L’intercessione manifesta la solidarietà e la comunione dell’intera comunità con un suo mem­bro nel bisogno: “Mentre Pietro era in prigione, una preghiera.

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Transcript della presentazione:

L’intercessione manifesta la solidarietà e la comunione dell’intera comunità con un suo mem­bro nel bisogno: “Mentre Pietro era in prigione, una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla chiesa per lui” (At 1 2,5).

In particolare, l’Apostolo svolge il suo ministero pastorale presso le sue comunità interceden­do, pregando per esse (cfr. 2 Cor 9,14; Col 1,3.9-11) e venendo sostenuto dalla loro preghiera per lui (cfr. Rm 15,30; 2Cor 1,11; Fil 1,19).

Anzi, l’atto stesso del pregare per gli altri sostiene anche colui che prega: “Co­lui che sostiene gli altri con l’intercessione, sostiene an­che se stesso grazie a questo stesso atto e a coloro che egli sostiene”.

Chiamato a pregare, il credente è chiamato in particolare a intercedere, a innalzare suppli­che e preghiere “per tutti gli uomini” (1 Tm 2, 4), ma­nifestando così la volontà di Dio “che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4).

Grazie all’intercessione, la volontà di Dio e l’amore universale che la anima diventano prassi quotidiana del credente convertendo il suo cuore. Infatti, la preghie­ra per gli altri nasce dall’amore e conduce all’amore pu­rificando l’amore.

Scrive Dietrich Bonhoeffer: Una comunità cristiana vive dell’intercessione recipro­ca dei membri o perisce. Non posso giudicare o odiare un fratello per il quale prego, per quanta difficoltà io possa avere ad accettare il suo modo di essere o di agi­re. Il suo volto, che forse mi era estraneo o mi riusci­va insopportabile, nell'intercessione si trasforma nel volto del fratello per il quale Cristo è morto, nel vol­to del peccatore perdonato. Questa è una scoperta ve­ramente meravigliosa per il cristiano che incomincia a intercedere. Non esiste antipatia, non esiste tensione e dissidio personale che, da parte nostra, non possa es­sere superato nell’intercessione. L’intercessione è il bagno di purificazione a cui il singolo e il gruppo de­vono sottoporsi giornalmente... Intercedere signifi­ ca: concedere al fratello lo stesso diritto che è stato concesso a noi, cioè di porsi davanti a Cristo ed esse­re partecipe della sua misericordia Dietrich Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia 1969, p. 112.

Del resto, come sarebbe mai possibile arrivare ad ama­re i nemici senza pregare per loro? Non a caso Gesù, dopo aver detto: “Amate i vostri nemici” (Lc 6,27), su­bito aggiunge: “Pregate per coloro che vi maltratta­no” (Lc 6,28). La preghiera infonde intenzionalità al nostro agire e relazionarci, e ne diviene il fondamento spirituale.

Finora abbiamo parlato della preghiera dei vivi per i vivi, ma la Scrittura attesta anche la preghiera dei vi­vi per i morti (cfr. 2Mac 12,41-45) e dei morti per i vivi (cfr. 2Mac 15,11-16).

Se nel secondo brano si attesta l’intercessione per i vivi da parte di due giusti trapassati come il sommo sacerdote Onia e il profeta Gere­mia, nel primo si narra di Giuda Maccabeo che esorta a pregare perché venga perdonato il peccato commes­so da alcuni giudei morti in battaglia che si erano impadroniti di idoli e amuleti trovati in templi pagani.

La preghiera per i defunti è sostenuta e resa possibile dal­la fede nella resurrezione (“Se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe sta­to superfluo e vano pregare per i morti”: 2 Mac 12,44) e diviene un compito della comunità credente che vive anche in questo modo la sua solidarietà con i fratelli de­funti.

La fede nella resurrezione è l’esito radicale dell’al­leanza che Dio stringe con gli uomini e che parla di un amore divino che “vale più della vita” (Sal 63,4) e si spinge oltre la vita.

Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe è il Dio dei viventi, non dei morti (cfr. Es 3,6; Mc 12,26-27), sicché i giusti che in vita si sono af­fidati a lui, ora, dopo la morte, sono viventi in lui. Si pensi a Mosè ed Elia attorno al Cristo trasfigurato (cfr. Mc 9,2-8) davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni.

La comunione vissuta in vita non è spezzata dalla morte perché il credente trova la sua vita “in Cristo”: coloro che vivono i loro giorni in Cristo restano pertanto in comunione con coloro che sono “morti in Cristo” e tra di loro si stabilisce una misteriosa comunione che ren­de possibile anche una comunicazione (cfr. AP 7, ).

Del resto, il battesimo, che incorpora il singolo creden­te all’evento pasquale e crea la comunione di coloro che nella storia formano il corpo di Cristo, rappresenta una morte simbolica per vivere in Cristo e infonde la con­vinzione che la morte fisica non spezza il legame del credente che, in Cristo, è unito alla comunità di fede.

La chiesa attesta, fin dall’antichità, la possibilità di una preghiera per i morti, che si situa nella communicatio idiomatum (comunicazione dei linguaggi) che unisce in Cristo i vivi e i morti: L’unione... di coloro che sono in cammino con i fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fe­de della chiesa, è consolidata dalla comunicazione dei beni spirituali Concilio Vaticano II, Lumen gentium 49, in Enchiridion vaticanum I, p. 592, nr. 419.

Così, la liturgia della chiesa prega per i defunti soprattutto nelle anafore eucaristiche. La chie­sa prega per tutti i suoi membri, vivi o morti, e prega per i morti nella santità e per i morti peccatori: tutti, infatti, sono bisognosi della misericordia di Dio, uni­ca potenza di salvezza.

Nella preghiera per i defunti la chiesa manifesta la sua qualità di corpo di Cristo e vi­ve la solidarietà con tutte le membra di questo corpo anche con coloro che già sono trapassati.

La chiesa, men­tre prega per i morti, prega con loro. Unica, infatti, è la liturgia della chiesa celeste e terrestre. Pregando per i morti la chiesa confessa il perdono dei peccati su tutti: sui vivi come sui morti.

Del resto, la salvezza che Cristo è venuto a portare è per tutti gli uomini e il Ri­sorto è disceso agli inferi per annunciare il vangelo an­che ai morti (cfr. 1 Pt 3, 18-20; 4,6).

Pregando per i mor­ti la chiesa si inserisce nel piano di salvezza di Dio che ha come fine il Regno, la resurrezione finale, la vita eterna.

Ecco allora che le preghiere tradizionali per i morti invocano “pace”, “riposo eterno”, “refrigerio”, “luce eterna”, ed evocano immagini quali “il seno di Abramo” (Lc 16,22), il “paradiso” (Lc 23,43), la “Gerusalemme celeste” (Ap 21, 2).

Pregare per i vivi e per i morti è lottare contro l’inferno della non relazione che minaccia le nostre vite e far regnare l’amore che è legame vitale e salvifico invocando il Dio misericordioso e compassionevole.

In­fatti, il Dio misericordioso si rallegra di vedere i suoi figli affrettarsi ad aiutare il prossimo. Il Misericordioso vuole e desidera che noi tutti ci facciamo reciprocamen­te del bene, sia mentre viviamo che dopo la morte Giovanni di Damasco, Su quanti si sono addormentati nella fede, PG 95, 262B.