LA M0RALE SOCRATICA
LA MORALE SOCRATICA
RAZIONALISMO MORALE Con l’espressione “razionalismo morale” si indica la dottrina filosofica che attribuisce alla ragione e all’intelligenza la direzione suprema della vita, reputando che per agire correttamente siano indispensabili la conoscenza e la riflessione. Il razionalismo morale di Socrate, implicando le equazioni “virtù = scienza” e “vizio = ignoranza”, è stato accusato, nei secoli, di “intellettualismo etico”, ossia quell’indebita sopravvalutazione dell’intelletto rispetto alla volontà (e alle emozioni) che Socrate avrebbe operato nella sua etica, affermando che chi conosce il bene lo mette in pratica, mentre chi compie il male non lo fa per cattiva volontà, ma solo perché ignora quale sia il suo vero bene.
È peggio commettere il male che subirlo RAZIONALISMO MORALE Il razionalismo morale porta dunque a due paradossi (vie senza uscita): Nessuno compie il male volontariamente È peggio commettere il male che subirlo La prospettiva socratica è opposta alla visione tradizionale (di matrice cristiana), basata sul volontarismo morale, che fonda la morale sulla volontà indipendente dalla ragione
Platone – Lachete L’obiettivo del dialogo socratico In questo brano, tratto dal Lachete di Platone, il generale Nicia descrive il consueto comportamento di Socrate nei confronti dei propri interlocutori: ne emerge l’autentico significato del cosiddetto razionalismo morale, che non è freddo calcolo, bensì costante assunzione di responsabilità nel compimento delle proprie azioni
Platone – Lachete L’obiettivo del dialogo socratico Non mi sembra che tu sappia che chi si trovi a ragionare con Socrate, come capita, ed entri in conversazione con lui, qualunque sia il soggetto in discussione, è trascinato torno torno ed è forzato a continuare finché non casca a render conto di sé, del modo in cui ha trascorso la sua vita; e una volta che c’è cascato Socrate non lo lascia più prima di averlo passato al vaglio ben bene e in ogni parte.
Platone – Lachete L’obiettivo del dialogo socratico Io che ci ho l’abitudine a lui so anche che è inevitabile che si sia trattati così e so pure benissimo che non gli sfuggirò neanch’io. Perché mi fa piacere, o Lisimaco, stare con lui e non credo che sia affatto male che ci sia richiamato alla mente che siamo vissuti e viviamo non bene, ch’anzi è forza maggiore che si sia più attenti per l’avvenire, se si subisce questo esame e se secondo il detto di Solone si vuole e si ritiene giusto imparare fino all’ultimo giorno di vita, senza credere che la vecchiaia da sola porti il senno.
Platone – Lachete L’obiettivo del dialogo socratico Per quanto dunque sta a me, non m’è affatto insolito, né d’altra parte inviso passare sotto il vaglio di Socrate, ch’anzi già da tempo sentivo che, con Socrate presente, il discorso non sarebbe stato più sui ragazzi, ma su noi stessi.
VIRTÙ Con il termine greco areté, reso in italiano con “virtù”, si intendeva in generale una qualsiasi capacità, o eccellenza, appartenente a qualunque ente. Riferita all’individuo umano, la parola indicava il modo ottimale di essere uomo. Secondo l’idea tradizionale, di matrice omerica, la virtù risiedeva soprattutto in valori quali la forza d’animo, la vigoria fisica e l’onore. In Socrate essa acquista invece una connotazione marcatamente etica, tendendo a identificarsi con quella pratica abituale del bene tramite cui l’uomo consegue la felicità e la serenità dell’animo. Nella prospettiva di Socrate la virtù diviene quindi l’arte del ben vivere e del ben comportarsi, che poggia sul sapere, anzi, che fa tutt’uno con il sapere stesso.
Platone – Protagora La virtù è scienza Discutendo con Protagora nell’omonimo dialogo platonico, Socrate ha dimostrato che le diverse virtù sono soltanto nomi differenti della medesima realtà. Il sofista è giunto ad ammettere che tra le virtù esiste una certa somiglianza; il coraggio fa tuttavia eccezione, perché vi è «un gran numero di persone estremamente ingiuste, empie, dissolute, ignoranti, eppure, in particolar maniera, coraggiosissime». Socrate riprende dunque la discussione chiarendo quale sia la vera natura di quella virtù.
