LEZIONE 5 DELLA SCUOLA DEL SABATO MALEDETO IL GIORNO SABATO 29 OTTOBRE 2016 SABATO 29 OTTOBRE ° TRIMESTRE 2016
Nei primi dialoghi di Giobbe –contenuti nei capitoli 3, 6 e 7– possiamo osservare l’angoscia che affliggeva il patriarca. In essi, riversa la sua anima sofferente con grida e domande.
«Perisca il giorno in cui nacqui e la notte che disse: "È stato concepito un maschio!”» (Giobbe 3:3) In un momento, Giobbe era passato dall’essere un ricco proprietario terriero con una grande famiglia a un povero malato senza denaro nè famiglia (accompagnato solo da sua moglie e da alcuni amici silenziosi). Meditando sulle sue disgrazie, Giobbe non poteva comprendere tutto questo. Che senso aveva una vita così? Non sarebbe stato meglio non essere mai nato? Nei momenti di disperazione, come Giobbe, anche noi siamo tentati di desiderare di non essere mai nati. Ma non c’è sofferenza che si prolunghi all’infinito. Anche nei nostri peggiori momenti dobbiamo ricordare che c’è una speranza e una prospettiva che le cose andranno meglio.
«Perché non sono morto nel grembo di mia madre? Perché non spirai appena uscito dal suo ventre? […] Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei riposo» (Giobbe 3:11, 13) Lungi dal voler porre fine alla sua vita, il desiderio di Giobbe era trovare riposo. Il riposo sereno della morte, infatti essa rende tutti gli uomini uguali e liberi dalle preoccupazioni. (Giobbe 3:11-26) Ma… sorpresa! Giobbe non parla di una vita gloriosa o del tormento eterno di quando si muore. Parla solo di riposo, nulla più. Un sonno incosciente, senza pensare, senza soffrire, senza gioire. Questo concorda col resto della Bibbia, e quello che Gesù stesso insegna sulla morte. Leggere Ecclesiaste 9:5 o Giovanni 11:11-14 come esempi della teologia biblica riguardo la morte.
«Ah, se il mio dolore fosse interamente pesato, e la mia sventura si mettesse insieme sulla bilancia, sarebbe certamente più pesante della sabbia del mare! Per questo le mie parole sono state sconsiderate!» (Giobbe 6:2-3) Per Giobbe, nulla in questo mondo poteva essere così grande come la sua angoscia e il suo dolore. Questo non significa che nessuno può soffrire più di Giobbe, ma che nessuno può sentire il suo dolore come lo sentiva lui. Così è per ognuno di noi. Nessuno può sentire il dolore di un altro. Ognuno sente il proprio dolore. Questo non significa che non possiamo aiutare il sofferente perché non possiamo comprendere pienamente il suo dolore. Naturalmente, possiamo e dobbiamo condolerci con chi soffre e aiutarlo, per quanto possibile, ad aleviare la sua sofferenza.
«Lasciare il prossimo sofferente disinteressandosi delle sue necessità, equivale ad aprire una breccia nella legge di Dio... Colui che ama Dio non solo amerà il suo simile, ma considererà con tenera compassione le creature che Dio ha creato. Quando lo Spirito di Dio è nell’uomo, lo induce a dare sollievo anzichè produrre sofferenza... Prendiamoci cura delle sofferenze altrui, e consideriamoci strumenti di Dio per confortare i bisognosi fin dove le nostre capacità ce lo permettono» E.G.W. (Figli e figlie di Dio - 15 Febbraio)
«I miei giorni sono più veloci di una spola da tessitore e si consumano senza speranza» (Giobbe 7:6) Sembra contradditorio che, dopo essersi lamentato di eterne notti d’inquietudine e lunghi giorni di costante sofferenza (7:1-5), Giobbe si lamenta della brevità della vita («la mia vita è un soffio», 7:6-11). Ė, che davanti all’idea della morte, il tempo vissuto ci sembra troppo breve; inclusa la nostra sofferenza presente. D’altra parte, nei momenti di sofferenza desideriamo solo che finisca tutto presto. Se la sofferenza è grave (come quella di Giobbe) il nostro intelletto è offuscato e crediamo che «i miei occhi non torneranno più a vedere il bene» (7:7). Com’è corto il tempo vissuto (bene o male) quando lo confrontiamo all’eternità futura!
«Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3:16) «Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Giovanni 3:16)
«Dio è amore. Si preoccupa delle sue creature. “Come un padre ha compassione dei suoi figli, Dio ha compassione di quelli che lo temono”. “Guardate quale amore ci ha dato il Padre, che siamo chiamati figli di Dio” Salmo 103:13; 1 Giovanni 3:1. Quale prezioso privilegio è questo, che siamo figli e figlie dell’Altissimo, eredi di Dio e coeredi con Gesù Cristo! Non lamentiamoci, perché in questa vita non siamo liberi dalle delusioni e dal dolore… Anche nel buio dell’afflizione, come possiamo rifiutare di elevare il cuore e la voce, ringraziando e lodando, mentre ricordiamo l’amore manifestato alla croce del Calvario?» E.G.W. (Testimonianze per la chiesa - volume 5)