POSTIMPRESSIONISMO/3 Paul Gauguin prof. Claudio Puccetti.

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Transcript della presentazione:

POSTIMPRESSIONISMO/3 Paul Gauguin prof. Claudio Puccetti

Paul Gauguin (Parigi 1848- Hiva Oa 1903) Gauguin parte dalle posizioni impressioniste che presto supera per cercare una pittura più intensa sul piano espressivo. I suoi colori forti ed intensi, stesi a campiture piatte, saranno ripresi dagli espressionisti francesi (I Fauves); l’intensa spiritualità delle sue immagini, darà invece un importante contributo al simbolismo. Nasce a Parigi ma trascorre la sua prima infanzia a Lima, in Perù. Nel 1871 ritorna a Parigi e si impiega presso un agente di cambio. Si sposa ha cinque figli e conduce una vita contraddistinta da un discreto benessere economico. Inizia a collezionare quadri e a dipingere ed espone le sue opere nelle mostre che gli impressionisti tengono dal 1879 al 1886; nel frattempo perde il lavoro e insieme alle difficoltà economiche si aggravano anche i suoi problemi familiari. Lascia la famiglia e si dedica solo alla pittura. Nel 1885 si trasferisce in Bretagna, a Pont-Aven, dove diventa capofila di una nuova corrente artistica ‘’Scuola di Pont-Aven’’. Fonte di ispirazione di questa pittura sono le vetrate gotiche e gli smalti medievali. Prendendo spunto dalla tecnica del “Cloisonnisme” Gauguin usa colori puri che stende in modo uniforme e li contorna con un marcato segno nero. Dopo essere stato a Panama e in Martinica, nel 1888 va ad Arles dove dipinge insieme a Vincent Van Gogh. Rompe con il pittore olandese per ritornare a Pont-Aven. Nel 1891 si reca per la prima volta a Tahiti e dopo qualche breve periodo passato ancora in Francia nel 1895 si trasferisce definitivamente nei mari del sud. Muore nel 1903 nelle Isole Marchesi.

Paul Gauguin, Autoritratto (I miserabili), 1888

Paul Gauguin, Vincent Van Gogh che dipinge i girasoli, 1888

Paul Gauguin, Al caffè, 1888, (73 x 92)

Paul Gauguin, Donne nel giardino dell’ospedale di Arles, 1888

Paul Gauguin, La visione dopo il sermone o La lotta di Giacobbe con l’angelo, 1888

Paul Gauguin, Il Cristo giallo, 1889, (92 x 73) Il Cristo giallo, al pari della «Visione dopo il Sermone», è una tela di intenso valore mistico. La scena è dominata da un grande crocefisso sotto il quale tre donne, nei tradizionali costumi bretoni, sono inginocchiate a pregare. Fa da sfondo un paesaggio rurale che trasmette un sentimento di calma e di serenità. La composizione riprende quello della "Crocefissione" comune a tante immagini medievali, dove però al posto della Madonna e della Maddalena vi sono delle contadine moderne. Il significato è : rivivere nell'esperienza quotidiana il mistero del sacrificio come dimensione sacra della rinascita della vita. Da questa visione proviene anche il colore giallo che domina assumendo il valore di unione simbolica tra le messi di grano e il Messia. Stilisticamente l'opera deve molto al "cloissonisme", ovvero ad uno stile che, prendendo ispirazione dalle vetrate gotiche, tende a delimitare le figure con spessi tratti neri, quali le piombature che circondano le figure delle vetrate, e a campirle con colori uniformi e saturi.

Paul Gauguin Autoritratto con Cristo giallo, 1889, (38 x 46); Autoritratto con aureola, 1889, (79 x 51)

Paul Gauguin, La belle Angèle, 1889, (73 x 92)

Paul Gauguin, Ave Maria, 1891, (87 x 113)

Paul Gauguin, Donna con fiore, 1891, (46 x 70)

Paul Gauguin, Donne tahitiane sulla spiaggia, 1891, (69 x 91)

