Maria Romana Allegri Corso a. a. 2017-2018 ESPRIMERSI, COMUNICARE, INFORMARE ED INFORMARSI IN UNA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE
Nozioni etimologiche COMUNICAZIONE , dal latino communicare (mettere in comune), derivato da cum + munis (ufficio, carica, dovere, funzione). COMMUNIO (comunità), dal greco koinomia INFORMAZIONE, dal latino informare (dare forma, modellare), cioè plasmare la realtà e la sua percezione. Quindi, la comunità umana è tenuta insieme dallo scambio di informazioni, perché così si costruisce una comune rappresentazione del mondo.
Nozioni etimologiche DIRITTO , dal latino dirigere (reggere, guidare). LEGGE, dal latino lex - legis, che ha la stessa radice di ligare (legare, obbligare). Infatti le regole del diritto sono vincolanti. Esse sono quindi dei COMANDI. Non a caso, la parola DIRITTO in Latino si diceva ius, che ha la stessa radice di iubere (comandare, ordinare). Questi comandi non sono arbitrari, ma tendono verso la GIUSTIZIA (in Latino iustitia, stessa radice di ius). Quindi c’è identità fra DIRITTO e GIUSTIZIA, come nel tedesco Recht o nell’inglese right.
Da queste nozioni etimologiche si deduce che: IL DIRITTO DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE E’ QUELL’INSIEME DI REGOLE (GIURIDICHE) ATTRAVERSO CUI L’ATTIVITA’ UMANA DEL COMUNICARE/INFORMARE E’ ORIENTATA VERSO UN IDEALE DI GIUSTIZIA. IN UN ORDINAMENTO COSTITUZIONALE, QUESTO IDEALE E’ ESPRESSO DAI PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE.
La libertà di espressione L’art. 21 Cost. La libertà di espressione
L’art. 21 Cost.: il testo Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
L’art. 21 Cost.: il commento Incentrato sulla disciplina della stampa (come l’art. 28 dello Statuto albertino) nonostante l’importanza che già allora avevano gli altri mezzi di comunicazione. Reazione all’esperienza fascista: disposizione tesa ad arginare indebite ingerenze dei pubblici poteri valorizzato l’aspetto “negativo” della libertà di espressione (atteggiamento retrospettivo del costituente). Il ruolo attivo dello Stato appare invece sfumato: possibilità (non obbligo) per il legislatore di imporre alle imprese editoriali obblighi di trasparenza in relazione alle fonti di finanziamento. Assenza di riferimento al valore del pluralismo dell’informazione e al profilo passivo della libertà di espressione, anche se ciò può essere dedotto per via interpretativa. Al Costituente è mancata la percezione del nesso fra disciplina dell’informazione e democrazia.
lo Statuto albertino (1848) Antecedenti storici: lo Statuto albertino (1848) Impostazione liberale e giuspositivistica Art. 28: La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi
Novità della Costituzione repubblicana rispetto allo Statuto albertino: Rigidità: garanzie giuridiche contro gli eventuali “abusi” del legislatore; sottrazione di determinate decisione alla “dittatura della maggioranza” Dimensione partecipativa: da sudditi a cittadini Principio di uguaglianza sostanziale: ruolo attivo dello Stato nella promozione dei diritti (Stato sociale); ampliamento del catalogo dei diritti (non solo libertà negative, ma anche libertà positive) Nuove garanzie a tutela dei diritti: riserva di legge (tassatività dei limiti) e riserva di giurisdizione
Raffronto con l’art. 5 della Costituzione tedesca (23 maggio 1949) (I) Ognuno ha diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di informarsi, senza essere impedito, da fonti accessibili a tutti. Sono garantite la libertà di stampa e d'informazione mediante la radio ed il cinematografo. Non si può stabilire alcuna censura. (II) Questi diritti trovano i loro limiti nelle disposizioni delle leggi generali, nelle norme legislative concernenti la protezione della gioventù e nel diritto della persona al suo onore.
La libertà di espressione Art. 21 Cost., comma 1: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Rientra fra i diritti inviolabili dell’uomo di cui all’art. 2 Cost., quindi è irrinunciabile, inalienabile, intrasmissibile, imprescrittibile e sottratto alla revisione costituzionale.
