Il trasformismo L’epoca della Sinistra, detta poi storica per distinguerla dai partiti e movimenti di sinistra che si sarebbero affermati nel corso del XX secolo, va dal 1876, anno della «rivoluzione parlamentare» che porta alla caduta della Destra storica, fino alla «crisi di fine secolo», che sfocia nell’età giolittiana. Il primo presidente del Consiglio della Sinistra storica è Agostino Depretis, il cui governo segue quello di Marco Minghetti. In realtà Depretis forma un esecutivo che si regge anche sull’appoggio di una parte della Destra, cercando ampie convergenze su singoli temi con settori dell’opposizione e dando vita al fenomeno del trasformismo.
Il «partito della maggioranza» Con il termine «partito» si intende un sistema di relazioni fra parlamento, governo e amministrazione, nonché i notabili locali. Il partito della maggioranza sostituisce il partito del re e garantisce la governabilità dopo gli anni di cosiddetto governo provvisorio. Una «infornata» di 59 nuovi senatori garantisce la maggioranza anche nella Camera alta. La stabilità complessiva non impedisce però una instabilità ministeriale, dovuta anche all’alternanza fra i due personaggi di spicco, Depretis e Benedetto Cairoli.
Politica nazionale e internazionale Viene abolita l’impopolare tassa sul macinato e viene perseguita una politica di sgravi fiscali e di investimenti nel settore industriale Continua la politica protezionista, che comporta di fatto l’intervento diretto dello Stato nell‘economia. In particolare, nel 1878 vengono introdotte tariffe doganali a protezione delle industrie tessili e siderurgiche. Nel 1887, viene estesa la tariffa protettiva sulla cerealicoltura che risentiva delle esportazioni dagli Stati Uniti d'America di grano, venduto sul mercato italiano a prezzi inferiori. Questa tariffa protettiva danneggerà il settore della produzione meridionale del vino e dell'ortofrutta, già in crisi dalla rottura dei rapporti commerciali con la Francia e della politica filotedesca di Crispi. In politica estera, la Sinistra storica di Depretis abbandona la tradizionale alleanza con la Francia, a causa degli attriti diplomatici derivanti dalla questione tunisina, entrando nell’orbita della Triplice Alleanza a fianco degli imperi centrali di Austria-Ungheria e Germania e favorendo lo sviluppo del colonialismo italiano.
Le prime riforme Un’importante riforma riguarda l’istruzione: la legge Coppino (1877) rende obbligatoria e gratuita l’istruzione elementare (dai 6 ai 9 anni d’età), ribadendo anche l’obbligo per ogni comune di istituire una scuola elementare maschile e una femminile. Viene quindi allargato il suffragio, tramite la legge Zanardelli (1882) che concede diritto di voto a tutti i maschi che avessero compiuto i 21 anni e avessero i seguenti requisiti: il pagamento di un’imposta di almeno 19,8 lire (invece delle precedenti 40) o, in alternativa, la dimostrazione di saper leggere e scrivere. Il limite di età è abbassato da 25 a 21 anni. L’intenzione è quella di ampliare il suffragio fino all’universalità basandosi appunto sull’istruzione dei cittadini e non sul censo. Con la suddetta riforma il corpo elettorale sale al 6,9 per cento della popolazione rispetto al 2,2 per cento del 1880. I votanti, comunque, restano fermi al 60 per cento.
L’unificazione amministrativa crispina A Depretis, morto nel 1887, succede Francesco Crispi, che in pochi anni fa approvare circa 2500 provvedimenti, realizzando la cosiddetta «seconda unificazione amministrativa». Fra il 1887 e il 1888 vengono riorganizzati i ministeri, istituiti i sottosegretari e una segreteria della presidenza del Consiglio, rafforzato il ministero dell’Interno. Nel 1888 il suffragio amministrativo (comunale e provinciale) viene allargato a chi sapesse leggere e scrivere e pagasse 5 lire di contribuzione. Nei capoluoghi di provincia e nei comuni con più di 10.000 abitanti il sindaco viene eletto dal Consiglio.
La crisi di fine secolo La caduta di Crispi, dopo la sconfitta di Adua (1896), apre un periodo di instabilità, per fronteggiare la quale vengono proposte due soluzioni. Da un lato si auspica un «ritorno allo Statuto» (Sidney Sonnino), che interrompendo la «prassi parlamentare» rendesse il governo responsabile davanti al sovrano e lasciasse alle camere solo il potere legislativo. Su questa base nascono i governi del marchese di Rudinì (1896-1898) e del generale Pelloux (1898-1900). Dall’altro lato, si ripropone di continuare lungo la via del governo della maggioranza. È la strada annunciata già nel 1896 da Giovanni Giolitti, che diventa prima ministro dell’Interno nel governo Zanardelli (1901) e poi presidente del Consiglio (dal 1903 al 1914, quasi continuativamente).
L’età giolittiana Il principale campo di azione di Giolitti è l’amministrazione, che si espande (il 50 per cento in più in un decennio), si ramifica e si «meridionalizza». La «statizzazione» delle società ferroviarie, di quelle telefoniche e delle assicurazioni (INA) contribuisce all’aumento del numero dei dipendenti pubblici. Viene sviluppata la legislazione sociale: nascono gli uffici lavoro e gli ispettorati del lavoro, si sviluppa la previdenza, nuove norme sul riposo festivo e sul lavoro femminile e infantile con nuovi limiti di orario (12 ore) e di età (12 anni). Nel 1912 viene introdotto il suffragio universale maschile, esteso a tutti i cittadini con età maggiore dei 30 senza restrizioni e ai maggiorenni purché alfabetizzati. L’elettorato cresce dall’8 al 23 per cento della popolazione. È applicato nelle elezioni politiche del 1913 con il tradizionale collegio uninominale a doppio turno.