L’ECONOMIA ITALIANA NEL SECONDO DOPOGUERRA

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Transcript della presentazione:

L’ECONOMIA ITALIANA NEL SECONDO DOPOGUERRA Prof. Filippo Maraniello

La Ricostruzione DANNI DEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE Patrimonio abitativo: distrutti 1,9milioni di vani e circa 5 milioni danneggiati (su 34milioni esistenti); Marina mercantile persa per + 80%; Strade impraticabili e ferrovie interrotte; Di converso pochi danni all’apparato industriale (- 10%)

La Ricostruzione (segue) SITUAZIONE ECONOMICA PIL pro capite nel 1945 pari al 55% del 1939 e inferiore, a valori costanti, a quello del 1905

La Ricostruzione (segue) MIRACOLO ECONOMICO Nei primi 5 anni dopo la guerra il PIL pro capite ritorna al livello di partenza. Dal 1950 al 1973 il PIL pro capite, a valori costanti, riesce a triplicarsi aumentando in media del 5% all’anno.

La Ricostruzione (segue) La ricostruzione fu agevolata dagli aiuti americani: Inizialmente dall’UNRRA: viveri, medicinali, materie prime, combustibili ecc.; Post “Piano Marshall”: aiuti gratuiti e prestiti. Gli aiuti gratuiti al Governo Italiano confluivano nel “Fondo lire”, che veniva utilizzato per la ricostruzione. I prestiti per acquisto di attrezzature erano destinati prevalentemente alle industrie meccaniche, metallurgiche ed elettriche (Fiat, Edison, Sip ecc.) di cui i 2/3 alle regioni del triangolo industriale.

La Ricostruzione (segue) L’INFLAZIONE Contenuta fino al 1943 Dal 1943 al 1947 aumento costo della vita di oltre 40 volte rispetto al 1939 Incremento con l’introduzione delle “amlire” in circolazione dal 1943 al 1950 L’inflazione fu combattuta dalla “linea Einaudi” che mirava alla riduzione della circolazione monetaria tramite: Aumento del tasso ufficiale di sconto Incremento riserve obbligatorie delle banche La lira fu stabilizzata con il cambio con il dollaro fissato a 625 lire e tale rimase fino al crollo del 1971.

La Ricostruzione (segue) In base agli accordi di Yalta l’Italia rientrava nell’influenza americana e di conseguenza si optò per un’economia aperta fondata sul libero mercato. In conseguenza: Furono revocate tutte le precedenti misure autarchiche (alti dazi, restrizioni valutarie ecc.) Si aderì al Fondo monetario internazionale, alla Banca Mondiale e all’Unione europea dei pagamenti. In Italia , contrariamente alla Francia e Inghilterra, non vi furono nazionalizzazioni data l’esistenza di un consistente settore pubblico (IRI).

La Ricostruzione (segue) Nel 1950 furono varati 2 importanti provvedimenti: La riforma agraria La costituzione della Cassa per il Mezzogiorno

La Ricostruzione (segue) LA RIFORMA AGRARIA Espropriazione di 800mila ettari ai grandi proprietari (di cui 650mila nel Mezzogiorno) e assegnazione a famiglie di braccianti agricoli. I proprietari furono indennizzati con titoli di stato, mentre gli assegnatari diventavano pieni proprietari dopo il pagamento di 30 annualità.

La Ricostruzione (segue) LA CASSA PER IL MEZZOGIORNO: Inizialmente s’impegnò nella creazione di infrastrutture nelle regioni meridionali , in Sicilia e in Sardegna con particolare sostegno all’agricoltura; Nel 1960 si decise di sostenere la creazione di imprese nel Mezzogiorno. La Cassa , che ha vissuto fino al 1984, è stata sostituita da una Agenzia per il Mezzogiorno, a sua volta soppressa nel 1993.

Il Miracolo Economico Dal 1950 al 1963 la crescita economica fu eccezionale con un incremento del Pil pro capite del 5,8% all’anno, mentre successivamente e fino al 1973 si ridusse al 4%. Nel periodo Vi furono profondi mutamenti strutturali: Tra il 1951 e il 1971 gli addetti all’agricoltura crollarono dal 42% al 17% del totale; Nel 1976 l’industria partecipava al pil per 42,5%; Nel ventennio dal 1951-71 gli analfabeti si ridussero dal 10,5 al 4 per cento della popolazione; L’agricoltura si modernizzò (i trattori passarono da 40mila a fine guerra, 600mila nel 1970 e a 1.700.000 a fine secolo); Le principali industrie, che caratterizzarono il miracolo economico,riguardarono la produzione di automobili, di elettrodomestici, di fibre sintetiche, di meccanica di precisione e petrolchimica.