Corte Cost., sentenza n. 122/1970 I diritti dell’uomo contemplati nell’art. 2 Cost. sono erga omnes (assoluti). Lo è in particolare il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, garantito dall’art 21 Cost., non solo nei confronti dei pubblici poteri ma anche per quanto attiene ai rapporti fra privati. «… non é lecito dubitare che la libertà di manifestare il proprio pensiero debba imporsi al rispetto di tutti, delle pubbliche autorità come dei consociati, e che nessuno possa recarvi attentato senza violare un bene assistito da rigorosa tutela costituzionale».
LIBERA ESPRESSIONE DEL PENSIERO RIVOLTA A DESTINATARI INDETERMINATI Fondamento costituzionale = art. 21 Cost., comma 1 Destinatari = tutti (non solo i cittadini e non solo le persone fisiche) Profilo attivo = diritto di esprimersi, comunicare, informare Corollario: libertà di cronaca Profilo negativo = diritto al silenzio Corollario: diritto alla riservatezza Profilo passivo = diritto a ricercare e ricevere informazioni (essere informati) Corollario: pluralismo dell’informazione
LIBERA ESPRESSIONE DEL PENSIERO RIVOLTA A DESTINATARI DETERMINATI E INFUNGIBILI Fondamento costituzionale = art. 15 Cost. La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Profilo attivo = diritto di comunicare Profilo negativo = diritto di non comunicare Profilo passivo = diritto di ricevere comunicazioni Corollario: riservatezza
A chi è attribuito il diritto di manifestazione del pensiero? A tutti, cioè cittadini e stranieri, singoli e formazioni sociali (art. 2 Cost.) Questo diritto ha una diversa estensione in relazione alle caratteristiche del soggetto titolare? No, la garanzia è identica per tutti, con le uniche eccezioni costituzionalmente ammesse dei membri del Parlamento (art. 68 Cost.) e dei Consigli regionali (art. 122 Cost.): essi non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (insindacabilità). La libertà di manifestazione del pensiero riguarda solo il proprio pensiero? No, riguarda anche il pensiero altrui fatto lecitamente proprio, le notizie e i fatti di attualità, le conoscenze e in genere le informazioni.
Quali sono gli aspetti esclusi dalla garanzia di cui all’art. 21 Cost.? La comunicazione interpersonale (art. 15 Cost.). 2) Tutto ciò che non è puro pensiero, ma si concretizza in un incitamento all’azione, come ad esempio l’istigazione, l’apologia e la propaganda. In questi casi, il legislatore ordinario ha la facoltà di vietarne alcune forme ritenute incompatibili con l’ordinamento costituzionale (es. istigazione a delinquere, apologia di reato, propaganda sovversiva e antinazionale). Si vedano in proposito le sentenze della Corte costituzionale n. 120/1957 e n. 100/1966.
3) Le notizie false (fake news) Il “subiettivamente falso” va escluso dalla garanzia dell’art. 21 Cost., e pertanto il legislatore è libero di limitare le manifestazioni del pensiero non corrispondenti alle interiori persuasioni di chi lo manifesta (Esposito, Pace). Art. 656 c.p. punisce con pene reclusive (3 mesi) o pecuniarie (max 309 euro) «chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico». Corte costituzionale, sent. 19/1962: la finalità dell’art. 656 c. p. è quella di preservare l’ordine pubblico, che è un bene collettivo «inteso nel senso di ordine legale su cui poggia la convivenza sociale», ovvero come «preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale, instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a renderle inoperanti mediante l’uso o la minaccia illegale della forza».
4) Le espressioni di odio (hate speech) Divieto di ogni discriminazione (art. 14 Cedu e art. 3 Cost.) Decisione-quadro 2008/913/GAI,che impegna gli Stati membri dell’UE a sanzionare penalmente i comportamenti di stampo razzista e xenofobo, in particolare «l’istigazione pubblica alla violenza o all’odio nei confronti di un gruppo di persone, o di un suo membro, definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica», nonché «l’apologia, la negazione o la minimizzazione grossolana dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra», quando però tali comportamenti siano posti in essere in modo atto a istigare alla violenza o all’odio nei confronti di gruppo – o di un suo membro – «definito in riferimento alla razza, al colore, alla religione, all’ascendenza o all’origine nazionale o etnica».
