Le «fonti» del diritto internazionale

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Transcript della presentazione:

Le «fonti» del diritto internazionale Natura, procedimento formativo, condizioni di validità e di efficacia, regole per la soluzione delle «antinomie» (conflitti tra norme)

Le fonti del diritto internazionale. Overview ►La consuetudine internazionale. Fonte principale (sotto il profilo soggettivo e materiale), espressiva di «regole non scritte», di carattere «evolutivo». Efficacia «generale»: forma il sostrato normativo entro il quale tutte le altre fonti internazionali s’inquadrano. Al diritto consuetudinario appartengono norme istituzionali fondamentali (il diritto dei trattati, il diritto della responsabilità internazionale). Norme consuetudinarie sono le norme di «diritto imperativo» (ius cogens) poste al vertice della gerarchia delle fonti internazionali. Problema (teorico) del «procedimento formativo» della consuetudine ►I principi generali del diritto. Come la consuetudine si tratta di una fonte non scritta formata da norme generali (principi) ed elementari applicabili a una molteplicità di situazioni; i principi hanno funzione integrativa o interpretativa, non autonoma: colmano le «lacune» dell'ordinamento. Esempi. Differiscono dalla consutudine per «consistenza» (norme-principio) e per funzione (non hanno funzione «normativa» autonoma) ►L’accordo internazionale: Regole di comportamento liberamente formulate dagli Stati (e/o dalle organizzazioni internazionali), esprimono un “concorso di volontà” depositato in uno strumento (accordo, trattato, patto); l’accettazione dello strumento determina, per le “Parti contraenti”, obbligo giuridico (di matrice consuetudinaria: pacta sunt servanda). L’obbligo sorge solo per gli enti che hanno concorso alla stipulazione (principio consensualistico). L’accordo, rispetto alla consuetudine, è una lex specialis (effetti inter partes: v. figura del contratto nel diritto interno). Tutte le questioni relative alla vita degli accordi internazionali e alla loro violazione sono regolate dal diritto consuetudinario (il “diritto dei trattati”; anche: il diritto della responsabilità), opportunamente “trascritto” in accordi c.d. di codificazione (diritto “strumentale”: le Convenzioni di Vienna; il progetto sulla responsabilità degli Stati e delle organizzazioni internazionali).

Le fonti (segue) ►Le regole adottate per l’attuazione di accordi internazionali (c.d. fonti previste da accordi). Strumenti giuridici adottati (in genere da organi di organizzazioni internazionali) per l’attuazione di accordi internazionali multilaterali. Le regole di adozione, le loro condizioni di validità e di efficacia, sono stabilite dall’accordo di base (per questo si dicono “fonti previste da accordi”). Esempio: le risoluzioni dell’Assemblea generale o del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’accordo di base è, dunque, il parametro di validità e di efficacia dello strumento “derivato” (per gli Stati membri e per i singoli) ► Gli atti unilaterali. Manifestazioni di volontà statale (o di organizzazioni internazionali) che danno luogo a conseguenze (o a obblighi) giuridici per detti Stati (e a favore di terzi). Le conseguenze giuridiche in questione derivano da norme consuetudinarie (promessa; riconoscimento; rinuncia) ovvero da accordi (cui si rapportano: denuncia, recesso da un trattato; domanda o istanza introduttiva di un procedimento di soluzione delle controversie) ►Il “soft law”, la dottrina e la giurisprudenza: Fonti complementari. Funzione (ausiliaria) di «impulso alla formazione» ovvero alla «ricostruzione» di regole generali o particolari. Esempi: atti finali di conferenze internazionali (atto finale della Conferenza di Helsinki, 1979; conclusioni dei G8 o G20) o di organi di organizzazioni internazionali («conclusioni» dei Consigli europei); atti non vincolanti di organizzazioni internazionali («codici di condotta» o «guidelines» OCSE in materia di investimenti o di imprese multinazionali).

Le fonti (il «soft law» internazionale) Manifestazioni della prassi internazionale non immediatamente riconducibili alle fonti classiche (consuetudine, accordo, fonti previste da accordi). Non esprimono (secondo lo Statuto dell’ente che li adotta) regole di condotta vincolanti: hanno dunque valore «politico» esortativo. Esempio: conclusioni dei Capi di Stato e di Governo, riuniti in sede di Consiglio europeo «informale» a 27, del 29.6.2016 (referendum «Brexit») Tuttavia: a) possono contribuire indirettamente alla formazione di regole internazionali (orientano l'agire e la valutazione dei membri della comunità internazionale: consuetudini «nascenti») ovvero b) esprimere informalmente un «concorso di volontà» degli Stati rappresentati (accordo, accordo informale, ecc., imputabile non all’organizzazione o all’organo, bensì agli Stati membri dei medesimi come «soggetti sovrani»). Esempio: Dottrina e giurisprudenza (di organi internazionali) hanno carattere accessorio o sussidiario nella determinazione di norme internazionali (“subsidiary means for the determination of rules of law”, ai fini dell’attività della CIG)

L’art. 38 Statuto Corte internazionale di giustizia (1919-) «1. The Court, whose function is to decide in accordance with international law such disputes as are submitted to it, shall apply: a. international conventions, whether general or particular, establishing rules expressly recognized by the contesting states; b. international custom, as evidence of a general practice accepted as law; c. the general principles of law recognized by civilized nations; d. subject to the provisions of Article 59, judicial decisions and the teachings of the most highly qualified publicists of the various nations, as subsidiary means for the determination of rules of law. 2. This provision shall not prejudice the power of the Court to decide a case ex aequo et bono, if the parties agree thereto»

I rapporti fra fonti (gerarchia e regole di soluzione dei conflitti) (sinossi) In un ordinamento giuridico particolare quale quello internazionale è arduo collocare le fonti in rapporti di gerarchia, salvo eccezioni La soluzione dei conflitti va individuata piuttosto nei caratteri propri alle fonti «in conflitto» Consuetudine e accordo hanno «rango» paritario, con prevalenza «operativa» dell’accordo in base ai principi: a) di successione delle norme pariordinate nel tempo e b) di specialità (la fonte speciale ha priorità sulla fonte generale); In via d’eccezione, nell’ambito dei trattati istitutivi di organizzazioni internazionali, può darsi il fenomeno inverso (la consuetudine «istituzionale» può derogare a norme dell’accordo istitutivo) Nel caso di trattati successivi la derogabilità dell’accordo precedente da parte dell’accordo sopravvenuto è ammessa solo se le parti contraenti (dei due accordi) coincidono (art. 30, par. 3, CVDT: infra); in caso contrario (accordi con parti parzialmente diverse) essa s’applica limitatamente ai rapporti fra le stesse parti; Al contrario, nei confronti delle parti «terze» al primo accordo, gli Stati che hanno stipulato l’accordo successivo in conflitto («incompatibile») sono tenute in ogni caso a garantirne il rispetto (art. 30, par. 4, lett. b: infra): i due trattati sopravvivono (ma possono determinarsi problemi di responsabilità per le parti che hanno assunto obblighi convenzionali incompatibili); soluzione pragmatica: le «clausole di compatibilità» (o di subordinazione del secondo accordo al primo: art. 30, par. 2, CVDT) I rapporti fra conseutudine cogente (diritto imperativo) e accordo sono di tipo tendenzialmente gerarchico (art. 53 e 64 CVDT 1969, infra): invalidità o inapplicabilità della norma confliggente appartenente alla fonte subordinata I rapporti fra consuetudine «cogente» (diritto imperativo) e consuetudine ordinaria è parimenti di tipo gerarchico; Analogamente di tipo gerarchico sono i rapporti fra accordi e «fonti derivate da accordi» (la fonte derivata è invalida o inapplicabile se confliggente con l’accordo di base)

La «consuetudine internazionale» Natura. Diversamente che nel diritto statale, nel diritto internazionale (in assenza di una autorità sociale preposta a legiferare: eteronomia) le regole generali si formano con il «contributo comune» dei soggetti cui dette regole si rivolgono (in forma decentrata). Fonte «ad efficacia generale» (riguarda, in principio, tutti i consociati). Fonte «non scritta» (ricostruita a partire dai fatti-comportamenti; gli «accordi di codificazione» hanno autonoma natura convenzionale) La «consuetudine» (custom, coutume - usanza, tradizione, abitudine) è la principale fonte del diritto internazionale. Contenuto. La consuetudine esprime le regole essenziali del diritto internazionale: le regole c.d. strumentali (soggetti, fonti, adattamento, responsabilità: vedi anche giurisprudenza internazionale) e talune antiche e costitutive regole materiali (diritti e doveri degli Stati: sovranità territoriale, regime delle immunità e limiti all’uso della forza; diritto del mare e degli spazi aerei; principi di diritto ambientale ecc.; regole protettive degli individui, e il divieto di gross violations dei diritti fondamentali della persona, i principi universalmente riconosciuti del diritto umanitario, ecc.).

Il «procedimento di formazione» o i fatti formativi della consuetudine Secondo la concezione ampiamente prevalente il processo formativo della regola consuetudinaria comprende due momenti (teoria dualista della consuetudine), un elemento materiale e un elemento psicologico a) l'affermarsi di una pratica costante e diffusa (usus, diuturnitas; elemento materiale della consuetudine), sollecitata da esigenze o bisogni materiali (conforme a necessità): si tratta di comportamenti statali (nel senso più ampio: atti interni, prese di posizione governative, leggi, decisioni giudiziarie); b) successivamente, per sedimentazione, detta pratica cristallizza in una regola sentita come obbligatoria o conforme al diritto (opinio iuris sive necessitatis; elemento psicologico della consuetudine) Di tale concezione è espressione l’art. 38 Statuto CIG (la consuetudine come «evidence of a general practice accepted as law», o «manifestazione di una prassi generale riconosciuta come diritto»)

Il procedimento formativo della consutudine: teorie alternative In dottrina sono state affermate anche concezioni diverse del procedimento costitutivo della consuetudine: teorie «unitarie» o moniste, secondo le quali un solo elemento (materiale ovvero psicologico) sarebbe sufficiente a costituire la consuetudine.  Concezione fondata sulla ripetizione uniforme e stabile del comportamento: sufficienza della «prassi» o dell’uso; la convinzione di obbligatorietà è un effetto del manifestarsi della norma, non un suo elemento costitutivo. Secondo tale analisi «logica», nelle fasi iniziali, la «convizione di obbligatorietà» è insostenibile (e fondata sull'errore): poiché la norma non esiste ancora (non si è ancora consolidata), il comportamento da essa stabilito non può ritenersi né obbligatorio né giustificato dalla necessità sociale;  Concezione, opposta, fondata sull’elemento soggettivo: la convinzione di obbligatorietà sarebbe sufficiente. La prassi (il comportamento) anziché elemento costitutivo, costituisce realizzazione dell'obiettivo della norma ovvero “prova” dell'esistenza della norma (sua manifestazione concreta). In tale concezione la norma esiste e vincola gli Stati e le organizzazioni a prescindere dai comportamenti concreti tenuti da detti soggetti; anzi preesiste ad essi. Il diritto internazionale generale non costituisce risultato di un «processo» o «procedimento» ma si configura piuttosto come diritto “spontaneo”, esito di una convinzione collettiva circa l'esistenza della regola. Quest’ultima ricostruzione ha avuto grande successo in passato, nella variante della «teoria positivista» che riconduce la consuetudine all’espressione del «common consent» degli Stati.

La teoria volontarista (o positivista) Detta teoria, indicata come consensualista o volontarista riduce la consuetudine (come ogni regola del diritto internazionale) all’accordo tacito fra gli Stati. La consuetudine dunque si risolve nella volontà degli Stati, espressa attivamente o per mera acquiescenza (v. positivismo giuridico). Implica in sostanza una “frammentazione” dell'ordinamento internazionale. È stata recuperata (da taluni autori) per è stata richiamata: a) per sostenere rivendicazioni o contestazioni di norme generali «classiche» da parte di gruppi di Stati accomunati da medesimi interessi. Esempio: sovranità “assoluta” sulle risorse naturali, Stati in via di sviluppo, non obbligo di un “indennizzo equo, immediato ed effettivo” in caso di espropriazione o nazionalizzazione di concessioni a beneficio di società straniere. Scopo: stimolare “modifiche repentine” del diritto generale vigente; b) per avallare “deroghe unilaterali” a norme consuetudinarie, ossia per affermare eccezioni «soggettive» al carattere «generalmente vincolante» della consuetudine (→ figura dell'obiettore persistente o dello Stato recalcitrante); c) per spiegare “fenomeni particolari”: le consuetudini che sorgono solo tra alcuni Stati appartenenti a contesti geografici o a tradizioni giuridiche comuni (consuetudini “regionali” o locali: infra); d) per spiegare l'efficacia assicurata a “prese di posizione” degli Stati (occidentali, sviluppati) nell'ambito delle organizzazioni universali (Assemblea generale dell'ONU) nella “genesi” di nuove norme consuetudinarie o nella “modifica” di norme esistenti. e) Pare offrire spiegazione alle nuove norme generali sorte repentinamente («instant custom»), in assenza di prolungati comportamenti conformi (per esempio, attraverso prese di posizione statali incorporate in “risoluzioni”, non vincolanti, dell'Assemblea generale ONU; o a seguito di pronunce della CIG; o a seguito di prese di posizione di alcuni Stati: caso della Torrey Canyon, caso delle dichiarazioni canadesi).

La «teoria dualista» sulla formazione della consuetudine La «teoria dualista» sulla formazione della consuetudine. In teoria e in pratica La teoria dualista è sistematicamente applicata dalla giurisprudenza internazionale e ampiamente riconosciuta dagli Stati. Il peso dei vari elementi (oggettivo e soggettivo) varia naturalmente in funzione del tipo di consuetudine che si tratta di accertare (regole positive o negative; nate dalla prassi convenzionale multilaterale o bilaterale) e dell’uniformità relativa dei comportamenti statali, nonché del fattore tempo di maturazione della consuetudine stessa (esigenza di stabilità: infra). La prassi. A) La consuetudine e la sua applicabilità generale. Il fattore tempo (necessità di «stabilizzazione» della regola. Consuetudine prodottasi in applicazione di un accordo di codificazione (rinvio). La più completa analisi del «processo formativo» della consuetudine è nella sentenza CIG, 20.2.1969 relativa alla Piattaforma continentale del Mare del Nord (Germania c. Danimarca e Germania c. Paesi Bassi).

