Sulle orme di Santa Umiltà
Avvicinandosi il momento in cui sarebbe piaciuto a nostro Signore porre termine alle fatiche di Umiltà e renderle il frutto delle sue virtù, ecco che l’umile donna, nel giorno della festa di Santa Lucia si sentì assalita da una grave malattia.
Era ancora bellissima a vedersi, pruden- tissima nelle vie di Dio e del mondo, affezio- nata ogni giorno di più alla strada della peni- tenza, dolce nel convertire e richiamare i pec- catori, davvero saggia nel correggere, deco- rosa nel modo di comportarsi, perfettissima nella carità.
E in quella malattia, anche se non poteva parlare, mostrava con i gesti l’immenso fervore che aveva di fare penitenza. In tutti quelli e quelle che le stavano intorno accendeva il fervore di servire all’altissima Maestà, crescendo in tutte le virtù sino al 22 di maggio dell’anno 1310 dall’incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo.
Era la sesta ferie, cioè il venerdì: e quasi all’ora sesta uscì dalle fatiche del mondo e passò alla gioia del cielo, circondata da tutte le sue figlie, accompagnata da un pianto amaro e dal canto. Siccome quando era in vita, chiamava il giorno della morte di Cristo il suo giorno per eccellenza, per la grandissima reverenza e devozione che ne aveva, così il Figlio di Dio non senza merito volle chiamarla alla vita e rendere vera la parola di lei nello stesso giorno e nella stessa ora in cui egli aveva patito per dare vita a lei e agli altri.
Poiché quel venerdì non si poteva darle il dovuto onore perché il suo sepolcro non era ancora prepara- to, venne sepolta la domenica seguente, nella chiesa che lei aveva edificato in onore di San Gio- vanni evangelista a sinistra del suo alta- re, con grandissimo onore e devozione da parte di gente del mondo, superiori, religiosi e sacerdoti, e davanti ad un’im- mensa folla.
Dopo che la venerabile santa fu sepolta, sopra la sua sepoltura venne posta una lapide di marmo lavorato, nello spazio tra il muro e l’altare a sinistra della chiesa. Dopo un po’ di tempo, la lapide cominciò a trasudare e spandere olio purissimo e chiaro. Alcune monache se ne accorsero dal coro di sopra ma, non pensando ad un miracolo, credettero che fosse olio versato incautamente da qualche ministro della chiesa per la rottura di una lampada o di un altro vaso. Lo dissero con una suora molto vecchia che rispose loro: “Non dite nulla e attendia- mo l’agire di Dio. Vedremo quel che sarà”.
Qualche giorno dopo si accorse del miracolo il sacerdote della chiesa: siccome non poteva vedere né immaginare come l’olio potesse spargersi sulla lapide, se ne meravigliò moltissimo e, davvero stupefatto, corse subito a rivelare alle suore del convento quanto accaduto. Allora la badessa vi mandò quella suora tanto vecchia, per essere ben documen- tata su quella novità.
Tornata dalle altre monache, disse loro: “Vedete, non preoccupatevi di ragionare di questa cosa con qualcuno. Vedremo che farà ancora il Signore.” La suora, avendo per certo che quello era un miracolo, pose un panchetto sopra la lapide perché nessuno la calpestasse.
In questo frangente un monaco del monastero di San Pancrazio di Firenze venne sul posto per vedere il miracolo. Avvicinandosi alla sepoltura e vedendo il liquido, guardando in alto fece un gesto di sospetto, come se stimasse che l’olio fosse caduto dal di sopra per un qualche motivo.
Accorgendosi di que- sto, l’anziana suora che abbiamo ricor- dato e che era lì pre- sente, per rassicurare il monaco sulla verità del miracolo, si tolse subito di capo il velo e mentre glielo dava, gli disse di asciugare l’olio perfettamente con quel velo. E come il monaco lo ebbe fatto, aggiunse: “Ora spostiamoci di qui e stiamo a vede- re.”
Quasi subito la lapide cominciò a trasudare grossissime gocce, lucide e chiare come d’olio purissimo, che si distesero abbondantemente sopra la lapide. Il monaco, vedendo questo, stupì moltissimo ma, ricono- scendo il miracolo, lodando Dio e raccomandandosi alla santa, con grande fiducia tornò al suo monastero.
Giorni dopo ancora, essendo venute alcune donne fiorentine per visitare la sua sepoltura, e per raccomandarsi a lei con maggior devozione alzarono il panchetto, non sapendo niente di quanto era successo. Vedendo unta d’olio la lapide, e ritenendo che questo fosse un segno della sua santità, subito corsero in città e, rivelando quello che avevano visto, spinsero tutti i fiorentini ad andare a vedere questa cosa straordinaria: “Correte, correte a vedere la Santa di Faenza: la sua sepoltura getta olio.”
Radunatasi una moltitudine di cittadini, alcuni volevano togliere la Santa dal sepolcro per prendere bene visione di tutto questo e per diffondere il miracolo. Opponendosi a questo l’anziana suora di cui abbiamo detto, insieme ad altre che erano con lei, essi dissero: “Noi la tireremo fuori nonostante che voi non vogliate.” Rispose allora la monaca anziana: “Figli miei, Dio vi dia consiglio: quel che dite non è conveniente né permesso a voi secolari, perché noi siamo religiose e abbiamo qualcuno al di sopra di noi. Cosicché a qualcun altro, e non a voi, spetta fare quello che dite”. E con dolci parole vinse e addolcì il loro animo, ed essi tornarono a casa con gli altri, molto consolati. Poi, di lì a poco tempo, seguendo il consiglio di certi religiosi e di altri santi uomini, nel lato destro del monastero con devozione e rispetto fu fatto un altar solenne.
E il 6 giugno del 1311, alla presenza dei padri venerabili Antonio vescovo di Firenze, don Ruggero abate di Vallombrosa, don Azzo abate della badia di Firenze, don Grazia abate di Settimo, e alla presenza di moltissimi altri religiosi, superiori e sudditi, di chierici e di una grandissima folla, il suo corpo venne estratto dalla nuda terra dove era stato sepolto.
Mostrata a tutta la gente perché tutti la potessero vedere, terminandosi a fatica la celebrazione della Messa, fu poi sepolta nel luogo preparato e adornato per lei con grande onore come si doveva.
Oggi il suo corpo riposa, pressoché intatto, nella sua comunità fiorentina, trasferitasi nel Monastero di Bagno a Ripoli, alla periferia di Firenze. Elaborazione: Monastero Santa Umiltà - Faenza