MARX (Treviri 1818 – Londra 1883)

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Transcript della presentazione:

MARX (Treviri 1818 – Londra 1883)

VITA (1818/1883) E OPERE 1835/36: facoltà di Giurisprudenza a Bonn, poi a Berlino; entra in contatto con i giovani hegeliani; studia Hegel; passa alla facoltà di Filosofia e si laurea a Jena (1841) 1843: si trasferisce a Parigi in seguito a problemi legati alla sua attività di giornalista politico, osteggiata dal governo prussiano. A Parigi stringe un’amicizia indissolubile con Engels, che lo sosterrà nella sua vita travagliata 1843: termina la Critica della filosofia del diritto di Hegel 1844: stende i Manoscritti economico- filosofici 1844: viene espulso dalla Francia e si trasferisce a Bruxelles, dove scrive con Engels la Sacra famiglia (contro Bauer) e Tesi su Feuerbach 1845/46: scrive in collaborazione con Engels L’ideologia tedesca 1847: pubblica Miseria della Filosofia (contro Proudhon) 1848: viene pubblicato il Manifesto del partito comunista 1864: viene fondata l’Associazione Internazionale dei lavoratori in cui Marx è figura dominante (la Prima Internazionale si scioglierà nel 1876) 1867: viene pubblicato il primo libro del Capitale 1885-1894: escono postumi il secondo e il terzo volume del Capitale, grazie al lavoro di decifrazione dei manoscritti di Engels. 1847: M. fonda a Bruxelles un’associazione di lavoratori tedeschi e si unisce alla Lega dei comunisti, dalla quale M. ed Engels verranno incaricati di scrivere il Manifesto del partito comunista (1848)

CARATTERISTICHE DEL MARXISMO Il marxismo indaga il fatto sociale nella molteplicità delle sue manifestazioni Si presenta come ANALISI GLOBALE DELLA SOCIETA’ E DELLA STORIA, che mette insieme il punto di vista di diverse discipline, dalla filosofia all’economia, dalla storia alla sociologia. «I filosofi si sono limitati ad interpretare il mondo in modi diversi; si tratta ora di trasformarlo» (Tesi su Feuerbach) Marx si oppone al vecchio materialismo contemplante di Feuerbach e propone un nuovo materialismo in cui l’uomo perviene alla soluzione dei suoi problemi non semplicemente mediante la contemplazione della realtà, ma attraverso la PRASSI RIVOLUZIONARIA «La "Liberazione" è un atto storico, non un atto ideale, ed è attuata da condizioni storiche , dallo stato dell’industria, del commercio, dell’agricoltura, delle relazioni». (L’ideologia tedesca) L’INTERPRETAZIONE DELL’UOMO E DEL SUO MONDO DIVENTANO IMMEDIATAMENTE IMPEGNO DI TRASFORMAZIONE RIVOLUZIONARIA IDEALE DELL’UNIONE TEORIA/PRASSI

LA DIALETTICA DEL MONDO MATERIALE Strumento adeguato ad esprimere il movimento storico, la ragione dialettica deve esprimere non il movimento autonomo ed originario dello Spirito ( l’idealismo hegeliano) ma il concreto divenire storico della realtà. Solo così la filosofia acquisisce quella concreta immanenza nella realtà storica che lo stesso Hegel formalmente le attribuiva e può trasformarsi in efficace strumento di comprensione e di trasformazione del reale, secondo le forme della razionalità.

ORIGINE DELLA DIVISIONE IN CAPITALISTI E PROLETARI: TESTO “Potremmo chiedere da che dipende questo fenomeno curioso, per cui troviamo sul mercato un gruppo di compratori che posseggono terra, macchine, materie prime e i mezzi di sussistenza, tutte cose che, all'infuori del suolo al suo stato naturale, sono prodotti del lavoro, e d'altra parte un gruppo di venditori che non hanno altro da vendere che la loro forza-lavoro, le loro braccia e il loro cervello lavoranti. Come avviene che un gruppo compera continuamente, per realizzare profitto e per arricchirsi, mentre l'altro gruppo vende continuamente per guadagnare il proprio sostentamento? L'esame di questa questione sarebbe un esame di ciò che gli economisti chiamano "accumulazione primitiva od originaria", ma che dovrebbe però chiamarsi espropriazione primitiva. Troveremmo che la cosiddetta accumulazione primitiva non significa altro che una serie di processi storici i quali si conclusero con la dissociazione dell'unità primitiva che esisteva fra il lavoratore e i suoi mezzi di lavoro. Una ricerca di questo genere esce però dai limiti del mio tema attuale. La separazione del lavoratore e degli strumenti di lavoro, una volta compiutasi, si conserva e si rinnova costantemente a un grado sempre più elevato, finché una nuova e radicale rivoluzione del sistema di produzione la distrugge e ristabilisce l'unità primitiva in una forma storica nuova”. (Salario, prezzo e profitto, 1865)

L’ORIGINEW STORICA DEL CAPITALISMO: TESTO «La questione che qui ci interessa in primo luogo è questa: il rapporto del lavoro con il capitale, ossia con le condizioni oggettive del lavoro come capitale, presuppone un processo storico che dissolve le diverse forme in cui il lavoratore è proprietario o il proprietario lavora. Dunque anzitutto : 1) dissoluzione del rapporto con la terra – col suolo – quale condizione naturale di produzione con cui egli sta in rapporto come con la propria esistenza inorganica, laboratorio delle sue forze e dominio della sua volontà. Tutte le forme in cui si presenta questa proprietà presuppongono una comunità, i cui membri, pur se tra loro possono esistere delle differenze formali, in quanto suoi membri sono proprietari. La forma originaria di questa proprietà è pertanto la stessa proprietà comune diretta […] 2) dissoluzione dei rapporti in cui egli figura come proprietario dello strumento. Come la forma suddetta di proprietà fondiaria presuppone una comunità reale, così questa proprietà del lavoratore sullo strumento presuppone una particolare forma di sviluppo del lavoro manifatturiero come lavoro artigiano; a questo è connesso il sistema delle corporazioni, ecc. […] 3) Ambedue i casi implicano che egli prima di produrre possegga i mezzi di consumo necessari per vivere come produttore. […] 4) Dissoluzione, d’altra parte, anche dei rapporti in cui gli stessi lavoratori, le stesse capacità di lavoro vive fanno ancora parte direttamente delle condizioni oggettive della produzione e come tali vengono appropriate – in cui cioè sono schiavi o servi della gleba. Per il capitale, condizione della produzione non è il lavoratore, ma solo il lavoro. Se può farlo compiere alle macchine o addirittura dall’acqua, dall’aria, tanto meglio». (Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, 1857-58)

Il Quarto Stato (1898-1901), Pelizza da Volpedo

CRITICA DELLA FILOSOFIA HEGELIANA DEL DIRITTO (1843) MARX Interpreta il mondo in modo rovesciato: trasforma le realtà empiriche in manifestazioni necessarie dello Spirito Legittima l’ordine esistente Cade nel MISTICISMO LOGICO: capovolge il rapporto fra soggetto e predicato , facendo del concreto una manifestazione dell’astratto Ha il merito di aver concepito la realtà come totalità storico-processuale, costituita da elementi concatenati fra loro e mossa dalle opposizioni Lo Stato persegue il bene comune, è la massima manifestazione dello Spirito. Occorre ri -capovolgere ciò che Hegel ha rovesciato, affermando che l’astratto (il pensiero) è una delle manifestazioni del concreto (l’uomo in carne ed ossa) Hegel, però, ha cercato una sintesi, una mediazione fra gli opposti che non è possibile perché nella realtà tra gli opposti c’è solo lotta ed esclusione Lo Stato diviene strumento degli interessi particolari delle classi più forti

CONFRONTO MARX - HEGEL Hegel ritiene la famiglia e la società due momenti astratti che trovano la loro compiuta realizzazione nella realtà concreta dello Stato; a giudizio di Marx, Hegel ha scambiato l’elemento concreto con quello ideale: la famiglia e la società sono i soggetti concreti che operano nella realtà mentre lo stato è l’elemento ideale. Hegel legge la realtà con le categorie logiche della contraddizione e della conciliazione: a differenza di quanto accade nel pensiero, nel mondo finito delle relazioni economiche e sociali le contrapposizioni non possono essere risolte nell’unità dell’Idea; nel mondo reale i contrasti non si conciliano in sintesi superiori, ma restano aperti, spesso in modo insanabile.

