ARTHUR SCHOPENHAUER (1788 Danzica – 1861 Francoforte)

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Arthur Schopenhauer Famiglia agiata, madre scrittrice e padre banchiere Nasce a Danzica nel 1788 Studia filosofia nell’università ove insegnava Hegel.
(Danzica 1788-Francoforte 1860)
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Transcript della presentazione:

ARTHUR SCHOPENHAUER (1788 Danzica – 1861 Francoforte) OPERE: 1813: Si laurea a Jena con una tesi Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente 1816: Sulla vista e sui colori 1818 (Dresda): Il mondo come volontà e rappresentazione 1820/1832: tiene i suoi corsi a Berlino con scarso successo 1836: Saggio Sulla volontà della natura 1841: I due problemi fondamentali dell’etica 1851: Parerga e paralipomena (Appendici; raccolta di saggi divulgativi)

RADICI CULTURALI DEL SISTEMA Da Platone: dualismo realtà/apparenza – teoria delle idee Da Kant: dualismo fenomeno/noumeno – forme a-priori (impostazione soggettivistica della sua gnoseologia) Da Voltaire (Illuminismo): spirito ironico, brillante e polemico verso le credenze tramandate Dal Romanticismo: l’irrazionalismo, l’importanza dell’arte e della musica, la tesi che a fondamento del mondo ci sia un principio assoluto di cui le varie realtà sono manifestazioni transeunti, motivo del dolore Dalla filosofia orientale (orientalista Frederich Mayer): l’idea che la molteplicità degli individui sia il prodotto di un’illusione, il concetto di Nirvana e una serie di immagini suggestive (velo di Maya)

L’INATTUALITÀ DI SCHOPENHAUER S. con Il mondo come volontà e rappresentazione (1818) si colloca alle origini di quella crisi che caratterizzerà il ‘900 Il termine crisi deriva dal verbo greco crino = distinguo, separo, decido, valuto; quindi il termine crisis indica una scissione, una rottura, alla cui base stanno un giudizio, una decisione. S. opera, infatti a Berlino nell’epoca dell’egemonia hegeliana e per questo la sua posizione è quella di un «disertore dell’Europa», di uno «straniero»; la sua filosofia lo fece vivere da reietto, da «inattuale» (nel senso nietzschiano del termine) S. non appartiene al proprio presente e prefigura il futuro Hegel crede nella perfetta trasparenza della realtà alla ragione e il Positivismo sarà d’accordo con questa impostazione (nonostante le sostanziali differenze delle due posizioni; intanto la ragione di Hegel è la ragione filosofica, mentre quella dei positivisti è la ragione scientifica) S. non condivide affatto questa visione ottimistica della realtà e della storia (come cammino verso il meglio) che caratterizzeranno gran parte dell’’800.

L’INATTUALITÀ DI SCHOPENHAUER Prefazione alla seconda edizione de Il mondo come volontà e rappresentazione «Non ai contemporanei, non ai connazionali consegno la mia opera ormai compiuta, nella sicurezza che non sarà per essa senza valore, quand’anche ciò dovesse, come il destino del bene in ogni forma comporta, essere riconosciuto soltanto tardi. Giacché solo per essa, non per la generazione che passa in fretta, presa nella sua illusione del momento, può essere avvenuto che la mia mente, quasi contro la mia volontà, abbia atteso ininterrottamente al suo lavoro per una lunga vita».

