Il personaggio più controverso della mitologia Medea Il personaggio più controverso della mitologia
Medea è una figura della mitologia greca, figlia di Idia e Eeta, re della Colchide(regione appartenente all’odierna Georgia).
Il suo nome in greco significa “astuzie, scaltrezze” ma anche “CURE” Il suo nome in greco significa “astuzie, scaltrezze” ma anche “CURE”. Già dall’etimologia si può comprendere quella che è la doppia personalità di Medea: da moglie amorevole a donna vendicativa disposta addirittura ad uccidere i propri figli. Ma ciò mette in evidenza come la descrive la tradizione: una maga dotata di poteri anche divini.
La storia In Colchide arriva Giasone, figlio del re di Iolco, venuto con gli Argonauti per conquistare il vello d’oro custodito da Eeta in modo tale da poter ottenere il potere che lo zio Pelia gli aveva usurpato. Medea se ne innamora. Per potere raggiungere lo scopo l’eroe doveva superare delle prove che solo grazie alle arti magiche di Medea riesce a superare. Alla fine, Giasone conquista il vello e scappa insieme a lei con la nave Argo. La donna uccide, fa a pezzi il proprio fratello e lo getta in acqua per far fermare il padre a raccoglierlo facendo perdere le sue tracce e quelle degli altri dato che li stava inseguendo.
Una volta giunti a Iolco, Medea fa uccidere Pelia dalle sue figlie, in questo modo l’altro figlio della vittima manda in esilio lei e Giasone, diventato nel frattempo suo marito, e decidono di andare a vivere a Corinto. Dieci anni dopo, Creonte, il re della città, offre sua figlia Glauce in sposa a Giasone permettendo di succedergli al trono. Giasone accetta lasciando così Medea, barbara in terra straniera. Disperata, ella progetta la vendetta: uccidere Glauce inviandole una veste avvelenata. Non solo muore la ragazza ma anche il padre perché tocca la veste. La sua rabbia si abbatte anche sui figli avuti con il marito arrivando ad ammazzarli. Infine lei fugge sul carro del dio Sole che è suo nonno.
La sua vicenda è stata narrata in diversi modi da molti autori classici tra cui Euripide e Seneca, i quali hanno entrambi composto un tragedia omonima. La “Medea” di Euripide si occupa di narrare gli avventi successivi alla cacciata di Giasone e della protagonista da Iolco e al loro arrivo a Corinto. La tragedia si concentra principalmente sulla psicologia della donna. Questa è l’opera dalla quale Seneca ha maggiormente preso spunto per la sua “Medea”.
Mettendo a confronto le due tragedie, in realtà, è possibile notare che: Nell’opera euripidea la donna si dimostra un personaggio molto complesso è caratterizzato da un forte travaglio psicologico in quanto lei è divisa da la vendetta e l’amore di madre. Quando lei agisce, però, lo fa in modo consapevole e determinato pur di ottenere la sua riscossa. È possibile vedere come si cerca di analizzare la condizione della donna nella Grecia del V secolo, impossibilitata a difendersi contro la prepotenza maschile rappresentata in modo particolare da Giasone. Nella tragedia di Seneca non è presente questo travaglio interiore in Medea perché in lei l’orgoglio di donna tradita e il desiderio di vendetta sono talmente forti che lei è pronta a qualunque atto, anche il più feroce, pur di non rinunciare alla sua rivincita su Giasone.
La tragedia di Seneca focalizza la sua attenzione sull’aspetto psicologico di tutti i personaggi ma in modo particolare della protagonista come in quella di Euripide ma facendo emergere il conflitto tra furor e mens bona. Questa caratteristica toglie all’opera la dimensione spazio-temporale provocando anche la scomparsa di alcune caratteristiche proprie di Medea come quella della condizione di barbara , inferiore al greco Giasone. Poi ciò fa anche emergere l’interesse di Seneca nell’analisi e nella critica delle passioni, tema già presente in forma teorica in altre opere come il “DE IRA”. Queste sono tutt’altro che nobili perché distruggono la ragione dell’uomo. Infatti da Seneca sono viste come negazione della razionalità e una vera malattia dell’anima. Mediante Medea Seneca giunge a dimostrare il potenziale distruttivo dell’ira che non può in alcun modo convivere con la saggezza poiché su quest’ultima ha il sopravvento. È proprio l’ira che guida i suoi comportamenti folli e irragionevoli.
Il “De Ira” Opera, composta tra il 39 e il 40 d.C., si parla in tre libri del problema dell’ira, considerata dal filosofo un sentimento smodato ed estremo che non permette all’uomo di vivere secondo ragione e raggiungere la virtù. È un dialogo dedicato al fratello Novato costruito nella forma di un trattato medico con la descrizione degli accessi di collera, l’individuazione delle cause e la definizione dei rimedi.
In questa tragedia come nell’intera produzione tragica di Seneca ci sono aspetti che esprimono il gusto dell’orrido e del macabro e la violenza, come la descrizione particolareggiata e per certi versi compiaciuta di inquietanti riti magici e di fatti di sangue. Infatti si può rivedere in Medea una figura principalmente empia per il suo legame con il mondo della stregoneria e della magia nera, lei cui pratiche offendono il culto degli dei superi. C’è un passo nella tragedia dove Medea invoca le potenze del mondo sotterraneo, mentre fa bollire nel suo calderone ogni tipo di ingrediente magico, affinché si realizzi il suo desiderio di veder morta la propria rivale in amore.
Medea fa parte di quel gruppo di eroine caratterizzate da un immagine negativa, opposte alle donne esemplari per rettitudine. A lei, però, può essere accostata Didone. Didone era la regina di Cartagine, la quale si innamorò perdutamente di Enea ponendo al centro della sua esistenza i propri sentimenti. Quando l’eroe troiano l’abbandonò per andare in Italia a fondare Roma, lei si suicidò. La regina si era concessa all’amore come Medea, dimenticando i suoi doveri, ma riversò la propria delusione e il proprio rancore su se stessa ponendo fine alla sua stessa vita.
Medea è una figura molto ricorrente nella mitologia classica e ha influenzato la letteratura dei secoli successivi come la musica e la pittura per la sua complessità. Possiamo ricordare la MEDEA di Anouilh, la quale rappresenta una donna che sa piegarsi al dubbio e alla debolezza. Inoltre, l’autore apporta anche una modifica nel finale e approfondisce l’indagine sui rapporti uomo-donna. Medea è stata anche oggetto di rappresentazioni teatrali e di film. Infatti per i film si deve ricordare la “MEDEA” di Pier Paolo Pasolini.
Realizzato da Vittoria Lorusso