CRITICA DELLO STATO LIBERALE La proclamazione dell’uguaglianza formale dei cittadini di fronte alla legge (una delle conquiste della Rivoluzione francese) presuppone e ratifica la loro disuguaglianza sostanziale. Lo Stato liberale si basa sul diritto della libertà e della proprietà privata; è la proiezione politica di una società a-sociale. La civiltà moderna è la società dell’egoismo e dell’individualismo (separazione individuo/tessuto comunitario). Marx rifiuta il principio della rappresentanza (presuppone la scissione individuo-Stato). IDEALE DELLA DEMOCRAZIA SOSTANZIALE (COMUNISMO) La società deve realizzare una perfetta compenetrazione fra individuo e comunità (comunità solidale) eliminazione delle disuguaglianze reali fra gli uomini abolizione della proprietà privata

MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI (1844): CRITICA DELL’ECONOMIA BORGHESE E PROBLEMATICA DELL’ALIENAZIONE L’economia borghese non si colloca in una prospettiva storico-processuale - eternizza il sistema capitalistico, che viene trattato come se fosse l’unico modo possibile, razionale e immutabile di produrre e distribuire ricchezza; - Non coglie la conflittualità che lo caratterizza La proprietà privata viene trattata come un dato metastorico, un fatto La proprietà privata è, invece, la conseguenza del lavoro espropriato, conseguenza dell’alienazione del lavoro umano: «l’operaio mette nell’oggetto la sua vita, e questa non appartiene più a lui, bensì all’oggetto» e l’oggetto, il suo prodotto «esiste fuori di lui, …e la vita, da lui data all’oggetto, lo confronta estranea e nemica». La proprietà privata, fondata sulla divisione del lavoro, rende il lavoro costrittivo.

ALIENAZIONE IN HEGEL, IN FEUERBACH E IN MARX Hegel: alienazione come movimento dello Spirito, che si fa altro da sé, esce fuori di sé, per manifestarsi nella natura e nel mondo e tornare in sé arricchito Feuerbach: alienazione religiosa, dovuta al fatto che l’uomo ha posto la propria essenza fuori di sé, in un altro ente (Dio) e in questo modo si estranea perché non riconosce la propria essenza. Marx: alienazione come stato di scissione, - al prodotto del proprio lavoro (non gli appartiene) dipendenza e autoestranazione - alla propria attività (strumento per il profitto del capitalista) dell’operaio rispetto: - alla propria essenza (che si può esprimere solo nel lavoro libero, creativo) - al prossimo (per il rapporto conflittuale con il capitalista) L a causa dell’alienazione: la proprietà privata dei mezzi di produzione, con cui il capitalista può espropriare il proletario del suo lavoro e della sua umanità. La proprietà privata trasforma l’uomo da fine in mezzo, da persona a strumento di un processo impersonale (catena di montaggio). Unica via d’uscita rispetto all’alienazione: abolizione della proprietà privata mediante la rivoluzione e conseguente sostituzione del sistema capitalistico con il comunismo.

MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI (1844):TESTI «Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto presente. L'operaio diventa tanto più povero quanto maggiore è la ricchezza che produce, quanto più la sua produzione cresce di potenza e di estensione. L'operaio diventa una merce tanto più vile quanto più grande è la quantità di merce che produce. La svalorizzazione del mondo umano cresce in rapporto diretto con la valorizzazione del mondo delle cose. Il lavoro non produce soltanto merci; produce se stesso e l'operaio come una merce, e proprio nella stessa proporzione in cui produce in generale le merci. Questo fatto non esprime altro che questo: l'oggetto che il lavoro produce, il prodotto del lavoro, si contrappone ad esso come un essere estraneo, come una potenza indipendente da colui che lo produce. Il prodotto del lavoro è il lavoro che si è fissato in un oggetto, è diventato una cosa, è l'oggettivazione del lavoro. La realizzazione del lavoro è la sua oggettivazione. Questa realizzazione del lavoro appare nello stadio dell'economia privata come un annullamento dell'operaio, l'oggettivazione appare come perdita e asservimento dell'oggetto, l'appropriazione come estraniazione, come alienazione. La realizzazione del lavoro si presenta come annullamento in tal maniera che l'operaio viene annullato sino a morire di fame. L'oggettivazione si presenta come perdita dell'oggetto in siffatta guisa che l'operaio è derubato degli oggetti più necessari non solo per la vita, ma anche per il lavoro. Già, il lavoro stesso diventa un oggetto, di cui egli riesce a impadronirsi soltanto col più grande sforzo e con le più irregolari interruzioni. L'appropriazione dell'oggetto si presenta come estraniazione in tale modo che quanti più oggetti l'operaio produce, tanto meno egli ne può possedere e tanto più va a finire sotto la signoria del suo prodotto, del capitale.

MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI (1844):TESTI «Tutte queste conseguenze sono implicite nella determinazione che l'operaio si viene a trovare rispetto riprodotto del suo lavoro come rispetto ad un oggetto estraneo. Infatti, partendo da questo presupposto è chiaro che: quanto più l'operaio si consuma nel lavoro, tanto più potente diventa il mondo estraneo, oggettivo, che egli si crea dinanzi, tanto più povero diventa egli stesso, e tanto meno il suo mondo interno gli appartiene. Lo stesso accade nella religione. Quante più cose l'uomo trasferisce in Dio, tanto meno egli ne ritiene in se stesso. L'operaio ripone la sua vita nell'oggetto; ma d'ora in poi la sua vita non appartiene più a lui, ma all'oggetto. Quanto più grande è dunque questa attività, tanto più l'operaio è privo di oggetto. Quello che è il prodotto del suo lavoro, non è egli stesso. Quanto più grande è dunque questo prodotto, tanto più piccolo è egli stesso. L'alienazione dell'operaio nel suo prodotto significa non solo che il suo lavoro diventa un oggetto, qualcosa che esiste all' esterno, ma che esso esiste fuori di lui, indipendente da lui, a lui estraneo, e diventa di fronte a lui una potenza per se stante; significa che la vita che egli ha dato all'oggetto, gli si contrappone ostile ed estranea. […] L'economia politica nasconde l'estraniazione insita nell'essenza stessa del lavoro per il fatto che non considera il rapporto immediato esistente tra l'operaio (il lavoro) e la produzione. Certamente, il lavoro produce per i ricchi cose meravigliose; ma per gli operai produce soltanto privazioni. Produce palazzi, ma per l'operaio spelonche. Produce bellezza, ma per l'operaio deformità. Sostituisce il lavoro con macchine, ma ricaccia una parte degli operai in un lavoro barbarico e trasforma l'altra parte in macchina. Produce cose dello spirito, ma per l'operaio idiotaggine e cretinismo.

MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI (1844):TESTI «E ora, in che cosa consiste l'alienazione del lavoro? Consiste prima di tutto nel fatto che il lavoro è esterno all'operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente non soddisfatto, ma infelice, non sviluppa una libera energia fisica e spirituale, ma sfinisce il suo corpo e distrugge il suo spirito. Perciò l'operaio solo fuori del lavoro sì sente presso di sé; e si sente fuori di sé nel lavoro. E a casa propria se non lavora; e se lavora non è a casa propria. Il suo lavoro quindi non è volontario, ma costretto, è un lavoro forzato. Non è quindi il soddisfacimento di un bisogno, ma soltanto un mezzo per soddisfare bisogni estranei. La sua estraneità si rivela chiaramente nel fatto che non appena vien meno la coazione fisica o qualsiasi altra coazione, il lavoro viene fuggito come la peste. Il lavoro esterno, il lavoro in cui l'uomo si aliena, è un lavoro di sacrificio di se stessi, di mortificazione. Infine l'esteriorità del lavoro per l'operaio appare in ciò che il lavoro non è suo proprio, ma è di un altro. Non gli appartiene, ed egli, nel lavoro, non appartiene a se stesso, ma ad un altro. Come nella religione, l'attività propria della fantasia umana, del cervello umano e del cuore umano influisce sull'individuo indipendentemente dall'individuo, come un'attività estranea, divina o diabolica, cosi l'attività dell'operaio non è la sua propria attività. Essa appartiene ad un altro; è la perdita di sé. Ne viene quindi come conseguenza che l'uomo (l'operaio) si sente libero soltanto nelle sue funzioni animali, come il mangiare, il bere, il procreare, e tutt'al più ancora l'abitare una casa e il vestirsi; e invece si sente nulla più che una bestia nelle sue funzioni umane. Ciò che è animale diventa umano, e ciò che è umano diventa animale. Certamente mangiare, bere e procreare sono anche funzioni schiettamente umane. Ma in quell'astrazione, che le separa dalla restante cerchia dell'attività umana e le fa diventare scopi ultimi ed unici, sono funzioni animali.