Platone – Protagora La virtù è scienza Non è questo che chiamate ignoranza, avere una falsa opinione e ingannarsi su cose di grande valore? […] E quali altre conclusioni trarre […] da quel che si è detto, se non queste: che nessuno volontariamente si volge a ciò che è o ritiene male; che, sembra, è contrario all’umana natura ricercare ciò che si ritiene male invece del bene; e che quando si è costretti a scegliere tra due mali, nessuno preferirà il più grande potendo scegliere il minore.[…] E allora? Cosa chiamate timore o paura? […] Io, con l’uno o l’altro termine, intendo una certa aspettativa del male. […]
Platone – Protagora La virtù è scienza Se tutto quello che abbiamo detto è vero, ci sarà forse uomo che vorrà muoversi incontro a ciò che desta in lui timore, quando potrebbe andare incontro a ciò che non teme? O è impossibile, dopo quanto abbiamo convenuto? Ciò che si teme, siamo rimasti d’accordo, è ritenuto un male, e nessuno volontariamente si muove incontro a quello che ritiene un male, né lo sceglie. […] Ma di fronte a cosa si mostrano temerari i coraggiosi? Vanno, dunque, incontro alle cose pericolose, ritenendole da temersi, o a quelle che non lo sono? […] Se la dimostrazione era valida, nessuno affronta quello che ritiene pericoloso. […]
Platone – Protagora La virtù è scienza La verità è che tutti affrontano le cose che ispirano fiducia, i vili e i coraggiosi, e sotto questo aspetto vili e coraggiosi affrontano lo stesso genere di rischi. […] E il coraggioso non si muove verso ciò che è più bello, migliore, più piacevole? […] E allora, in linea generale, non è forse vero che i coraggiosi non hanno, quando temono, vergognosi timori e vergognosa audacia? […] Di contro, i vili e i folli non hanno, forse, vergognosi timori e vergognose audacie? […]
Platone – Protagora La virtù è scienza E non ardiscono cose vergognose e cattive non altro che per questo, per incoscienza e ignoranza? […] la vigliaccheria non sarebbe, dunque, se non ignoranza delle cose da temere e di quelle da non temere? […] Non consiste, dunque, il coraggio nella scienza delle cose da temere e di quelle da non temere, che è, appunto, il contrario della loro ignoranza?
EUDEMONISMO Per “eudemonismo” o “eudaimonismo” (dal gr. eudaimonía, “felicità”, “benessere”) si intende ogni dottrina che, analogamente a quella socratica, assuma la felicità quale principio o movente della vita morale e fondi la felicità (identificata con il bene) sulla vita “virtuosa”.
Platone – Alcibiade primo L’uomo è la sua anima Socrate discute con il giovane aristocratico Alcibiade, ambizioso e orgoglioso della propria bellezza. Il filosofo cerca di indurre l’interlocutore a prendersi cura di sé; ma che cos’è questo sé di cui dobbiamo prenderci cura?
Platone – Alcibiade primo L’uomo è la sua anima SOCRATE Di’ su, allora: con quale arte potremo prenderci cura di noi stessi? ALCIBIADE Non lo so. SOCRATE Ora, fino a qui, almeno, siamo d’accordo, che non è quella con la quale potremo rendere migliore qualsiasi oggetto che ci appartenga, ma quella che renda tali noi stessi. ALCIBIADE Verissimo.
Platone – Alcibiade primo L’uomo è la sua anima SOCRATE Ora, avremmo mai conosciuto qual è l’arte che migliora la qualità delle calzature, se non conoscessimo la scarpa? ALCIBIADE Impossibile. […] SOCRATE Facciamo un altro passo. Potremmo forse conoscere qual è l’arte che migliora l’uomo stesso se non sapessimo chi siamo noi stessi? ALCIBIADE Impossibile.
Platone – Alcibiade primo L’uomo è la sua anima SOCRATE E può mai darsi che sia una bazzecola conoscere se stessi e che fosse uno sciocco chi iscrisse quelle parole nel tempio di Pito? […] Se conosceremo noi stessi, conosceremo forse la cura che dobbiamo prenderci di noi, se no, non la conosceremo mai. ALCIBIADE È così. SOCRATE Di’ dunque: in qual modo si potrebbe scoprire in che consiste il “se stesso”? […] Siamo d’accordo che chi usa uno strumento è altra cosa dallo strumento?
Platone – Alcibiade primo L’uomo è la sua anima ALCIBIADE Sì. […] SOCRATE E finalmente l’uomo non si serve di tutto il corpo? ALCIBIADE Sì. SOCRATE S’era detto che chi si serve d’uno strumento e lo strumento sono diversi? ALCIBIADE Sì. SOCRATE Allora l’uomo è altra cosa del suo corpo? ALCIBIADE Credo. SOCRATE Cos’è dunque l’uomo?
Platone – Alcibiade primo L’uomo è la sua anima ALCIBIADE Non lo so. SOCRATE Però tu sai almeno che è qualcosa che si serve del corpo. ALCIBIADE Sì. SOCRATE Che altro mai si serve di questo se non l’anima? ALCIBIADE Niente altro. […] SOCRATE Rimane da concludere, penso, che l’uomo o non sia nulla o, se è qualcosa, non sia altro che anima. […] Quindi colui che ammonisce di conoscere se stesso, ci ordina di conoscere la nostra anima.
IL DÀIMON SOCRATICO Socrate affermava di credere, oltre agli dèi riconosciuti dalla pólis anche in una particolare divinità minore, che egli indicava con il termine dáimon Socrate si diceva tormentato da questa voce interiore che si faceva sentire non tanto per indicargli come pensare e agire, ma piuttosto per ammonirlo e dissuaderlo dal compiere una certa azione. Socrate stesso dice di esser continuamente spinto da questa entità a discutere, confrontarsi, e ricercare la verità morale Kant avrebbe successivamente paragonato questo principio "divino" alla coscienza morale dell’uomo