ARS NOVA FRANCESE ( ) E trecento italiano* (1340 – 1415)

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Transcript della presentazione:

ARS NOVA FRANCESE (1320-1380) E trecento italiano* (1340 – 1415) *In Italia questi sono i primi esempi di musica profana in lingua volgare; in Italia non c’è stata un’ARS ANTIQUA Il termine Ars Nova riferito all'Italia fu introdotto da uno studioso contemporaneo, il tedesco Riemann (1849-1919) solo alla fine dell’Ottocento, ma non sarebbe corretto anche se di fatto molti studiosi lo usano ancora (Pirrotta, per esempio)

Il contesto storico Durante questo periodo la Francia attraversò un periodo ricco di fermento nel quale si alternarono momenti di crisi e momenti di grande splendore: La Cattività Avignonese (1305-1378) – voluta dai papi per evitare le ingerenze delle famiglie romane sull’elezione dei pontefici stessi - portò in auge Avignone, che divenne uno dei centri di cultura europei più importanti (soggiorno del Petrarca) La Guerra dei Cento Anni (1338-1453) fu invece foriera di grandi lutti, di carestie e della diffusione della peste. Al termine, però, in Francia si realizzò la monarchia assoluta, mentre in Italia inizierà il periodo delle corti principesche.

Ars Nova Le innovazioni sul ritmo introdotte da Francone di Colonia e da Petrus de Cruce prepararono il terreno a quella fase, nella storia della musica, che in Francia venne definita Ars Nova, in opposizione al periodo precedente che d’ora in poi sarà definito Ars Antiqua. Intorno al 1300 nel pensiero musicale francese si verificò un grande mutamento. Venne introdotta la suddivisione binaria imperfetta accanto alla divisione ternaria perfetta che aveva dominato nei secoli precedenti.

Johannes de Muris, musica come progresso Ammettere che la duplicità potesse essere lecita quanto la ternarietà era una posizione di vago sapore ereticale, anche perché si riteneva che ogni scienza e arte umana traesse origine da Dio e che quindi ne dovesse rispecchiare l’immutabile perfezione. Intervenne nella polemica persino Papa Giovanni XXII nel 1320.

Johannes de Muris (1295-1360) Uno dei più convinti assertori del principio che l’arte musicale potesse essere suscettibile di progresso era Johannes de Muris un musicista, matematico e astronomo (che entrò in rapporto probabilmente con Philippe de Vitry). Tra il 1318 e il 1321 de Muris preparò cinque trattati che dedicò alle discipline del Quadrivium (aritmetica, astronomia, geometria e musica) uno dei quali riguardava la musica (si tratta del Notitia artis musice, 1319-21). A questi trattati ne aggiunse un altro nel 1322 che intitolò Compendium musice pratice.

ed è denominata ars vetus; Philippe de Vitry Questo invito fu accolto in particolare da Philippe de Vitry (1291-1361) un diplomatico al servizio del re di Francia che trasmise oralmente le sue teorie a degli allievi i quali le trascrissero in un trattato diviso in due parti: nella prima si espone il sistema della musica misurata così come era alla fine del XIII secolo, ed è denominata ars vetus; la seconda, espone le trasformazioni del sistema proposte da Vitry, ed è denominata Ars Nova (da qui il nome dato all'epoca appena aperta).

L’Ars Nova Musicae Una pagina del trattato di Philippe de Vitry, intitolato Ars nova (1320), che ha dato il nome a tutta la polifonia trecentesca. Di fatto il sistema mensurale descritto da Vitry è solo un perfezionamento di quello apparso l'anno prima ad opera di un altro insegnante dell'Università di Parigi, Johannes de Muris.

Le novità dell’Ars Nova La principale novità dell'Ars Nova fu, come si diceva, la piena legittimazione del ritmo binario (imperfectus) accanto al ritmo ternario (perfectus): mentre l'ars vetus prevedeva tra le note solo un rapporto ternario e quindi solo misure "perfette" ternarie, l'ars nova ammise anche il rapporto binario e di conseguenza consentì l'adozione di misure "imperfette" binarie. La struttura definitiva del nuovo sistema quale apparirà codificato nel Libellus cantus mensurabilis (1341 c.a.) attribuito a de Muris, prevederà 4 misure:

Le novità dell’Ars Nova tempo perfetto con prolazione perfetta tempo perfetto con prolazione imperfetta tempo imperfetto con prolazione perfetta tempo imperfetto con prolazione imperfetta. Si definisce tempo la divisione della breve in 2 o 3 semibrevi; Si definisce prolazione la divisione della semibreve in 2 o 3 minime.

Brevis = unità di tempo

I segni di battuta L’altra novità della Ars Nova sono: l’introduzione di segni indicanti la durata della battuta. L’indicazione sintetica del tempo: il cerchio indica il tempo perfetto, il semicerchio quello imperfetto; mentre la presenza del puntino indica la Prolatio perfecta, altrimenti imperfecta.

Tempus e prolatio Tempus perfectum Prolatio maior 9/8 Tempus perfectum Prolatio minor ¾ Tempus imperfectum Prolatio maior 6/8 Tempus imperfectum Prolatio minor 2/4

Il mottetto isoritmico Un’altra novità dell’Ars Nova è l’isoritmia. Questo procedimento consiste nella ripetizione di uno schema melodico (detto color) e di uno schema ritmico (detta talea) a una melodia per lo più tratta dal gregoriano che funge da tenor nei mottetti. Questa ripetizione ritmica e melodia è detta isoritmia e i mottetti nei quali si trova applicata sono detti isoritmici.