MANOSCRITTI ECONOMICO-FILOSOFICI (1844):TESTI «[…] La creazione pratica d'un mondo oggettivo, la trasformazione della natura inorganica è la riprova che l'uomo è un essere appartenente ad una specie e dotato di coscienza, cioè è un essere che si comporta verso la specie come verso il suo proprio essere, o verso se stesso come un essere appartenente ad una specie. Certamente anche l'animale produce. Si fabbrica un nido, delle abitazioni, come fanno le api, i castori, le formiche, ecc. Solo che l'animale produce unicamente ciò che gli occorre immediatamente per sé o per i suoi nati; produce in modo unilaterale, mentre l'uomo produce in modo universale; produce solo sotto l'impero del bisogno fisico immediato, mentre l'uomo produce anche libero dal bisogno fisico, e produce veramente soltanto quando è libero da esso; l'animale riproduce soltanto se stesso, mentre l'uomo riproduce l'intera natura; il prodotto dell'animale appartiene immediatamente al suo corpo fisico, mentre l'uomo si pone liberamente di fronte al suo prodotto. L'animale costruisce soltanto secondo la misura e il bisogno della specie, a cui appartiene, mentre l'uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e sa ovunque predisporre la misura inerente a quel determinato oggetto; quindi l'uomo costruisce anche secondo le leggi della bellezza. Proprio soltanto nella trasformazione del mondo oggettivo l'uomo si mostra quindi realmente come un essere appartenente ad una specie. Questa produzione è la sua vita attiva come essere appartenente ad una specie. Mediante essa la natura appare come la sua opera e la sua realtà. L'oggetto del lavoro è quindi l'oggettivazione della vita dell'uomo come essere appartenente ad una specie, in quanto egli si raddoppia, non soltanto come nella coscienza, intellettualmente, ma anche attivamente, realmente, e si guarda quindi in un mondo da esso creato. Perciò il lavoro estraniato strappando all'uomo l'oggetto della sua produzione, gli strappa la sua vita di essere appartenente ad una specie, la sua oggettività reale specifica e muta il suo primato dinanzi agli animali nello svantaggio consistente nel fatto che il suo corpo inorganico, la natura, gli viene sottratta.

L’ALIENAZIONE: TESTI Parimenti, il lavoro estraniato degradando a mezzo l'attività autonoma, l'attività libera, fa della vita dell'uomo come essere appartenente ad una specie un mezzo della sua esistenza fisica. Per opera dell'alienazione, la coscienza, che l'uomo ha della sua specie, si trasforma quindi in ciò che la sua vita di essere che appartiene ad una specie diventa per lui un mezzo. Il lavoro alienato fa dunque: 3) dell'essere dell'uomo, come essere appartenente ad una specie, tanto della natura quanto della sua specifica capacità spirituale, un essere a lui estraneo, un mezzo della sua esistenza individuale. Esso rende all'uomo estraneo il suo proprio corpo, tanto la natura esterna, quanto il suo essere spirituale, il suo essere umano. 4) Una conseguenza immediata del fatto che l'uomo è reso estraneo al prodotto del suo lavoro, della sua attività vitale, al suo essere generico, è l' estraniazione dell'uomo dall'uomo. Se l'uomo si contrappone a se stesso, l'altro uomo si contrappone a lui. Quello che vale del rapporto dell'uomo col suo lavoro, col prodotto del suo lavoro e con se stesso, vale del rapporto dell'uomo con l'altro uomo, ed altresì col lavoro e con l'oggetto del lavoro dell'altro uomo. In generale, la proposizione che all'uomo è reso estraneo il suo essere in quanto appartenente a una specie, significa che un uomo è reso estraneo all'altro uomo, e altresì che ciascuno di essi è reso estraneo all'essere dell'uomo.» DIFFERENTI ALIENAZIONI: «La classe proprietaria e la classe del proletariato presentano la stessa autoalienazione umana . Ma la prima classe, in questa autoalienazione, si sente a suo agio e confermata, sa che l’alienazione è la sua potenza e possiede in essa la parvenza di un’esistenza umana; la seconda classe, nell’alienazione, si sente annientata, vede in essa la sua impotenza e la realtà di un’esistenza inumana « (La sacra famiglia, 1845)

CONFRONTO CON HEGEL HEGEL MARX Ha riconosciuto l’importanza del lavoro L’ alienazione è un’esperienza positiva e costruttiva Ha intuito che la liberazione scaturisce dall’oppressione Ha ridotto l’individuo ad autocoscienza e ha dimenticato l’uomo reale Ha considerato soprattutto il lavoro spirituale e speculativo Ha concepito l’alienazione e la disalienazione come operazioni ideali, che avvengono a livello di autocoscienza Ha approfondito il ruolo del lavoro nella società umana L’alienazione è il prodotto di un sistema economico sbagliato ed iniquo Ha conferito maggiore valore alle opposizioni reali Ha portato in primo piano l’uomo reale con le sue condizioni materiali di vita Ha cercato di superare la divisione del lavoro manuale e spirituale, Ha concepito l’alienazione e la disalienazione come processi reali, che si realizzano sul piano pratico.

TESI SU FEUERBACH (1845) Feuerbach ha individuato il problema dell’alienazione religiosa, ma non ha compreso la vera causa dell’insorgere di essa: Gli uomini, secondo Marx, alienano il proprio essere proiettandolo in un Dio immaginario solo quando l’esistenza reale nella società classica proibisce lo sviluppo e la realizzazione della loro umanità (religione come «oppio dei popoli») per superare l’alienazione religiosa non basta denunciarla, ma bisogna modificare quelle condizioni di vita che le permettono di sorgere (rivoluzione). L’essere dell’uomo non è dato una volta per tutte, ma è sempre storicamente condizionato dai rapporti in cui l’uomo (reale) entra con gli altri uomini e con la natura che gli fornisce i mezzi di sussistenza. «Gli uomini cominciarono a distinguersi dagli animali allorché cominciarono a prodursi i loro mezzi di sussistenza…producendo i loro mezzi di sussistenza gli uomini producono indirettamente la loro stessa vita materiale» attraverso il lavoro, come rapporto attivo con la natura, l’uomo crea se stesso (la sua vita materiale e il suo modo d’essere). L’uomo, a differenza dell’animale, «produce anche libero dal bisogno fisico e produce veramente solo nella libertà da tale bisogno». Feuerbach ha cercato la soluzione dei problemi reali nella dimensione della teoria, trascurando l’aspetto della prassi rivoluzionaria.