CIG, sentenza 20.2.1969 relativa alla Piattaforma continentale del Mare del Nord (Germania c. Danimarca e Germania c. Paesi Bassi). Controversia sulla delimitazione della “piattaforma territoriale” tra Stati in prossimità (contigui). È discussa l’esistenza della regola (consuetudinaria) della equidistanza, secondo cui (come definita, seppure a titolo residuale, da una convenzione di codificazione) ciascuno Stato beneficia della porzione di piattaforma inclusa entro la linea tracciata a partire dalle coste degli Stati contigui e parimenti distante da queste. La Germania non è vincolata dalla recente Convenzione di Ginevra sulla piattaforma continentale del 1958, che è stata sottoscritta solo dalla Danimarca e dai Paesi Bassi, i quali pretendono tuttavia che la regola si sia affermata rapidamente in via consuetudinaria per effetto della Convenzione stessa La Corte è chiamata a stabilire se la regola della equidistanza sia «transitata» dalla Convenzione alla consuetudine per effetto della prassi e dell’opinio conforme degli Stati (di tutti gli Stati coinvolti). Esclude detta eventualità, per mancanza di rigorosa uniformità della prassi a tal riguardo. Essa afferma che, se il tempo trascorso dall’entrata in vigore della Convenzione è poco, vi debba essere un'ampia e diffusa partecipazione degli Stati alla Convenzione, e in particolare “degli Stati i cui interessi sono particolarmente riguardati”: ciò che non è il caso, pur se è possibile speculare sulle motivazioni di tale scarsa adesione. Per ciò che riguarda il “fattore tempo”, sebbene pochi anni siano trascorsi dalla sua firma ed entrata in vigore, la prassi non appare “ampia” o “virtualmente uniforme” nel senso indicato dalla norma, né è tale da “manifestare un generale riconoscimento del fatto che una regola giuridica o obbligo giuridico è in essa implicito” (cpv. 74, p. 43). Ancora con riguardo alla prassi successiva alla Convenzione, la Corte ritiene che l'azione degli Stati – parti e soprattutto non parti – conforme ai suoi precetti non permettesse di stabilire sufficientemente una consuetudine in tal senso. Ciò poiché non era dimostrato che tale prassi fosse accompagnata dal necessario “elemento soggettivo”. La Corte illustra come molti comportamenti sono costantemente seguiti, solo per considerazioni di “cortesia, convenienza o tradizione”, e non per un sentimento di obbligo giuridico: cpv. 77, p. 44). Gli Stati avevano semplicemente agito così, senza che fosse dimostrabile una convinzione di “rispondere” ad un obbligo giuridico (p. 45).

Evoluzione (in senso restrittivo) della regola dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione? B) La Corte nega che la regola tradizionale (1930-) delle immunità statali dalla giurisdizione possa essersi evoluta in mancanza di una prassi «nazionale» conforme. CIG, 3.2.2012, caso delle Immunità degli Stati dalla giurisdizione (Germania c. Italia) la Germania ha fatto ricorso alla Corte contro l'Italia, per aver questa eventualmente violato la regola consuetudinaria che esclude la giurisdizione nazionale per (qualsiasi) comportamento “territoriale”, purché iure imperii di Stati stranieri; per aver, dunque, riconosciuto ai giudici nazionali competenza ad accertare il carattere gravemente illecito (“criminale”) dei comportamenti della Germania tra il 43 e il 45 e per aver disposto il diritto al risarcimento dei singoli lesi da soddisfarsi su beni immobili tedeschi adibiti a destinazione pubblica (culturale) in Italia. Le giurisdizioni italiane (giurisprudenza di Cassazione) avrebbero applicato restrittivamente tale regola, escludendo dall'immunità i comportamenti che costituiscono gravi violazioni del diritto internazionale consuetudinario (crimini internazionali dello Stato). La Corte afferma: “In the present context, State practice of particular significance is to be found in the judgments of national courts faced with the question whether a foreign State is immune, the legislation of those States which have enacted statutes dealing with immunity, the claims to immunity advanced by States before foreign courts and the statements made by States, first in the course of the extensive study of the subject by the International Law Commission and then in the context of the adoption of the United Nations Convention. Opinio juris in this context is reflected in particular in the assertion by States claiming immunity that international law accords them a right to such immunity from the jurisdiction of other States; in the acknowledgment, by States granting immunity, that international law imposes upon them an obligation to do so; and, conversely, in the assertion by States in other cases of a right to exercise jurisdiction over foreign States. While it may be true that States sometimes decide to accord an immunity more extensive (flessibilità della regola?) than that required by international law, for present purposes, the point is that the grant of immunity in such a case is not accompanied by the requisite opinio juris and therefore sheds no light upon the issue currently under consideration by the Court». La Corte riscotruisce la prassi giudiziaria e convenzionale dei vari Stati e disconosce l’affermarsi di una regola derogatoria al principio dell’immunità degli Stati dalla giurisdizione civile.

Accertamento dell’esistenza della consuetudine e uniformità dei comportamenti (il problema delle «violazioni» della norma) In quale misura le violazioni di una (pretesa) consuetudine internazionale (difformità dei comportamenti statali) incide sulla sua perdurante esistenza? →CIG 27.6.1986, caso delle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua (Nicaragua c. Stati Uniti, merito, punti 186 ss.: la violazione (fattuale) del divieto di ingerenza negli affari interni di altri Stati e/o del divieto dell’uso della forza (finanziamento da parte degli Stati Uniti di contras operanti in Nicaragua contro il governo filocomunista) non indebolisce il divieto: a) la coerenza della prassi va apprezzata con elasticità; b) se lo Stato, che sembra aver violato il divieto, ne ribadisce il valore, richiamandosi a “deroghe” previste dal diritto consuetudinario (in effetti poi insussistenti). Nella stessa sentenza la Corte ha accertato “l'esistenza” della regola consuetudinaria sul divieto dell'uso della forza, sebbene gli Stati litiganti si fossero dichiarati d'accordo nell'ammetterne l'esistenza. La Corte così si è espressa: «It is not to be expected that in the practice of States the application of the rules in question should have been perfect, in the sense that States should have refrained, with complete consistency, from the use of force or from intervention in each other's interna1 affairs. The Court does not consider that, for a rule to be established as customary, the corresponding practice must be in absolutely rigorous conformity with the rule. In order to deduce the existence of customary rules, the Court deems it sufficient that the conduct of States should, in general, be consistent with such rules, and that instances of State conduct inconsistent with a given rule should generally have been treated as breaches of that rule, not as indications of the recognition of a new rule. If a State acts in a way prima facie incompatible with a recognized rule, but defends its conduct by appealing to exceptions or justifications contained within the rule itself, then whether or not the State's conduct is in fact justifiable on that basis, the significance of that attitude is to confirm rather than to weaken the rule» (punto 186).

Il caso del Lotus (Francia c. Turchia), 7. 9 Il caso del Lotus (Francia c. Turchia), 7.9.1927: consuetudini «proibitive» (negative) e rilevanza dell’elemento soggettivo C) In assenza di dimostrata «opinio iuris» la Corte nega possa affermarsi l'esistenza di una regola della giurisdizione esclusiva dello Stato della bandiera in caso di incidenti avvenuti in alto mare. Dunque anche lo Stato “vittima” dell’incidente può esercitare la sua giurisdizione se ha “apprensione” dei responsabili. La fattispecie: Battello turco (Boz-Kurt) “vittima” di un incidente causato da nave francese (Lotus). L’incidente causa vittime: perisce l'equipaggio turco (salvo taluni, fra cui il comandante, che sono tratti in salvo dal battello francese). La nave responsabile approda a Costantinopoli in Turchia, e ivi il comandante francese (e il comandante turco) sono oggetto di procedimenti penali (con arresto preventivo) al fine d’accertare le responsabilità rispettive. Il comandante francese (M. Demons) eccepisce l'incompetenza del tribunale domestico; questi invece si riconosce competente, e condanna il comandante all'imprigionamento e a una multa (così anche il comandante turco). La Corte afferma un regime di libertà («a wide measure of discretion») dello Stato nell'esercizio della sua “giurisdizione” in relazione a fatti avvenuti all'estero («under international law as it stands at present»), salvo limiti speciali derivanti da regole internazionali proibitive. Conferma tale assunto alla luce della grande varietà delle regole assunte dagli Stati nei loro ordinamenti interni in assenza di obiezioni o proteste da parte degli altri Stati, e dal tentativo di por limiti a tale libertà sul piano convenzionale. La Corte nega l'esistenza della regola (giurisdizione esclusiva, effetto proibitivo), perché l'astensione degli Stati dall'esercizio della giurisdizione nel caso di incidenti (in zone non soggette alla sovranità di alcuno Stato) non sembra il risultato di una regola proibitiva. In relazione a incidenti in alto mare del tipo di quello verificatosi (“abordage”, “collision”) la rarità delle sentenze dei tribunali nazionali penali non attesta, come sostenuto dalla Francia, l'emergere di una consuetudine proibitiva (“a tacit consent on the part of States”, “la preuve d'un consentement tacite des Etats”) in tal senso: dimostra solo un'astensione di fatto, non corroborata da un riconoscimento di essere obbligati a ciò fare (“and not that they recognized themselves as being obliged to do so; for only if such abstention were based on their being conscious of having a duty to abstain would it be possible to speak of an international custom” p. 28). La Corte conclude nel senso che la giurisprudenza interna, citata dalle parti va ora a favore di una giurisdizione esclusiva (casi francesi e inglesi) ora in senso contrario (casi italiani e belgi) →in senso conforme, v. parere dell'8.6.1996 sulla liceità dell’uso delle armi nucleari

Consuetudini generali e «consuetudini regionali» La generalità della consuetudine ben tollera il formarsi di consuetudini particolari (o regionali o locali), ossia regole non scritte a sfera d’applicazione soggettiva limitata in funzione del loro ambito d’applicazione (consutudini «correttive» di accordi) o del loro oggetto (rilevanza limitata ad alcuni Stati cartterizzati da tradizioni comuni; più forte l'esigenza di provarne l'esistenza e l'accettazione della controparte) Esempi. Regole derogatorie non scritte formatesi nel contesto di trattati istitutivi di organizzazioni internazionali (NATO o ONU) o di accordi regionali (art. 27 Carta ONU); Principio regionale dell'uti possidetis, formatosi nel processo di decolonizzazione dell'America latina. In base a tale regola “regionale” i confini degli Stati sudamericani, sorti dalla decolonizzazione (e i conflitti eventualmente relativi) erano determinati (e risolti) in base alle suddivisioni “amministrative” fra i territori coloniali spagnoli. Talora regole siffatte divengono consuetudini “generali” (così, ad esempio, il principio è stato applicato nello smembramento della ex Iugoslavia, ovvero in quello della Cecoslovacchia; gli Stati nuovi sorgono con i confini delle delimitazioni “amministrative”, interne, preesistenti). Questione dell'esistenza e dei presupposti d'esercizio dell'asilo diplomatico o extraterritoriale: come noto il diritto di asilo è concesso da uno Stato nel suo territorio a beneficio di singoli o gruppi “perseguitati” nello Stato di origine o in altri Stati per motivi etnici, religiosi, politici, ecc. E’ configurabile un “asilo nell’ambasciata” ospitata presso lo Stato di cui il singolo è cittadino, ovvero ospite, e dove è esposto a grave pericolo? Nel caso del diritto d’asilo (Colombia c. Perù), 20.11.1950, la CIG ha escluso che la Colombia possa “qualificare unilateralmente” la natura del reato (politico) commesso da un privato, cittadino dello Stato territoriale (il cittadino peruviano Haya de la Torre, capo di una fazione politica rivoluzionaria), ai fini della concessione dell'asilo diplomatico presso l’ambasciata colombiana a Lima, Perù), ai sensi di una pretesa consuetudine regionale sorta tra gli Stati latinoamericani. La CIG ritiene indimostrata la consuetudine in oggetto (afferma che comunque, anche se lo fosse, non potrebbe essere opposta al Perù “che, lungi dall’avervi aderito con il suo comportamento, l’ha, al contrario, respinta rifiutando di ratificare le Convenzioni di Montevideo [e altre convenzioni] che erano le prime a prevedere una norma riguardante la qualificazione del reato in materia di asilo diplomatico” In senso affermativo CIG, caso del 13.7.2009 relativo alla controversia sui diritti di navigazione e diritti connessi (Costa Rica c. Nicaragua), che ammette il carattere consuetudinario del “diritto alla pesca di sussistenza” dei cittadini rivieraschi del Costarica nel fiume San Juan, ivi compresa la parte di fiume che ricade nella sovranità del Nicaragua.

L’accordo internazionale: 1. Definizione e natura «Forma di auto-regolamento obbligatorio della condotta di soggetti di diritto internazionale, disciplinato dal diritto internazionale» Elementi costitutivi: a) «incontro di volontà» su regole di identico contenuto; b) fra soggetti di diritto internazionale; c) inteso a produrre effetti giuridicamente vincolanti; d) regolato dal diritto internazionale L'accordo si forma in presenza di in un incontro di volontà su regole di identico contenuto (modulazione: l’istituto della riserva nei trattati multilaterali)

Elementi costitutivi e non costitutivi Sono a tal riguardo irrilevanti il nomen (accordo, gentlemen agreement, understanding, ecc. ecc.) così come le forme o i procedimenti di conclusione (principio di libertà): v. infra, accordi in forma solenne e accordi c.d. informali o in forma semplificata Sono efficaci anche accordi stipulati oralmente; depositati in più strumenti unilaterali, come gli accordi sotto forma di scambio di lettere, o stipulati a distanza; un comunicato stampa emesso dai ministri degli esteri dei due Stati (v. CIG, caso della Piattaforma continentale nel Mar Egeo (Grecia c. Turchia), 19.12.1978; le minute di un negoziato firmate dai ministri degli esteri, v. CIG, controversia sulla delimitazione marittima e questioni territoriali (Bahrain c. Qatar), 1.7.1994); anche accordi non pubblicizzati o non registrati (accordi “segreti”). Analogamente irrilevante è l'oggetto dell'accordo. È vero che in genere l'accordo mira alla regolazione di interessi individuali degli Stati (“trattati contratto”, improntati alla reciprocità e al bilateralismo). Tuttavia i trattati possono realizzare anche interessi collettivi o universali: e in tal caso esprimono regole di carattere obiettivo e sono soggetti a criteri (interpretativi e applicativi) “obiettivi”, staccati dalla dimensione bilaterale e negoziale (“trattati-legge”).