IL MONDO COME RAPPRESENTAZIONE «Cartesio è considerato a buon diritto il padre della filosofia moderna, […] poiché è divenuto cosciente per la prima volta del problema dell’ideale e del reale , intorno a cui per lo più si aggira da allora ogni filosofare, cioè della questione su cosa vi sia di oggettivo e cosa di soggettivo nella nostra conoscenza, su cosa dunque in questa vi sia da attribuirsi ad eventuali oggetti diversi da noi, e cosa invece a noi stessi. […] la questione, invece, e il problema originario stanno nel determinare se mai si dia qualcosa di esteso, o anzi in generale di esistente, indipendentemente dal nostro rappresentare. […] Io ho pensato propriamente che, come risulta dalle indagini qui esposte dei miei predecessori, l’assolutamente reale, cioè la cosa in se stessa, non può esserci data in nessun caso proprio dal di fuori, attraverso la pura rappresentazione, poiché appartiene inevitabilmente all’essenza di quest’ultima il fornire sempre soltanto l’ideale; e ho pensato per contro, dal momento che noi stessi siamo incontestabilmente reali, che la conoscenza del reale debba essere in qualche modo attinta dall’interno del nostro proprio essere. Questo reale infatti si presenta qui alla coscienza in modo immediato, cioè come Volontà. […] Volontà e rappresentazione soltanto sono sostanzialmente differenti, in quanto costituiscono l’antitesi estrema e fondamentale in tutte le cose del mondo e non lasciano nulla all’infuori. La cosa rappresentata e la sua rappresentazione hanno lo stesso significato, ma sono anche soltanto la cosa rappresentata, non la cosa in se stessa: quest’ultima è sempre volontà, sotto qualsiasi aspetto essa possa apparire nella rappresentazione» (Schizzo di una storia della teoria dell’ideale e del reale, in Parererga e paralipomena, 1851)

IL MONDO COME RAPPRESENTAZIONE La riflessione di S. prende avvio dalla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, ma Per Kant il fenomeno è l’unica realtà accessibile alla mente umana, è l’oggetto della rappresentazione che esiste fuori dalla coscienza anche se viene appreso mediante l’applicazione delle forme a-priori e il noumeno è un concetto-limite, che ci ricorda i limiti della conoscenza umana Per Schopenhauer, invece il fenomeno è parvenza, illusione, sogno, è una rappresentazione che esiste solo nella coscienza e il noumeno è conoscibile Nessuno può uscire da sé per identificarsi immediatamente con le cose diverse da lui; tutto ciò di cui abbiamo conoscenza sicura, immediata si trova dentro la coscienza. «IL MONDO E’ LA MIA RAPPRESENTAZIONE» «E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per un serpente». La RAPPRESENTAZIONE (fenomeno, velo di Maya) è caratterizzata da due componenti fondamentali e inseparabili: soggetto rappresentante ed oggetto rappresentato; essa si basa sulle seguenti forme a-priori: spazio, tempo, causalità (unica categoria in quanto la realtà dell’oggetto si risolve nella sua azione causale su altri oggetti; materia= azione causale).

RAPPRESENTAZIONE SOGGETTO («Ciò che tutto conosce senza La rappresentazione essere conosciuto da alcuno») Ovvero il fenomeno Come velo di Maya e si basa sulle SPAZIO (apparenza illusoria ) forme a priori di TEMPO Consta di: CAUSALITA’ OGGETTO (Ciò che viene conosciuto) Non esiste un polo della realtà in sé e per sé, soggetto ed oggetto possono darsi solo nella relazione (=rappresentazione)

LA RAPPRESENTAZIONE «Il mondo è la mia rappresentazione: è questa una verità che vale in rapporto ad ogni essere vivente e conoscente, sebbene l’uomo soltanto possa tradurla nella coscienza riflessa, astratta; e se ciò egli fa realmente, ecco che è cominciata in lui la riflessione filosofica. Allora si fa per lui chiaro e certo che egli non conosce né il sole né la terra, ma sempre e solo un occhio che vede un sole e una mano che sente una terra; che il mondo che lo circonda esiste solo come rappresentazione, cioè sempre e solo in rapporto ad un altro, al portatore della rappresentazione che è egli stesso». Ne segue che la scelta tra realismo e idealismo è assurda, poiché non si danno né l’oggetto senza il soggetto, né il soggetto senza l’oggetto. Ciò che esiste è sempre la rappresentazione, ovvero la relazione tra soggetto ed oggetto.

