Beati i poveri in spirito.  Nel mondo pagano la felicità piena e totale era la caratteristica gelosa ed esclusiva delle divinità: gli dei avevano delle.

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Transcript della presentazione:

Beati i poveri in spirito

 Nel mondo pagano la felicità piena e totale era la caratteristica gelosa ed esclusiva delle divinità: gli dei avevano delle esclusive, una di queste era la felicità. Quando si accorgevano che sulla terra qualcuno raggiungeva una soglia di felicità che loro giudicavano esagerata, lo colpivano con qualche disgrazia.

 Mentre la religione promette una illusoria felicità, insegna la felicità nell’aldilà (soffri di qua, sarai felice nell’aldilà), Gesù è venuto ad annunziare che è possibile essere pienamente felici qui su questa terra. Che ti interessa essere felice nell’aldilà se si soffre qui?

 Gesù è venuto a proporre un nuovo tipo di rapporto con Dio, ma sopratutto un nuovo tipo di relazione con le persone che renda possibile la felicità, non limitata, non a metà ma una felicità piena e totale. Per 8 volte invita alla pienezza della felicità proclamando beati, cioè pienamente felici, chi?

 “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”, o letteralmente “Beati i poveri per lo spirito, perché di questi è il regno dei cieli”. Gesù mai proclama beati i poveri, quelli che la società ha reso poveri, ma, piuttosto, i poveri “in spirito”.

 In passato la Chiesa per una interpretazione errata delle beatitudini, diceva ai poveri, agli oppressi: “fortunati voi perché andate in paradiso”, “Pensate questi ricchi così grassi, quando muoiono i vermi se li mangiano, beati voi che siete pelle e ossa” (da un’omelia pubblicata dell’800).

Jacopo Bassano, Il ricco epulone

 Tutto sta a cercare di capire cosa significa questo “poveri di spirito”: quindi non beati i poveri che la società ha reso tali, ma quelli che sono poveri di spirito. Dal punto di vista grammaticale “Poveri di spirito” può rimandare a:  Un deficit di spirito;  Un atteggiamento spirituale;  Una scelta libera e coraggiosa.

 Il termine deficiente, derivante etimologicamente dal latino deficio, indica in medicina e psicologia una persona totalmente o parzialmente minorata sul piano intellettuale: non sembra possibile che Gesù, in questa beatitudine, pensi a queste persone cui certamente la comunità cristiana deve rispetto ed accoglienza, senza però farne un modello cui aspirare.

 Poveri nello spirito può significare atteggiamento spirituale; cosa vuol dire? Tu sei ricco, mantieni le tue ricchezze, l’importante è che ne sei spiritualmente distaccato (e non si è mai capito che cosa significasse per un ricco essere spiritualmente distaccato delle sue ricchezze). La povertà di spirito si trasformò in spirito di povertà.

 E questa, guarda caso, è stata la versione che ha imperato nella chiesa in passato. Non si chiedeva ai ricchi di rinunciare alla loro ricchezza, ma l’importante era che ne fossero distaccati, magari ricordandosi ogni tanto di fare un’offerta di beneficenza per le opere della chiesa. Ma siccome questa è la beatitudine più difficile da digerire, sarà quella sulla quale Gesù ritornerà più volte in questo vangelo.

 Quando Gesù chiede al ricco di rinunciare alle sue ricchezze e questo rifiuta e se ne va via, Gesù non gli corre dietro cercando di attenuare la sua esigenza. Non è che gli dice: “tienile, l’importante è che ne sei distaccato spiritualmente”. Il distacco dalle ricchezze richiesto è immediato, effettivo e radicale. Quindi Gesù non richiede un distacco spirituale, ma un distacco reale.

 Poveri per lo spirito, può significare scelta esistenziale; cioè non persone che la società ha reso povere, ma persone che per lo spirito, cioè per la forza interiore, scelgono volontariamente di entrare nella condizione della povertà.  Ma cosa significa entrare nella condizione della povertà?

 Al termine delle beatitudini Gesù dichiara di non essere venuto ad abolire la legge ed i profeti, ma a portarla a compimento. Gesù è venuto a realizzare pienamente il disegno di Dio sull’umanità che già Mosè aveva espresso: “nel mio popolo nessuno sia bisognoso. Questa è la volontà di Dio!” (cfr. Dt 15).