Il mottetto isoritmico La melodia: il color Il ritmo: la talea

I talea II talea III talea II color I color III color

Philippe de Vitry Fra i primi ad adottare il procedimento dell’isoritmia troviamo Philippe de Vitry (1291 – 1361), compositore, teorico e musicista, nonché professore di Quadrivium all’università di Parigi. Alcuni mottetti a lui attribuiti si trovano nel poema satirico di Gervais de Bus intitolato Roman de Fauvel (dove Fauvel è l’acrostico dei vizi capitali: Flateritie, Avarice, Uilanie, Varieté, Envie e Lachete, ossia adulazione, avarizia, villania, incostanza, invidia, vigliaccheria) redatto fra il 1310– 14, ma ampliato da altra mano nel 1316.

Roman de Fauvel: la musica contenuta All’interno si trovano – oltre ai mottetti – anche brani monodici e polifonici in lingua latina e in volgare. Probabilmente quelli in lingua latina erano un commento all’azione dei personaggi, mentre quelli in volgare erano intonati dagli stessi protagonisti. Pagina decorata del Roman de Fauvel, 1310 Il nome del protagonista, Fauvel, è l'acrostico dei vizi capitali: Flateritie, Avarice, Uilanie, Varieté, Envie, Lascheté

Garrit Gallus: un mottetto, un’allegoria Il mottetto isoritmico dal titolo Garrit Gallus/In nova fert/Neuma è un mottetto politestuale in latino a tre voci. Venne inserito nel poema satirico Roman de Fauvel quando il protagonista, Fauvel torna a casa con la sua sposa Vanagloria, dopo aver apparentemente sconfitto tutti i vizi umani (adulazione, avarizia, villania, incostanza, invidia, vigliaccheria). L’autore - Gervais de Bus – lamenta poi che Fauvel e la sua progenie si siano comunque stabiliti nel “giardino della dolce Francia”. A questo punto viene cantato il mottetto: un’allegoria sulla corruzione nella corte francese di Filippo il Bello.

I criteri del mottetto isoritmico Questo mottetto, rigorosamente isoritmico e costruito secondo i canoni più razionali, dimostra anzitutto come il genere del mottetto fosse diventato un genere colto, riservato agli ambienti universitari; in secondo luogo come la totale mancanza di rapporto fra la poesia e la musica, derivi da una concezione scientifica del far musica, tipica del pensiero medievale: la musica è Ars nel senso di scienza musicale.

Come è costruito musicalmente Il tenor, cioè la linea più grave, si articola isoritmicamente, ovvero prevede un’articolazione della melodia (il color) di 36 note utilizzando una talea, lo schema ritmico, che si ripete per tre volte. La melodia, come era abitudine, viene ripetuta una seconda volta (nello schema viene chiamato color B) Le voci superiori (motetus e triplum), invece, procedono con delle melodie differenti, molto mosse sotto l’aspetto ritmico In qualche caso possiamo trovare anche un contratenor strumentale

Garrit Gallus Nel mottetto in esame a ogni color (e in Garrit abbiamo due ripetizioni dello stesso color) corrispondono tre talee, secondo lo schema seguente: Audio Garrit Gallus

Garrit Gallus: talea e color Questa melodia (che ricorre in altri mottetti di Ph.de Vitry) è chiamata Neuma Quinti Toni

corrispondente a una pausa. Inoltre è palindromo. Garrit Gallus Il tenor del mottetto Garrit Gallus è costruito attorno a un fulcro corrispondente a una pausa. Inoltre è palindromo.

L’incipit dei tre testi del motetus (In nova fert animus mutas dicere formas dracone e del triplum (Garrit Gallus flendo dolorose) Il tenor possiede solo la parola Neuma

La simbologia in Garrit Gallus Enguerrand de Marigny (1260 – 1315) è stato un giurista francese, ministro di Filippo il Bello. E’ la volpe di cui si parla in Garrit Gallus. Filippo IV di Francia, in francese Philippe IV “detto Filippo il Bello” (1268 – 1314), fu re di Francia dal 1285 alla sua morte. E’ il Leone. I galli sono i francesi

Enguerrand de Marigny (1260 – 30 aprile 1315) Giurista francese, ministro di Filippo il Bello. Enguerrand entrò al servizio del segretario di Filippo IV il bello, come scudiero, e venne messo al servizio della regina Jeanne, che lo fece esecutore testamentario. Sposò la di lei figlia, Jeanne de St Martin e nel 1298 ricevette la custodia del Castello di Issoudun. Nel 1304, divenne il gran ciambellano di Filippo il Bello e capo dei suoi ministri. Abile politico, colto e astuto, seppe essere un efficace strumento per i piani di Filippo il Bello. Fu arrestato per ordine di Luigi X, su istigazione di Carlo di Valois, e vennero presentati 28 capi d'accusa, compresa l'accusa di corruzione. Marigny fu condannato all'impiccagione in pubblica piazza a Montfaucon (30 aprile 1315).

Guillaume de Machaut (1300-1305 - 1377) Guillaume de Machaut è certamente la figura più importante dell'Ars Nova. Sappiamo poco della sua biografia, ma è probabile che sia nato a Reims tra il 1300 e il 1305. Tramite una bolla papale (1335) veniamo a conoscenza della sua condizione di chierico e segretario di Giovanni di Boemia, tra i pretendenti della corona del Sacro Romano Impero, ma di fatto un principe francese. Gira l’Europa con la corte di Giovanni di Boemia spostandosi tra Praga, il Lussemburgo, Parigi e Reims (vede tante battaglie e partecipa a molte feste di corte, descritte nelle sue due opere letterarie)