TESI SU FEUERBACH (1845) Limite del materialismo di Feurbach: incapacità di porre nei termini corretti la relazione tra realtà economico-sociale e altre espressioni della vita umana. «[…] egli non arriva agli uomini realmente esistenti e operanti , ma resta fermo all’astrazione ʺl’uomoʺ, e riesce a riconoscere solo nella sensazione ʺl’uomoʺ reale , individuale, in carne ed ossa, il che significa che non riconosce altri rapporti umani dell’uomo con l’uomo se non l’amore e l’amicizia e per lo più idealizzati». Feurbach non coglie la reale condizione materiale dell’uomo e delle sue produzioni (tecniche e intellettuali) non individua le profonde contraddizioni economiche che sono all’origine dell’alienazione dell’uomo nel lavoro, nella religione, nella vita. L’incapacità di risalire alle contraddizioni economiche e alle condizioni storiche in cui si costituisce e si svolge la vita degli uomini impedisce a Feurbach di abbandonare il piano della pura teoria per porsi su quello della pratica. Per Feurbach, quindi, come per tutti i filosofi della tradizione, vale il monito con cui Marx chiude le sue Tesi: «I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo ma si tratta di trasformarlo»

TESI SU FEUERBACH (1845) «Il difetto capitale d’ogni materialismo fino ad oggi (compreso quello di Feuerbach) è che l’oggetto, la realtà, la sensibilità, vengono concepiti solo sotto la forma dell’obietto o dell’intuizione; ma non come attività umana sensibile, prassi; non soggettivamente. Di conseguenza il lato attivo fu sviluppato astrattamente, in opposizione al materialismo, dall’idealismo – che naturalmente non conosce la reale, sensibile attività in quanto tale –. Feuerbach vuole oggetti sensibili, realmente distinti dagli oggetti del pensiero: ma egli non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva. Egli, perciò, nell’Essenza del cristianesimo, considera come veramente umano soltanto l’atteggiamento teoretico, mentre la prassi è concepita e fissata solo nel suo modo di apparire sordidamente giudaico. Egli non comprende, perciò, il significato dell’attività “rivoluzionaria”, “pratico-critica”. II La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teoretica bensí una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà del pensiero – isolato dalla prassi – è una questione meramente scolastica. […] IV Feuerbach prende le mosse dal fatto dell’auto-estraneazione religiosa, della duplicazione del mondo in un mondo religioso e in uno mondano. Il suo lavoro consiste nel risolvere il mondo religioso nel suo fondamento mondano. Ma [il fatto] che il fondamento mondano si distacchi da se stesso e si costruisca nelle nuvole come un regno fisso ed indipendente, è da spiegarsi soltanto con l’auto-dissociazione e con l’auto-contradditorietà di questo fondamento mondano.

TESI SU FEUERBACH (1845): testo «[…] VI Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana. Ma l’essenza umana non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali. Feuerbach, che non penetra nella critica di questa essenza reale, è perciò costretto: 1) ad astrarre dal corso della storia, a fissare il sentimento religioso per sé, ed a presupporre un individuo umano astratto – isolato. 2) L’essenza può dunque [da lui] esser concepita soltanto come “genere”, cioè come universalità interna, muta, che leghi molti individui naturalmente. VII Feuerbach non vede dunque che il “sentimento religioso” è esso stesso un prodotto sociale e che l’individuo astratto, che egli analizza, appartiene ad un forma sociale determinata. VIII Tutta la vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che trascinano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella prassi umana e nella comprensione di questa prassi. IX Il punto piú alto cui giunge il materialismo intuitivo, cioè il materialismo che non intende la sensibilità come attività pratica, è l’intuizione degli individui singoli e della società borghese. X Il punto di vista del vecchio materialismo è la società borghese, il punto di vista del materialismo nuovo è la società umana o l’umanità sociale. XI I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo ma si tratta di trasformarlo

dialettica conoscenze tecniche LA CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA (L’Ideologia tedesca – 1845/46) Ideologia= rappresentazione falsa o deformata della realtà, derivante da specifici interessi di classe (accezione negativa). Marx vuole fornirci un’analisi scientifica, non ideologica della società e dell’uomo: L’umanità è una specie evoluta composta di individui associati che lottano per la propria sopravvivenza: «Il vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l’abitazione, il vestire…la produzione della vita materiale stessa…» La storia non è primariamente un evento spirituale, ma un processo materiale, fondato sulla dialettica bisogno/soddisfacimento alla base della storia vi è il lavoro (ciò attraverso cui l’uomo si rende tale). TESI: l’unico soggetto della storia è la società nella sua STRUTTURA ECONOMICA= modo di produzione forze produttive produttori mezzi di produzione dialettica conoscenze tecniche rapporti di produzione rapporti di proprietà

LA CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA (L’Ideologia tedesca – 1845/46) Alla concezione idealistica della storia , che presenta gli eventi come momenti dello spirito, si deve sostituire una «concezione materialistica» che descriva il reale sviluppo delle forze economiche di produzione e che individui nelle classi sociali (e non in astratti principi assoluti) i protagonisti delle vicende umane. La cultura, quando si limita a descrivere la realtà, a trascriverne i modi, le forme, finisce per porsi al servizio delle classi dominanti, si abbandona a teorizzare e classificare come necessari ed eterni rapporti economici e sociali che sono invece storici; la cultura si fa, dunque, ideologia: sceglie di occultare le contraddizioni sociali invece di descriverle, si assume il compito di legittimare le classi al potere e i loro interessi, invece di sottoporli a critica. Solo mettendo in relazione le leggi ed i valori, che l’ideologia presenta come universali, alle loro basi materiali e ai determinati interessi di classe, la cultura può demistificare ogni forma di ideologia, cogliere il carattere storico di ogni forma culturale, presentare serie e rigorose spiegazioni delle attività materiali e spirituali dell’uomo. IDEOLOGIA: insieme di credenze filosofiche, religiose, morali e politiche in quanto non hanno una validità oggettiva, ma esprimono solo una certa fase dei rapporti economici di una certa società; l’ideologia è funzionale alla difesa degli interessi della classe dominante.

LA DIALETTICA: TESTI «Il presupposto perché il rapporto capitalistico si stabilisca è un determinato stadio storico, una determinata figura storica della produzione sociale. E’ necessario che, in seno ad un modo di produzione antecedente, si siano sviluppati dei rapporti di produzione e circolazione, e dei bisogni tali che premano verso il superamento degli antichi rapporti di produzione e la loro trasformazione nel rapporto capitalistico. Ma se, a questo fine, è sufficiente che essi si siano sviluppati tanto da permettere la sottomissione formale del lavoro al capitale, sulla base del nuovo rapporto si sviluppa un rapporto di produzione specificamente diverso, che da un lato crea nuove forze produttive sociali, dall’altro si svolge sulle loro fondamenta creando nuove condizioni reali. Così si produce una rivoluzione economica completa: essa da una parte genera per prima le condizioni reali del dominio del capitale sul lavoro, gli dà forma adeguata e compiuta, dall’altra crea nelle forze produttive del lavoro , nelle condizioni di produzione e nei rapporti di circolazione da essa sviluppati in antitesi al lavoratore, le condizioni reali di un nuovo modo di produzione destinato a sopprimere la forma antagonistica del modo di produzione capitalistico, e perciò getta le basi materiali di un processo di vita sociale diversamente organizzato, quindi di una formazione sociale nuova. […] Da una parte esso (il capitale) trasforma il modo di produzione precedente; dall’altra , questa forma modificata del modo di produzione , insieme ad un dato stadio di sviluppo delle forze produttive materiali, è la base e la condizione , il presupposto della sua stessa metamorfosi». (Il capitale, Libro I, capitolo VI inedito, 1863-65)

MATERIALISMO STORICO (STRUTTURA E SOVRASTRUTTURA) LA BASE ECONOMICA DELLA SOCIETA’ COSTITUISCE LA STRUTTURA SOPRA LA QUALE SI ERGE UNA SOVRASTUTTURA GIURIDICO, POLITICO, CULTURALE La SOVRASTUTTURA comprende i rapporti giuridici, le forme di Stato, le dottrine etiche, religiose, filosofiche, ecc. LA STRUTTURA condiziona o determina LA SOVRASTRUTTURA Le forze motrici della storia non sono di natura ideale (idealismo storico), bensì socio-economica (materialismo storico) «Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza» (Prefazione a Per la critica dell’economia politica, 1859)

IL MATERIALISTO STORICO: TESTI «Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, la forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse fino a quel momento. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.