2. La codificazione del diritto dei trattati. La CVDT 1969 Il procedimento di formazione, l'efficacia, le cause di invalidità e di estinzione dell'accordo sono regolate dal diritto consuetudinario, denominato > diritto dei trattati (relativo al procedimento di formazione, agli effetti, alle riserve, alle cause di invalidità e di estinzione, alla successione fra accordi incompatibili, ecc.). Questo è stato codificato in varie convenzioni: nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (1969, entrata in vigore nel 1980: CVDT 1969); nella Convenzione di Vienna del 23 agosto 1978 sulla successione degli Stati nei trattati (entrata in vigore nel 1996); e nella Convenzione di Vienna del 21 marzo 1986 sul diritto dei trattati fra Stati ed organizzazioni internazionali e fra organizzazioni internazionali (non ancora entrata in vigore) Nozione di “codificazione”: ricostruzione (CDI) e trascrizione in un testo scritto delle norme consuetudinarie esistenti. Il testo può prevedere anche norme non (ancora) corrispondenti al diritto consuetudinario (conferme o smentite nella pratica). Alcune norme della Convenzione, all’epoca della loro formulazione, erano di sviluppo progressivo (incidenza del diritto imperativo sui trattati). Vedi art. 13 Carta ONU: “Article 13 - The General Assembly shall initiate studies and make recommendations for the purpose of: a) promoting international co- operation in the political field and encouraging the progressive development of international law and its codification”. Allo stesso tempo, rispetto al testo della CVDT, la consuetudine s’è evoluta in senso ampliativo.

Segue: la CVDT 1969 e il «diritto dei trattati» consuetudinario La Convenzione di Vienna del 1969 è ampiamente riproduttiva della prassi nelle sue norme sostanziali (numerose conferme giurisprudenziali). Non così per le norme procedurali (opposizione alle riserve, procedura e termini per far valere le cause di invalidità; mezzi di soluzione delle controversie). Talora la stessa Convenzione è stata superata dalla prassi (norme sulle conseguenze giuridiche dell’incompatibilità delle riserve con l’oggetto e lo scopo del trattato). La CVDT non si occupa che del diritto dei trattati (sono escluse altre questioni, per esempio relative alla responsabilità da violazione dei trattati) e non di tutti i possibili ambiti di questo (sono esclusi ad esempio la successione degli Stati nei trattati, o l’incidenza della guerra sui trattari). L'ambito d'applicazione della Convenzione è più ristretto delle regole consuetudinarie corrispondenti. Essa si applica a) solo agli accordi fra Stati stipulati in forma scritta, b) conclusi fra Stati parte alla Convenzione (tuttavia si applica pure ai trattati cui partecipano Stati non parte alla Convenzione, ovvero organizzazioni internazionali: no condizione “si omnes” (art. 3, c): in tal caso la Convenzione si applicherà solo, ovviamente, nei rapporti fra Stati parte alla Convenzione stessa); c) sono inclusi gli accordi istitutivi di organizzazioni internazionali (ma derogabilità delle regole della Convenzione da parte delle clausole specifiche di tali accordi: art. 5); non invece gli accordi conclusi da queste con Stati o con altre organizzazioni internazionali (esempio recente: “adesione” dell'Unione europea alla Convenzione europea sui diritti dell'uomo). Dall'ambito della Convenzione sono escluse delicate questioni relative alla successione fra Stati (oggetto di apposita convenzione), alla responsabilità e, in particolare, agli effetti della guerra (sulla vita, estinzione o sospensione) dei trattati.

3.Procedimento di conclusione / stipulazione dell’accordo (prospettiva internazionale) 3.1. La prospettiva internazionale: Gli Stati hanno «capacità generale» di concludere accordi (art. 6 CVDT 1969). Diverso il caso delle organizzazioni internazionali, rette dal principio di specialità (la competenza a stipulare dell'organizzazione deriva dal principio funzionale: esse possiedono «the capacity to conclude treaties, which is necessary for the exerise of their functions and the fulfilment of their purposes» e dev’essere conforme al loro strumento istitutivo (ultimi 2 considerando della Convenzione di Vienna del 21.3.1986); l’art. 6 della Convenzione precisa che «The capacity of an international organization to conclude treaties is governed by the rules of that organization». Principio di libertà e non tassatività delle forme previste dal diritto consuetudinario (esempio: accordi sulla stipulazione di accordi): derogabilità per accordo delle regole codificate (che peraltro prevedono grande flessibilità) I procedimenti di conclusione degli accordi sono organizzati in modo da tener conto dell’unità dello Stato sul piano internazionale, ma del carattere complesso dello Stato sotto il profilo interno (Esecutivo, in genere competente a gestire i rapporti internazionali; Legislativo, competente a definire le regole applicabili sul piano interno e nei confronti dei singoli) Si distingue in generale il procedimento in forma solenne (negoziazione, adozione del testo, firma, ratifica, scambio/deposito degli strumenti di ratifica) e il procedimento in forma semplificata (negoziazione, adozione del testo, firma) (categoria affermatasi in via di prassi nel secondo dopoguerra)

Il procedimento in forma solenne I soggetti operanti sul piano internazionale come «rappresentanti dello Stato»: i plenipotenziari Art. 7.1 CVDT 1969: si tratta delle «persone» abilitate dallo Stato «per l'adozione o l'autenticazione del testo di un trattato o per esprimere il consenso dello Stato a essere obbligato da un trattato» (per uno specifico accordo o per categorie di accordi); la qualità di rappresentante è verificata a livello internazionale: «sono considerati plenipotenziari di uno Stato coloro che esibiscono i pieni poteri, ovvero se tale qualità risulta da altre circostanze» (verifica delle «credenziali») Taluni soggetti si presumono internazionalmente titolari di pieni poteri di rappresentanza (plenipotenziari de iure) (non si procede alla verifica dei pieni poteri, ma solo della qualità istituzionale): art. 7.2 CVDT 1969: «Sono considerati rappresentanti dello Stato in virtù delle loro funzioni e senza essere tenuti ad esibire pieni poteri: i Capi di Stato, i Capi di governo e i Ministri degli affari esteri, per tutti gli atti relativi alla conclusione di un trattato; i capi di missione diplomatica, per l'adozione del testo di un trattato fra lo Stato accreditante e lo Stato accreditatario; i rappresentanti degli Stati accreditati a una conferenza internazionale o presso una organizzazione internazionale o uno dei suoi organi, per l'adozione del testo di un trattato in quella conferenza, organizzazione o organo» + i comandanti dell’esercito (accordi di pace con lo Stato «debellato») Nota bene: i plenipotenziari hanno competenza di negoziato e di «espressione» del consenso statale sul trattato (ma anche di altri atti relativi alla vita del trattato: per esempio riserve, recesso o denuncia, ecc.); la decisione interna non spetta loro, ma agli organi designati dal diritto interno (costituzionale)

Fasi: negoziato e adozione del testo a) Negoziazione: definizione in via di mutuo accomodamento o compromesso delle regole convenzionali; i plenipotenziari devono rispettare i termini del mandato (linee o orientamenti negoziali) decisi dall’Esecutivo; talora il «mandato a negoziare» è formalizzato nelle regole sulla stipulazione (esempio: «direttive di negoziato» definite dal Consiglio UE e osseervate dalla Commissione UE sul piano internazionale: art. 218, par. 2, TFUE); il mandato a negoziare è riservato (esigenze di buona riuscita delle negoziazioni: dimensione politica); Cosa accade se il plenipotenziario non rispetta il mandato assegnatogli? Regola generale di cui all’art. 8 CVDT 1969: gli atti compiuti (extra-mandato) sono nulli salvo sanatoria successiva: «Un atto relativo alla conclusione di un trattato compiuto da una persona che non possa, in virtù dell'articolo 7, essere considerata come autorizzata a rappresentare uno Stato a tale scopo, non ha effetti giuridici, a meno che non sia successivamente confermato dallo Stato medesimo». Nota bene: il rispetto del mandato a negoziare è verificato a livello nazionale (in quanto internazionalmente riservato) b) Adozione del testo: al termine dei negoziati multilaterali, il testo che integra il contemperamento di interessi raggiunto viene “adottato”. L’adozione avviene per «consenso» dei rappresentanti statali ovvero nelle conferenze multilaterali, a maggioranza qualificata (2/3 degli Stati presenti e votanti), salva applicazione di una regola diversa (art. 9.2 CVDT 1969): non si tratta di una deroga al principio consensualistico: l’adozione del testo non produce effetti giuridici. Nella prassi adozione per intesa generale (consensus) anche in assenza di voto (per esempio nel sistema NATO: v. CIG, sentenza del 5.12.2011 sul caso dell'applicazione dell'accordo provvisorio del 13.9.1995 (Ex Repubblica iugoslava di Macedonia c. Grecia)).

Firma, ratifica Prassi: la negoziazione di accordi multilaterali avviene per adozione di “pacchetti di disposizioni” (non si vota per le singole norme), concepiti in modo da esprimere un equilibrio globale fra oneri e vantaggi per i vari Stati o gruppi di Stati (package deal) (→diritto del commercio internazionale e accordi OMC). Talora (nelle organizzazioni internazionali) il testo dei trattati è “adottato” dall'organo competente dell'organizzazione internazionale (Consiglio d'Europa, Organizzazione internazionale del lavoro, ONU: Assemblea generale) e “aperto alla firma” degli membri dell’Organizzazione. In tal caso si seguono le regole dell'organizzazione. I negoziati avvengono secondo le dinamiche istituzionali interne (tra i rappresentanti statali che formano gli organi dell'organizzazione) c) Firma (anche parafatura): La funzione della firma è variabile, a seconda che l'accordo sia stipulato in forma solenne o in forma semplificata. Nel primo caso ha mero valore di autenticazione del testo, ne sancisce la non modificabilità («ne varietur») salva l'apertura di nuovi negoziati (art. 10 CVDT 1969) Prassi: varianti: firma ad referendum, con conferma successiva (previa approvazione parlamentare); firma differita, nel caso dei trattati “aperti alla firma” nell'ambito di organizzazioni internazionali. d) Ratifica: prevista come fase dell'accettazione statale degli obblighi convenzionali. Ratifica equivale a «conferma» (assentimento); La ratifica (in senso sostanziale) spetta all'organo a ciò designato dal diritto interno (potere legislativo). La ratifica è atto discrezionale (non è conseguenza vincolata della firma). Tuttavia, secondo la CVDT 1969 per effetto del → principio di buona fede, lo Stato che abbia firmato il trattato con riserva di ratifica “deve astenersi da atti che priverebbero il trattato del suo oggetto o del suo scopo [....] fin tanto che non abbia manifestato la sua intenzione di non divenirne parte” (art. 18, lettera a). Talora l’esecuzione dell’obbligo di buona fede (obbligo di condotta) si confonde con l’obbligo di dare applicazione al trattato (esempio: Corte EDU, sentenza del 12.3.2003, ric. n. 46221/99, Ocalan c. Turchia (I), punto 185)

Scambio o deposito delle ratifiche, altri adempimenti e) Scambio o deposito degli strumenti di ratifica Attraverso lo scambio o il deposito ciascuno Stato manifesta alla o alle controparti il proprio consenso ad obbligarsi al trattato (“manifestazione” del consenso). Lo scambio è utilizzato per i trattati bilaterali, il deposito (presso lo Stato depositario, di solito, lo Stato della sede di svolgimento delle fasi di negoziato e firma; ovvero per gli accordi conclusi nell'ambito delle Nazioni Unite, presso il Segretario generale di tale organizzazione) per i trattati importanti, multilaterali (esempio: trattato di Roma). Attraverso lo scambio o il deposito le ratifiche, atti unilaterali, prendono efficacia (formazione dell'accordo attraverso un fascio di atti unilaterali di identico contenuto). Con lo scambio o il deposito di tutti gli strumenti di ratifica, il trattato si perfeziona giuridicamente. Altre previsioni sono accessorie a quelle sulla stipulazione (perfezionamento del vincolo internazionale) e concernono la presa d’efficacia del trattato e la sua invocabilità: f) L'entrata in vigore del trattato può coincidere con il deposito di tutte le ratifiche, ovvero con il deposito di un certo numero prefissato di ratifiche (in tal caso il trattato entra progressivamente in vigore per gli Stati che hanno ratificato, e per gli altri in un momento successivo; diversamente, v. Carta ONU, art. 18 e 19, per le quali i trattati di emendamento o modifica entrano in vigore, al raggiungimento di un certo numero di ratifiche, anche per gli Stati che non li hanno ratificati → effetto riconducibile alla Carta ONU), o con una data o un momento stabilito dal trattato (art. 24)

La registrazione dei trattati (segue) Per eccezione a tale regime, le disposizioni “procedurali” del trattato entrano in vigore al momento dell'adozione del testo (art. 24.4.). Nota bene: ove le parti ritengano che vi è un interesse alla sollecita entrata in vigore del trattato, possono concordare clausole che sanciscono l’applicazione in forma provvisoria dello stesso (accordi sull’applicazione provvisoria dei trattati); si tratta di clausole che esprimono → accordi in forma semplificata (la firma è sufficiente alla loro entrata in vigore) La CVDT 1969 prevede un obbligo di buona fede a carico dello Stato che abbia ratificato il trattato, fino al momento della sua entrata in vigore (art. 18) g) Registrazione dell’accordo presso il segretariato ONU Obbligo convenzionale stabilito a soli fini di pubblicità (divieto della «diplomazia segreta»); la mancata registrazione (oltre a costituire un possibile indizio della natura “non vincolante” dell’accordo) comporta la sola conseguenza della “non invocabilità” del medesimo davanti agli organi ONU. Inesistenza di regole internazionali sulla nullità degli accordi segreti: v. art. 102 Carta ONU e cfr. art. 18 Patto SdN: gli accordi segreti non sono internazionalmente invalidi, ma possono essere vietati dal diritto interno (caso dell'ordinamento italiano, in particolare per gli accordi soggetti ad assenso parlamentare).