Paul Gauguin. Aha oe feii. (come, sei gelosa. ) 1892. Olio su tela. cm Paul Gauguin. Aha oe feii? (come, sei gelosa?) 1892.Olio su tela. cm. 66X89. Mosca, Museo Puskin In questo quadro sono raffigurate due donne. Una accovacciata, l’altra distesa. Della seconda si intravede solo la testa e la parte superiore del busto. Il soggetto è tratto da un fatto a cui il pittore aveva assistito e che così descrive nel suo libro «Noa Noa»: sulla spiaggia due sorelle che avevano appena fatto il bagno, distese in voluttuosi atteggiamenti casuali, parlano di amori di ieri e di progetti d’amore di domani. Un ricordo le divide: «Come! Sei gelosa?» Come spesso capita nei dipinti di Gauguin, il titolo dell’opera viene scritto sulla tela, in questo caso in basso a sinistra. È scritto in tahitiano e il suo esotico suono serve a dare più suggestione al quadro. Ed è proprio la scritta che non è solo un titolo, ma è anche una frase realmente pronunciata dalle due donne, a dare il contenuto più specifico al quadro. Se non fosse per questa frase riportata sul quadro il contenuto del quadro potrebbe essere scambiato per una pura sinfonia decorativa. Del resto, l’aspetto muto e silenzioso delle donne e la loro posa estremamente plastica e affascinante potevano essere scambiata per una ricerca solo sulla bellezza formale dei loro corpi. Invece Gauguin vuole cogliere un diverso significato: la complicità tutta femminile nel dialogare del più profondo arcano della vita: l’amore. E c’è in questo quadro una tale carica di intensa primitività che sembra riportare il momento del dialogo ad una ritualità senza tempo. L’eterno ritorno dei sentimenti e dell’amore e il continuo interrogarsi sul loro significato. Il quadro, come la precedente produzione di Gauguin, è tutta giocata sulla risoluzione bidimensionale dell’immagine. Nella sua pittura il problema della rappresentazione tridimensionale è del tutto assente. Egli accosta forme, senza preoccuparsi della loro plausibile collocazione in uno spazio virtuale che vada oltre il piano della rappresentazione. Ciò è ancora più evidente in questo quadro dove la donna distesa, e arditamente vista in uno scorcio dalla testa in giù, scompare completamente nella metà inferiore. Le due donne formano quasi un corpo solo, divise solo dalla diversa tonalità dei loro corpi. Sono distese su una spiaggia di sabbia rosa che nella parte sinistra perde qualsiasi apparenza orizzontale per divenire un piano indefinito. Nella parte superiore, colori vari vengono stesi in campiture piane senza alcuna preoccupazione naturalistica o mimetica. Servono solo a rendere più evidente la bidimensionalità dell’immagine e, nel contempo, ad accentuarne il carattere decorativo. Gauguin era molto affezionato a questo quadro, tanto che in una lettera ad un amico scriveva: «Ho fatto ultimamente un nudo a memoria, due donne sulla spiaggia, credo che sia anche la mia cosa migliore fino ad oggi». Il soggetto è tratto da un fatto a cui il pittore aveva assistito e che così descrive:’’sulla spiaggia due sorelle che avevano appena fatto il bagno, distese in atteggiamenti casuali, parlano di amori di ieri e di progetti d’amore di domani. Un ricordo le divide: «Come! Sei gelosa?» Come spesso capita nei dipinti di Gauguin, il titolo dell’opera viene scritto sulla tela, in questo caso in basso a sinistra. Ed è proprio la scritta che non è solo un titolo, ma è anche la frase realmente pronunciata dalle due donne, a dare il contenuto più specifico al quadro.

Paul Gauguin, Il mercato, 1892, (91 x 73)

Paul Gauguin, Lo spirito dei morti veglia, 1892, (92 x 73)

Paul Gauguin, La nascita di Cristo, 1896, (128 x 96)

Paul Gauguin, Giovani con fiori di mango, 1899, (72 x 94)