IL MATERIALISTO STORICO: TESTI «Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana. (Prefazione a Per la critica dell’economia politica, 1859)

Il soggetto della dialettica è lo Spirito (Assoluto) CONFRONTO HEGEL - MARX HEGEL La storia si configura come una totalità processuale dominata dalla forza della contraddizione e mettente capo ad un «risultato finale» Il soggetto della dialettica è lo Spirito (Assoluto) Le opposizioni individuate da Hegel, secondo Marx, sono opposizioni concettuali, non reali Hegel ha cercato una troppo facile mediazione, conciliazione degli opposti, che nella realtà non si verifica; nella realtà tra gli opposti c’è solo lotta od esclusione. Lo Stato rappresenta l’istituzione in cui lo Spirito si manifesta e si conosce in modo assoluto («L’ingresso di Dio nel mondo è lo Stato») MARX La storia si configura come una totalità processuale dominata dalla forza della contraddizione e mettente capo ad un «risultato finale» Il soggetto della dialettica è la struttura economica della società La dialetticità del processo storico è concepita come empiricamente e scientificamente osservabile nei fatti stessi Le opposizioni che muovono la storia non sono astratte e generiche, ma concrete e determinate (rapporto forze produttive/rapporti di produzione). Lo Stato e le sue forme rientrano nella sovrastruttura che è sempre condizionata o determinata dalla struttura economica; Le forme di Stato non possono essere comprese per se stesse, né per evoluzione generale dello spirito umano, ma solo in relazione ai rapporti materiali dell’esistenza, da cui hanno origine.

DIALETTICA DELLA STORIA Forze produttive di tipo agricolo Forze produttive di tipo industriale Rapporti di produzione e di proprietà Rapporti di produzione e di proprietà di carattere feudale di tipo capitalistico (imposte dalla (imposte dall’aristocrazia) borghesia) I rapporti di produzione si conservano finché favoriscono le forze produttive e tendono a rompersi quando diventano un ostacolo Si innesca così la rivoluzione come scontro fra la classe che rappresenta i vecchi rapporti di produzione e quella che rappresenta le nuove forze produttive. Il confronto è solitamente vinto dalla classe che rappresenta le nuove forze produttive che impone il suo modo di produzione e la sua visione del mondo «Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante, è, in pari tempo, la sua potenza spirituale dominante».

LE EPOCHE DELLA FORMAZIONE ECONOMICA DELLA SOCIETA’ Nella Prefazione a Per la critica dell’economia politica (1859) Marx distingue quattro epoche della formazione economica della società: SOCIETA’ ASIATICA (fondata su forme comunitarie di proprietà) SOCIETA’ ANTICA (di tipo schiavistico) SOCIETA’ FEUDALE SOCIETA’ BORGHESE Marx ritiene che la quinta epoca sarà quella della SOCIETA’ SOCIALISTA (COMUNISTA) «Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti». Tesi del socialismo come sbocco inevitabile della dialettica storica

CRITICA AGLI IDEOLOGI DELLA SINISTRA I rappresentanti della Sinistra hegeliana non si rendono conto che le idee non hanno un’esistenza autonoma e non sono universalmente e sovratemporalmente valide, ma sono storicamente determinate e provvisorie. L’emancipazione dell’uomo non si ottiene sostituendo «idee false» con «idee vere», tramite una battaglia puramente filosofica, ma si ottiene solo mediante la rivoluzione, poiché non si tratta di un problema filosofico, risolvibile sul piano sovrastrutturale (della critica teorica), ma di un problema pratico-sociale, risolvibile solo sul piano strutturale (della prassi rivoluzionaria). I giovani hegeliani smarrendo i contatti con la realtà, ritirandosi nei loro castelli speculativi, finiscono per : 1) sopravalutare la funzione delle idee e degli intellettuali 2) Presentare le proprie idee come universalmente e sovratemporalmente valide 3) Credere che tutto il negativo del mondo risieda nelle «idee sbagliate» e che l’emancipazione umana consista nel sostituire ad idee false idee vere, tramite una battaglia puramente filosofica Finiscono per fornire un quadro inevitabilmente deformante o mistificante della realtà.

MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA (1848) Analisi della funzione storica della borghesia (classe costituzionalmente dinamica; economia di mercato e globalizzazione) Concetto della storia come lotta di classe soggetto autentico della storia: lotta fra le classi Rapporto fra proletari e capitalisti: critica della proprietà privata; concetto della coscienza di classe; dittatura del proletariato Società senza classi e internazionalismo della lotta proletaria: «Proletari di tutti i Paesi, unitevi!» Critica dei socialismi non scientifici (Prodhon, Saint- Simon, Fourier, Owen), che si sono limitati a delineare «società ideali», laddove il socialismo scientifico si basa su un’analisi critico-scientifica dei meccanismi sociali del capitalismo e sull’individuazione del proletariato come forza rivoluzionaria.

IL CAPITALE (1867-1885-1894) Il Capitale vuole essere una fotografia critica della SOCIETÀ CAPITALISTICA, intesa come STRUTTURA COMPLESSIVA Secondo Marx l’economia deve far uso dello schema dialettico della TOTALITA’ ORGANICA, studiando il capitalismo come una struttura i cui elementi risultano strettamente connessi. Caratteristica specifica del MODO CAPITALISTICO DI PRODUZIONE: essere PRODUZIONE GENERALIZZATA DI MERCI Prima parte del Capitale dedicata all’ANALISI DEL FENOMENO DELLA MERCE VALORE D’USO: una merce deve servire a qualcosa MERCE VALORE DI SCAMBIO: una merce deve poter esser scambiata con altre merci; discende dalla quantità di lavoro socialmente necessario per produrla. Il rapporto di scambio è un rapporto fra persone, anche se si tende ad attribuire Il valore di scambio all’oggetto, mistificando la merce. Più quantità di lavoro è necessaria per produrre una merce, più tale merce vale

LA MERCE: TESTI «A un primo sguardo la ricchezza borghese appare come una enorme raccolta di merci e la singola merce come sua esistenza elementare. Ma ogni merce si presenta sotto il duplice punto di vista di valore d'uso e di valore di scambio . La merce è in primo luogo, nel linguaggio degli economisti inglesi, "qualsiasi cosa necessaria, utile o gradevole alla vita", oggetto di bisogni umani, mezzo di sussistenza nel senso più ampio della parola. Questo esistere della merce come valore d'uso e la sua esistenza naturale tangibile coincidono. Il grano ad esempio è un valore d'uso particolare, differente dai valori d'uso cotone, vetro, carta, ecc. Il valore d'uso ha valore solo per l'uso e si attua soltanto nel processo del consumo. Un medesimo valore d'uso può essere sfruttato in modo diverso. La somma delle sue possibili utilizzazioni si trova però racchiusa nel suo esistere quale oggetto dotato di determinate qualità. Questo valore d'uso, inoltre, è determinato non solo qualitativamente, bensì anche quantitativamente. Valori d'uso differenti hanno misure differenti secondo le loro naturali peculiarità, ad esempio un moggio di grano, una libbra di carta, un braccio di tela, ecc. Qualunque sia la forma della ricchezza, i valori d'uso costituiscono sempre il suo contenuto, che in un primo tempo è indifferente nei confronti di questa forma. Gustando del grano, non si sente chi l'ha coltivato, se un servo della gleba russo, un contadino particellare francese o un capitalista inglese. Sebbene sia oggetto di bisogni sociali e quindi si trovi in un nesso sociale, il valore d'uso non esprime tuttavia un rapporto di produzione sociale. Questa merce come valore d'uso sia ad esempio un diamante. Guardando il diamante, non si avverte che è merce. Là dove serve come valore d'uso, esteticamente o meccanicamente, al seno di una ragazza allegra o in mano a chi mola i vetri, è diamante e non merce. L'essere valore d'uso sembra presupposto necessario per la merce, ma l'essere merce sembra pel valore d'uso una definizione indifferente. Il valore d'uso in questa sua indifferenza verso la definizione della forma economica, ossia il valore d'uso quale valore d'uso, esula dal campo d'osservazione dell'economia politica. Vi rientra solo là dove è esso medesimo definizione formale. In modo immediato, il valore d'uso è la base materiale in cui si presenta un determinato rapporto economico, il valore di scambio.