Guillaume de Machaut: nel pieno della Guerra dei Cento Anni (1300-1305 - 1377) Morto Giovanni di Boemia (nella famosa battaglia di Crecy del 1346 in cui i tedeschi aiutarono i francesi contro gli inglesi), passò alla corte di un rivale del re di Francia, ovvero Carlo il Malvagio (uno dei pretendenti alla corona francese, che complottò tutta la vita contro la corte francese, appoggiando gli inglesi; rimase re di Navarra), Machaut si trattenne alla corte di Carlo il Malvagio dal 1346 al 1357. Infine, l’elezione al trono di Carlo V (uno dei nipote di Giovanni di Boemia) lo riavvicinò alla corte reale francese, dove soggiornò dal 1357 alla morte

Guillaume de Machaut (1300-1305 - 1377) Partecipò anche alla Guerra dei Cento Anni (1338-1453) e fu anche richiesto per le sue grandi doti di musicista dalla corte di Edoardo III d’Inghilterra Durante la sua permanenza alla corte del re di Francia (sotto Carlo V) ebbe una relazione sentimentale con una giovane donna, narrata nel romanzo epistolare Voir Dit, il quale contiene anche 8 brani musicali. Nell’altro testo che gli viene attribuito, il Remede de Fortune egli parla della vita di corte, ma è di fatto, un trattato sull’amore.

Guillaume de Machaut (1300-1305 - 1377) Caso forse unico, Machaut dominava sia l'arte musicale che quella letteraria e si serviva della prima per intonare i versi nati dalla seconda. In qualità di poeta-musicista, Machaut ebbe un rapporto esclusivo con se stesso: a differenza dei suoi colleghi compositori, Machaut trovò ispirazione musicale solo nei testi da lui medesimo scritti e non nei componimenti altrui. Particolarmente ricche di suggestione sul rapporto musica e poesia sono due opere poetiche nelle quali la musica si inserisce direttamente nel contesto narrativo: il Remede de Fortune e il Voir dit.

Remede de Fortune Composto attorno al 1342 è un trattato didattico in versi sull'amore e la fortuna. Nel corso del racconto i personaggi sono presentati nell'atto di cantare determinati componimenti musicali. Questo procedimento assai diffuso nella letteratura francese medievale, si arricchisce qui di un particolare certo non trascurabile: nei vari luoghi musicali del racconto, Machaut inserì nel testo i versi e la musica, anche polifonica, delle canzoni intonate dai protagonisti. La funzione primaria di questi pezzi è quella di comunicare espressioni d'amore.

La musica diviene qui un momento di intensificazione dei sentimenti. Voir Dit La musica diviene qui un momento di intensificazione dei sentimenti. La vicenda, scritta da Machaut intorno al 1360, narra la storia di una fanciulla, grande ammiratrice di Machaut, che gli inviò un rondeau. Il pezzo piacque al poeta che a sua volta ricambiò con l'invio di un suo rondeau. La giovane allora gli scrisse una lettera che segna l'avvio di una lunga corrispondenza e di un rapporto amoroso durante il quale i due, divenuti amanti epistolari, si scambiarono poesie di propria composizione.

Machaut ascolta il canto degli uccelli Le immagini Machaut mentre scrive, da un manoscritto del XVI secolo Machaut ascolta il canto degli uccelli

Le immagini Machaut e amore Pagina del Remede de Fortune

La produzione Si tratta di: Le composizioni di Machaut, che adottano le forme tipiche di quel periodo, sono raccolte (spesso insieme ai componimenti poetici) in edizioni manoscritte particolarmente curate, a testimonianza della considerazione nella quale era tenuto dai suoi contemporanei. Si tratta di: 23 mottetti sacri e profani (più un altro dubbio), 42 ballades notée (la struttura è quella della ballata francese) 20 rondeau

33 virelais (è l’unico genere monodico è detto anche chanson balladée) La produzione 33 virelais (è l’unico genere monodico è detto anche chanson balladée) 19 lais (fu l’ultimo compositore e realizzarli; poi il genere scomparve) e sette composizioni similari contenute nel Remède de fortune, due composizioni liturgiche: la Messe de Notre-Dame, a quattro voci (composta nel 1364). E’ la prima messa completa scritta da un solo autore, in un’epoca in cui le Messe erano formate da Introito, Graduale, Alleluja, Offertorio e Communio (scritti da diversi autori come fossero delle antologie) e un hoquetus (stile alternante note e pause).

Ma fin est mon commencement (6’ 17’’) Gli ascolti Rondeau: Ma fin est mon commencement (6’ 17’’) da CD Archiv dell’Orlando Consort (traccia n°13) Brano sofisticato ingegnoso che anticipa lo stile contrappuntistico dei fiamminghi perché concepito specularmente (il titolo contiene in sé questo concetto); Tenor e duplum si invertono; il contratenor è speculare a sé medesimo brano denso di sincopi con alcune battute omoritimiche

Gli ascolti Ballade notée: De Toutes Flours (6’ 46’) da CD Archiv dell’Orlando Consort (traccia n°14) Compattezza delle due voci superiori Linee sinuose della melodia (per Machaut la melodia è l’aspetto più importante della musica; “Vero canto e poesia possono uscire solo dal cuore”) Armonia con diverse 5° parallele, ma subentrano anche 3° e 6°: per noi sono comunque sonorità desuete anche per la presenza di diverse cadenze sospese

Gli ascolti

Gli ascolti

le parti più gravi potevano essere sostituite dagli strumenti. La messa di Notre Dame La messa, composta per la prima volta da un solo compositore, è scritta per quattro voci anziché le solite tre. Machaut aggiunse un controtenore che cantava nello stesso registro basso del tenore, alcune volte sostituendosi ad esso nelle note più basse; le parti più gravi potevano essere sostituite dagli strumenti. La messa fu realizzata sulle cosiddette “parti fisse” comprendenti Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei, seguiti dal Ite Missa Est.