Hate speech (segue) La legge n. 654/1957 (ratifica di Convenzione di New York sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale), punisce con pene reclusive chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, ovvero istiga a commettere o commette atti di violenza o di provocazione alla violenza, nei confronti di persone perché appartenenti a un gruppo nazionale, etnico o razziale (art. 3 comma 1). La legge n. 115/2016 ha aggiunto un nuovo comma che prevede la reclusione (2-6 anni) nei casi in cui la propaganda, l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondino «in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra». Punite solo le opinioni “negazioniste” da cui derivi concretamente propaganda, istigazione o incitamento alla violenza o alla discriminazione.
Hate speech (segue) Legge n. 71 del 2017 volta a contrastare il cyberbullismo, cioè «qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni» (art. 1 comma 2). Non sanzioni penali, ma misure educative e preventive nonché procedure di notice-and-take-down. Reato di atti persecutori (in cui rientra anche lo stalking) introdotto con decreto legge n. 11/2009: «chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita» (art. 612 bis c. p.).
La pubblicità commerciale è una forma di espressione tutelata dall’art La pubblicità commerciale è una forma di espressione tutelata dall’art. 21 Cost.? Si, secondo alcuni (es. Zaccaria). Ma la tendenza dominante (espressa anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 231/1985) è quella di ricondurre la pubblicità alla sfera regolata dall’art. 41 Cost. (libertà di iniziativa economica). Le due diverse visioni corrispondono ad impostazioni radicalmente diverse. Se si ricollega la pubblicità all’art. 21, le potenzialità dell’espressione sono molto ampie, tranne il necessario rispetto del limite del buon costume. Se invece ci si riferisce all’art. 41 Cost., il limite del buon costume non si applica, ma la pubblicità, come ogni altra forma di iniziativa economica privata, «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana».
L’art. 21 Cost. non menziona esplicitamente la libertà di informare e di informarsi: esiste un fondamento costituzionale del diritto di cronaca? Tutti gli interpreti sono sempre stati d’accordo nel ritenere che, anche se la parola “informazione” non compare nel testo dell’art. 21, la libertà di manifestazione del pensiero comprenda anche la divulgazione di opinioni, notizie, informazioni. Tra l’altro, ciò è sancito dall’art. 10 CEDU (vedi slides successive). Quindi il diritto di cronaca è costituzionalmente tutelato, pur con le necessarie limitazioni per assicurare il contemperamento con altri valori costituzionalmente protetti (es. quello della riservatezza, quello del regolare funzionamento della giustizia etc.)
Quali altre norme della prima parte della Costituzione si ricollegano all’art. 21 Cost.? Art. 15 (libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione) Art. 17 (libertà di riunione) Art. 18 (libertà di associazione) Art. 19 (libertà di religione) Art. 30 (diritto/dovere dei genitori di istruire, mantenere, educare i figli) Art. 33 (libertà di arte, scienza e insegnamento) Art. 39 (libertà di organizzazione sindacale) Art. 48 (libertà e segretezza del voto) Art. 49 (libertà di associazione in partiti politici) Art. 50 (diritto di petizione)
L’ordinamento costituzionale italiano è integrato, per quanto riguarda i diritti e le libertà fondamentali, dalle Carte internazionali dei diritti, per il tramite dell’art. 2 Cost.: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. E anche per il tramite dell’art. 10 Cost., primo comma: L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. E dell’art. 11 Cost.: L’Italia ...... consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.....
Raffronto con l’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.
Raffronto con l’art. 10 della CEDU (1950) Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione. 2. L'esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l'integrità territoriale o per la pubblica sicurezza, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario.
Raffronto con l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000) 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. 2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati.
Il diritto dell’informazione/della comunicazione è di matrice prevalentemente giurisprudenziale. E’ stata la Corte costituzionale che, nel tempo, con numerose importanti sentenze, ha sancito: la rilevanza dell’informazione ai fini dell’attuazione del principio democratico; la libertà di divulgazione delle notizie e il diritto di cronaca; il profilo passivo del diritto all’informazione (necessità del pluralismo delle fonti per una completa e obiettiva informazione del cittadino). Il diritto all’informazione, in tutti i suoi aspetti, può essere considerato non solo una libertà individuale, ma anche un diritto sociale fondamentale (secondo comma dell’art. 3 Cost.)