LA MERCE: TESTI «Il valore di scambio appare in primo luogo come un rapporto quantitativo, entro il quale valori d'uso sono intercambiabili. Entro questo rapporto essi costituiscono la medesima grandezza di scambio. […]Come valore di scambio, un valore d'uso vale esattamente quanto l'altro, purché sia presente nella dovuta proporzione. Il valore di scambio di un palazzo può essere espresso in un determinato numero di scatole di lucido da scarpe. Viceversa, i fabbricanti di lucido londinesi hanno espresso in palazzi il valore di scambio delle scatole sempre più numerose del loro prodotto. Astraendo quindi del tutto dal loro modo d'esistenza naturale e senza tener conto della natura specifica del bisogno per il quale sono valori d'uso, le merci si equivalgono in determinate quantità, si sostituiscono le une alle altre nello scambio, sono considerate equivalenti e in tal modo rappresentano la medesima unità malgrado la loro variopinta apparenza. I valori d'uso sono direttamente mezzi di sussistenza. Ma viceversa questi mezzi di sussistenza sono essi stessi prodotti della vita sociale, sono risultato di forza umana spesa, sono lavoro oggettivato. In quanto materializzazione del lavoro sociale, tutte le merci sono cristallizzazioni di una medesima unità. Quello che ora dobbiamo considerare è il carattere determinato di questa unità, ossia del lavoro che si esprime nel valore di scambio. Un'oncia d'oro, una tonnellata di ferro, un quarter di grano e venti braccia di seta siano, poniamo, valori di scambio uguali. In quanto sono tali equivalenti, in cui è cancellata la differenza qualitativa dei loro valori d'uso, essi rappresentano un volume uguale di uno stesso lavoro. Il lavoro che in essi uniformemente si oggettiva dev'essere esso stesso lavoro semplice, uniforme, indifferenziato, per il quale sia indifferente apparire nell'oro, nel ferro, nel grano, nella seta, allo stesso modo che è indifferente per l'ossigeno trovarsi nella ruggine del ferro, nell'atmosfera, nel succo dell'uva o nel sangue dell'uomo. Ma scavare oro, portar alla luce ferro, coltivare grano e tessere seta, sono tipi di lavoro che differiscono qualitativamente l'uno dall'altro. Infatti, ciò che oggettivamente appare come diversità dei valori d'uso, appare nel corso del processo come diversità dell'attività che produce i valori d'uso. Perciò, il lavoro che crea valore di scambio, in quanto è indifferente nei riguardi della particolare materia dei valori d'uso, lo è anche nei confronti della forma particolare del lavoro stesso. I differenti valori d'uso sono inoltre prodotti dell'attività di individui differenti, sono dunque il risultato di lavori individualmente differenti. Ma come valori di scambio rappresentano un lavoro uguale, indifferenziato, ossia lavoro in cui è cancellata l'individualità di chi lavora. Il lavoro che crea valore di scambio è quindi lavoro astrattamente generale.

LA MERCE: TESTI « […]tutti i valori d'uso sono degli equivalenti nelle proporzioni in cui contengono il medesimo tempo di lavoro consumato oggettivato. Come valori di scambio tutte le merci non sono che misure di tempo di lavoro coagulato. Per comprendere la determinazione del valore di scambio in base al tempo di lavoro occorrerà tener fermi i seguenti punti di partenza principali: la riduzione del lavoro a lavoro semplice, per così dire privo di qualità; il modo specifico in cui il lavoro, che crea valore di scambio e quindi produce merci, è lavoro sociale; infine, la differenza che si ha fra il lavoro che ha per risultato valori d'uso e il lavoro che ha per risultato valori di scambio. Per misurare i valori di scambio delle merci in base al tempo di lavoro in esse contenuto, i differenti lavori dovranno essi stessi essere ridotti a lavoro semplice, indifferenziato e uniforme, in breve al lavoro che qualitativamente è sempre uguale e si differenzia solo quantitativamente. […] Il tempo di lavoro rappresentato nel valore di scambio è tempo di lavoro del singolo, ma del singolo indifferenziato dall'altro singolo, da tutti i singoli in quanto compiono un lavoro uguale, e quindi il tempo di lavoro richiesto per la produzione di una determinata merce è il tempo di lavoro necessario, che ogni altro impiegherebbe per la produzione di quella stessa merce. E' il tempo di lavoro del singolo, il suo tempo di lavoro, ma solo come tempo di lavoro comune a tutti, per il quale è indifferente di quale singolo individuo esso sia il tempo di lavoro. […] E' soltanto l'abitudine della vita quotidiana che fa apparire come cosa banale, come cosa ovvia che un rapporto di produzione sociale assuma la forma di un oggetto, cosicché il rapporto fra le persone nel loro lavoro si presenti piuttosto come un rapporto reciproco fra cose e fra cose e persone. Nella merce questa mistificazione è ancor molto semplice. Tutti più o meno capiscono vagamente che il rapporto delle merci quali valori di scambio è piuttosto un rapporto fra le persone e la loro reciproca attività produttiva. Nei rapporti di produzione di più alto livello questa parvenza di semplicità si dilegua. Tutte le illusioni del sistema monetario derivano dal fatto che dall'aspetto del denaro non si capisce che esso rappresenta un rapporto di produzione sociale, se pure nella forma di una cosa naturale di determinate qualità. (Per la critica dell’economia politica, 1859)

IL CICLO PRODUTTIVO Ciclo economico società pre-borghese: M.D.M. MERCE – DENARO – MERCE Una certa quantità di merce viene trasformata in denaro ed una certa quantità di denaro viene ri-trasformata in merce Ciclo economico capitalistico: D.M.D’ DENARO – MERCE – PIU’ DENARO il capitalista investe denaro in una merce per ottenere più denaro Tale PLUSVALORE ha origine da quella particolare merce che è la FORZA-LAVORO (l’operaio) che è in grado di produrre un valore maggiore di quello che gli viene corrisposto con il salario (coincide con ciò che serve per vivere, lavorare e generare) Il PLUSVALORE discende dal PLUS-LAVORO dell’operaio (se l’operaio lavora 10 ore e il capitalista gli riconosce 6 ore di salario le restanti 4 vanno a costituire quel pluslavoro, non retribuito, che coincide con il plusvalore) PLUS-LAVORO: TEMPO-LAVORO NON RETRIBUITO Spiegazione scientifica dello sfruttamento capitalista

(Il capitale, I, 1867) PLUSVALORE: TESTI «Lo scopo del compratore è la valorizzazione del suo capitale, la produzione di merci che contengano una maggior quantità di lavoro di quella che paga, che contengano quindi una parte di valore che a lui non costa nulla e che ciononostante viene realizzata mediante la vendita delle merci. […] L’aumento del prezzo del lavoro rimane dunque confinato entro limiti che non solo lasciano intatta la base del sistema capitalistico, ma assicurano anche la sua riproduzione su scala crescente. La legge dell’accumulazione capitalistica mistificata in legge di natura esprime dunque in realtà solo il fatto che la natura esclude ogni diminuzione del grado di sfruttamento del lavoro e ogni aumento del prezzo del lavoro che siano tali da esporre ad un serio pericolo la costante riproduzione del rapporto capitalistico e la sua riproduzione su scala sempre più allargata. Non può essere diversamente in un modo di produzione entro il quale l’operaio esiste per i bisogni di valorizzazione di valori esistenti, invece che, viceversa, la ricchezza materiale esista per i bisogni di sviluppo dell’operaio». (Il capitale, I, 1867)

LA MERCE UMANA L’attività vitale degli uomini diventa, nel sistema capitalistico, una merce. L’economia politica concepisce il lavoro alla stregua di un ordinario fattore di produzione, celando il processo che lo muta in una cosa da vendere per vivere. Il risultato è che la società si divide in classi, l’individuo in uomo e lavoratore, il tempo viene, a sua volta, diviso fra lavoro e riposo, immiserendo entrambi i fronti della frattura. I salariati sono liberi in quanto singoli, ma di fatto (anche se non giuridicamente)proprietà della classe che ne compra il lavoro. Il segreto che permette al capitalista di produrre merci e di riprodurre capitale è lo sfruttamento. «Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità , ossia nella personalità vivente di un uomo, che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere. Tuttavia affinché il possessore di denaro incontri sul mercato la forza-lavoro come merce devono essere soddisfatte diverse condizioni. […] 1) la forza-lavoro come merce può apparire sul mercato soltanto in quanto e perché viene offerta o venduta come merce dal proprio possessore, dalla persona della quale essa è a forza-lavoro. Affinché il possessore della forza-lavora la venda come merce , egli deve poterne disporre, quindi essere libero proprietario della propria capacità di lavoro, della propria persona. […] 2) La seconda condizione essenziale, affinché il possessore del denaro trovi la forza-lavoro sul mercato come merce, è che il possessore di questa non abbia la possibilità di vendere merci nelle quali si sia oggettivato il suo lavoro, ma anzi sia costretto a mettere in vendita, come merce, la sua stessa forza-lavoro, che esiste soltanto nella sua corporeità vivente.