Gli ascolti Ascolto Credo dal Cd Naxos (traccia n°3) (6’35’’) Messa con riferimenti allo stile sillabico del conductus (ma anche impiego molto frequente di sincopi, di procedimenti imitativi e del moto contrario) con delle parti isoritmiche: nel Kyrie, Sanctus, Agnus (traccia n°4) (3’45’’) e nell’ Ite missa est Sembra che già Machaut intraveda in questa messa gli stretti rapporti che possono unire testo e musica. Una ricerca espressiva di tipo figuralista sottolinea i passaggi importanti (omoritmia presenta in Et in terra pax, Jesu Christe, Ex Maria Virgine del CREDO). E’ presente, inoltre, una melodia in tutte le sezioni che funge da elemento unificatore

Gli oppositori Naturalmente le novità portate dall’Ars Nova conobbero molti oppositori: fra questi si citano Jacobus da Liegi che nel trattato Speculum musicae (1330) sosteneva che i valori più piccoli introdotti dagli ars novisti fossero solo un espediente grafico, ma che nella sostanza la loro musica non fosse più veloce di quella dei compositori del passato. Inoltre metteva in dubbio il fatto che la possibilità di alternare ritmo binario e ternario costituisse un arricchimento del discorso musicale.

Gli oppositori Il secondo oppositore fu papa Giovanni XXII che nella Bolla docta sanctorum patrum (1324/25) criticava la polifonia che non salvaguardava l’integrità del testo liturgico ma anche una funzione della musica che non fosse strettamente legata alle pratiche liturgiche. Riportiamo alcune polemiche dalla bolla Docta sanctorum patrum di papa Giovanni XXII (1324-25)

Le polemiche Alcuni discepoli di una nuova scuola, impegnando tutta la loro attenzione a misurare il tempo, cercano con nuove note di esprimere arie inventate solo da loro, a scapito degli altri canti che essi sostituiscono con altri composti di brevi e semibrevi e di note quasi inafferrabili. Essi interrompono le melodie, le rendono effeminate con l'uso del discanto, le riempiono a volte di triple e di volgari mottetti, in modo da giungere spesso a disprezzare i principi fondamentali dell'Antifonario e del Graduale, ignorando i fondamenti stessi su cui costruire, confondendo i toni senza conoscerli. La moltitudine delle loro note cancella i semplici ed equilibrati ragionamenti per mezzo dei quali nel canto piano si distinguono le note una dall'altra.

Le polemiche Essi corrono e non si riposano mai, inebriano le orecchie e non curano gli animi; essi imitano con gesti ciò che suonano, cosicché si dimentica la devozione che si cercava e viene mostrata la rilassatezza che doveva essere evitata. In tal modo non intendiamo impedire che a volte e soprattutto nei giorni di festa, cioè nelle messe solenni e negli offici divini, si ponga sopra il canto ecclesiastico spoglio qualche consonanza che ne sottolinei la melodia, cioè lo si accompagni all'ottava, alla quinta e alla quarta o con consonanze dello stesso tipo, ma sempre in modo che l'integrità del canto stesso rimanga immutata, che nulla sia mutato nel ritmo corretto della musica e soprattutto che si soddisfi lo spirito con l'ascolto di tali consonanze e che non si permetta di intorpidire l'animo di coloro che cantano in onore di Dio.

IL TRECENTO italiano: le due fasi e i due codici

Ars Nova e Riemann Il termine Ars Nova riferito all'Italia fu introdotto da uno studioso contemporaneo, il tedesco Riemann (1849-1919), il quale intendeva con esso sottolineare la notevole e per certi versi sorprendente fioritura di brani polifonici in Italia durante il XIV secolo. Tale fioritura risulta in effetti sorprendente per via del fatto che, prima di questa, l'Italia non sembra aver prodotto alcun esempio di musica polifonica.

L’Ars Nova Italiana secondo Nino Pirrotta

L’Ars Nova Italiana secondo Nino Pirrotta

Ars Nova e le fonti In realtà il problema è controverso in quanto fino al XIV-XV secolo i compositori italiani non registrano le loro composizioni mediante la notazione ma si limitano a comporre e a far circolare le loro opere per trasmissione orale. Non scritte sono le composizioni del Casella (? – Firenze 1299), musicista citato da Dante, né d'altra parte risultano scritti i canti e le ballate che inquadrano le novelle del Decamerone del Boccaccio.

I letterati del ‘300 italiano e i loro rapporti con la musica Dante, Petrarca e Boccaccio ebbero rapporti di vario tipo con la musica e con i musicisti del loro tempo. Nelle sue opere Dante offre testimonianza letteraria (in alcune Rime, ad esempio) ed erudita della musica del suo tempo in Italia. Secondo Boccaccio (Vita di Dante, VIII), Dante “sommamente si dilettò di suoni e di canti nella sua giovinezza e a ciascuno [Casella, Purgatorio II] che a quei tempi era ottimo cantatore e suonatore fu amico”

Dante e la musica Nel Convivio, inoltre, Dante ci descrive gli effetti psico-fisiologici della musica sugli uomini: “La musica tira a sé li spiriti umani, che quasi sono principalmente vapori del cuore, sì che quasi cessano da ogni operazione; sì è l’anima intera quando l’ode”. Situazione analoga suggerita dal secondo canto del Purgatorio da Casella:

Casella e la capacità della musica di portare l’uomo fuori di sé V.106 Dissi allora io: "Se le nuove leggi dell'aldilà non ti hanno privato della memoria, o della facoltà di cantare rime d'amore, con cui riuscivi ad alleviare tutti i miei dispiaceri, ti prego di consolare un poco con una canzone la mia anima, che, giunta fino a questo punto insieme al suo corpo, si è tanto affaticata!" "Amor che ne la mente mi ragion" cominciò ad intonare allora Casella, con tanta dolcezza che ancora adesso posso sentirla dentro di me. Il mio maestro, io e tutte le anime che si trovavano con Casella, sembravano così felicemente rapiti da quel canto, come se la loro mente non fosse attraversata da nessun altro pensiero. Eravamo tutti concentrati ed attenti alla sua musica; quando apparve Catone gridando: "Cosa succede, spiriti pigri? Che negligenza, che ritardo è mai questo? E io: «Se nuova legge non ti toglie memoria o uso a l'amoroso canto che mi solea quetar tutte mie doglie, di ciò ti piaccia consolare alquanto l'anima mia, che, con la sua persona venendo qui, è affannata tanto!». 'Amor che ne la mente mi ragiona' cominciò elli allor sì dolcemente, che la dolcezza ancor dentro mi suona. Lo mio maestro e io e quella gente ch'eran con lui parevan sì contenti, come a nessun toccasse altro la mente. Noi eravam tutti fissi e attenti a le sue note; ed ecco il veglio onesto gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?