Il procedimento «in forma semplificata» Si tratta di procedimento «semplificato» (negoziazione, eventuale adozione del testo, firma) impiegato per trattati «di importanza minore». La firma esprime l’assunzione di impegno delle Parti contraenti (equivale per effetti alla «ratifica» negli accordi in forma solenne) Gli accordi in forma semplificata, o informali, sono sorti nella prassi statunitense (c.d. executive agreements) al di fuori dei requisiti costituzionali secondo cui i trattati, in tale paese, devono ricevere «advice and consent» dai 2/3 del Senato. Si sono diffusi e generalizzati in quanto rispondenti alle esigenze di “flessibilità”, velocità (e segretezza) nella gestione delle relazioni giuridiche internazionali . Alcuni eseempi recenti: accordo con la Russia sugli armamenti del 2010, accordo anticontraffazione del 2011 (Anti-Counterfeiting Trade Agreement signed in 2011). La separazione delle competenze (funzioni) interne relative alla stipulazione degli accordi ha determinato storicamente problemi (vedi la firma del Covenant della società delle nazioni da parte di W.Wilson) risolti sul piano pragmatico interno. Nella prassi europea: si tratta soprattutto di accordi in materie amministrative o tecniche, accordi esecutivi di altri accordi internazionali, accordi conclusi sotto forma di scambi di lettere o a formazione progressiva. Sono ricondotti a tale categoria anche le clausole sulle modalità di stipulazione di un accordo principale e gli accordi sull'applicazione provvisoria di un accordo (applicabili in attesa che il trattato principale sia concluso ed entri in vigore: sopra) Nota bene: la CVDT non stabilisce una «gerarchia» fra i procedimenti di stipulazione dei trattati, che sono fra loro del tutto equivalenti (art. 11: «Modi di espressione del consenso ad essere vincolati da un trattato - Il consenso di un Stato ad essere vincolato da un trattato può essere espresso per mezzo della firma, dello scambio degli strumenti costituenti un trattato, della ratifica, dell'accettazione, dell'approvazione o dell'adesione, o di qualsiasi altro mezzo convenuto»), salva la discrezionalità delle Parti contraenti; Secondo la CVDT un medesimo trattato può essere stipulato da taluni Stati in forma solenne, da altri in forma semplificata (occorre valutare, a titolo di lex specialis, quanto stabilito dalle Parti nel trattato) (art. 12 ss. CVDT 1969)

La stipulazione dei trattati (prospettiva interna) 3.2. Il problema della competenza (organica) a concludere accordi nell'ordinamento italiano. Accordi statali a) Le competenze organiche per la conclusione di un trattato (firma e ratifica; apposizione e revoca di riserve) e per tutti i profili relativi alla vita del trattato (accertamento della validità ed efficacia dell’accordo; denuncia o recesso dal medesimo) sono determinate dal diritto interno di ciascuno Stato, di cui il diritto internazionale “prende atto” o a cui rinvia (competenza domestica); Nella forma solenne, il procedimento di stipulazione è modulato in modo da tener conto a) della potestà primaria dell’Esecutivo nella gestione delle relazioni giuridiche internazionale (treaty-making power), e b) del monopolio del legislativo nella produzione di norme interne generali (ivi comprese le norme sull’applicazione interna del trattato) Ne deriva che a) il potere esecutivo «attiva» il procedimento e presiede sotto il profilo gestionale a tutte le fasi di stipulazione (conclusione o perfezionamento) del trattato (vedi sopra); tuttavia b) il potere legislativo è chiamato ad approvare (preventivamente) la conclusione di taluni accordi (accordi molto importanti → per le conseguenze «interne» ovvero «strutturali» determinate dai medesimi)

Le norme costituzionali sulla stipulazione dei trattati Il Governo. Secondo la Costituzione italiana la “gestione” della politica estera rientra nelle prerogative del Governo (v. implicitamente art. 95 Costituzione). La formazione e la gestione degli obblighi internazionali dello Stato rientrano tra i compiti dell'Esecutivo: così anche la formazione e la gestione dei trattati internazionali, di cui l'esecutivo si assume la responsabilità (“riserva governativa di potere estero”) Il Parlamento (le Camere, su base paritaria) è chiamato ad autorizzare preventivamente la conclusione (ratifica) di alcune categorie di trattati importanti che hanno conseguenze qualificate sull’assetto dei poteri interni. Art. 80 Costituzione: «Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi». Il Capo dello Stato ratifica i trattati (rappresenta formalmente lo Stato nella sua unità e continuità). Art. 87, par. VIII, Costituzione: il Capo dello Stato «accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere». Attenzione: la ratifica è atto formale, la decisione ad esso sottesa spetta sostanzialmente all'Esecutivo. Infatti, ai sensi dell'art. 89 Costituzione, la responsabilità politica degli atti presidenziali è del ministro proponente, ossia del Governo («nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità») In conclusione: la decisione circa la conclusione degli accordi spetta all’Esecutivo, e comunque avviene su impulso dell’Esecutivo; l’Esecutivo deve coinvolgere obbligatoriamente il Parlamento con riguardo alla conclusione di certe categorie di trattati, e sempre il Capo dello Stato per la competenza di ratifica L’Esecutivo decide in merito alla forma della conclusione dell’accordo (forma solenne o semplificata): col vincolo di ricorso alla forma solenne per le 5 categorie di trattati di cui all’art. 80 Costituzione. La prassi evidenzia che non sempre tale vincolo è rispettato

Accordi (governativi) in violazione dell’art. 80 Costituzione In forma semplificata (senza previa autorizzazione parlamentare) sono stati conclusi accordi a) che incidono sulla consistenza territoriale dello Stato (il Memorandum di Londra sul territorio di Trieste del 1955; accordi sulla concessione di basi militari, accordi peraltro rimasti segreti); b) accordi di natura politica o che modificano leggi preesistenti (per esempio la → legge di autorizzazione alla ratifica del Trattato sull'Organizzazione dell'Atlantico del Nord, nel caso di accordi “governativi” di modifica di questo in via “informale”), o c) che implicano oneri significativi per le finanze (accordi governativi sulla partecipazione delle forze armate italiane a “interventi” sul piano internazionale: Kosovo, 1999, Afghanistan, 2001, Iraq, 2004 ecc.). Emblematico è il caso della richiesta di adesione dell'Italia alle Nazioni Unite (1955), operata dal Governo senza la previa autorizzazione parlamentare. In genere sanatoria parlamentare (sanatoria politica) implicitamente assunta mediante «leggi di esecuzione» dei trattati in questione Censura costituzionale di detta prassi: Corte cost. sentenza n. 295 del 1984, Medusa Distribuzione e altre c. Ministero del turismo e dello spettacolo

La legge di revisione costituzionale Disegno di legge costituzionale (A.C. 2613-D) (soggetto a referendum confermativo 4/12/2016). Ablazione del bicameralismo perfetto. In materia «internazionale» (fase ascendente o della «formazione» dei vincoli internazionali) solo la Camera dei deputati autorizza la ratifica dei trattati ex art. 80 Costituzione. La funzione legislativa è invece esercitata congiuntamente da Camera e Senato con riguardo a «la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione [e all’attuazione] della normativa e delle politiche dell’Unione europea»

La stipulazione dei trattati: gli «accordi delle Regioni italiane» La politica estera è competenza statale esclusiva. Le Regioni hanno tuttavia competenza a concludere talune forme di intese o accordi internazionali che esulano da tale competenza o che sono coerenti con tale competenza statale, entro i limiti fissati dalla Costituzione e dalle norme primarie Dal 2001 (riforma del Titolo V: l. costituzionale n. 3 del 18.10.2001) la Costituzione assegna anche alle Regioni l'esercizio di forme di treaty-making power, subordinatamente a talune condizioni sostanziali e procedurali previste dalla Costituzione e dalla legge (art. 6 della l. n. 131 del 2003, ddl. La Loggia) Sotto il profilo sostanziale la Regione può agire solo nei settori di sua competenza, ossia può stipulare «accordi» che ricadano in competenze concorrenti o residuali (ai sensi dell'art. 117, comma 3 e 4, Costituzione). Il riconoscimento del potere regionale di stipulare accordi, che può essere esercitato in base al principio di “parallelismo” delle competenze (interne-esterne) (sebbene imperfettamente inteso), era già avvenuto ad opera della Corte costituzionale: sentenza n. 179 del 1987, come regola derogatoria rispetto al principio secondo cui la gestione dei rapporti internazionali spetta al governo centrale, anche nelle materie trasferite o delegate alla competenza regionale (deroga all’accentramento statale del treaty-making power). Nell’attuale Titolo V, l'esercizio del treaty-making regionale, anche in materia di competenza regionale esclusiva, può essere esercitato solo in conformità agli indirizzi di politica estera, che ricadono nella competenza esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. a: “politica estera e rapporti internazionali dello Stato”)

Tipologia di accordi regionali Le Regioni possono dunque concludere «accordi» con Stati che rientrino nelle tre ipotesi delineate dalla l. 131 del 2003: -accordi esecutivi ed applicativi di accordi internazionali regolarmente entrati in vigore (es., come previsto dalla Convenzione quadro di Madrid del 1980, previa eventuale stipula di accordi bilaterali fra gli Stati di appartenenza: www.conventions.coe.int/); -accordi di natura tecnico-amministrativa; -accordi di natura programmatica finalizzati a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale.

Condizioni procedurali degli «accordi delle Regioni». Le «intese» Sotto il profilo procedurale tra le condizioni previste dall'art. 6 della l. 131 del 2003 va richiamato il conferimento, da parte del ministro degli esteri, dei pieni poteri di firma, previo accertamento della «opportunità politica e [..] legittimità dell’accordo». Gli accordi sottoscritti in assenza del conferimento di pieni poteri «sono nulli» (art. 6.3 ultima frase). Gli accordi delle Regioni appaiono dunque come “accordi in forma semplificata” (residuali rispetto alle categorie di accordi di cui all'art. 80 Costituzione, sopra). Sul piano internazionale essi vincolano lo Stato (e non la sola Regione che li ha stipulati). Per evitare situazioni di responsabilità internazionale dello Stato per il fatto delle Regioni, è previsto l'istituto del →potere sostitutivo dello Stato che è azionabile quando gli accordi regionali non siano adempiuti dalla stessa Regione che li ha conclusi (art. 6.6) La l. 131 del 2003 riconosce anche alla Regione il potere di concludere “intese” con enti territoriali interni ad altro Stato, dirette a favorire il loro sviluppo economico, sociale e culturale, nonché a realizzare attività di mero rilievo internazionale, pur con taluni limiti (meno stringenti di quelli testé esaminati).

Le riserve ai trattati (art. 19-23 CVDT) Definizione. Contenuto. Effetti. La questione dell’ammissibilità delle riserve (criteri sostanziali e criteri di accertamento). La prassi. La competenza a formulare riserve Definizione. Art. 2, lett. d), Conv. Vienna: «il termine riserva indica una dichiarazione unilaterale, quale che sia la sua formulazione o denominazione, fatta da uno Stato quando sottoscrive, ratifica, accetta o approva un trattato o vi aderisce, mediante la quale esso mira ad escludere o modificare l’effetto giuridico di alcune disposizioni del trattato nella loro applicazione a tale Stato» Contenuto. La riserva mira a modificare (riserva modificativa o riserva interpretativa) o a escludere (riserva eccettuativa), a favore della parte che l'invoca, l’applicazione di determinate clausole di un trattato, ritenute troppo onerose o non consentite dal diritto interno (o contrarie agli interessi unilaterali dello Stato interessato). Scopo dell’istituto è dunque conciliare a) l’ampia partecipazione statale al trattato (principio consensualistico) e b) le esigenze (i limiti) posti dagli ordinamenti degli Stati (esempio: vincoli costituzionali) e dal rispettivo «interesse nazionale» (considerazioni “unilateralistische). Le riserve si giustificano nel caso di strumenti multilaterali a vocazione universale (ma la disciplina dell’istituto, ispirata a logiche di reciprocità, deve essere limitata nel caso delle norme fondamentali o caratterizzanti detti strumenti). Nei trattati bilaterali la formulazione di riserve non ha molto senso: essa equivale ad un rigetto implicito del testo del trattato, o ad una proposta di riapertura dei negoziati

Il problema dell’ammissibilità delle riserve I criteri sostanziali. La CVDT 1969 detta un regime residuale e sistematico. Detto regime trae spunto dalla giurisprudenza internazionale “innovativa. Il trattato cui la riserva è inerente può prevedere una disciplina: permissiva (art. 20.1 CDVT: si pone il problema, interpretativo, di stabilire se la riserva formulata sia o meno coperta dall’autorizzazione), proibitiva (art. 19.a) o condizionata (art. 19.b; es. art. 57 CEDU) Art. 19 CVDT: «Uno Stato, nel momento di sottoscrivere, ratificare, accettare, approvare un trattato o di aderirvi, può formulare una riserva, a meno che: a) la riserva non sia proibita dal trattato; b) il trattato non disponga che possono essere fatte solo determinate riserve, fra le quali non figura quella in questione; oppure c) nei casi diversi da quelli contemplati sub a), e b), la riserva non sia incompatibile con l'oggetto e lo scopo del trattato» Esempi della prassi (ipotesi a e b): Art. 62(1) della Convenzione (firmata il 23.11.2007) per il recupero internazionale degli assegni per i figli e di altre forme di mantenimento familiare (Convention on the International Recovery of Child Support and Other Forms of Family Maintenance, non ancora entrata in vigore; parti: European Union, Burkina Faso, Norway, Ukraine, United States of America): “Any Contracting State may, not later than the time of ratification, acceptance, approval or accession, or at the time of making a declaration in terms of Article 61, make one or more of the reservations provided for in Articles 2(2), 20(2), 30(8), 44(3) and 55(3). No other reservation shall be permitted”.

La disciplina convenzionale delle riserve. Esempi della prassi Art. 42 della Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati (Adopted on 28 July 1951 by the United Nations Conference of Plenipotentiaries on the Status of Refugees and Stateless Persons convened under General Assembly resolution 429 (V) of 14 December 1950 - Entry into force: 22 April 1954, in accordance with article 43) - “Article 42 – Reservations - 1. At the time of signature, ratification or accession, any State may make reservations to articles of the Convention other than to articles 1, 3, 4, 16 (1), 33, 36-46 inclusive. 2. Any State making a reservation in accordance with paragraph 1 of this article may at any time withdraw the reservation by a communication to that effect addressed to the Secretary-General of the United Nations”. Art. 3 della Convenzione del Consiglio d’Europa sul trasferimento delle persone condannate, Strasburgo, 21.3.1983: «Any State may, at the time of signature or when depositing its instrument of ratification, acceptance, approval or accession, by a declaration addressed to the Secretary General of the Council of Europe, indicate that it intends to exclude the application of one of the procedures provided in Article 9.1.a and b in its relations with other Parties. Any State may, at any time, by a declaration addressed to the Secretary General of the Council of Europe, define, as far as it is concerned, the term "national" for the purposes of this Convention». Art. 57 della CEDU: “1.Ogni Stato, al momento della firma della presente Convenzione o del deposito del suo strumento di ratifica, può formulare una riserva riguardo a una determinata disposizione della Convenzione, nella misura in cui una legge in quel momento in vigore nel suo territorio non sia conforme a tale disposizione. Le riserve di carattere generale non sono autorizzate ai sensi del presente articolo. 2.Ogni riserva emessa in conformità al presente articolo comporta una breve esposizione della legge in questione”.