LA MERCE UMANA «Affinché qualcuno venda merci distinte dalla propria forza –lavoro, deve, com’è ovvio, possedere mezzi di produzione, per esempio materie prime, strumenti di lavoro e così via. […] Dunque per trasformare il denaro in capitale il possessore di denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore libero; libero nel duplice senso che disponga della propria forza lavorativa come propria merce, nella sua qualità di libera persona , e che, d’altra parte, non abbia da vendere altre merci, che sia privo ed esente, libero di tutte le cose necessarie per la realizzazione della sua forza-lavoro. […] Una cosa è evidente, però. La natura non produce da una parte possessori di denaro o di merci e dall’altra puri e semplici possessori della propria forza lavorativa. Questo rapporto non è un rapporto risultante dalla storia naturale e neppure un rapporto sociale che sia comune a tutti i periodi della storia. Esso stesso è evidentemente il risultato d’uno svolgimento storico precedente, il prodotto di molti rivolgimenti economici, del tramonto di tutta una serie di formazioni più antiche della produzione sociale « ( Il capitale, I, 1867) «Dunque, il tempo di lavoro necessario per la produzione della forza-lavoro si risolve nel tempo necessario per la produzione di quei mezzi di sussistenza ; ossia: il valore della forza-lavoro è il valore dei mezzi di sussistenza necessari per la conservazione del possessore della forza lavoro. […] Le forze-lavoro sottratte al mercato dalla morte e dal logoramento debbono essere continuamente reintegrate per lo meno con lo stesso numero di forze-lavoro nuove. Dunque, la somma dei mezzi di sussistenza necessari alla produzione della forza-lavoro include i mezzi di sussistenza delle forze di ricambio, cioè dei figli dei lavoratori, in modo che questa razza di peculiari possessori di merci si perpetui sul mercato» (Il capitale, I, 1867)

LA MERCE COME FETICCIO Il concetto di feticcio designa una gamma di comportamenti che dall’idolatria giunge fino alla perversione sessuale; loro denominatore comune è il ricorso ad un oggetto sostitutivo , ad una cosa morta, o a parti di un corpo simbolicamente devitalizzate , che fa le veci di una persona in carne ed ossa o di un’entità ritenuta comunque esistente. Il termine viene usato da etnografi e storici della religione per descrivere il fenomeno mediante il quale individui privi di qualsiasi capacità di astrazione attribuiscono ad una cosa poteri che questa non possiede, poiché sono di esclusivo appannaggio umano o divino. L’oggetto investito di facoltà magiche, illusorie e fittizie è in genere un manufatto (un amuleto) un prodotto artificiale che viene ad acquisire una grande autorità sul proprio artefice, finendo per governare molti aspetti della sua vita. Nelle pagine di Marx, invece, questa categoria diventa il nome che definisce una delle patologie moderne più subdole: in una società in cui la scienza e la tecnica hanno potenzialmente dissolto ogni mistero che limita il controllo del mondo, «l’indipendenza delle persone le une dalle altre si integra in un sistema di dipendenza onnilaterale dalle cose». Quel che si delinea è un universo «stregato , deformato e capovolto» dove gli uomini pagano un prezzo inatteso per il tipo di libertà di cui godono: la soggezione alle merci nate dalle loro mani, prime fra tutte il denaro. «Ogni uomo si ingegna di procurare all’altro uomo un nuovo bisogno, per costringerlo a un nuovo sacrificio, per ridurlo ad una nuova dipendenza e spingerlo ad un nuovo modo di godimento e quindi di rovina economica.[…]L’uomo diventa tanto più povero come uomo, ha tanto più bisogno di denaro, per impadronirsi dell’essere ostile, e la potenza del suo denaro sta giusto in proporzione inversa alla massa di produzione ; in altre parole la miseria cresce nella misura in cui aumenta la potenza del denaro» (Manoscritti economico-filosofici, 1844)

LA MERCE COME FETICCIO «L’arcano della forma di merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri sociali del loro proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, in proprietà sociali naturali di quelle cose; e quindi rispecchia anche il rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti, avente esistenza al di fuori dei prodotti stessi. Mediante questo quid pro quo i prodotti del lavoro diventano merci, cose sensibilmente sovrasensibili, cioè cose sociali. […] Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi. Per trovare un’analogia , dobbiamo involarci nella regione nebulosa del mondo religioso. Qui i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto fra di loro e con gli uomini. Così, nel mondo delle merci, fanno i prodotti della mano umana. Questo io chiamo il feticismo che si attacca ai prodotti del lavoro appena vengono prodotti come merci, e che quindi è inseparabile dalla produzione di merci». (Il capitale, I, 1867)

TENDENZE E CONTRADDIZIONI DEL CAPITALISMO Capitalismo: tipo di società retto sulla logica del PROFITTO PRIVATO anziché dalla logica dell’interesse collettivo. Tale sistema genera una serie di contraddizioni che ne mineranno la sopravvivenza: Per aumentare il plus-valore occorre aumentare la produttività del lavoro, introducendo nuovi e più efficaci metodi e strumenti di lavoro NASCITA DELL’INDUSTRIA MECCANIZZATA la macchina aumenta la quantità di merce prodotta nello stesso tempo dal medesimo numero di operai distruzione capitalistica dei beni Crisi cicliche di SOVRAPPRODUZIONE disoccupazione Caduta del saggio di profitto, dato dal rapporto fra plus-valore, capitale variabile (capitale mobile investito in salari) e capitale costante (capitale investito nelle macchine e in tutto ciò che serve alla fabbrica per funzionare)

L’OPERAIO COME APPENDICE DELLA MACCHINA «[…] Entro il sistema capitalistico tutti i metodi per incrementare la forza produttiva sociale del lavoro si attuano a spese dell’operaio; tutti i mezzi per lo sviluppo della produzione si capovolgono in mezzi di dominio e di sfruttamento del produttore, mutilano l’operaio facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso, gli estraniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui a quest’ultimo la scienza viene incorporata come potenza autonoma; deformano le condizioni nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano a un dispositivo odioso nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro […] nella misura in cui il capitale si accumula, la situazione dell’operaio, qualunque sia la sua retribuzione, alta o bassa, deve peggiorare. […] Questa legge determina un’accumulazione di miseria proporzionata all’accumulazione di capitale. L’accumulazione di ricchezza all’uno dei poli è dunque al tempo steso accumulazione di miseria, tormento di lavoro, schiavitù, ignoranza, brutalizzazione e degradazione morale al polo opposto, ossia dalla parte della classe che produce il proprio prodotto come capitale. Questo carattere antagonistico dell’accumulazione capitalistica è espresso informa diverse dagli economisti politici […]». (Il capitale, I, 1867)

LA RIVOLUZIONE La situazione finale del capitalismo sarà la seguente: da una parte una minoranza industriale con una ricchezza ed un potere immensi, dall’altra una maggioranza proletaria sfruttata (i piccoli capitalisti, per la legge della concorrenza, verranno espropriati dai grandi magnati dell’industria e andranno ad ingrossare le fila del proletariato) Le contraddizioni del capitalismo costituiscono la base oggettiva della rivoluzione del proletariato, che svolgerà la missione storico-universale di attuare il passaggio dal capitalismo al comunismo. Obiettivo della rivoluzione (pacifica o violenta che sia): abbattere lo Stato borghese e le sue forme istituzionali, in quanto lo Stato moderno è visto come sovrastruttura di una società civile prestatale dominata dagli interessi di classe della borghesia. «Lo Stato è la forma in cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro interessi comuni» (Ideologia tedesca, 1845-46) «il potere politico è il potere di una classe organizzata per opprimerne un’altra» (Manifesto, 1848)