Le musiche della Divina Commedia Se l’Inferno è totalmente privo di musica (esistono solo le grida di Caronte e dei dannati), …parole di dolore, accenti d’ira Voci alte e fioche, e suon di man con elle Facevan un tumulto, il qual s’aggira Sempre in quell’aura sanza tempo tinta Come la rena quando turbo spira Inferno, canto III (vv.26-30) Purgatorio e Paradiso vengono attraversati da brani esclusivamente religiosi (oltre alla canzone di Casella, Amor che nella menti mia ragiona) come salmi e inni. Tra questi citerei - sempre nel II canto del Purgatorio - il primo versetto del salmo n°63

Purgatorio, canto II v.43 Da poppa stava il celestial nocchiero, tal che faria beato pur descripto; e più di cento spirti entro sediero. 'In exitu Isräel de Aegypto' cantavan tutti insieme ad una voce con quanto di quel salmo è poscia scripto. Il nocchiero divino (era un angelo) stava a poppa, ed aveva un aspetto tale che basterebbe anche solo ascoltare la sua descrizione per provare gioia; e dentro la barca sedevano più di cento anime. Cantavano tutti insieme'In exitu Isräel de Aegypto', dando vita ad una unica voce, con quanto è poi contenuto in quel salmo.

Paradiso, canto XII Bonaventura da Bagnoregio (un francescano) racconta la storia di San Domenico, splendore di sapienza e saldo comandante nella guerra contro gli eretici. vv. 6 Sì tosto come l'ultima parola la benedetta fiamma per dir tolse, a rotar cominciò la santa mola; e nel suo giro tutta non si volse prima ch'un'altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse; canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel ch'e' refuse. Non appena l'ultima parola fu pronunciata da San Tommaso, il cerchio di anime sante cominciò a ruotare; e non fece in tempo a completare un giro intero che fu subito circondato da un altro cerchio di anime, che accordò a primo il proprio movimento ed il proprio canto; un canto tanto superiore all'arte ed alla dolcezza dei nostri poeti, in quei suoi dolci strumenti, quanto la luce diretta supera quella riflessa.

Le conoscenze musicali di Dante Dante sembra edotto sullo stile musicale dell’epoca perché nel Paradiso (XVII, vv.118-120) fa riferimento allo stile musicale della polifonia. L'altro ternaro [il coro Angelico delle Dominazioni, delle Vitù e delle Potestà], che così germoglia in questa primavera sempiterna che notturno Arïete non dispoglia, perpetüalemente 'Osanna' sberna con tre melode, che suonano in tree ordini di letizia onde s'interna.

Paradiso, canto VIII: l’organum melismatico vv. 13 Io non m'accorsi del salire in ella; ma d'esservi entro mi fé assai fede la donna mia ch'i' vidi far più bella. E come in fiamma favilla si vede, e come in voce voce si discerne, quand' una è ferma e altra va e riede In non mi accorsi di stare salendo nel terzo cielo; ma mi rese poi certo di trovarmi là il vedere Beatrice ancora più bella e splendente. E come all'interno di una fiamma si vedono le scintille, o in un coro si riesce a distinguere una singola voce, quando una tiene la nota mentre l'altra gorgheggia,

Dante e Sant’Agostino

Boccaccio, Decameron, I novella «Le vivande dilicatamente fatte vennero e finissimi vini fur presti: e senza piú, chetamente li tre famigliari servirono le tavole. [106] Dalle quali cose, per ciò che belle e ordinate erano, rallegrato ciascuno, con piacevoli motti e con festa mangiarono.» «E levate le tavole, con ciò fosse cosa che tutte le donne carolar sapessero e similmente i giovani e parte di loro ottimamente e sonare e cantare, comandò la reina che gli strumenti venissero; e per comandamento di lei, Dioneo preso un liuto e la Fiammetta una viuola, cominciarono soavemente una danza a sonare; [107]per che la reina con l'altre donne insieme co' due giovani presa una carola, con lento passo, mandati i famigliari a mangiare, a carolar cominciarono; e quella finita, canzoni vaghette e liete cominciarono a cantare.»

Petrarca: musicato solo da Jacopo da Bologna Non concede nessuna descrizione di una qualsiasi esperienza musicale, ma fu amico di importanti musicisti come Philippe de Vitry. Nel canzoniere, peraltro, sono contenute alcune ballate e madrigali che non sappiamo se fossero stati musicati, tranne Non al suo amante di Jacopo da Bologna Solo durante il Cinquecento i sonetti di Petrarca riscossero grande successo con i madrigalisti.

