Termodinamica chimica

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Termodinamica chimica

La termodinamica studia in generale le variazioni di energia associate a tutti i fenomeni reali. L’energia si esprime in modi diversi a seconda della situazione. Ogni quantità che esprime una forma di energia deve rispondere a tre requisiti: - deve essere misurabile - deve essere omogenea con il lavoro (forza x spostamento) - deve essere utilizzata per esprimere una proposizione oggettiva (formula fisica o chimica)

Una quantità di energia molto comune è ad esempio l’energia cinetica: E.c. = ½ mv2 Essa è misurabile, ha le dimensioni del lavoro, viene utilizzata in molte situazioni fisiche. Ad esempio l’energia cinetica è alla base della definizione di temperatura, inoltre è uno dei due termini, insieme con l’energia potenziale, la cui somma definisce l’energia meccanica.

L’energia è una funzione di stato, ossia una quantità che serve per descrivere quantitativamente un sistema reale in un determinato e preciso stato (istante). Le funzioni di stato hanno una caratteristica fondamentale: il loro valore non dipende da come lo stato viene raggiunto. Le funzioni di stato utilizzate in termodinamica sono: temperatura (T, t), pressione (P), volume (V), energia interna (E), entalpia (H), entropia (S), energia libera (G).

Il calore ed il lavoro non sono funzioni di stato, bensì rappresentano, al livello macroscopico, le due modalità di trasferimento di energia fra i sistemi. Il calore è una forma disordinata di trasferimento di energia: esso si basa sul moto caotico delle particelle microscopiche (atomi, molecole) dei corpi. Il lavoro è una forma ordinata di trasferimento di energia: esso è basato sul moto uniforme, coerente, di tutte le particelle costituenti un corpo.

La termodinamica si può immaginare come uno studio in due fasi. -1. Nella prima fase si considera il fattore “termico” delle trasformazioni, applicando il primo principio della termodinamica. - 2. Nella seconda fase si introduce anche il fattore entropico, che deriva dal secondo principio della termodinamica.

Per comprendere il significato dei due principi della termodinamica è necessario definire due nuove funzioni di stato. - L’energia interna (E) è la quantità di energia contenuta in un sistema, data dalla somma della sua energia cinetica e della sua energia potenziale. Queste due componenti vanno considerate anche per tutte le particelle microscopiche che costituiscono il corpo: l’energia cinetica microscopica rappresenta l’energia termica, l’energia potenziale microscopica rappresenta l’energia chimica. Un altro modo per definire l’energia interna è il seguente: la variazione di energia interna corrisponde al calore di reazione a volume costante: ∆E = QV

La definizione di entalpia è la seguente: H = E + PV La variazione di entalpia corrisponde al calore di reazione a pressione costante: ∆H = QP = ∆E + P∆V

Il primo principio Il primo principio della termodinamica afferma che l’energia dell’universo è costante: ∆E(U) = 0 L’energia non si crea e non si distrugge ma si trasforma. In realtà oggi dobbiamo tenere conto di una conseguenza fondamentale della relatività einsteniana, secondo la quale l’energia e la massa sono due quantità fisiche equivalenti (E = mc2): l’energia si può trasformare in massa e viceversa.

Il primo principio si può interpretare come segue: Q = ∆E(S) + L A parole: il calore fornito al sistema corrisponde alla somma dell’aumento di energia interna e del lavoro eseguito dal sistema. Scriviamo diversamente: ∆E(S) = Q – L Questa forma dell’equazione ci aiuta a ricordare il segno delle due quantità “Q” ed “L”: la moderna termodinamica è nata ai tempi delle locomotive a vapore, ossia sistemi che assorbono calore e forniscono lavoro.

∆E(U) = ∆E(S) + ∆E(A) = Q – L + L – Q = 0 È importante osservare una differenza. Nella prima formula si prende in considerazione l’energia totale (dell’universo), mentre nella seconda quella del sistema. Il calore assorbito (Q) dal sistema corrisponde al calore fornito dall’ambiente (-Q), mentre il lavoro fatto dal sistema (L) è il lavoro che agisce sull’ambiente (-L): quindi ∆E(A) = L – Q allora: ∆E(U) = ∆E(S) + ∆E(A) = Q – L + L – Q = 0 Abbiamo così dimostrato che le due formule sono equivalenti.

Dopo aver presentato gli aspetti più rilevanti della termodinamica ora è venuto il momento di rendersi conto della portata di questa scienza, del suo significato applicativo. La termodinamica consente di prevedere la possibilità del verificarsi di un certo fenomeno, in particolare di una reazione chimica.

Incominciamo con la seguente distinzione: Una trasformazione con ∆H(S) > 0 si dice endotermica: l’entalpia del sistema aumenta. Una trasformazione con ∆H(S) < 0 si dice esotermica: l’entalpia del sistema diminuisce. Generalmente una trasformazione esotermica è “favorita” dal punto di vista termodinamico: la perdita di entalpia di un sistema “spinge” la sua trasformazione.

