazione, utilizzando modelli teorici, simulazioni, esperimenti in laboratorio o in campo ecc.

Quando i ricercatori possono agire attivamente sulla variabile indipendente (cosa che non avviene negli studi osservazionali ma in quelli sperimentali), e osservare le conseguenti modificazioni sulla variabile dipendente, essi possono trarre valide conclusioni su quanto tali modificazioni nella variabile dipendente siano causate da quelle verificatesi nella variabile indipendente. Al contrario, quando i ricercatori possono soltanto osservare la contemporanea variazione delle due variabili (come negli studi osservazionali), allora essi possono solo definire una associazione tra di esse, dimostrata dal fatto che al modificarsi dell'una si modifica anche l'altra. In questo caso, però, non si può escludere l'eventualità che entrambe le variabili siano, in maniera indipendente l'una dall'altra, influenzate da una terza variabile. In questo caso, tra le due variabili considerate non esiste un nesso causale, e l'apparente (ma inesistente!) relazione causa-effetto è dovuta ad un effetto detto di «confondimento».

In particolare, l'ipotesi (1), se verificata, è frutto di una "colpa" dello sperimentatore, che ha selezionato un campione NON rappresentativo della popolazione oggetto dello studio. Un campione non rappresentativo si dice distorto (o affetto da «bias», dall'inglese bias=distorsione). Ovviamente un campione distorto fornisce risultati non affidabili. L'ipotesi (2) chiama in causa il caso e la variabilità biologica. Pensa di eseguire di nuovo, però su altri soggetti, l'esperimento sull'efficacia dei due farmaci già fatto: sei sicuro che otterresti gli stessi risultati? No, appunto perché nell'andamento dell'esperimento si inseriscono fattori diversi, noto e ignoti, dovuti appunto al caso (glicemia, P.A, ecc, ndr). Per isolare l'effetto del caso, e quindi per escludere l'ipotesi (2), devi ricorrere alla statistica, applicando un test che ti permetta di verificare la «significatività» dei tuoi risultati.

Da:

Un'associazione spuria è quella dovuta alla presenza di errori sistematici. Questo è un errore che prevedibilmente causa, durante le osservazioni di raccolta dei dati, lo stesso tipo di errore oppure un errore che va sempre nella stessa direzione. Esso è dovuto a vizi nella impostazione o nella esecuzione di uno studio. Una associazione non causale può essere la conseguenza di una confusione fra causa ed effetto. Più frequentemente, una associazione non causale deriva dal fatto che la malattia e l'esposizione sono entrambe associate ad un altro fattore x, che è il vero responsabile dell'associazione; in questo caso si dice che l'associazione è mediata dal fattore x. Una interazione di questo tipo prende il nome di «confondimento».

Da:

L'associazione fra infarto e consumo di caffè non è reale, ma è mediata dal fumo di sigaretta. La variabile-fumo ha agito come fattore di confondimento perchè non era distribuita uniformemente all'interno dei due gruppi C+ e C- (guarda i due diagrammi a torta) ed inoltre era in grado di influenzare l'effetto studiato (l'infarto). Se essa fosse stata distribuita uniformemente, l'effetto di confondimento non avrebbe potuto essere evidenziato. In sostanza, l'eccesso di casi di infarto riscontrato nei C+ è dovuto alla più alta proporzione di fumatori in questo stesso gruppo rispetto al gruppo C-. Consumo di caffè: indicatore di rischio (ndr) Da:

Tipi di studi epidemiologici analitici per la verifica di ipotesi. Studi di coorte (prospettici) e studi caso-controllo