…e nell’arte figurativa Andrea da Firenze, Giardino d'amore

Giotto, Banchetto d'Erode nell’arte figurativa Giotto, Banchetto d'Erode

…e nell’arte figurativa Simone Martini, San Martino armato cavaliere – particolare

Marchetto da Padova Eppure il sistema musicale mensurale che vedrà la luce fra il 1318 e il 1326 per opera di un teorico italiano, Marchetto da Padova («maestro di canto» del Duomo di quella città, vissuto tra la fine del '200 e l'inizio del '300), sembra indicare la presenza di una pratica polifonica consolidata e soprattutto di numerosi e intensi contatti con la cultura musicale francese. In effetti non è un caso che Marchetto provenisse da Padova, centro di molteplici rapporti con l'ambiente francese in special modo all'interno dell'Università. Sappiamo infatti che studenti francesi frequentavano l'università veneta e sappiamo anche di insegnanti che a lungo soggiornarono - prima di iniziare i loro insegnamenti a Padova - a Parigi.

Il Pomerium e Lucidarium Un episodio importante è rappresentato dall'apparizione, in una data imprecisata fra il 1318 e il 1326, del trattato di Marchetto da Padova intitolato Pomerium (Frutteto, titolo metaforico derivato da pomus, che significa 'melo'); che espone un sistema di notazione mensurale diverso da quello francese, più elaborato di quello franconiano ma meno progredito di quello di Philippe de Vitry. Rispetto a quest'ultimo il sistema di Marchetto, che rimarrà in uso nella polifonia italiana per i primi due terzi del secolo, si mostra meno razionale e organico, ispirato a criteri più pratici. L’altro trattato di Marchetto è il Lucidarium

imperfezioni perfezioni

Antonio da Tempo: Delle rime volgari A Padova, oltre a Marchetto, visse Antonio da Tempo, che nel 1332 scrisse e dedicò ad Alberto della Scala Delle rime volgari, un trattato di metrica che codificò le principali forme poetiche del tempo, comprese quelle destinate ad essere musicate, ed acquistò grande autorità presso i poeti e i compositori.

L’ars nova italiana: solo per un ristretto circolo Una vera fioritura artistica della polifonia italiana è documentata solo a partire circa dal 1340. Nonostante il gran numero di musiche pervenute e ascritte a vari compositori, si trattò comunque di un'arte assai meno diffusa nella società di quanto non fosse quella francese, che, partita dalle università, aveva conquistato gli ambienti cortesi: l'ars nova italiana, praticata per lo più da ecclesiastici e da pubblici funzionari, limitò la sua circolazione a ristretti cenacoli di intenditori, mentre la musica preferita dagli ambienti mondani e più frivoli, quella delle «allegre brigate» della società cittadina italiana, a cui per esempio accenna Boccaccio nel Decameron, era monodica e consisteva in ballate, canzoni e danze strumentali, la cui musica è pervenuta in misura assai scarsa, giacché di norma la monodia non si metteva per iscritto.

Infine il codice Faenza Le fonti I tre principali codici che ci riportano le musiche dell’ars nova sono: Codice Squarcialupi contenente madrigali, cacce e ballate datate tra il 1340 e il 1415. Si tratta di un codice – riccamente miniato – che contiene 352 brani, che fu realizzato tra il 1410 e il 1415 e che appartenne all’organista fiorentino Antonio Squarcialupi (non vi sono peraltro sue composizioni all’interno). Codice Rossi – custodito nella Biblioteca Vaticana e datato attorno al 1350 – con 37 brani (di cui 30 madrigali) Infine il codice Faenza

Le zone di diffusione dell’ars nova italiana La prima zona di diffusione della polifonia italiana trecentesca è rappresentata da alcune città dell'Italia settentrionale, dove la nuova musica fu apprezzata dai rispettivi signori: Mastino II della Scala, di Verona, suo fratello Alberto, di Padova, e Luchino Visconti di Milano (ma anche Modena e Perugia) E' fra queste città che si colloca l'attività dei primi arsnovisti: Jacopo da Bologna e Giovanni da Cascia (detto anche Iohannes de Florentia; Cascia è un villaggio presso Firenze), che attorno alla metà del secolo, realizzarono con i musicisti veronesi gare musicali, componendo musiche sugli stessi testi.

Il madrigale: l’etimologia Durante questa prima fase dell'ars nova la forma più in uso fu il madrigale. L'etimologia della parola è incerta: forse deriva da «matricale», che significa «nella lingua madre»; forse deriva da materialis (l’opposto di formalis) perché un tipo di poesia lontana da regole formali meno probabilmente da «mandria». Quest'ultima etimologia, accreditata già nel '300, fa pensare a un genere di origine agreste e trova un riscontro nel carattere un po' rudimentale dello stile poetico e dello svolgimento polifonico dei più antichi madrigali, anonimi, risalenti ai primi decenni del secolo.

Il madrigale era una forme fixe: a una serie di strofe di numero variabile (da due a quattro), formate da tre versi ciascuna, sulle quali si ripeteva la prima sezione musicale, seguiva il cosiddetto ritornello, formato da uno o due versi, su cui si cantava la seconda sezione musicale, piuttosto breve, spesso contrastante metricamente con la prima, perché si presentava con una diversa «divisio».

I madrigali di Giovanni da Cascia e di Jacopo da Bologna I madrigali di Giovanni da Cascia e di Iacopo da Bologna hanno un carattere assai diverso dalla contemporanea musica francese: nei testi - lontani dai motivi lirici di tradizione cortese (che in Italia invece si ritrovano nella poesia del «dolce stil novo» e nelle ballate monodiche) - e tendenti alla sentenziosità, talvolta alla satira, oppure alla descrizione naturalistica; e nella musica, che con la sua fluida e spontanea cantabilità, priva di complicazioni ritmiche e svolta attraverso un limpido fraseggio ben delineato dalle cadenze armoniche, trova nell'agile sistema ritmico-notazionale di Marchetto un interprete assai adatto;