L’utilizzo dei mezzi di manifestazione del pensiero Il primo comma dell’art. 21 Cost. non significa che di fatto tutti debbano avere la materiale disponibilità di tutti i possibili mezzi di diffusione, ma che debba essere garantito a tutti il “libero uso” di essi, cioè la possibilità giuridicamente garantita di disporne, usarne e accedervi in condizioni di uguaglianza. Su tale principio concorda la dottrina costituzionalistica, avallata da varie pronunce in tal senso della Corte costituzionale (59/1960, 48/1964, 11/1968) La disciplina dei mezzi, quindi, può essere differenziata per via legislativa, ma deve comunque essere tesa a realizzare nel miglior modo possibile il principio pluralistico espresso nell’art. 21 Cost. La Corte costituzionale può essere chiamata a sindacare la congruità di tale disciplina rispetto alla Costituzione.
La libertà di espressione: profilo negativo Ciascuno ha il diritto anche di NON esprimere le proprie idee, opinioni e conoscenze. Anche se non chiaramente specificato, la dottrina costituzionalistica ritiene che il profilo negativo sia inerente a qualsiasi diritto di libertà costituzionalmente tutelato. Inoltre, la Costituzione fa riferimento alla segretezza della corrispondenza (art. 15) e alla segretezza del voto (art. 48). Si parla in questo caso di “diritto al silenzio”. Eventuali obblighi di espressione del proprio pensiero o delle proprio conoscenze potranno essere imposti dalla legge, in base a criteri di ragionevolezza, solo in correlazione a valori o doveri di rilevanza costituzionale. Si pensi ad esempio all’obbligo per il giornalista di rivelare le fonti di informazione se richiesto dal giudice perché necessario all’accertamento dei fatti.
Il profilo passivo della libertà di informazione La Costituzione italiana non è attenta al profilo passivo della libertà di informazione (diritto ad essere informati). Tale principio è stato desunto per via interpretativa dalla Corte costituzionale. Esso è inoltre sancito in atti di diritto internazionale, cui l’ordinamento giuridico italiano deve conformarsi (ex artt. 10 e 11 Cost.). Tale necessaria conformità vale ancor di più se si interpreta l’art. 2 Cost. come “catalogo aperto” di diritti (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale).
Il profilo passivo: il diritto di essere informati Corte costituzionale, sent. 105/1972 (in tema di riposo settimanale per gli addetti delle aziende editrici e stampatrici): «... deve riconoscersi che il particolare regime dettato per la stampa periodica, per le agenzie di notizie ed altrettanti mezzi di diffusione del pensiero contrasta con l'art. 21 Cost., che solennemente proclama uno tra i principi caratterizzanti del vigente ordinamento democratico, garantendo a "tutti" il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero "con ogni mezzo di diffusione" e dettando per di più ulteriori e specifiche norme a tutela della stampa, quale mezzo di diffusione tradizionale e tuttora insostituibile ai fini dell'informazione dei cittadini e quindi della formazione di una pubblica opinione avvertita e consapevole».
Il profilo passivo: il diritto di essere informati (segue) Corte costituzionale, sent. 94/1977 (in tema di competenza regionale ad emanare norme in materia di informazione): Viene confermata la riserva legislativa statale in materia perché «non é dubitabile che sussista, e sia implicitamente tutelato dall'art. 21 Cost., un interesse generale della collettività all'informazione, di tal che i grandi mezzi di diffusione del pensiero (nella più lata accezione, comprensiva delle notizie) sono a buon diritto suscettibili di essere considerati nel nostro ordinamento, come in genere nelle democrazie contemporanee, quali servizi oggettivamente pubblici o comunque di pubblico interesse».
Il profilo passivo: il diritto di essere informati (segue) Corte costituzionale, sent. 112/1993 (in tema di sistema radiotelevisivo) «Questa Corte ha da tempo affermato che il "diritto all'informazione" va determinato e qualificato in riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale. »
Il diritto ad essere informati e il principio del pluralismo informativo Corte costituzionale, sent. 225/1974 (in tema di legittimità della riserva allo Stato del sistema radiotelevisivo): «La radiotelevisione adempie a fondamentali compiti di informazione, concorre alla formazione culturale del paese, diffonde programmi che in vario modo incidono sulla pubblica opinione e perciò é necessario che essa non divenga strumento di parte». Secondo la Corte, è fondamentale che le trasmissioni radiotelevisive «rispondano alla esigenza di offrire al pubblico una gamma di servizi caratterizzata da obbiettività e completezza di informazione, da ampia apertura a tutte le correnti culturali, da imparziale rappresentazione delle idee che si esprimono nella società».