La qualificazione delle riserve quando il trattato non dispone (art La qualificazione delle riserve quando il trattato non dispone (art. 19, c, CVDT) La questione dell’ammissibilità (di principio) di riserve non previste nel trattato è stato posto alla Corte nell'immediato dopoguerra, in un clima di mutate relazioni internazionali (parere CIG 28.5.1951 relativo alle riserve alla Convenzione sul genocidio, v. sopra), e con riguardo a un trattato multilaterale portatore di valori collettivi (condivisi) Parere CIG 28.5.1951 relativo alle riserve alla Convenzione sul genocidio La Convenzione sul genocidio non contiene alcuna disposizione sulle riserve; favorisce la repressione del crimine di genocidio, la cui disciplina può essere effettiva solo se universalmente accettata (aut dedere aut iudicare). Il problema è se alcuni Stati parte (URSS, in particolare) possano formulare riserva all’art. IX della Convenzione, norma o clausola giurisdizionale (prevede la competenza obbligatoria della CIG sulle controversie relative alla sua interpretazione ed applicazione) e quali siano gli effetti giuridici di questa, nei confronti degli Stati che vi si sono opposti, e di quelli che l’hanno accettata? Dimensione sostanziale → Secondo la Corte, in deroga al principio di integrità dei trattati, un trattato multilaterale come la Convenzione sul genocidio (adottata sotto gli auspici dell’ONU, organizzazione a vocazione universale; ampio grado di partecipazione implicitamente previsto dall’art. IX della Convenzione; adozione a maggioranza qualificata), può tollerare l’apposizione di riserve non previste purché non contrastanti con l’oggetto e lo scopo della Convenzione stessa (→integrità o uniformità della disciplina convenzionale limitatamente alle disposizioni “essenziali” del trattato). Dimensione procedurale → Circa l’applicazione, in concreto, di questo criterio, per la Corte, se non vi è un organo d’accertamento comune (→organi preposti soprattutto giurisdizionali) ciascuno Stato parte può valutare la compatibilità di una riserva con l’oggetto e lo scopo di un trattato; tale valutazione produrrà effetti nei rapporti reciproci tra lo Stato riservante e lo Stato accettante (o obiettante), con la conseguenza i) di far sorgere, se accettata, il vincolo convenzionale, ad eccezione della parte coperta dalla riserva, ovvero ii) di escludere, se non accettata o contrastata, la formazione del vincolo convenzionale tra lo Stato riservante e lo Stato obiettante (in sostanza non sorge rapporto pattizio fra i due Stati, ma sorge nei confronti di ciascuno nei confronti degli altri).

Conseguenze del parere CIG 28.5.1951 Il parere della Corte stabilisce dunque la liceità delle riserve (non previste) che favoriscano la partecipazione degli Stati, ancorché comportino una «modulazione», su base soggettiva, degli obblighi convenzionali. Viene considerata intangibile “solo” la disciplina “caratterizzante” del trattato, che non può essere oggetto di riserva (divieto di regimi preferenziali relativi al nocciolo duro del trattato). L’accertamento della compatibilità della riserva è svolto (in principio) in forma “decentrata” (e negoziata): in genere su base bilaterale, salvo che il trattato stesso conferisca una competenza d’accertamento ad un organo comune (per esempio, competenza di un organo indipendente o di natura giurisdizionale) Lo Stato riservante non diviene parte al trattato nei confronti degli Stati che abbiano contestato la riserva

Il regime della CVDT (art. 19, c, e 20.4) Nella CVDT il principio è quello della flessibilità dei trattati, non limitata peraltro ai trattati a vocazione (partecipazione) universale (anche trattati bilaterali) Profili «procedurali» (espressione del consenso o del dissenso sulla riserva) La Convenzione conferma il sistema «bilaterale» di accertamento della incompatibilità (art. 19, c, CVDT), salvi due casi: a) accettazione da parte di tutte le parti di una riserva se il trattato ha un numero di parti limitato e se ciò deriva “dall’oggetto e dallo scopo del trattato”: art. 20 par. 2 CVDT b) esistenza di un organo – per esempio giudiziario – comune deputato a interpretare il trattato: la competenza d’accertamento spetta a quell’organo: art. 20, par. 3, CVDT (organizzazioni internazionali).

L’accettazione o il rifiuto della riserva In tutti gli altri casi l’accertamento in concreto dell’ammissibilità della riserva è rimesso alle altre parti all’accordo: con regole che favoriscono l’accettazione della riserva L’ammissibilità è dunque subordinata al consenso (accettazione della riserva, anche tacita: silenzio – assenso allo scadere di 12 mesi, art. 20, par. 5, CVDT: «a meno che il trattato non disponga diversamente, si deve presumere che una riserva sia stata accettata da uno Stato se quest'ultimo non ha formulato obiezioni alla riserva sia alla scadenza del periodo di dodici mesi successivi alla data in cui ne ha ricevuto la notifica, sia alla data in cui esso ha espresso il suo consenso a vincolarsi al trattato, se quest'ultima è posteriore»), ed è esclusa in caso di dissenso (obiezione «qualificata» alla riserva) delle altre parti, originarie o sopravvenute, al trattato (art. 20, par. 4, lett. a e b, CVDT). La CVDT introduce anche la figura della obiezione “non qualificata”, che mira alla rimozione della riserva (effeto di incentivo) Quanto agli effetti quest’ultima corrisponde in sostanza ad accettazione della riserva: art. 21, par. 3 («Quando uno Stato che ha formulato una obiezione ad una riserva non si è opposto all'entrata in vigore del trattato fra se stesso e lo Stato autore della riserva, le disposizioni alle quali la riserva si riferisce non si applicano fra i due Stati nella misura prevista dalla riserva»)

Il testo della CDVT: Accettazione, obiezioni «generiche», obiezioni «qualificate» alle riserve Art. 20, par. 4 e 5 CVDT: «4. Nei casi diversi da quelli contemplati ai paragrafi precedenti e fatta salva ogni diversa disposizione del trattato in materia: # l'accettazione di una riserva da parte di un altro Stato contraente fa dello Stato autore della riserva una parte al trattato rispetto a questo altro Stato se il trattato è in vigore o quando entra in vigore per questi Stati; ## l'obiezione fatta ad una riserva da parte di un altro Stato contraente non impedisce che il trattato entri in vigore fra lo Stato che ha formulato l'obiezione e lo Stato autore della riserva, a meno che lo Stato che ha formulato l'obiezione non abbia espresso un'intenzione chiaramente contraria; ### un atto che esprima il consenso di uno Stato a vincolarsi a un trattato e contenente una riserva produce effetti a partire dal momento in cui almeno un altro Stato contraente ha accettato la riserva. 5. Ai fini dei paragrafi 2 e 4 e a meno che il trattato non disponga diversamente, si deve presumere che una riserva sia stata accettata da uno Stato se quest'ultimo non ha formulato obiezioni alla riserva sia alla scadenza del periodo di dodici mesi successivi alla data in cui ne ha ricevuto la notifica, sia alla data in cui esso ha espresso il suo consenso a vincolarsi al trattato, se quest'ultima è posteriore»

Gli effetti delle riserve Gli effetti delle riserve. Le riserve hanno un effetto limitativo degli obblighi convenzionali: comportano che l’accordo tra lo Stato riservante e le altre Parti contraenti si forma solo per la parte non coperta dalla riserva (mentre l’accordo vale nella sua integralità nei rapporti tra le altre Parti contraenti). Tra lo Stato riservante e ciascuna altra parte contraente (a beneficio anche di questa) s’esplica il regime della riserva Ciò è previsto dal «principio dell’effetto reciproco delle riserve» (art. 21, parr. 1 e 2, CVDT 1969): la riserva che esclude l’applicabilità di una norma a favore della Parte riservante, sortisce lo stesso effetto a beneficio di tutte le altre Parti all’accordo nei loro rapporti con quest’ultima (le altre parti non saranno tenute all’osservanza della norma nei confronti della Parte riservante) Talora, e in particulare con riferimento ai trattati che proteggono o sono connessi alla protezione dei diritti fondamentali, l’effetto reciproco delle reserve è convenzionalmente escluso. Esempio: Convention of 23 November 2007 on the International Recovery of Child Support and Other Forms of Family Maintenance (mantenimento familiare), art. 2 (2): “Any Contracting State may reserve, in accordance with Article 62, the right to limit the application of the Convention under subparagraph 1 a), to persons who have not attained the age of 18 years. A Contracting State which makes this reservation shall not be entitled to claim the application of the Convention to persons of the age excluded by its reservation” Una ipotesi “processuale” di effetto reciproco si ha nel caso delle dichiarazioni unilaterali di attribuzione della giurisdizione alla CIG. Dette dichiarazioni possono essere accompagnate da qualificazioni e riserve (vedi art. 36, 2, Statuto CIG).

La compatibilità delle riserve ai trattati in materia di diritti dell’uomo I trattati posti a garanzia dei diritti fondamentali dell'uomo sembrano assoggettati a un particolare regime in materia di riserve. Tale regime discende a) dal fatto che i trattati in questione pongono in essere sistemi normativi “obiettivi” (e non soggetti al principio di bilateralismo e di reciprocità); b) dalla particolare rilevanza del valore giuridico protetto (diritti individuali basici) per l'ordinamento internazionale, non “appartenente” agli Stati (ma ai singoli) (no prospettiva “inter-statale”); c) dal fatto che spesso essi contemplano sistemi “accentrati” di controllo e garanzia del rispetto delle loro norme da parte degli Stati (organi intergovernativi, o indipendenti anche giurisdizionali). Caratteristiche: Favor per l’integrità del trattato, posto a “protezione di un bene giuridico comune”: per esempio, la Convenzione EDU come espressiva di un sistema di “ordine pubblico europeo”: Corte EDU, 18.1.1978, Irlanda c. Regno Unito, secondo cui i trattati sui diritti dell’uomo “unlike international treaties of the classic kind […] comprise […] more than mere reciprocal engagements between Contracting States; they create […], over and above a network of mutual, bilateral undertakings, objective obligations which, […] benefit from a “collective enforcement”) Esclusione dell'effetto reciproco delle riserve. In effetti, data la natura interdipendente o solidale (e non sinallagmatica) degli obblighi derivanti dai trattati sui diritti dell'uomo (o di carattere umanitario, anche in senso ampio), gli Stati accettanti o obiettanti non possono «disapplicare» il trattato «nei confronti» dello Stato riservante, salvo violare il trattato stesso nei confronti di tutte le altre parti contraenti Limitata rilevanza del meccanismo di valutazione unilaterale dell’ammissibilità della riserva; tali sistemi spesso prevedono organi preposti alla soluzione delle controversie (interstatuali; interindividuali) relative alla loro interpretazione/applicazione (es. Corte europea; Comitato ONU); > meccanismo accentrato di valutazione della compatibilità [sostanziale e formale] delle riserve (es. art. 57 CEDU)

La dottrina della «separabilità» delle riserve incompatibili a trattati sui diritti umani La c.d. severability doctrine: nullifica gli effetti delle riserve incompatibili. Secondo tale impostazione, se la riserva è incompatibile con il trattato, non cade la partecipazione dello Stato al trattato, ma cade la riserva. Lo Stato è integralmente vincolato al trattato (come se la riserva non fosse stata apposta). Tale dottrina indebolisce il fondamentale principio del consenso, per cui vi deve essere una qualche forma d’assenso statale all’assunzione di obblighi convenzionali. Essa può essere giustificata se si intende che la riserva costituisce una “deroga particolare” e revocabile entro la “generale” volontà dello Stato (riservante) di restare parte al trattato Corte EDU, 20.4.1988, ric. n. 10328/83, Belilos c. Svizzera: dichiarazione interpretativa della Svizzera relativa all’art. 6 della CEDU, norma che impone il rispetto del diritto all'equo processo, e in particolare del diritto al gratuito patrocinio; secondo la riserva svizzera, tale diritto non s'applicherebbe in determinati procedimenti interni (amministrativi). Le altre Parti non hanno contestato o sollevato riserve a tale qualificazione. Secondo la Corte la “dichiarazione interpretativa” corrisponde a una riserva. Essa non è conforme alla norma della Convenzione che “modula” la possibilità di apporre riserve (inammissibilità di riserve di carattere generale, il cui ambito d’applicazione non è specificatamente determinabile; breve esposto della legge interna); conseguenze: la Svizzera era vincolata dalla CEDU come se non avesse apposto la riserva. Conferma: Corte EDU, 23.3.1995, ric. n. 15318/89, Loizidou c. Turchia (eccezioni preliminari): la riserva turca è così concepita: «"The Government of Turkey, acting pursuant to Article 25 (1) (art. 25-1) of the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms hereby declares to accept the competence of the European Commission of Human Rights and to receive petitions according to Article 25 (art. 25) of the Convention subject to the following: (i) the recognition of the right of petition extends only to allegations concerning acts or omissions of public authorities in Turkey performed within the boundaries of the territory to which the Constitution of the Republic of Turkey is applicable».