I madrigali di Giovanni da Cascia e di Jacopo da Bologna In particolare all'inizio e alla fine di ogni verso, vi sono melismi assai ricchi, tipici dell'ars nova italiana, mentre al centro, soprattutto in Giovanni da Cascia ci si avvicina allo stile sillabico (così il testo viene messo in particolare evidenza, diversamente da quanto avviene in Machaut). Il madrigale era solitamente a 2 voci; la voce inferiore, meno melismatica, tendeva ad assumere una funzione di sostegno armonico; la presenza di imitazioni fra le voci fa però supporre un'esecuzione totalmente cantata. Ascoltiamo Fenice fu di Jacopo da Bologna (Norton CD II- n°23) in rosso la strofa in verde il ritornello

Fenice fu di Jacopo da Bologna Caratteristiche: Vox superior maggiormente fiorita Imitazioni a bb.7-9 e 24-25 (cerchio rosso) Hochetus a b.9-11 (cerchio in azzurro) Cambio di metro ritmico (2/4; ¾) tra strofa e ritornello (cerchio in nero)

La caccia Un altro rappresentante della prima generazione di musicisti dell'ars nova italiana è un certo Piero, probabilmente di origine veneta; se nei suoi madrigali si nota la progressiva applicazione di procedimenti canonici, coronamento della sua produzione sono le cacce con cui si inaugura questa forma, assai tipica del '300 italiano. La caccia è un pezzo a 3 voci, di cui le 2 superiori si svolgono a canone, mentre quella inferiore, chiamata tenor, ha carattere strumentale di sostegno; il termine è dovuto al fatto che i testi, di carattere descrittivo e onomatopeico, descrivono scene di movimento, come giochi all'aperto, mercati o, appunto, scene di caccia;

La caccia Straordinari risultano così gli effetti prodotti dal vivace rincorrersi delle due voci che si imitano e dalla varietà e dall'incisività dei ritmi, spesso frazionati in hoquetus. Proprio in omaggio al suo scopo descrittivo, la caccia non è una forme fixe, ma si concede un andamento sempre libero e asimmetrico. Ascoltiamo Tosto che l’alba di Gherardello da Firenze (scaricata da internet)

Interruzione dell’Ars Nova Cessato il regno di Luchino Visconti e di Mastino II della Scala, la fortuna dell‘Ars Nova sembra interrompersi a Milano e a Verona, mentre a Firenze, poco dopo la metà del secolo, si assiste a un'abbondante fioritura di musica polifonica profana (tanto da avere indotto gli studiosi a ritenere, fino a poco tempo fa, che l'ars nova fosse un fenomeno tipicamente fiorentino, da riconnettere al «dolce stil novo»).

L’ars nova fiorentina: solo musica profana Caratteristica precipua dell'ars nova fiorentina, intesa quasi come un trattenimento per pochi appassionati (fra l'altro fuori di Firenze essa ebbe scarsissima notorietà), era la riservatezza dovuta anche al fatto che in Italia quella musica costituiva ancora un fenomeno d'avanguardia, ed è interessante, a questo proposito, notare che i musicisti fiorentini, pur essendo quasi tutti degli ecclesiastici, si cimentarono assai raramente nella composizione polifonica di brani dell'Ordinario della Messa. I principali musicisti furono: Gherardello da Firenze (morto nel 1362), Lorenzo Masini da Firenze (morto nel 1372), Vincenzo da Rimini, poco più tardi Donato da Cascia, Nicolò del Preposto da Perugia, autore anche di cacce e Francesco Landini

Francesco Landino o Landini (1325-1397) detto “il cieco degli organi” Landino fu il più celebre musicista dell'ars nova italiana e fra i «fiorentini» l'unico ben conosciuto fuori di Firenze; cieco dalla nascita (a causa del vaiolo), più degli altri compositori sembra essersi dedicato alla musica come a una professione:

Francesco Landini (1325-1397) E’ famoso per le ballate polifoniche, (oltre 140 ballate a 2 e a 3 voci, scrisse anche madrigali, 1 caccia e 1 virelai) ma fu valente organista, consulente per la costruzione e il collaudo di nuovi organi e di nuovi strumenti, poeta (nella tradizione fiorentina dello «stil novo», amico di Francesco Petrarca: sappiamo di un suo certamen poetico) ed ebbe interessi filosofici (si sa di un suo soggiorno a Venezia, dove probabilmente scrisse mottetti). Solenni esequie tributate per la sua morte; importante bassorilievo sulla sua tomba; ricordato dallo storico Filippo Villani e dall’umanista Coluccio Salutati.

Landini inventore di strumenti: serene serenarum Sappiamo che Landini realizzò il serene serenarum, un organetto con delle corde aggiunte: diventerà il claviorgano)

Francesco Landini: lo stile delle ballate Francesco Landini o Landino (1325-1397), trasferì poi i contenuti lirici della ballata monodica nella ballata polifonica e successivamente passò, da 2, a 3 voci per accogliere la subtilitas e la complessità tecnica tipicamente francesi, pur senza contemplare le arditezze compositive di Machaut.

Breve storia della ballata La ballata inizia a fiorire dopo le altre forme dell’ars nova tra il 1360 e il 1390. Prima è monodica, poi diventa polifonica. La ballata monodica nasce come accompagnamento del ballo in tondo con l’alternarsi di un solista e di un coro. Un esempio di ballo in tondo si trova negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, il Buono e il cattivo governo del palazzo pubblico di Siena: Nove ragazze si tengono per mano danzando in circolo, mentre la decima suona un tamburello e intona un canto.