LA CAUSALITA’ E LE SUE FORME Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente (1813) DIVENIRE (necessità fisica: rapporti causali fra oggetti) CONOSCERE (necessità logica: rapporti fra premesse e conseguenze) ESSERE (necessità matematica: rapporti spazio- temporali e aritmetico-geometrici) AGIRE (necessità morale: rapporti azione-motivi) Domina un’assoluta necessità (determinismo materialistico) Necessità = «inevitabilità dell’effetto quando la causa sia stata posta» Il principio di ragion sufficiente assume forme diverse in relazione al

LA VIA D’ACCESSO AL NOUMENO S. ritiene che il sapere filosofico e scientifico abbiano perseguito una conoscenza puramente fenomenica, non abbiano saputo varcare la soglia, del tutto superficiale, delle rappresentazioni soggettive; la natura intima del mondo, il noumeno, è rimasto sempre celato dietro il «velo di Maya». Da questo punto di vista l’intera storia della scienza e della filosofia si configurano come un vagare «attorno ad un castello, cercando invano l’ingresso», un brancolare senza speranza intorno alle rappresentazioni. Per entrare nel castello (intorno a cui l’uomo di scienza si aggira inutilmente) il filosofo dispone di un «filo di Arianna»: il corpo. «Il corpo – spiega Schopenhauer – è dato come rappresentazione nell’intuizione intellettuale, oggetto fra oggetti e sottomesso alle leggi di questi, ma è dato contemporaneamente anche in tutt’altro modo, ossia come quell’alcunché direttamente conosciuto, che la volontà esprime». Ogni uomo sente che dentro di sé, nel suo corpo, negli impulsi che orientano i suoi desideri, che dirigono le sue azioni vi è una forza, uno slancio che è volontà di vivere, di affermarsi. Ascoltando il premere dei bisogni, delle pulsioni, delle tensioni che si celano in ogni movimento del corpo, in ogni azione, in ogni sentimento e passione, l’uomo può cogliere la volontà che domina con il suo «cieco e irresistibile impeto» l’intero universo: «ferve e vegeta nella pianta, forma il cristallo, volge la bussola al polo, scocca nel contatto di due metalli eterogenei, si rivela nelle affinità elettive della materia, nella gravità», nella storia degli uomini.

LA VIA D’ACCESSO AL NOUMENO (COSA IN SÉ) L’uomo è un animale metafisico: si stupisce della propria esistenza e si interroga sull’essenza ultima della vita Se l’uomo fosse una mente priva di corpo (un’intelligenza non incarnata) non potrebbe conoscere il noumeno; l’uomo, però, è dotato di un corpo con il quale, oltre che vedersi «dal di fuori» e percepire il proprio corpo come un oggetto fra gli altri, può viversi «dal di dentro», godendo e soffrendo. In questo modo si squarcia il velo di Maya e si riesce a cogliere la realtà autentica che si nasconde dietro l’illusione, ovvero la VOLONTA’ di vivere (Wille zum leben), impulso prepotente ed irresistibile che ci spinge ad esistere e ad agire. Più che intelletto e conoscenza noi siamo vita e volontà di vivere e il nostro corpo è la manifestazione esteriore dell’insieme delle nostre brame interiori. La necessità di andare oltre il fenomeno non nasce tanto da un desiderio di conoscenza, quanto da un’istanza pratica: superare il dolore (anche in Nietzsche e in Freud il pensiero nascerà dal dolore, laddove nell’età classica il pensiero nasceva dalla meraviglia di fronte alla visione, alla contemplazione del mondo) Il corpo si presenta sulla scena filosofica in modo inedito (Nel Fedone di Platone il corpo, infatti, si presenta come ostacolo alla conoscenza e l’anima può esprimere tutte le sue potenzialità solo dopo la morte del corpo) In S. il corpo diventa l’elemento più veritativo di cui disponiamo.