Il pluralismo informativo (segue) Corte cost., sent. 155/2002 (in tema di par condicio) Il diritto all’informazione garantito dall’art. 21 Cost. deve essere caratterizzato «sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie - così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti - sia dall'obiettività e dall'imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell'attività di informazione erogata . [...] È in questa prospettiva di necessaria democraticità del processo continuo di informazione e formazione dell'opinione pubblica, che occorre dunque valutare la congruità del bilanciamento tra principi ed interessi diversi ... »
Fra libertà di informazione e attuazione del principio democratico c’è un nesso inscindibile, come ha spesso affermato la Corte costituzionale. Alcuni esempi: Sentenza n. 84/1969 (in tema di boicottaggio e propaganda come forma di autotutela sindacale): «Non è necessario ricordare come la libertà di propaganda è espressione di quella di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 della Costituzione e pietra angolare dell'ordine democratico. [... ] Essa è assicurata fino al limite oltre il quale risulti leso il metodo democratico.» Sentenza n. 172/1972 (in tema di rito direttissimo per i reati a mezzo stampa): «La Corte ha più volte affermato che la libertà di espressione del pensiero è fondamento della democrazia e che la stampa, considerata come essenziale strumento di quella libertà, deve esser salvaguardata contro ogni minaccia o coartazione, diretta o indiretta.» Sentenza n. 138/1985 (in tema di propaganda elettorale tramite altoparlante): «... la libertà di manifestazione del pensiero è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, [tuttavia] anche diritti primari e fondamentali (come il più alto, forse, quello sancito nell'art. 21 Cost.) debbono venir contemperati con le esigenze di una tollerabile convivenza ... »
Il limite del buon costume
Il limite (espresso) del buon costume: la normativa Art. 21 Cost., u. c.: Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. Art. 528 c. p., comma 1: Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello Stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od altri atti osceni di qualsiasi specie, e' punito .......... Art. 529 c. p.: Agli effetti della legge penale, si considerano "osceni" gli atti e gli oggetti, che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore. Non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza, salvo, che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto. Art. 33 Cost.: L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
Il limite (espresso) del buon costume: la giurisprudenza Corte costituzionale, sentenza n. 9/1965 (in tema di propaganda di anticoncezionali): «il buon costume non può essere fatto coincidere [...] con la morale o con la coscienza etica [...] il buon costume risulta da un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pudore sessuale, sia fuori sia soprattutto nell'ambito della famiglia, della dignità personale che con esso si congiunge, e del sentimento morale dei giovani....»
Il limite (espresso) del buon costume: la giurisprudenza (segue) Corte costituzionale, sentenza n. 191/1970 (in tema di pubblicazioni oscene): « Il costume varia notevolmente secondo le condizioni storiche d'ambiente e di cultura, ma non vi è momento in cui il cittadino, e tanto più il giudice, non siano in grado di valutare quali comportamenti debbano considerarsi osceni secondo il comune senso del pudore, nel tempo e nelle circostanze in cui essi si realizzano». Questo tipo di accertamento non è contrario al principio di legalità (tassatività della fattispecie), in quanto quest’ultimo «si attua non soltanto con la rigorosa e tassativa descrizione di una fattispecie, ma, in talune ipotesi, con l’uso di espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto ».