Breve storia della ballata Inizialmente fu una prassi improvvisativa, poi le ballate furono messe per iscritto imitando probabilmente il virelai francese. Contenuti: testi di carattere amoroso, dedicati alla donna amata Forma poetica: Ripresa da 1 verso a 4 versi (più spesso sono 2) Stanza costituita da 2 piedi (mai però superiori alla ripresa) Volta (numero di versi identico alla ripresa) Forma musicale: A (in rosso) B (in azzurro) come il virelai

Breve storia della ballata Organico: dal 1365 da una passa a 2 voci (simili al madrigale); poi evolverà in tre voci con tre possibilità differenti: Due voci e controtenor strumentale Tre voci Una voce e le due sottostanti strumentali Ascolto: Per tropo fede, anonimo (fonte Codice Rossi) (scaricata da internet)

Le ballate di Landino Nella sua produzione si nota la schiacciante prevalenza di questa forma: 140 ballate contro 10 madrigali. Quelle a 2 voci, ancora vicine all'ars nova italiana tradizionale, sono moderatamente melismatiche e prevedono l'intervento della voce umana anche per la voce inferiore, che talvolta imita quella superiore; quelle a 3 voci, più tarde, accentrano l'interesse melodico nella voce superiore (stile «a cantilena»), e come le opere di Machaut scritte nelle formes fixes presentano l'ouvert e il clos nelle terminazioni dei «piedi» e sono ricche di ricercatezze contrappuntistiche.

Le ballate di Landini Altri atteggiamenti di ascendenza francese sono l'uso di testi diversi per le varie voci di uno stesso pezzo (in una ballata e in un madrigale a tre voci ), e l'isoritmia (in un madrigale). Si nota nelle ballate, in confronto ai madrigali dello stesso Landino, una certa preferenza per gli intervalli armonici di terza e di sesta, (influenza inglese) in luogo della quarta e della quinta, che cominciavano a essere sentite come un poco dure e asciutte.

La cadenza alla Landino Allo stesso gusto per una vaga dolcezza sonora, tinta di atmosfera elegiaca, corrisponde la celebre cadenza chiamata alla Landino perché egli fu il primo a usarla molto frequentemente: essa consiste nell'ornare il movimento cadenzante, comune nella polifonia medievale, della sesta che risolve sull'ottava, interponendo la quinta; come risultato si ha un settimo grado che prima di salire al primo scende al sesto, formando in quel momento col basso un intervallo di quinta, consonanza perfetta. La «cadenza alla Landino» sarà comunissima presso i maestri borgognoni del '400.

La cadenza alla Landino La voce superiore raggiunge la fondamentale con la successione VII grado (sensibile, spesso ribattuta) - VI grado - VIII grado. La voce più grave scende dal II al I grado, mentre l'eventuale voce intermedia, sale dal IV al V grado. Secondo le regole della musica ficta, occorre alterare il IV grado per evitare il tritono con il VII grado della voce alta, e per questa ragione si parla talvolta di doppia sensibile[

Ecco la primavera di Landini Ascolto Ecco la primavera da CD Repubblica, brano n°1 Introduzione strumentale

Il mottetto «dallo stile italiano» Quanto al mottetto, si conoscono pochissimi esempi di compositori italiani: tre mottetti sono opera di Marchetto da Padova (uno fu scritto per la dedicazione della Cappella degli Scrovegni, nel 1305); uno è di Jacopo da Bologna, e si discosta dalla tradizione francese per l'uso di un tenor di nuova invenzione e senza isoritmia; altri sono poi frammenti di mottetti composti in onore dei dogi veneziani, anch'essi indipendenti dallo stile francese (onde si può supporre che l'Italia settentrionale abbia conosciuto nel '300 una fioritura di mottetti con caratteristiche tipiche, oggi perduti).

Gli ultimi rappresentanti Gli ultimi rappresentanti dell'ars nova fiorentina furono Andrea dei Servi (o Andreas de Florentia, morto nel 1415) e Paolo Tenorista da Firenze (morto nel 1419): nella loro produzione i caratteri del moderno «stile misto» si affiancano a persistenze stilistiche dell'ars nova italiana più tradizionale. Nell'Italia settentrionale la seconda metà del '300 è dominata da Bartolino da Padova (forse vissuto a Firenze), la cui musica, pur rimanendo fedele alla notazione di Marchetto, presenta ritmi sincopati d'impronta francese.

Gli strumenti Contraddizione: in chiesa era consentito solo l’uso dell’organo, mentre erano vietati tutti gli altri strumenti impiegati da menestrelli e giullari (ribeca, viella, citola, bombarde….), anche se esiste una ricca iconografia con figure bibliche (Re Davide, Madonna, gli Angeli) che suonano vari strumenti, ma spesso sono immagini idealizzate. Sappiamo, inoltre, che durante le messe solenni e le processioni potevano essere impiegati strumenti a fiato come trombe, cornetti, bombarde e flauti Di questo divieto ci parla Gil de Zamora (che operò in Francia e in Spagna) nel trattato Ars musica

Anche Machaut prevedeva l’impiego di strumenti nella sua musica. Gli strumenti Sappiamo, inoltre, che vennero impiegati strumenti per le esecuzioni delle Cantigas de Santa Maria Ambito profano: Sappiamo che per la musica profana venivano impiegati strumenti come la viella, la ribeca, la citola, vari strumenti a fiato e percussioni di differenti fogge. Letterati come Boccaccio parlano dell’uso della viella (Decameron), mentre Villani e Salutati raccontano le esecuzioni di Landini. Anche Machaut prevedeva l’impiego di strumenti nella sua musica.

La musica da danza Forme di danza furono: Estampida Saltarello Trotto Rotta, danza veloce che segue (rompe il precedente ritmo lento) una danza lenta N.B. Da non confondersi la rotta dalla crotta/rotta come strumento musicale

Gli strumenti Altri strumenti: arpa, salterio, liuto, gittern (vicino parente del liuto), e viella. La viella (a sinistra) era uno strumento a cinque corde capace di riprodurre la scala guidoniana.

Gli strumenti Gli strumenti a fiato alla corte di re Charles V (1378)

Gli strumenti: l’organo positivo