L’UOMO COME ANIMAL METAPHYSICUM «Nessun essere, eccetto l’uomo, si stupisce della propria esistenza; per tutti gli animali essa è una cosa che si intuisce per se stessa, nessuno vi fa caso. Nella pacatezza dello sguardo degli animali parla ancora la saggezza della natura; perché in essi la volontà e l’intelletto non si sono ancora distaccati abbastanza l’uno dall’altro per potersi, al loro reincontrarsi, stupirsi l’uno dell’altra. [...] Solo dopo che l’intima essenza della natura (la volontà di vivere nella sua oggettivazione) s’è elevata attraverso i due regni degli esseri incoscienti e poi, dopo essere passata, vigorosa ed esultante, attraverso la serie lunga e vasta degli animali, è giunta infine, con la comparsa della ragione, cioè nell’uomo, per la prima volta alla riflessione: allora essa si stupisce delle sue proprie opere e si chiede che cosa essa sia. La sua meraviglia, però, è tanto piú seria, in quanto essa si trova qui per la prima volta coscientemente di fronte alla morte, e, accanto alla caducità di ogni esistenza, le si rivela anche, con maggiore o minore consapevolezza, la vanità di ogni aspirazione. Con questa riflessione e con questo stupore nasce allora, unicamente nell’uomo, il bisogno di una metafisica: egli è dunque un animal metaphysicum. All’inizio della sua coscienza l’uomo si considera certamente come qualcosa, che si comprende da sé. Questa situazione non dura però a lungo e assai presto, insieme con la prima riflessione, si presenta già quella meraviglia, che un giorno sarà la madre della metafisica.[...]» (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 622-623

LA VIA D’ACCESSO AL NOUMENO (COSA IN SE’) Mondo fenomenico = manifestazione, oggettivazione della volontà. La volontà è l’essenza segreta di tutte le cose (non solo dell’uomo) «Essa (la volontà) è l’intimo essere, il nocciolo di ogni singolo, ed egualmente del Tutto» (Il mondo come volontà e rappresentazione, par. 21) La volontà si manifesta nel mondo attraverso due gradi di oggettivazione: 1) attraverso le idee eterne (archetipi del mondo= idee di Platone) 2) realtà naturali (spazio-temporali) che vanno dalle leggi generali della natura alle piante, agli animali, all’uomo. A questo livello agisce il PRINCIPIO DI INDIVIDUAZIONE (principio elaborato dalla filosofia medioevale; ha la facoltà di moltiplicare gli enti)

LA VOLONTA’ inconscia (impulso inconsapevole) VOLONTA’ di vivere unica (al di là del principio di individuazione) essenza segreta del eterna (al di là del tempo) mondo incausata (al di là della causalità) senza scopo (forza cieca senza meta) La crudele verità è che miliardi di esseri non vivono che per vivere e continuare a vivere; non vi è alcun Dio che possa considerarsi come fine della nostra esistenza e che possa dare un senso alla vita; l’unico Assoluto è la Volontà. Energia alogica e irrazionale

PESSIMISMO COSMICO La vita è dolore per essenza poiché il male è alla radice del mondo. Volere=desiderare=stato di tensione dovuto ad una mancanza=dolore Piacere= cessazione del dolore; il dolore è il dato originario, mentre il piacere è sempre il risultato del superamento di un dolore ed è, quindi, un dato derivato. Noia= senso di vuoto, di apatia, che subentra quando viene meno il desiderio LA VITA è UN PENDOLO CHE OSCILLA TRA DOLORE E NOIA Il dolore investe ogni creatura e maggiormente quelle più consapevoli, ovvero gli uomini. L’amore è la strategia che la Natura utilizza per perpetuare la specie e, di conseguenza, il male. S. può essere considerato un «maestro del sospetto», accanto a Marx, Nietzsche (da cui sarà considerato un maestro) e Freud in quanto usa la tecnica dello smascheramento contro le ipocrisie spiritualistiche dell’amore, contro la presunta «razionalità» del reale o la pretesa felicità della vita umana o la «menzogna» della naturale socievolezza dell’uomo. I rapporti umani, secondo S., si basano sul conflitto e sulla sopraffazione reciproca.