Il limite (espresso) del buon costume: la giurisprudenza (segue) Corte costituzionale, sentenza n. 368/1992 (in tema di circolazione di materiale pornografico): «Considerato che si tratta di un limite che l'art. 21 della Costituzione contrappone alla libertà dei singoli individui, il "buon costume” [...] non è diretto ad esprimere semplicemente un valore di libertà individuale o, più precisamente, non è soltanto rivolto a connotare un'esigenza di mera convivenza fra le libertà di più individui, ma è, piuttosto, diretto a significare un valore riferibile alla collettività in generale, nel senso che denota le condizioni essenziali che, in relazione ai contenuti morali e alle modalità di espressione del costume sessuale in un determinato momento storico, siano indispensabili per assicurare, sotto il profilo considerato, una convivenza sociale conforme ai principi costituzionali inviolabili della tutela della dignità umana e del rispetto reciproco tra le persone (art. 2 della Costituzione). [...] la contrarietà al sentimento del pudore non dipende dall'oscenità di atti o di oggetti in sé considerata, ma dall'offesa che può derivarne al pudore sessuale, considerato il contesto e le modalità in cui quegli atti e quegli oggetti sono compiuti o esposti ... » Quindi, c’è differenza fra ciò che è destinato a raggiungere la collettività e ciò che si esaurisce, invece, nella sfera privata. La “pubblicità” è un requisito essenziale della nozione di buon costume.
Il limite (espresso) del buon costume: la giurisprudenza (segue) Corte costituzionale, sentenza n. 293/2000 (in tema di pubblicazione di fotografie raccapriccianti): «L'art. 15 della legge sulla stampa del 1948 [...] vieta gli stampati idonei a "turbare il comune sentimento della morale". Vale a dire, non soltanto ciò che è comune alle diverse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale contenuto minimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l'art. 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la previsione incriminatrice denunciata».
Buon costume e opere d’arte Art. 33 Cost.: L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. Art. 529 c. p.: Non si considera oscena l’opera d’arte o l’opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto. Va precisato che non esiste nell’ordinamento giuridico italiano una definizione normativa di opera d’arte o opera di scienza. Esiste solo una definizione di “bene culturale” nell’art. 2 del d. lgs. 42/2004: sono beni culturali le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. Inoltre, l’art. 1 della legge 633/1941 (diritto d’autore) specifica che sono protette le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.
I limiti impliciti alla libertà di manifestazione del pensiero
Il necessario bilanciamento dei diritti: i limiti alla libertà di espressione Limite espresso: buon costume (6° comma) Limiti impliciti: onore e reputazione tutela della riservatezza regolare funzionamento della giustizia sicurezza dello Stato ordine pubblico? Limite “dei segreti” (investigativo, istruttorio, di Stato)
Perché i limiti impliciti? In varie sentenze, la Corte costituzionale ha ribadito che la tutela del buon costume non costituisce il solo limite alla libertà di manifestazione del pensiero, ma che sussistono anche altri limiti impliciti dipendenti dalla necessità di tutelare beni diversi, che siano parimenti garantiti dalla Costituzione. Quindi, l'indagine va rivolta all'individuazione del bene protetto dalla norma impugnata ed all'accertamento se esso sia o meno considerato dalla Costituzione in grado tale da giustificare una disciplina che in qualche misura possa apparire limitativa della fondamentale libertà di manifestazione del pensiero. (sentenze nn. 19 /1962; 25 /1965; 87 e 100 /1966; 199 /1972; 15, 16 e 133 del 1973; 20 /1974)
Il bilanciamento dei diritti Corte Costituzionale, sentenza n. 1/1956 Nell’ambito dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere nell’ordinata convivenza sociale. Corte Costituzionale, sentenza n. 91/1964 Il bilanciamento può avvenire correttamente solo fra diritti e valori di pari rango costituzionale . Corte Costituzionale, sentenze n. 9/1965 e 120/1968 Le limitazioni devono trovare fondamento in precetti e principi costituzionali, esplicitamente enunciati nella Carta costituzionale o desumibili da questa mediante la rigorosa applicazione delle regole dell'interpretazione giuridica, e non possono essere poste se non per legge .
Il bilanciamento dei diritti (segue) Corte Costituzionale, sentenza n. 27/1975 Fra due diritti in conflitto la legge non può dare al primo prevalenza assoluta, negando al secondo adeguata protezione. Corte Costituzionale, sentenza n. 27/1998 Il contenuto essenziale del diritto sacrificato deve comunque essere preservato. Corte Costituzionale, sentenze n. 38/1985 Se rispondono a suddetti criteri, le limitazioni non devono essere considerate negazioni del diritto. Infatti in una società democratica, in cui tutti devono godere dei diritti, le reciproche limitazioni sono connaturali al sistema.