 Israele pensava che se nel popolo nessuno era bisognoso, allora tutti avrebbero creduto che il Dio di Israele è quello vero. Equivalentemente, nella prima comunità cristiana, i credenti testimoniavano con grande forza la resurrezione di Gesù non solo a parole, con un catechismo o con proclami, ma con l’incomprensibile (per il mondo) segno della totale condivisione che faceva sì che nella comunità non ci fossero persone che hanno e persone che non hanno: “nessuno è bisognoso” (cfr. At 42)!

 Quando vai a toccare il portafoglio delle persone, parte immediato il tentativo di depotenziamento della richiesta. Mentre sancisce la “legge del settimo anno” che imponeva la cancellazione di ogni debito all’interno del popolo, Dt è costretto a minacciare quelli che avvicinandosi la “remissione” pensano bene di non prestare nulla per non perdere nulla!

 Gesù propone la remissione non ogni 7 anni, ma addirittura come pratica abituale nel Padre nostro: “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Essendo il nostro debito verso Dio Creatore e Salvatore, è stato facile e comodo volgere sul solo piano spirituale l’invito alla cancellazione reale e radicale dei debiti.

 Allora Gesù in questa beatitudine che cosa chiede? Non sta chiedendo ai suoi di spogliarsi, ma di vestire chi è nudo, ed ognuno di noi può vestire qualcuno che è nudo senza bisogno di spogliarsi. La categoria della povertà, compresa e ritradotta nella nostra cultura, è un invito ad abbassare il livello di vita per permettere a quelli che lo hanno troppo basso di innalzarlo.

 Entrare nella condizione della povertà, allora, non significa aggiungersi ai tanti poveri che già ci sono, perché la comunità testimonia Dio eliminando le radici della povertà. Nella comunità non c’è spazio per i ricchi, ossia per coloro che hanno e trattengono per sè; il Signore invita ad essere signori, ossia a condividere - perché di questo si tratta - quello che si ha e quello che si è, con chi non ha.

 Coloro che sono disposti a questo sono “beati … perché di essi è il regno dei cieli”. Matteo è l’unico evangelista che adopera la formula “regno dei cieli”. Se la intendessimo, come è stato fatto in passato, come l'aldilà, allora tornerebbe prepotente l’idea che “qua soffrite, però starete bene là”: saremmo di nuovo in una logica di “oppio dei popoli”.

 Il Talmud, la legge orale ebraica successivamente tramandata anche per iscritto, ci insegna che i giudei evitavano di nominare ed anche solo scrivere il nome di Dio. Matteo, tutto teso a non urtare la loro suscettibilità, tutte le volte che può sostituisce il termine “Dio” con il termine “cieli”. “Regno dei cieli”, allora, non è l’aldilà, ma il regno, il regnare di Dio.

 Dire “di essi è il regno dei cieli”, significa che Dio è il loro re, cioè, che queste persone sono governate direttamente da Dio; e Dio non governa emanando leggi che gli uomini devono osservare, ma comunicando loro il suo spirito, occupandosi dei poveri e degli emarginati, prendendosi cura delle persone.

 Da notare che le beatitudini non sono mai rivolte ad un singolo individuo, ma sempre ad una pluralità; Gesù parla al plurale - beati voi – perché vuol incidere profondamente nella società per cambiarne radicalmente il volto, ed allora ha bisogno di un gruppo, di una comunità.

 Se, dunque, c’è un gruppo di persone che sceglie liberamente, volontariamente e per amore di essere responsabile della felicità e del benessere degli altri, da quel momento succede qualcosa di straordinario, Dio si prende cura di loro; è un cambio meraviglioso. Se noi ci prendiamo cura degli altri, finalmente permettiamo a Dio di prendersi cura di noi.

 Così si passa dal credere che Dio è Padre a sperimentarlo, dal momento che se Dio si prende cura della nostra felicità la vita cambia perché si sperimenta quotidianamente, anche negli aspetti minimi insignificanti dell’esistenza, la presenza tenera di un Padre che in qualunque situazione ti sussurra: “non ti preoccupare, fidati di me”.

Materiale rielaborato a partire da: Conferenza di p. Alberto Maggi presso l’associazione “I beati costruttori di pace.”