La competenza a formulare riserve La competenza a esprimere la riserva (o a revocarla) spetta – sul piano interno – agli stessi organi che hanno competenza a formulare la volontà dello Stato a vincolarsi sul piano internazionale (CIG, 3.2.2006, Congo c. Ruanda) Nell’ordinamento italiano, il potere di esprimere riserve spetta agli stessi organi che hanno competenza a esprimere il consenso dello Stato sul trattato (Governo, o Governo e Parlamento nel caso dei trattati di cui all’art. 80 Cost.); Diversa maniera di intendere (art. 80) la «partecipazione» dei due organi: a) secondo una tesi (Cassese) il principio di leale cooperazione impone che vi sia, tra i due organi, piena coincidenza di valutazioni, in relazione al contenuto e alla portata degli obblighi convenzionali; b) secondo altra tesi, favorevole alla validità delle riserve (Conforti), il rapporto convenzionale (oggetto di riserva) si formerebbe in modo costituzionalmente lecito purché almeno un solo organo (o Governo o Parlamento) abbia manifestato la riserva, posto che la riserva attenua (o riduce) a beneficio dello Stato italiano, la portata precettiva dell’accordo (il quale sussiste limitatamente alla parte esclusa dalla riserva, accettata da entrambi gli organi). Tale ultima tesi permette di ritenere valide (diritto interno) le riserve «aggiunte» unilateralmente da Governo o Parlamento (il consenso statale si forma sulla parte dell’accordo accettata da entrambi gli organi)

La competenza a formulare riserve Prassi: riserva presentata dal Governo e non prevista dalla legge autorizzatoria parlamentare, con riguardo all'art. 12.4 del Patto ONU sui diritti civili e politici: la regola secondo cui nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio paese, non pregiudica l’applicazione delle disposizioni transitorie dell’art. XIII della Costituzione italiana (divieto di entrata e di soggiorno nel territorio nazionale di alcuni membri di Casa Savoia): riserva analoga alla CEDU (oggi ritirata). Vedi anche la l. 5 del 14.1.2013 (ratifica della Convenzione delle NU sulle immunità giurisdizionali degli Stati 2004): il Governo ha inserito una dichiarazione non prevista nella legge parlamentare di autorizzazione alla ratifica, che suona così: «Italy - Declaration: … In depositing the present instrument of ratification, the Italian Republic wishes to underline that Italy understands that the Convention will be interpreted and applied in accordance with the principles of international law and, in particular, with the principles concerning the protection of human rights from serious violations of international law…

L’efficacia dei trattati: profili materiali e temporali Il trattato vincola le parti ad eseguirlo «in buona fede»: art. 26 CVDT «Pacta sunt servanda - Ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere da esse eseguito in buona fede» Trattati e diritto interno: art. 27 CVDT «Una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato. Questa regola non pregiudica quanto disposto dall'art. 46» Trattati e tempus regit actum (profili temporali): il trattato (in principio) regola solo i fatti successivi alla sua entrata in vigore (art. 24 CVDT: “I. Un trattato entra in vigore secondo le modalità e alla data fissate dalle sue disposizioni e concordate fra gli Stati che hanno partecipato al negoziato. # 2. In mancanza di tali disposizioni o di un tale accordo, un trattato entra in vigore non appena il consenso a vincolarsi ad esso sia espresso da tutti gli Stati che hanno partecipato al negoziato. # 3. Quando il consenso di uno Stato a vincolarsi ad un trattato è espresso ad una data posteriore all'entrata in vigore del trattato suddetto, quest'ultimo, salvo che non disponga diversamente, entra in vigore nei confronti di tale Stato alla data in questione”. Le disposizioni procedurali del trattato hanno efficacia immediata (a titolo d’accordi in forma semplificata): art. 24, par. 4, CVDT: “Le disposizioni di un trattato che disciplinano l'autenticazione del testo, la formulazione del consenso degli Stati a vincolarsi al trattato, le modalità o la data di entrata in vigore, le riserve, le funzioni del depositario, nonché le altre questioni che si pongono necessariamente prima dell'entrata in vigore del trattato, sono applicabili a partire dall'adozione del testo” Ssono dunque esclusi gli effetti retroattivi dei trattati. Tuttavia, nella prassi, considerazione ampia della portata temporale: per esempio i trattati s’applicano alle situazioni “di carattere continuo”, sorte precedentemente alla stipulazione ma che estendono i loro effetti (illeciti) al presente

L’applicazione «provvisoria» dei trattati La questione dell’applicabilità provvisoria dei trattati (v. «entrata in vigore»). Per sormontare le difficoltà (e la durata temporale) del processo di ratifica da parte di tutte le parti contraenti, è nato l’istituto della applicazione dei trattati “a titolo provvorio”: Articolo 25 CVDT: Applicazione a titolo provvisorio. «1. Un trattato o una parte di un trattato si applica a titolo provvisorio in attesa della sua entrata in vigore: # se così stabilisce il trattato stesso; oppure ## se gli Stati che hanno partecipato al negoziato hanno, in altra maniera, convenuto in tal senso. 2. Salvo diversa disposizione del trattato o salvo diverso accordo fra gli Stati che hanno partecipato al negoziato, l'applicazione a titolo provvisorio di un trattato o di una parte di un trattato nei confronti di uno Stato cessa se quest'ultimo notifica agli altri Stati fra i quali il trattato è provvisoriamente applicato la sua intenzione di non divenire parte al trattato medesimo» Detto istituto è ampiamente applicato nella prassi convenzionale dell’Unione europea (nel caso dei c.d. accordi misti).

L’applicazione di trattati successivi (relativi alla stessa materia) I principi regolatori: a) successione delle norme (accordi) pariordinati nel tempo; b) considerazione degli effetti «relativi» dei trattati (sotto il profilo soggettivo: v. sopra, soluzione dei conflitti fra fonti) Articolo 30 CVDT - Applicazione di trattati successivi aventi per oggetto la stessa materia 1. Salvo quanto disposto dall'art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, i diritti e gli obblighi di Stati parti a trattati successivi aventi per oggetto la stessa materia sono determinati in conformità a quanto stabilito nei paragrafi seguenti. 2. Quando un trattato specifica che esso è subordinato a un trattato anteriore o posteriore o che non deve essere considerato come incompatibile con questo altro trattato, le disposizioni di quest'ultimo prevalgono. 3. Quando tutte le parti a un precedente trattato sono anche parti a un trattato posteriore, senza che il trattato anteriore si sia estinto o che la sua applicazione sia stata sospesa in virtù dell'art. 59, il trattato anteriore si applica soltanto nella misura in cui le sue disposizioni sono compatibili con quelle del trattato posteriore. 4. Quando le parti ad un trattato anteriore non sono tutte parti al trattato posteriore: a) nei rapporti fra gli Stati parti ai due trattati la regola applicabile è quella enunciata al paragrafo 3 [il trattato successivo prevale sul precedente]; b) nei rapporti fra uno Stato parte ai due trattati e uno Stato parte ad uno soltanto di essi, il trattato al quale i due Stati sono parti regola i loro diritti e obblighi reciproci. Ex art. 30, par. 5, le questioni di responsabilità internazionale restano impregiudicate: in particolare resta impregiudicata qualsiasi «questione di responsabilità che possa sorgere per uno Stato dalla conclusione o dall'applicazione di un trattato le cui disposizioni siano incompatibili con gli ob- blighi di cui sia destinatario nei confronti di un altro Stato per effetto di un altro trattato». A titolo cautelativo: istituto delle «clausole di subordinazione» o di compatibilità.

L’efficacia dei trattati: trattati e Stati terzi Trattati e profili soggettivi: i trattati producono effetti vincolanti solo nei confronti delle Parti contraenti (pacta sunt servanda), tanto originarie quanto sopravvenute (che hanno successivamente aderito) La regola è espressione del principio consensualistico [effetti subordinati alla prestazione del “consenso”] e del principio della sovrana eguaglianza degli Stati: gli Stati non possono essere vincolati da accordi se non hanno previamente o successivamente prestato il loro consenso. Articolo 34 CVDT - Regola generale riguardante gli Stati terzi: «Un trattato non crea né obblighi né diritti per uno Stato terzo senza il suo consenso» Non è dunque escluso che un trattato regoli anche situazioni di Stati «terzi»: per esempio, i trattati sul diritto di “libero” passaggio attraverso uno stretto o un fiume incardinato nei territori degli Stati parte ovvero i trattati di garanzia a favore di terzi, per la loro indipendenza politica o integrità territoriale; l'obbligo di rispettare il divieto di sfruttamento delle risorse biologiche o minerarie di determinati territori (parte XI della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare) o che vietano (erga omnes) di affermare “diritti sovrani” su determinate zone (il Trattato sull'Antartide, fatto a Washington nel 1959 e il Protocollo di Madrid del 1991 sulla protezione dell'ambiente dell'Antartide). Anche → Allegato VIII al Trattato di Pace fra le potenze alleate e associate e l'Italia (1947) relativo al regime di libertà di utilizzo e di non discriminazione del porto libero di Trieste. La disciplina giuridica consuetudinaria: il diritto dei trattati (art. 35-37 CVDT) ammette limitati effetti dei trattati per i terzi, riportandoli alle categorie classiche del diritto internazionale: effetti materiali (a beneficio dei terzi), effetti derivanti da un accordo collaterale (proposta/assenso) tra le parti a un trattato e uno Stato terzo (diritti o obblighi per il terzo subordinati a uno specifico consenso), effetti derivanti da una consetudine incorporata (=corrispondente) alla norma dell’accordo (esempio classico: gli effetti obiettivi dei trattati c.d. localizzabili)

I diritti «riflessi» e gli obblighi determinati da un «accordo collaterale» a) Figura delle «posizioni giuridiche di vantaggio riflesse»: Art. 36, trattati che creano diritti per i terzi: «1. Un diritto per uno Stato terzo sorge da una disposizione di un trattato se le parti a questo trattato intendono, per mezzo di tale disposizione, conferire tale diritto vuoi allo Stato terzo vuoi a un gruppo di Stati di cui esso faccia parte, vuoi a tutti gli Stati, e se lo Stato terzo vi consente. Il consenso è presunto fin tanto che non vi sia un'indicazione contraria, a meno che il trattato non disponga altrimenti. 2. Uno Stato che esercita un diritto in applicazione del paragrafo 1 è tenuto a rispettare, per l'esercizio di questo diritto, le condizioni previste nel trattato o stabilite in conformità alle sue disposizioni». Ciascuno Stato terzo si presume aver prestato il suo consenso a beneficiare dei «diritti» attribuiti per trattato da altri Stati; tali diritti sono però da questi revocabili a piacimento (a meno che le parti non abbiano espressamente o implicitamente stabilito l’irrevocabilità della posizione giuridica in questione: art. 37.2): i terzi beneficiari non hanno il «controllo» delle posizioni giuridiche di cui beneficiano (effetto riflesso) b) Figura degli obblighi che gravano lo Stato terzo per effetto di una clausola (accordo) collaterale: Alla figura delle vere e proprie posizioni giuridiche (sfavorevoli) in capo a terzi, sorte mediante accordo, si richiama il regime degli “obblighi” che possono essere posti da un trattato a carico di Stati non contraenti. Tali obblighi sono vincolanti questi ultimi, però, per effetto di un accordo collaterale (secondo la CVDT affinché sorgano obblighi in capo al terzo, art. 35, è necessaria l'intenzione delle parti contraenti e l'accettazione per iscritto del terzo; si tratta di veri e propri obblighi, irrevocabili unilateralmente, ex art. 37.1, almeno in principio)

Gli effetti «obiettivi» dei trattati sui terzi (determinati da obblighi consuetudinari) In due ipotesi i trattati hanno effetti sui terzi (gli Stati che subentrano nel governo del territorio «riguardato» dal trattato) a) i trattati che stabiliscono una frontiera: sono opponibili ai terzi per effetto della “garanzia” offerta dalla regola consuetudinaria che impone il rispetto della sovranità territoriale; b) i trattati che stabiliscono “regimi territoriali obiettivi” di natura “reale”, sulle infrastrutture o la destinazione di un territorio, e che sono opponibili anche allo Stato “terzo” che subentra nel governo del territorio (Convenzione di Vienna sulla successione degli Stati nei trattati del 1978, art. 11 e 12): per esempio trattati di smilitarizzazione; concessione di basi militari

L’interpretazione dei trattati: la regola generale La regola generale di interpretazione e le sue modulazioni. Gli artt. 31-33 CVDT operano una scelta fra i metodi interpretativi prevalenti (anni 60 secolo scorso). Si tratta del metodo soggettivo (mutuato dal diritto interno dei contratti) e del metodo oggettivo (mutuato dall'interpretazione “legislativa” o “costituzionale” interna). La Convenzione sceglie il secondo (metodo oggettivo, connotato da considerazioni funzionali: v. in particolare prassi interpretativa di trattati “speciali”). A termini del metodo soggettivo, l'interpretazione ricerca soprattutto l'intenzione “effettiva” delle parti contraenti, rispetto a quella dichiarata nel o dal testo (sul presupposto di una possibile divergenza); maggiore aderenza alla volontà degli autori del trattato, “padroni del trattato”. Prevalenza della volontà effettiva su quella dichiarata, in caso di difformità. Ausilio dei lavori preparatori (dichiarazioni dei rappresentanti governativi nelle minute/processi verbali dei negoziati; prese di posizione degli organi esecutivi o legislativi, ad es. sedute parlamentari; prese di posizioni orali, non registrate e pubblicate) e della prassi interna o comunque unilaterale (posizione sostenuta, nella conferenza che ha condotto alla Convenzione di Vienna, dai paesi con tradizione di common law). Tale metodo pone cospicui problemi di certezza del diritto, di trasparenza e di “fattibilità” (scarsa conoscenza o conoscibilità; difficoltà interpretative; frammentazione; metodo che entra in crisi con la proliferazione dei trattati multilaterali aperti).

La regola generale: segue A termini del metodo oggettivo, il trattato «incorpora» la volontà delle Alte Parti contraenti. L'intenzione delle Parti non viene negata: essa però rileva in quanto si esprime nel testo del trattato. Salvo casi particolari, il trattato «esaurisce» la volontà degli Stati (coincidenza tra la volontà dichiarata e la volontà effettiva delle Parti) A tale secondo metodo è prevalentemente ispirata la disciplina della Convenzione di Vienna (“oggettivismo qualificato”). Art. 31 CVDT: «1. Un trattato deve essere interpretato in buona fede seguendo il senso ordinario da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce del suo oggetto e del suo scopo» La regola impone all’interprete tre «momenti» (o criteri) interpretativi egualmente rilevanti (ordine logico o temporale, non gerarchico)

Testo contesto e scopo del trattato i termini del trattato (interpretazione letterale secondo buona fede), il contesto, ossia il testo, il preambolo e gli allegati, nonché gli strumenti connessi con il trattato, condivisi da tutte le parti Esempio: dichiarazioni comuni o rapporti esplicativi; accordi interpretativi collaterali; e inoltre, ex art. 31.3, gli accordi sull’interpretazione e le prassi ulteriori, purché coerenti e univoche, delle parti contraenti. Ai sensi dell'art. 31.3, lett. c, si dovrà tener conto anche di ogni regola internazionale «applicabile nei rapporti tra le parti» (v. giurisprudenza CEDU aperta agli influssi del diritto internazionale oltre che al diritto comparato degli Stati membri) (interpretazione sistematica in senso ampio) l’oggetto e lo scopo del trattato (i termini, intesi nel loro contesto, devono essere riportati nella prospettiva del fine perseguito dal trattato) (interpretazione teleologica, influssi funzionali)

Le «eccezioni» al metodo obiettivo a) Nel sistema della Convenzione la «volontà delle parti» come elemento autonomo rileva nella misura in cui queste abbiano (inequivocamente e consensualmente) inteso attribuire ad un termine un significato particolare. Ai sensi dell'art. 31.4 CVDT: «Un termine verrà inteso in un senso particolare se risulta che tale era l'intenzione delle parti». Prospettiva soggettivistica, ma consensuale: è determinante «l’intento comune manifesto». b) La rilevanza «integrativa» confermativa o «ausiliaria» dei lavori preparatori (da cui può inferirsi la volontà «effettiva» delle Parti): Art. 32 CVDT: «Articolo 32 - Mezzi complementari di interpretazione. Si può fare ricorso ai mezzi complementari di interpretazione, e in particolare ai lavori preparatori e alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo a) sia di confermare il senso che risulta dall'applicazione dell'art. 31, b) sia di determinare il senso quando l'interpretazione data in conformità all'articolo 31 lascia il senso ambiguo o oscuro; oppure conduce ad un risultato che è manifestamente assurdo o irragionevole»

Il problema dei trattati redatti in più lingue Tutte le lingue utilizzate (se facenti fede) hanno lo stesso valore, salvo che sia stabilita la prevalenza di una fra quelle. Si presume che il significato di un termine, nelle varie lingue autentiche, sia lo stesso (art. 33.3 CVDT: «Si presume che i termini di un trattato abbiano lo stesso significato nei diversi testi autentici») In caso di divergenza non eliminabile (seguendo il metodo ordinario) possibile conciliazione in via interpretativa, tenendo conto dell’oggetto e dello scopo del trattato La coniugazione dei due criteri (significato comune dei termini utilizzati nelle varie versioni linguistiche; considerazione della finalità del trattato) serve a evitare interpretazioni che diano rilievo al “minimo comune denominatore” delle differenti versioni linguistiche L’applicazione dei criteri generali e speciali d’interpretazione: CIG, sentenza del 27.6.2001 sul caso LaGrand (Germania c. Stati Uniti, merito): La Germania contesta dinanzi alla CIG la violazione, da parte degli Stati Uniti, dell’ordinanza adottata (in via di procedimento cautelare) dalla stessa CIG il 3.3.1999 (n. 92 ss.): la Corte aveva ordinato la sospensione dell’esecuzione della sentenza capitale, fino all’accertamento degli obblighi incombenti sullo Stato straniero ai sensi del diritto «alle comunicazioni consolari» previsto dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari. La CIG è dunque chiamata a interpretare l’art. 41 del suo Statuto, alla luce degli art. 31 e 33, par. 4, CVDT.