«La volontà è sempre volontà di qualche cosa, dunque ha un oggetto, un fine. Ora: che cosa mai vuole, a che cosa mai tende quella volontà, che ci vien presentata come l'essenza in sé del mondo? La domanda proviene, al pari di tante altre, dal confondere la cosa in sé con il fenomeno. A questo unicamente, ma non a quella, si estende il principio di ragione, una delle cui modalità è anche la legge di motivazione. Non si può dare una ragione se non dei soli fenomeni come tali, di cose considerate isolatamente: non mai però della volontà, né dell'idea che n’é l'adeguata oggettivazione. [...] Ogni fine conseguito non fa che segnare il punto di partenza di un nuovo fine da raggiungere, e così all'infinito. La pianta sviluppa in via ascensionale la sua manifestazione dalla gemma, dal tronco e dalle foglie, sino al fiore ed al frutto: il frutto a sua volta è il principio di una nuova gemma, di un nuovo individuo, destinato a ripercorrere la vecchia strada; e così via, per tutta l'eternità del tempo. Identico è il corso della via animale: la procreazione è il suo culmine: raggiunto questo fine, la vita del primo individuo si estingue più o meno rapidamente, mentre un essere nuovo garantisce alla natura la conservazione della specie e ricomincia lo stesso fenomeno. [...]

Di tal natura sono infine gli sforzi e i desideri umani, che ci fanno brillare innanzi la loro realizzazione come fosse il fine ultimo della volontà; ma non appena soddisfatti, cambiano fisionomia; dimenticati, o relegati tra le anticaglie, vengono sempre, lo si confessi o no, messi da parte come illusioni svanite. Fortunato abbastanza colui, al quale resti ancora da carezzare qualche desiderio, qualche aspirazione: potrà continuare a lungo il giuoco del perpetuo passaggio dal desiderio all'appagamento e dall'appagamento al nuovo desiderio, giuoco che lo renderà felice se il passaggio è rapido, infelice se lento; ma se non altro non cadrà in quella paralizzante stasi che è sorgente di stagnante e terribile noia, di desideri vaghi, senza oggetto preciso, e di languore mortale. In conclusione: la volontà, quando la conoscenza la illumina, sa sempre quello che vuole in un dato momento; ma non sa mai quello che voglia in generale: ogni atto singolo ha un fine; la volontà nel suo insieme non ne ha nessuno». (Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, 1819)

«Ogni volere proviene da un bisogno, cioè da una privazione, da una sofferenza. La soddisfazione vi mette un termine; ma per un desiderio che viene soddisfatto, ce ne sono dieci almeno che debbono esser contrariati; per di più, ogni forma di desiderio sembra non aver mai fine, e le esigenze tendono all'infinito: la soddisfazione è breve e avaramente misurata. Ma l'appagamento finale non è poi che apparente: ogni desiderio soddisfatto cede subito il posto ad un nuovo desiderio: il primo è una disillusione riconosciuta, il secondo una disillusione non ancora riconosciuta. Nessun voto realizzato può dare una soddisfazione duratura e inalterabile; è come l'elemosina che si getta a un mendicante, che gli salva la vita oggi per prolungare i suoi tormenti sino all'indomani. Finché la nostra coscienza è riempita dalla nostra volontà, finché ci abbandoniamo all'impulso dei desideri con la loro alternativa di timori e di speranze, finché, in una parola, siamo soggetti del volere, non ci saranno concessi né felicità duratura né riposo. Inseguire o fuggire, temer la sventura o anelare alla gioia, è in realtà la stessa cosa; l'inquietudine di una volontà sempre esigente, in qualunque forma si manifesti, riempie ed agita incessantemente la coscienza; ora, senza tranquillità, nessun vero benessere è possibile. [...] Già nella natura incosciente, costatammo che la sua essenza è una costante aspirazione senza scolò po' e senza posa; nel bruto e nell'uomo, questa verità si rende manifesta in modo ancor più eloquente. Volere e aspirare, questa è la loro essenza; una sete inestinguibile. Ogni volere si fonda sudi un bisogno, su di una mancanza, su di un dolore: quindi è in origine e per essenza votato al dolore.