Paul Gauguin Due donne tahitiane

animo, che per altro danno il titolo al quadro. Paul Gauguin, Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, 1897 Museum of Fine Arts Boston La tela si presenta a sviluppo orizzontale con un percorso di lettura che va destra a sinistra. Lungo questa direzione, Gauguin dispone una serie di figure che ripropongono in sostanza le "Allegorie delle età della vita". Dal neonato nell’angolo a destra ( richiamo alla natività in una dimensione primitiva) si giunge alla donna scura a sinistra passando attraverso le varie stagioni della vita. La donna al centro, che quasi divide il quadro in due, simboleggia il momento della vita in cui si raccolgono i frutti, allegoria del momento della procreazione (ma anche del peccato originale). La vecchia in fondo a sinistra nella sua posizione fetale con le mani accanto al volto richiama la paura della morte. Il percorso della vita si svolge in un giardino che sa proprio di Eden. Come dire che, secondo Gauguin, in fondo la vita e la realtà non sono poi male, se non fosse per l’angoscia di non sapere con certezza a cosa serve tutto ciò. Con questo quadro il senso di inquietudine e di instabilità dell’artista ci appare alla fine come un percorso senza fine, perché volto a traguardi che non sono di questo mondo. Alle tre domande che l’uomo si pone sul perché dell’esistenza, sulla propria origine e sulla propria fine , pertanto non c’è risposta; le parole, come aveva affermato Gauguin, sono vane, inutili; esse non risolvono i problemi né danno risposte alle angosce della vita. La grande tela, realizzata da Gauguin negli ultimi anni della sua attività, costituisce quasi un testamento spirituale della sua arte. Concepita come il fregio di un tempio (numerosissimi sono i richiami alle figure del Partenone) dà l'idea di un affresco, poiché presenta i bordi rovinati. Nei bordi inserisce il titolo dell'opera (a sinistra)la firma e la data (a destra), altro elemento tipico dell'arte bizantina.L'opera va letta da destra a sinistra (appunto all'orientale) come un ciclo vitale disposto ad arco: non a caso, all'estrema destra è raffigurato un neonato, che già dal momento della nascita è lasciato nell'indifferenza di chi lo circonda. Al centro un giovane (l'unico personaggio maschile) sta cogliendo un frutto e può essere interpretato in 2 modi: 1.Come richiamo al peccato originale 2.Come simbolo della gioventù che coglie la parte migliore dell'esistenza. Alle spalle del ragazzo, una figura con il gomito in alto contribuisce a definire la struttura triangolare della prima metà, al cui vertice sono messe in risalto le figure rosse sullo sfondo, emblematiche e con l'aria di chi ordisce trame nell'ombra: esse sono simbolo dei tormenti e delle domande che giacciono nel profondo di ogni animo, che per altro danno il titolo al quadro. La stessa struttura si ritrova nella seconda metà del dipinto, speculare rispetto all'uomo centrale. Al vertice troviamo stavolta la divinità, anch'essa col suo significato simbolico: l'inutilità e la falsità della bugia religiosa, magra consolazione e senso provvisorio di una vita in realtà vana. All'estrema sinistra troviamo una vecchia raggomitolata su di sé (identica ad una mummia peruviana vista in gioventù) in attesa della morte, trasfigurata in un urlo quasi munchiano dinnanzi alla vacuità di senso dell'esistenza (piuttosto che per la paura della morte, dall'artista abbracciata almeno nelle intenzioni dopo la conclusione dell'opera). Infine, uno strano uccello bianco con una lucertola tra le gambe, simbolo della vanità delle parole, chiude la lettura del dipinto. Lo sfondo rappresenta la vegetazione in maniera sintetica: i rami si trasformano in arabeschi (decorazione doppia); i colori sono antinaturalistici: infatti, gli alberi sono blu. Le due figure di giovani accovacciate su entrambi i lati e l'idolo blu della dea Hina sul fondo compaiono in molte opere dello stesso periodo. Ma straordinaria in questo quadro è soprattutto l’ambientazione. Il percorso della vita si svolge in un giardino che sa proprio di Eden. Con questo quadro il senso di inquietudine e di instabilità, tipico dell’artista e uomo Gauguin, ci appare alla fine come un percorso senza fine, perché volto a traguardi che non sono di questo mondo. E così il suo fuggire dall’Occidente verso i paradisi dei mari del Sud, in fondo, altro non è che la metafora, non figurata ma reale, della ricerca perenne ma inesauribile dell’approdo ultimo della nostra serenità. Dopo alcuni schizzi preparatori, il pittore vi lavorò notte e giorno per circa un mese, imponendosi un ritmo di lavoro frenetico che finì col prostrarlo; fu così che, ritenendosi incapace di finire il dipinto, Gauguin tentò di suicidarsi ingerendo dell'arsenico, ma la dose troppo forte e presa di getto, determinò un forte vomito che annullò l'effetto del veleno. Il dipinto fu poi arrotolato e spedito a Parigi al mercante d'arte Ambroise Vollard, che così stipulò un contratto redditizio col pittore, assicurandosi l'esclusiva della sua opera.

Paul Gauguin, Da dove veniamo. Che siamo. Dove andiamo Paul Gauguin, Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?, 1897 Museum of Fine Arts Boston