Come possiamo interpretare quest’ultima affermazione? Quando si tratta questo problema si usa di solito l’espressione “trasformazione spontanea”. Questo termine deve essere inteso con un significato molto preciso: in una trasformazione spontanea il sistema si trasforma senza un “intervento” esterno.

Dunque potremmo esprimerci dicendo: una trasformazione esotermica generalmente è spontanea. Questa non è una regola, non è una legge fisica, perché una legge fisica deve valere in tutti i casi. Dunque è necessario aggiungere qualcosa. È arrivato finalmente il momento di conoscere il secondo principio.

Il secondo principio L’entropia dell’universo aumenta sempre: ∆S(U) > 0 Qualunque trasformazione implica un aumento dell’entropia totale.

Il secondo principio è una legge fisica, la quale consente idealmente di stabilire se una qualunque trasformazione sia possibile. Purtroppo però il secondo principio, così come lo abbiamo presentato, ha un significato applicativo molto scarso, in quanto considera la variazione di una funzione di stato (l’entropia) riferita a tutto l’universo. Si comprende subito che tale variazione è impossibile da controllare.

Il problema a questo punto diventa: è possibile trovare una legge fisica che consenta di distinguere le trasformazioni spontanee da quelle non spontanee, utilizzando però funzioni di stato riferite al sistema e non all’universo? È necessario complicare leggermente la formula, tuttavia la risposta a questa domanda molto interessante è affermativa!

L’energia libera di Gibbs J. W. Gibbs (1839-1903) si dedicò a questo problema, e scoprì che è possibile, non soltanto in teoria, ma anche concretamente, quantificare la possibilità che una certa trasformazione si verifichi. Egli definì una nuova funzione di stato chiamata energia libera (G): G = H – TS Dove T è la temperatura Kelvin.

Una trasformazione è spontanea quando si verifica la condizione ∆G(S) < 0 In una trasformazione spontanea l’energia libera del sistema diminuisce. Se la trasformazione avviene a temperatura costante si ha: ∆H - T∆S < 0

La legge che abbiamo appena scritto implica due fatti già descritti: 1. la diminuzione di entalpia (∆H < 0) rappresenta una condizione termodinamicamente favorevole 2. l’aumento di entropia (∆S > 0) rappresenta una condizione termodinamicamente favorevole.

La combinazione di questi due termini determina il segno della variazione di energia libera. Si possono avere quattro casi: - ∆H < 0, ∆S > 0: entrambi i termini contribuiscono alla diminuzione di energia libera, pertanto la trasformazione è sempre spontanea - ∆H > 0, ∆S > 0: il contributo termico non è favorevole, mentre lo è il contributo entropico (la trasformazione è spontanea ad elevate temperature) ∆H < 0, ∆S < 0: il contributo termico è favorevole, mentre non lo è il contributo entropico (la trasformazione è spontanea a basse temperature) ∆H > 0, ∆S < 0: entrambi i termini contribuiscono all’aumento dell’energia libera, pertanto la trasformazione non è mai spontanea.

Un’ultima considerazione, di carattere più filosofico. L’attributo “spontaneo”, riferito alla trasformazione di un sistema, deve essere inteso in senso del tutto generale: ad ogni trasformazione possiamo associare due “versi”, uno spontaneo e l’altro non spontaneo. Ad esempio: un oggetto cade a terra spontaneamente, ma non risale spontaneamente al punto di partenza.

Immaginiamo di rappresentare l’andamento di una trasformazione spontanea mediante un grafico. In questo grafico la variabile indipendente è costituita dal tempo, mentre la variabile dipendente è l’entropia dell’universo. Percorrendo l’asse del tempo “in avanti”, l’entropia aumenta, in base al secondo principio della termodinamica. Al contrario se immaginiamo di ribaltare il grafico e percorrere l’andamento dell’entropia “all’indietro”, vediamo che essa diminuisce. Questa regolarità potrebbe spingerci a considerare il secondo principio una specie di “definizione del tempo”: se l’entropia aumenta il tempo procede “in avanti”, se l’entropia diminuisce il tempo procede “all’indietro”.

Questa riflessione forse sembra del tutto priva di contenuto, perché nessuno ha mai osservato il tempo scorrere all’indietro! Aggiungiamo però una considerazione: noi percepiamo il tempo attraverso le dinamiche fisiologiche del nostro sistema nervoso, il quale a sua volta è un sistema fisico che non può sottrarsi al secondo principio della termodinamica. A questo punto potremmo fare l’ipotesi che il tempo non sia altro che uno “strumento intellettuale”, che ci consente di percepire il mondo esterno come un sistema “dinamico”.