Ma supponiamo per un momento che alla volontà venisse a mancare un oggetto, che una troppo facile soddisfazione venisse a spegnere ogni motivo di desiderio: subito la volontà cadrebbe nel vuoto spaventoso della noia: la sua esistenza, la sua essenza, le diverrebbero un peso insopportabile. Dunque la sua vita oscilla, come un pendolo, fra il dolore e la noia, suoi due costitutivi essenziali. Donde lo stranissimo fatto, che gli uomini, dopo ricacciati nell'inferno dolori e supplizi, non trovarono che restasse, per il cielo, niente all'infuori della noia». (Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, 1819)

LE VIE DI LIBERAZIONE DAL DOLORE Per liberarsi dal dolore non serve liberarsi dalla propria singola esistenza attraverso il suicidio, che si rivela come ulteriore affermazione della volontà di vivere. Prima via di liberazione: l’arte L’arte è una forma di conoscenza libera e disinteressata, che riesce ad elevarsi alla contemplazione delle idee, degli archetipi eterni del mondo. L’arte sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani donandogli un appagamento immobile e compiuto, ma che ha una durata limitata. La liberazione offerta dall’arte è solo transitoria, non definitiva. L’arte è solo un conforto al dolore della vita che permane. La musica è la forma d’arte capace di metterci in diretto contatto, al di là dei limiti della ragione, con le radici stesse dell’essere; attraverso la musica la Volontà si rivela a se stessa (la musica è «una metafisica in suoni»). Seconda via: l’etica della pietà L’etica si fonda su un sentimento (e non sulla ragione, come sostiene Kant) di pietà, attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri e viviamo quell’unità metafisica di tutti gli esseri che la filosofia teorizza (il carnefice e la vittima fenomenicamente distinti, noumenicamente sono una stessa realtà).

LE VIE DI LIBERAZIONE DAL DOLORE Per liberarsi dal dolore non serve liberarsi dalla propria singola esistenza attraverso il suicidio, che si rivela come ulteriore affermazione della volontà di vivere. Prima via di liberazione: l’arte L’arte è una forma di conoscenza libera e disinteressata, che riesce ad elevarsi alla contemplazione delle idee, degli archetipi eterni del mondo. L’arte sottrae l’individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani donandogli un appagamento immobile e compiuto, ma che ha una durata limitata. La liberazione offerta dall’arte è solo transitoria, non definitiva. L’arte è solo un conforto al dolore della vita che permane. Tra le arti spicca la TRAGEDIA come autorappresentazione del dramma della vita La musica è la forma d’arte capace di metterci in diretto contatto, al di là dei limiti della ragione, con le radici stesse dell’essere; attraverso la musica la Volontà si rivela a se stessa (la musica è «una metafisica in suoni»).

SECONDA VIA: L’ETICA DELLA PIETÀ L’etica si fonda su un sentimento (e non sulla ragione, come sostiene Kant) di pietà, attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri e viviamo quell’unità metafisica di tutti gli esseri che la filosofia teorizza (il carnefice e la vittima fenomenicamente distinti, noumenicamente sono una stessa realtà). COM – PATIRE = SENTIRE INSIEME GIUSTIZIA: non fare il male (virtù negativa) CARITA’ (agàpe, amore disinteressato): volontà positiva ed attiva di fare il bene La morale della pietà implica una vittoria sull’egoismo, ma rimane pur sempre una forma di attaccamento alla vita e, per questo, non ci libera completamente dalla volontà di vivere.

LA TERZA VIA: L’ASCESI E L’APPRODO AL NIRVANA L’ascesi è la via attraverso cui si cerca di estirpare completamente la volontà di vivere e prevede: astensione dal piacevole e ricerca dello spiacevole, la castità perfetta, l’umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio, l’automacerazione. Nietzsche riprenderà da S. l’idea che il mondo sia il prodotto del caos, di un’irrazionalità priva di scopo, ma non sarà disposto a seguirlo su questa strada e di fronte alla medesima verità e consapevolezza che la vita è dolore proporrà una reazione opposta, ovvero l’accettazione entusiastica della vita con tutto ciò che in essa vi è di doloroso. Se un solo individuo riuscisse a percorrere questa via fino in fondo e a liberarsi dalla volontà di vivere salverebbe l’umanità intera. Nel misticismo ateo di Schopenhauer l’ascesi approda al nirvana buddista, che è l’esperienza del nulla, la negazione del mondo per guadagnare un oceano di pace, uno spazio di serenità che per l’asceta coincide con il tutto (mentre il mondo è il nulla da cui si è liberato). In questo tutto si dissolve la nozione stessa di «Io» e di «soggetto».