Il Miracolo Economico (segue) Le ragioni del miracolo economico: Gli aiuti americani Economia aperta orientata alle esportazioni Disponibilità di manodopera a basso costo Bassi prezzi internazionali delle materie prime e fonti energetiche che venivano importate Ruolo dello Stato che finanziò sviluppo in determinati settori in particolare agricoltura, edilizia e trasporti Solido sistema bancario

Mezzogiorno Il divario Nord-Sud , dall’Unità ai nostri giorni, passa attraverso 5 fasi: Il periodo della stabilità (1861-1890) il divario si mantenne entro limiti modesti, vi era una sorta di eguaglianza nella povertà Il periodo di formazione del divario (1890-1920)decollo industriale concentrato nelle regioni del triangolo industriale (il divario passò da 6 a 25 punti percentuali) Il periodo della divergenza (1920-1950) il divario si portò a 47 punti percentuali Il periodo della convergenza (1950-1975) il divario si ridusse a 38 punti percentuali, raggiungendo i 35 punti nel 1972 Il periodo della stagnazione (1975-2010)il divario riprende a crescere portandosi oltre 40 punti percentuali

Mezzogiorno (segue) Il Mezzogiorno ha comunque beneficiato di un processo di modernizzazione passiva: Gli analfabeti diminuiscono in Italia tra il 1871 e il 2001 dal 70 al 1,5 per cento della popolazione, nel Mezzogiorno, nello stesso periodo, si passò dall’84 al 3 per cento, tenendo conto che nel 1951 era pari al 76per cento. Nel 1891 la vita media era di 36 anni nel Mezzogiorno contro i 42 anni del centro-nord, nel 2001 la differenza si è annullata (79,4 contro 80)

Emigrazione Dopo la Seconda guerra mondiale riprese l’emigrazione dalle regioni meridionali e da alcune aree del Nordest (Veneto) in particolare verso le Americhe, l’Australia e l’Europa centrale. Fra il 1946 e il 1976 lasciarono l’Italia quasi 7,5milioni di persone, con un’emigrazione netta di poco più di 3,1milioni a seguito di emigranti che fecero ritorno in patria. Negli anni (1950-70) vi fu una massiccia migrazione interna verso le zone del triangolo industriale di circa 2milioni di persone.

L’Italia nella crisi degli anni Settanta L’economia italiana risentì della crisi petrolifera del 1973 e ciò rallentò la sua crescita: nel trentennio successivo il Pil pro capite fu di poco superiore al 2%. La maggiore conseguenza della crisi fu la forte inflazione che si tenne intorno al 13,5% all’anno fino all’inizio degli anni ottanta. La crisi fu affrontata grazie all’intervento dello Stato: Sostegno alle imprese (fiscalizzazione oneri sociali fino al 1999, Cassa integrazione guadagni e salvataggi industrie tramite la Gepi) Allargamento del Welfare: pensioni sociali e servizio sanitario nazionale.

L’Italia nella crisi degli anni Settanta (segue) Le conseguenze per l’Italia furono: Forte aumento della spesa pubblica (crescita debito pubblico in rapporto al PIL,emissione banconote, l’inflazione nel 1980 pari al 21% annuo): conseguenze riforma del sistema tributario e continue svalutazioni della lira Lotta all’inflazione: liberazione della Banca d’Italia a sottoscrivere i titoli di Stato invenduti, riduzione della scala mobile (abolita definitivamente nel 1992), l’inflazione di conseguenza si portò a fine degli anni ‘80 al 6% per arrivare al 2% nel 1997 Eliminazione privilegi pensionistici Privatizzazioni del rilevante patrimonio pubblico Sistema bancario riformato nel 1993 con superamento distinzione tra banche commerciali e d’investimento e la nascita della banca universale Terzializzazione dell’economia: dal 1971 al 2010 gli addetti ai servizi dal 38% al 67%, mentre quelli dell’industria e dell’agricoltura rispettivamente dal 44% e 17% al 28,5% e 3,9%

Imprese e distretti industriali Dopo la crisi degli anni ‘70 le grandi imprese per risparmiare sul costo della manodopera: Ricorsero sempre più all’automazione dei processi produttivi Decentrarono parte della loro attività a imprese più piccole Cominciarono a trasferirsi all’estero Si afferma nel periodo il “made in Italy” e aumenta il peso delle piccole e medie imprese (PMI). Dal 1971 al 1981 la percentuale di forza lavoro nelle grandi imprese passò dal 31% al 23%, mentre nelle PMI si tenne intorno al 60% Le PMI erano presenti nei settori leggeri (prodotti per la casa, per la persona, alimentare ecc.) a moderata intensità di capitale e competitive sui mercati internazionali.

Imprese e distretti industriali (segue) Le PMI spesso si concentrarono in aree geografiche limitate che si dissero distretti industriali. Il nostro legislatore nel 1991 riconobbe il distretto industriale meritevole di tutela e di attenzione. Oggi esistono circa 200 distretti distribuiti in modo eterogeneo. Esempi: Prato (tessile), Carpi (tessile), Sassuolo (ceramica), Brianza (mobili), Fermo (calzature), Vicenza (oreficeria), Solofra (concerie). Le imprese dei distretti in molti casi riuscirono prosperare e diventare veri gruppi anche internazionali (cosiddette multinazionali tascabili)

Le Difficoltà dell’economia italiana Principali problemi dell’Italia agli inizi del secolo XXI: Perdita di competività Struttura delle esportazioni (settori tradizionali e non alta tecnologia) Debito pubblico Disoccupazione e precarazione dei rapporti di lavoro