LA DITTATURA DEL PROLETARIATO «Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, il cui stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato» (Critica del Programma di Gotha, 1875) DITTATURA DEL PROLETARIATO: dittatura di una maggioranza di oppressi su di una minoranza di (ex-)oppressori, destinata a scomparire. In La guerra civile in Francia Marx enuclea le principali caratteristiche della Comune del 1871: Sostituzione dell’esercito permanente con l’organizzazione degli operai armati Soppressione del parlamentarismo, ovvero della delega dell’esercizio del potere ad un apparato politico specializzato Sostituzione del Parlamento con delegati eletti a suffragio universale, revocabili in ogni momento Soppressione del privilegio burocratico Eliminazione della divisione dei poteri

DITTATURA DEL PROLETARIATO NEL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA «Il proletariato si servirà del suo dominio politico per togliere via via alla borghesia tutto il capitale, per concentrare nelle mani dello stato tutti gli strumenti della produzione, ossia nelle mani del proletariato organizzato come classe dominante, e per aumentare con la massima velocità possibile le forze produttive. Naturalmente tutto ciò non può accadere se non attraverso misure dispotiche contro il diritto di proprietà e violazioni dei rapporti borghesi di produzione, ossia con misure che appariranno economicamente insufficienti e insostenibili, che nel corso del movimento supereranno se stesse verso nuove misure, ma che nel frattempo sono i mezzi indispensabili per rivoluzionare l’intero modo di produzione. Com’è ovvio, tali misure saranno diverse da paese a paese. Ma per i paesi più progrediti, potranno essere generalmente applicate le misure che qui di seguito indichiamo: 1. Espropriazione della proprietà fondiaria e impiego della rendita fondiaria per le spese dello stato. 2. Imposta fortemente progressiva. 3. Abolizione del diritto di eredità. 4. Confisca dei beni degli emigrati e dei ribelli. 5. Accentramento del credito nelle mani dello stato attraverso una banca nazionale con capitale di Stato e con monopolio esclusivo. 6. Accentramento dei mezzi di trasporto nelle mani dello stato. 7. Aumento delle fabbriche nazionali e degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano generale. 8. Uguale obbligo di lavoro per tutti, organizzazione di eserciti industriali specialmente per l’agricoltura. 9. Unificazione dell’esercizio dell’agricoltura e dell’industria e misure atte a preparare la progressiva eliminazione della differenza fra città e campagna. 10. Educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli. Abolizione del lavoro dei fanciulli nelle fabbriche nella sua forma attuale. Combinazione dell’educazione con la produzione materiale.»

LE FASI DELLA FUTURA SOCIETA’ COMUNISTA Nei Manoscritti (1844) nella sezione Proprietà privata e comunismo: COMUNISMO ROZZO: la proprietà viene abolita solo per essere trasformata in proprietà di tutti, tramite la nazionalizzazione della proprietà e tutti diventano operai Distinzione COMUNISMO AUTENTICO: comporta un’effettiva soppressione della proprietà e il superamento dell’uomo ossessionato dall’avere (homo aeconomicus) da parte dell’uomo nuovo, che esercita in modo creativo l’insieme delle sue potenzialità. «[...] Dopo che è scomparsa la subordinazione asservitrice degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto fra il lavoro intellettuale e il lavoro fisico […] Ognuno secondo le sue capacità, ognuno secondo i suoi bisogni» (Critica del programma di Gotha, 1875)

Una società di questo tipo deve ergersi sulle seguenti basi: COMUNISMO AUTENTICO Il compito della Storia per Marx risulta il seguente: raggiungere quella formazione economica che permetta lo sviluppo «onnilaterale», cioè poliedrico ed integrale, dell’individuo. Una società di questo tipo deve ergersi sulle seguenti basi: Abolizione della divisione del lavoro Abolizione dell’antitesi occupazione manuale/occupazione intellettuale Idea di un lavoro non puramente costrittivo, bensì creativo Idea di un’umanità «onnilaterale» e di una società in cui ognuno possa avere secondo i propri bisogni Abolizione della proprietà privata Superamento della divisione in classi della società Società senza sfruttamento, senza miseria e senza Stato.

COMUNISMO AUTENTICO: TESTI «La prima soppressione positiva della proprietà privata, il comunismo rozzo, è dunque soltanto una manifestazione della abiezione della proprietà privata che si vuol porre come comunità positiva. 2) Il comunismo: a) ancora di natura politica, nelle due specie democratica e dispotica; b) accompagnato dalla soppressione dello stato, ma ad un tempo non ancora giunto al proprio compimento e pur sempre affetto dalla proprietà privata, cioè dalla estraniazione dell'uomo. In entrambe le forme il comunismo sa già di essere la reintegrazione o il ritorno dell'uomo a se stesso, la soppressione della autoestraniazione dell'uomo, ma non avendo ancora colto l'essenza positiva della proprietà privata, ed avendo altrettanto poco compreso la natura umana del bisogno, rimane ancora avvinghiato e infetto dalla proprietà privata. Ha, sì, compreso il suo concetto, ma non la sua essenza.

COMUNISMO AUTENTICO: TESTI 3) Il comunismo come soppressione positiva della proprietà privata intesa come autoestraniazione dell'uomo, e quindi come reale appropriazione dell'essenza dell'uomo mediante l'uomo e per l'uomo; perciò come ritorno dell'uomo per sé, dell'uomo come essere sociale, cioè umano, ritorno completo, fatto cosciente, maturato entro tutta la ricchezza dello svolgimento storico sino ad oggi. Questo comunismo s'identifica, in quanto naturalismo giunto al proprio compimento, con l'umanismo, in quanto umanismo giunto al proprio compimento, col naturalismo; è la vera risoluzione dell'antagonismo tra la natura e l'uomo, tra l'uomo e l'uomo, la vera risoluzione della contesa tra l'esistenza e l'essenza, tra l'oggettivazione e l'autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l'individuo e la specie. E' la soluzione dell'enigma della storia, ed è consapevole di essere questa soluzione». (Manoscritti economico-filosofici del 1844)

COMUNISMO AUTENTICO: TESTI «Quando le differenze di classe saranno scomparse nel corso dell'evoluzione, e tutta la produzione sarà concentrata in mano agli individui associati, il pubblico potere perderà il suo carattere politico. In senso proprio, il potere politico è il potere di una classe organizzato per opprimerne un'altra. Il proletariato, unendosi di necessità in classe nella lotta contro la borghesia, facendosi classe dominante attraverso una rivoluzione, ed abolendo con la forza, come classe dominante, gli antichi rapporti di produzione, abolisce insieme a quei rapporti di produzione le condizioni di esistenza dell'antagonismo di classe, cioè abolisce le condizioni d'esistenza delle classi in genere, e così anche il suo proprio dominio in quanto classe. Alla vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi fra le classi subentra una associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione del libero sviluppo di tutti». (Manifesto del partito comunista, 1848)

COMUNISMO AUTENTICO: TESTI «Di fatto, il regno della libertà comincia soltanto là dove cessa il lavoro determinato dalla necessità e dalla finalità esterna; si trova quindi per sua natura oltre la sfera della produzione materiale vera e propria. Come il selvaggio deve lottare con la natura per soddisfare i suoi bisogni, per conservare e per riprodurre la sua vita, così deve fare anche l’uomo civile e lo deve fare in tutte le forme della società e sotto tutti i possibili modi di produzione. A mano a mano che egli si sviluppa il regno delle necessità naturali si espande, perché si espandono i suoi bisogni, ma al tempo stesso si espandono le forze produttive che soddisfano questi bisogni. La libertà in questo campo può consistere soltanto in ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura, lo portano sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso dominati come da una forza cieca; che essi eseguono il loro compito con il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne di essa.

COMUNISMO AUTENTICO: TESTI Ma questo rimane sempre un regno della necessità. Al di là di esso comincia lo sviluppo delle capacità umane, che è fine a se stesso, il vero regno della libertà, che tuttavia può fiorire soltanto sulle basi di quel regno della necessità. Condizione fondamentale di tutto ciò è la riduzione della giornata lavorativa». (Karl Marx, Il Capitale. Critica dell’economia politica, Libro III, cap. 48-III).