Il caso LaGrand «L’art. 41 Statuto recita: «1.La Cour a le pouvoir d'indiquer, si elle estime que les circonstances l'exigent, quelles mesures conservatoires du droit de chacun doivent être prises à titre provisoire. # 2.En attendant l'arrêt définitif, l'indication de ces mesures est immédiatement notifiée aux parties et au Conseil de sécurité»; nella versione inglese, «1. The Coiurt shall have the power to indicate, if it considers that circumstances so require, any provisional measures which ought to be taken, to preserve the respective rights of either party. 2. Pending the final decision, notice of the measures suggested shall forthwith be given to the parties and to the Security Council». La Corte nota che la versione inglese – come sostenuto dagli Stati Uniti – ha un tenore differente e più debole per ciò che concerne il carattere vincolante delle ordinanze, ma ricorda che la versione originale di tale norma, nel 1920, era il francese. Trovandosi dinanzi a due versioni linguistiche non conciliabili, la Corte applica i criteri dell'art. 33 (4), e considera lo scopo dello Statuto e il contesto in cui si colloca l'art. 41. Lo scopo consistente nella soluzione di controversie con decisioni vincolanti; la posizione in cui è collocato l'art. 41 rivela che lo scopo di tale norma è di evitare che la funzione giudiziaria della Corte sia ostacolata o resa ineffettiva dal fatto che i diritti delle parti contendenti possano venir meno nelle more del giudizio). La Corte conclude: «It follows from the object and purpose of the Statute, as well as from the terms of Article 41 when read in their context, that the power to indicate provisional measures entails that such measures should be binding, inasmuch as the power in question is based on the necessity, when the circumstances call for it, to safeguard, and to avoid prejudice to, the rights of the parties as determined by the final judgment of the Court. The contention that provisional measures indicated under Article 41 might not be binding would be contrary to the object and purpose of that Article» (par. 102).

Le cause di invalidità e di estinzione dei trattati: quadro normativo Quadro normativo: disposizioni generali (artt. 42-45); ipotesi specifiche (di invalidità, art. 46-53 e di estinzione, art. 54- 64); regole di procedura (art. 65-68); conseguenze dell'invalidità o dell'estinzione (art. 69-72); settori esclusi dalla codificazione (artt. 73-75: per esempio la guerra, le questioni relative alla responsabilità) La disciplina della Convenzione di Vienna codifica il diritto consuetudinario (salve le norme procedurali, di rilevanza esclusivamente convenzionale: art. 65 ss.); distingue fra cause di invalidità e di estinzione quanto alla loro natura; più debolmente quanto ai loro effetti Le cause di invalidità sono tipizzate dalla Convenzione in modo tassativo (art. 42.1 CVDT: «La validità di un trattato o del consenso di uno Stato ad essere vincolato ad un trattato può essere contestata solo in applicazione della presente Convenzione»), mentre le cause di estinzione hanno natura residuale rispetto alle disposizioni del trattato cui si rapportano (art. 42.2: «L'estinzione di un trattato, la sua denuncia o il recesso di una parte possono aver luogo solo in applicazione delle disposizioni del trattato o della presente Convenzione. La stessa regola vale per la sospensione dell'applicazione di un trattato»). Quanto alle conseguenze dell’invalidità o dell’estinzione: a) l’applicabilità di una causa di invalidità elimina tutti gli effetti dell'accordo a partire dal momento della sua stipulazione (art. 69, par. 1: «E' nullo un trattato la cui nullità è stabilita in virtù della presente Convenzione. Le disposizioni di un trattato nullo non hanno forza giuridica»); può essere ammettersi tuttavia la sopravvivenza degli atti posti in essere in base al trattato nullo (=annullabilità) salvo che l’invalidità derivi da cause gravi (art. 69 par. 3: «Nei casi di cui agli articoli 49, 50, 51 o 52, il paragrafo 2 non si applica nei confronti della parte alla quale sono imputabili il dolo, la corruzione o la violenza»).

Quadro normativo: segue In sostanza nel regime della CVDT il regime dell’invalidità equivale a «annullabilità» (effetti retroattivi potenziali, ma possibile «sanatoria»); equivale a «nullità assoluta» (retroattiva e non sanabile) solo nel caso di ipotesi peculiari (gravi) di invalidità (violenza, minaccia o uso della forza: art. 51 e 52, violazione di norma cogente, art. 53) b) L’applicabilità di una causa di estinzione non compromette gli effetti passati dell’accordo (art. 70, par. 1, in fine: l’estinzione «non pregiudica alcun diritto, obbligo o situazione giuridica delle parti, sorti per effetto della esecuzione del trattato prima della sua estinzione») Inoltre l’operare delle clausole compromette in principio l’intero l'accordo, salvo che si possa procedere alla «separazione» delle clausole invalide (o estinte) rispetto al resto dell’accordo (art. 44, par. 3, CVDT). In ogni caso la «divisione» non è ammessa nel caso di cause di invalidità particolarmente gravi: art. 51, 52 e 53 (violenza; conflitto del trattato con norma cogente) (art. 44, par. 5, CVDT: «Nei casi previsti agli articoli 51, 52 e 53, la divisione delle disposizioni di un trattato non è ammessa») Gli effetti dell’invalidità o dell’estinzione sono «qualificati» nel caso in cui si esse derivino da conflitto con «norme imperative» (nelle ipotesi di cui agli art. 53 e 64: infra) (così l’art. 71 CVDT) Il quadro convenzionale non è esaustivo: in particolare l’estinzione che può derivare a) da successione di Stati nel governo di un territorio, o b) da conflitto fra le parti al trattato, «resta impregiudicata» (v. art. 73 CVDT)

Le cause di invalidità Le cause di invalidità possono raggrupparsi in tre categorie: *Vizi del procedimento (violazione delle regole «interne» sulla competenza a stipulare, art. 46 e 47 CVDT); ** Vizi della volontà (errore, dolo e corruzione, violenza sullo Stato o sul rappresentante dello Stato: art. 48-52); *** conflitto con norma superiore (imperativa) (in relazione al contenuto del trattato) (art. 53 CVDT).

Le singole cause di invalidità: vizi del procedimento di stipulazione (vizi del consenso) * Trattato concluso in violazione di norme interne sulla stipulazione (art. 46 e 47 CVDT). Art. 46: «Disposizioni del diritto interno riguardanti la competenza a concludere trattati - 1. Il fatto che il consenso di uno Stato a vincolarsi a un trattato sia stato espresso in violazione di una disposizione del suo diritto interno riguardante la competenza a concludere trattati non può essere invocato dallo Stato in questione come viziante il suo consenso, a meno che questa violazione non sia stata manifesta e non riguardi una norma del suo diritto interno di importanza fondamentale. # 2. Una violazione è manifesta se essa è obiettivamente evidente per qualsiasi Stato che si comporti in materia secondo la pratica abituale e in buona fede» In principio la violazione del diritto interno è irrilevante sulla validità di un trattato (art. 27 CVDT in relazione all’obbligo d’esecuzione); in deroga a tale previsione, e in una prospettiva moderatamente «monista», la violazione rileva (sulla validità del consenso a vincolarsi) se a) la norma interna è di importanza fondamentale (costituzionale), a condizione che b) la violazione sia manifesta alle altre Parti contraenti (esigenza di evitare gli abusi) La norma esprime tale eventualità in termini «negativi» Analoga ricostruzione restrittiva vale per la nullità del consenso che derivi dalla «trasgressione» di specifiche restrizioni al potere del plenipotenziario, imputabile a quest’ultimo: la violazione delle istruzioni interne non vale nullità del consenso se dette istruzioni (limitazioni) non sono state comunicate alle altre Parti (art. 47) La disciplina della Convenzione di Vienna contempera gli interessi dello Stato che l'invoca (a suo beneficio) e degli altri Stati parte all'accordo (certezza del diritto e stabilità degli impegni convenzionali) e corrisponde alla prassi internazionale (se non per il fatto che omette di prevedere che il diritto interno della cui violazione si tratta deve essere “effettivamente applicato” sul piano interno, insufficiente essendo il riferimento alla mera costituzione formale).

Vizi della volontà (errore, violenza, violenza sul rappresentante dello Stato, dolo) * Errore (art. 48 CVDT) «1. Uno Stato può invocare un errore in un trattato come vizio del suo consenso a vincolarsi a quel trattato se l'errore riguarda un fatto o una situazione che quello Stato supponeva esistente al momento in cui il trattato è stato concluso e che costituiva una base essenziale del consenso di quello Stato a vincolarsi al trattato» A presupposto della regola vi è una falsa rappresentazione della realtà da parte dello Stato (errore di fatto: es. situazione geografica in un trattato concernente la delimitazione dei confini; non è contemplato invece l'errore di diritto o l'errore formale (se rimediabile: art. 79), la quale deve portare su un «dato» che costituiva base essenziale del consenso («errore essenziale»). Nota bene: l’errore non deve essere imputabile alla parte che l'invoca (si tratta dunque di «errore scusabile»: art. 48, par. 2 che esclude l’operare della causa in ipotesi di dolo o colpa nell’errore)

Dolo, corruzione, violenza ** Dolo e corruzione (art. 49 e 50 CVDT): «Se uno Stato è stato indotto a concludere un trattato dal comportamento fraudolento di un altro Stato che ha partecipato al negoziato, può invocare il dolo come vizio del suo consenso a vincolarsi al trattato» *** Violenza («coercizione») sul rappresentante dello Stato o sullo Stato (art. 51 e 52) Art. 52: «Violenza esercitata su uno Stato con la minaccia o l'impiego della forza - E' nullo ogni trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con la minaccia o l'impiego della forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite» Prassi: il «precedente» è costituito dagli Accordi di Monaco del 29.9.1938 che hanno sancito la cessione «forzata» da parte cecoslovacca del territorio dei Sudeti alla Germania hitleriana. Nella prassi odierna è colpito il consenso imposto alla stipulazione di trattati mediante «la minaccia o l'uso della forza» ai sensi della Carta ONU (problematica dei «trattati ineguali», ossia i trattati di pace la cui conclusione è condizione della cessazione delle ostilità) La violenza sul rappresentante dello Stato rileva solo per i trattati informali (sopra)

Trattati in conflitto con norma imperativa **** Trattati in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale (ius cogens) Art. 53: «E' nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale. Ai fini della presente Convenzione, una norma imperativa del diritto internazionale generale è una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto da un'altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere» La nozione di «diritto generale cogente» era innovativa del diritto consuetudinario (al tempo della sua introduzione da parte della CDI), ora consolidata. Nessun caso d’applicazione. Problematica l’identificazione delle «norme cogenti» (v. il procedimento speciale ex art. 66 CVDT: «ogni parte di una controversia riguardante l'applicazione o l'interpretazione degli articoli da 53 a 64, può, con una sua richiesta, sottoporre la controversia alla decisione della Corte internazionale di giustizia, a meno che le parti non decidano di comune accordo di sottoporre la controversia ad arbitrato») Nota bene: l’art. 71 CVDT prevede conseguenze specifiche a carico degli Stati parte, nel caso di nullità del trattato conseguente a violazione di norma imperativa, come segue: «Nel caso di un trattato nullo in virtù dell'articolo 53, le parti sono tenute: i) ad eliminare, nella misura del possibile, le conseguenze di qualsiasi atto compiuto sulla base di una disposizione che è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale ge- nerale; e ii) a rendere i loro rapporti reciproci conformi alla norma imperativa del diritto internazionale generale».

Le cause di estinzione Le cause di estinzione si raggruppano in tre categorie: a) Estinzione per volontà di tutte le parti (fissata nel trattato anche implicitamente, o dalla volontà successiva di tutte le parti): art. 54, 56, 59 CVDT; b) Estinzione come conseguenza del comportamento di una parte (situazione di patologia che rompe l’equilibrio convenzionale): art. 60 CVDT; c) Estinzione per conseguenza di eventi esterni imprevedibili e decisivi (impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione: art. 61; mutamento fondamentale delle circostanze, art. 62 CVDT) Tutte le cause di estinzione sono ricostruite «restrittivamente» dalla CVDT, in quanto pregiudicano la durata dei trattati e la certezza del diritto e la stabilità dei rapporti giuridici Le cause di estinzione valgono automaticamente come cause di «sospensione» dell’efficacia del trattato

Le singole cause di estinzione: Denuncia o recesso (altre cause stabilite dalle Parti) * Cause di estinzione (o di sospensione) previste dal trattato (art. 54, lett. a; art. 57): si tratta dei termini di durata, della condizione risolutiva, delle clausole di denuncia o recesso (concordate dalle Parti nel trattato e applicate alle condizioni ivi previste); Clausole di recesso o di denuncia: fanno venir meno l’appartenenza di uno (o più Stati) a un trattato (v. art. 55: la riduzione del numero delle parti al di sotto del numero necessario per la sua entrata in vigore non solo per questo si estingue). Articolo 54 «Estinzione di un trattato o recesso in virtù delle disposizioni del trattato o per consenso delle parti - L'estinzione di un trattato o il recesso di una parte possono aver luogo: i) in conformità alle disposizioni del trattato; oppure ii) in ogni momento, per consenso di tutte le parti, previa consultazione degli altri Stati contraenti. Prassi: art. 14 Convenzione sul genocidio (dopo 10 anni dalla sua entrata in vigore); art. 13 trattato istitutivo NATO (dopo 20 anni dalla sua entrata in vigore); art. 50 Trattato sull’UE (recesso unilaterale, eventuale accordo sulle “modalità del recesso”; presa d’efficacia del recesso: dopo due anni dalla notifica dell’intenzione di recedere, salvo proroga concordata).

Clausole di denuncia «implicite»? Problematica: è denunciabile un trattato, concluso per durata illimitata, che non prevede clausole di recesso o denuncia? Art. 56 CVDT: «1. Un trattato che non contenga disposizioni relative alla sua estinzione e che non preveda possibilità di denuncia o di recesso non può formare oggetto di una denuncia o di un recesso, a meno che: i) non risulti che corrispondeva all'intenzione delle parti ammettere la possibilità di una denuncia o di un recesso; oppure ii) il diritto di denuncia o di recesso possa essere dedotto dalla natura del trattato. # 2. Una parte deve notificare almeno dodici mesi prima la sua intenzione di denunciare un trattato o di recederne in conformità alle disposizioni del paragrafo 1» La Convenzione di Vienna dunque che la facoltà di denuncia o recesso non sussista (= regola generale della non denunciabilità), salvo che possa essere desunta implicitamente a) dall’intenzione delle parti (caso dello Statuto ONU, lavori preparatori e Dichiarazione adottata dalla Conferenza di S. Francisco, in caso di “circostanze eccezionali” o di emendamento che non richieda il consenso di tutti i membri), o b) dalla natura del trattato (che preveda norme soggette a deperimento: convenzioni di codificazione: caso del Senegal, denuncia delle Convenzione di Ginevra sul mare territoriale e sulla pesca, 1971; rifiuto di registrazione del Segretario generale delle NU; registrazione unilaterale; ratio: convenzioni contraddette dalla pratica; non denunciabilità del Patto sui diritti civili e politici del 1966, in assenza di una clausola in tal senso, secondo il Comitato dei diritti dell’uomo, 1997). Salvo in ogni caso il disposto dell’art. 54 (recesso o denuncia con l’accordo delle Parti), confermato sotto il profilo procedurale dall’art. 65 CVDT (notifica e recesso in assenza di obiezioni dopo un termine di 3 mesi)

(Segue): L’abrogazione a opera delle Parti ** L’abrogazione ad opera delle parti (art. 54, b; art. 59) Articolo 59 «Estinzione di un trattato o sospensione della sua applicazione derivanti implicitamente dal fatto della conclusione di un trattato successivo - 1. Un trattato è considerato estinto quando tutte le parti di questo trattato concludono successivamente un trattato avente per oggetto la stessa materia e: i) se risulta dal trattato posteriore o per altra via che secondo l'intenzione delle parti la materia deve essere disciplinata dal trattato medesimo; oppure ii) se le disposizioni del trattato successivo sono incompatibili con quelle del trattato precedente a tal punto che è impossibile applicare contemporaneamente i due trattati. # 2. Il trattato anteriore è considerato come soltanto sospeso se risulta dal trattato posteriore o se è accertato per altra via che ciò corrispondeva alla intenzione delle parti» Poiché l’accordo precedente e quello successivo sono strumenti con valore paritario, l’accordo più recente (purché le parti siano le stesse: art. 30 CVDT) può sia derogare (ove incompatibile) sia abrogare l’accordo previgente. L’accordo abrogativo può essere esplicito (medesimo procedimento che aveva dato luogo al sorgere del vincolo pattizio; anche procedimento diverso, es. accordo in forma semplificata) ovvero tacito o implicito (conclusione successiva di un accordo «incompatibile»)

L’estinzione (sospensione) come conseguenza della violazione *** L’estinzione o sospensione come conseguenza della violazione (art. 60 CVDT) Regola consuetudinaria espressione del principio (o dell'eccezione) inadimplenti non est adimplendum (equilibrio contrattuale e reciprocità). La codificazione corrisponde al diritto generale. Schema della norma (quali effetti produce la violazione imputabile a una Parte): Trattati bilaterali=estinzione o sospensione Trattati multilaterali=estinzione/sospensione per accordo o sospensione a favore della parte specialmente lesa o di tutte le parti nel caso di trattati particolari; Trattati multilaterali umanitari (o a tutela dei diritti della persona): eccezione, inoperatività della causa (a tutela delle persone protette dal trattato)

Violazione ed estinzione La norma è ispirata da una prospettiva bilateralistica e di «reciprocità»: l'inadempimento opera come causa di estinzione o di sospensione degli obblighi convenzionali a beneficio della parte adempiente; opera solo in caso di «violazione sostanziale» del trattato imputabile a una parte («ripudio non autorizzato del trattato»; o «violazione di una disposizione essenziale per il raggiungimento dell’oggetto e dello scopo del trattato»). La volontà di far cessare il vincolo convenzionale, tuttavia, non si presume e dev’essere accertata in capo a entrambi le parti (giurisprudenza internazionale) La causa di estinzione è residuale rispetto alle disposizioni speciali del trattato cui si rapporta (art. 60, par. 4, CVDT) Il trattato può dunque prevedere che l'inadempimento non abbia alcun effetto sul rispetto degli obblighi convenzionali da parte degli altri membri: ossia che determini solo l’illecito e la responsabilità della Parte interessata (esempio: sistema del GATT/OMC). Nell’ambito dei trattati di integrazione europea, la CGCE ha affermato quanto segue: «uno Stato membro non può giustificare il mancato assolvimento degli obblighi che gli incombono in forza del Trattato con la circostanza che altri Stati membri trasgrediscono del pari i loro obblighi. Infatti, nell’ordinamento giuridico comunitario istituito dal Trattato, l’applicazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri non può essere soggetta ad una condizione di reciprocità. Gli artt. 226 CE e 227 CE contemplano le vie di ricorso idonee per fronteggiare i casi in cui gli Stati membri non rispettano gli obblighi che loro incombono in forza del Trattato» (Commissione europea c. Finlandia, 19.11.2009, C-118/07, punto 48).

Il testo dell’art. 60 CVDT «1. Una violazione sostanziale di un trattato bilaterale ad opera di una delle parti legittima l'altra ad invocare la violazione come motivo di estinzione del trattato o di sospensione totale o par- ziale della sua applicazione. 2. Una violazione sostanziale di un trattato multilaterale ad opera di una delle parti legittima: le altre parti, operanti di comune accordo, a sospendere totalmente o parzialmente l'applicazione del trattato o a considerarlo estinto: i) sia nei rapporti fra esse stesse e lo Stato autore della violazione, ii) sia nei loro rapporti reciproci; una parte colpita in modo particolare dalla violazione ad invocare quest'ultima come motivo di sospensione totale o parziale dell'applicazione del trattato nei suoi rapporti con lo Stato autore della violazione; qualsiasi altra parte diversa dallo Stato autore della violazione a invocare quest'ultima come motivo di sospensione totale o parziale dell'applicazione del trattato per quanto la riguarda se tale trattato è di tale natura che una violazione sostanziale delle sue disposizioni ad opera di una delle parti modifica radicalmente la situazione di ciascuna delle parti per ciò che riguarda l'adempimento dei suoi obblighi ai sensi del trattato. 3. Ai fini del presente articolo, per violazione sostanziale di un trattato si intende: un ripudio del trattato non autorizzato della presente Convenzione; oppure la violazione di una disposizione essenziale per la realizzazione dell'oggetto o dello scopo del trattato. 4. 1 paragrafi che precedono non pregiudicano in alcun modo le disposizioni del trattato applicabili in caso di violazione. 5. I paragrafi da 1 a 3 non si applicano alle norme relative alla tutela della persona umana contenute nei trattati di carattere umanitario, in particolare alle disposizioni che proibiscono qualsiasi forma di rappresaglia nei confronti delle persone protette dai trattati in questione»)

L’impossibilità sopravvenuta **** L’estinzione (sospensione) per impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione: art. 61 CVDT «Sopravvenienza di una situazione che rende impossibile l'esecuzione 1. Una parte può invocare l'impossibilità di esecuzione come motivo di estinzione o di recesso se questa impossibilità risulta dalla scomparsa o dalla distruzione definitiva di un oggetto indispensabile alla esecuzione del trattato. Se l'impossibilità è temporanea, può essere invocata soltanto come motivo per sospendere l'applicazione del trattato. # 2. L'impossibilità di esecuzione non può essere invocata da una parte come motivo di estinzione o di recesso o di sospensione dell'applicazione se tale impossibilità deriva dalla violazione, perpetrata dalla parte che l'invoca, sia di un obbligo del trattato, sia di qualsiasi altro obbligo internazionale a danno di una qualsiasi altra parte del trattato» E' il caso della scomparsa o della distruzione definitiva di un oggetto indispensabile all’esecuzione del trattato (impossibilità “fattuale”): mutamento di sovranità su un territorio, per un trattato che contempla un certo regime giuridico su quel territorio: si estingue l'obbligo a carico della parte che l'ha contratto in origine; evento naturale che preclude la navigazione, per un trattato che prevede la libertà di navigazione); se l’impossibilità è solo temporanea, sospensione. La giurisprudenza è orientata nel senso che l’estinzione non viene in essere in caso di mera «impossibilità giuridica o economica» di eseguire il trattato (esempio difficoltà di onorare un trattato di prestito, a causa di difficoltà economiche della parte debitrice), ancorché le difficoltà economiche possano giustificare la sospensione del trattato (v. CIG, sentenza del 25.9.1997 sul caso relativo al progetto Gabcikovo-Nagymaros (Ungheria c. Slovacchia), in relazione a un'azione di inadempimento condotta dall'Ungheria contro la Slovacchia in relazione a un trattato del 16.9.1977 fra Cecoslovacchia e Ungheria che prevede la costruzione coordinata e simultanea di un sistema di dighe sul Danubio, punto 102)

Il mutamento fondamentale delle circostanze ***** L’estinzione (sospensione) per mutamento fondamentale delle circostanze: art. 62 CVDT «1. Un cambiamento fondamentale delle circostanze intervenuto rispetto alle circostanze esistenti al momento della conclusione di un trattato e che non era stato previsto dalle parti non può essere invocato come motivo di estinzione o di recesso, a meno che: i) l'esistenza di tali circostanze non abbia costituito una base essenziale del consenso delle parti a vincolarsi al trattato; e che ii) tale cambiamento non abbia per effetto di trasformare radicalmente la portata degli obblighi che rimangono da adempiere in base al trattato. # 2. Un cambiamento fondamentale delle circostanze non può essere invocato come motivo di estinzione o di recesso: i) se si tratta di un trattato che fissa un confine; o ii) se il cambiamento fondamentale deriva da una violazione, ad opera della parte che l'invoca, sia di un obbligo del trattato, sia di qualsiasi altro obbligo internazionale a danno di qualsiasi altra parte del trattato. # 3. Se, in applicazione dei precedenti paragrafi, una parte può invocare un mutamento fondamentale di circostanze come motivo di estinzione o recesso da un trattato, essa può ugualmente invocare detto mutamento come motivo di sospensione» La causa opera solo in presenza di «mutamenti fondamentali» delle circostanze: ossia con riguardo alle sole circostanze costitutive della base essenziale del consenso delle parti a vincolarsi al trattato (prospettiva soggettiva, storica), che abbiano l’effetto di trasformare radicalmente la portata degli obblighi derivanti dal trattato (è ancora possibile eseguire il trattato, ma è radicalmente mutato l’equilibrio delle prestazioni come concepito all'inizio), e che non siano stati previsti dalle Parti al momento della stipulazione.

Il mutamento delle circostanze: la guerra In che misura la guerra (stato di belligeranza) costituisce un mutamento fondamentale delle circostanze rispetto ai trattati in vigore tra le Parti al conflitto? Prassi incerta: vedi le disposizioni del Trattato di Pace di Parigi del 1947: “mantenere o rimettere in vigore” gli accordi tra l'Italia e altre Parti contraenti. Varie situazioni possono essere configurate, che vanno dall’effetto abrogativo o sospensivo : a) Nessun effetto sull’efficacia dei trattati che disciplinano modi o effetti della guerra (es. trattati sulla conduzione delle ostilità, trattati di diritto umanitario); b) Effetti «limitativi» dell’efficacia dei trattati sui diritti dell’uomo che prevedono clausole esplicite relative allo stato di guerra (per esempio clausole di sospensione delle garanzie convenzionali, con eccezioni: art. 4 Patto diritti civili e politici; art. 15 CEDU e, in senso conforme, CIG, parere sulla liceità dell’uso delle armi nucleari, 8.7.1996 e parere sulle conseguenze giuridiche della costruzione di un muro nei territori palestinesi occupati, 9.7.2004). c) Estinzione dei trattati che presuppongono una situazione di pace o di concordia (es.: i trattati bilaterali di alleanza militare) ovvero sospensione (nei rapporti inter partes) dei trattati che presuppongono rapporti amichevoli tra le Parti (es. trattati di amicizia di stabilimento e di commercio, valutazione caso per caso). Per la Corte di Cassazione (sentenza n. 3147/71) l’estinzione coinvolge solo i trattati il cui contenuto è radicalmente incompatibile con lo Stato di guerra (altrimenti, effetto sospensivo)

L’estinzione per conflitto con norma imperativa sopravvenuta ****** Estinzione del trattato per conflitto con una «nuova» norma cogente Art. 64 CVDT: «In caso di sopravvenienza di una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che sia in conflitto con tale norma è nullo e si estingue» Si vedano le considerazioni svolte sopra (art. 53 CVDT)

La «procedura» per far valere le cause di invalidità o di estinzione (sospensione) La prassi è orientata, in ossequio al principio di buona fede, nel richiedere allo Stato interessato il previo esperimento di un procedimento «negoziale» (basato sul consenso di tutte le parti al trattato) prima che detto Stato possa attivare la causa di invalidità o di estinzione. In via residuale la CVDT prevede detto procedimento negoziale: esso ha valore residuale rispetto alle previsioni speciali del trattato. Ex art. 65, lo Stato che invoca la causa di invalidità o di estinzion deve attivare una procedura di notifica. Decorsi 3 mesi, in assenza di obiezioni, la causa può essere applicata. In caso di obiezioni, scatta l’obbligo di esperire i procedimenti di soluzione pacifica delle controversie (rinvio all'art. 33 Statuto ONU) Ex art. 66 CVDT può essere attivato un procedimento di natura arbitrale o giurisdizionale se, entro 12 mesi dall’obiezione, non è stato possibile risolvere la controversia. Detto procedimento è istituito dalla CVDT con riguardo alle controversie relative all’applicazione degli art. 53 e 64 (sopra)