Il limite della reputazione
Il limite (implicito) dell’onore e della reputazione Onore in senso soggettivo = percezione di sé, della propria dignità Onore in senso oggettivo = reputazione *** Ingiuria = offesa all’onore in senso soggettivo Diffamazione = offesa all’onore in senso oggettivo
Il limite (implicito) dell’onore e della reputazione: il fondamento costituzionale Art. 2 Cost.: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità ...... (teoria del catalogo aperto dei diritti). Art. 3 Cost., comma 1: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Art. 21, comma 1, Cost., inteso nel suo profilo negativo (diritto al silenzio, quindi pretesa che non siano divulgati fatti o valutazioni disonorevoli).
Il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone. Competenza: giudice di pace (che non può comminare pene reclusive) Procedibilità: a querela (art. 597 c.p.) Misure cautelari, arresto, fermo: non consentiti ATTENZIONE: il reato di ingiuria è stato abrogato da art. 1, comma 1, lett. c), del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7.
Il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. D.l. n. 247/2000: multa da 258 a 2.582 euro ovvero nella permanenza domiciliare da 6 giorni a 30 giorni o nel lavoro di pubblica utilità per un periodo da 10 giorni a 3 mesi Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa ….(pene più gravi, vedi slide seguente) Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate. Competenza: giudice di pace per i primi due commi (d. lgs. 247/2000), tribunale monocratico per il comma 3 e 4 Procedibilità: a querela (art. 597 c.p.) Misure cautelari, arresto, fermo: non consentiti
Il reato di diffamazione a mezzo stampa Art. 595 c. p., terzo comma: Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Stessa aggravante estesa a radio e tv con l. 223/1990. Art. 596 c.p., primo comma: Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Legge n. 47/1948, art. 13: Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell'attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni e quella della multa non inferiore a lire 500.000. Competenza: tribunale monocratico Procedibilità: a querela (art. 597 c.p.) Misure cautelari, arresto, fermo: non consentiti
La responsabilità del direttore Il direttore responsabile può rispondere, infatti, del contenuto dell’articolo diffamatorio: - a titolo di colpa, per omesso controllo ex articolo 57 c.p. (cioè per non aver esercitato sul contenuto del periodico – compreso il quotidiano - da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati); in questo caso la pena è quella prevista per il reato principale, diminuita in misura non eccedente un terzo. - a titolo doloso, quindi per diffamazione aggravata in concorso con il giornalista autore dell’articolo (ex art. 110 c.p.); in questo caso la pena è quella prevista per il reato principale.
La responsabilità del direttore della testata (segue) Secondo Cass. Pen. 35511/2010 e Cass. Pen. 44126/2011, vi è una diversità strutturale fra Internet e carta stampata, per cui non vi può essere automatica equiparazione. In particolare, l’art. 57 c.p. sulla responsabilità del direttore si riferisce solo alla carta stampata e non può essere esteso a Internet, stante il divieto di interpretazione analogica della legge penale. Inoltre, in caso di testata giornalistica online che accoglie commenti postati dagli utenti, la responsabilità del direttore non può estendersi al contenuto di questi commenti, data la materiale impossibilità di controllarli preventivamente. Tuttavia, Cass. Pen. 31022/2015 ha stabilito che il concetto di “stampa” va inteso in senso evolutivo e quindi deve applicarsi perfettamente anche a quanto pubblicato testate online registrate (con l’unica eccezione dei commenti postati dagli utenti).
Cass. Pen V, sentenza 26 settembre 2012, n. 4249 Il caso Sallusti Cass. Pen V, sentenza 26 settembre 2012, n. 4249 Per via di due articoli pubblicati sul quotidiano “Libero” e riconosciuti dal giudice come gravemente diffamatori (diffamazione a mezzo stampa consistente in fatto determinato, notizia consapevolmente falsa), al direttore Alessandro Sallusti è stata comminata – caso più unico che raro per la giurisprudenza italiana – la massima pena prevista dal codice penale, cioè quella detentiva (che successivamente il Presidente della Repubblica ha commutato in pena pecuniaria).
Il caso Belpietro Corte europea dei diritti dell’uomo , sent. 24 settembre 2013, Belpietro c. Italia L’inflizione di una pena detentiva a un giornalista riconosciuto responsabile di diffamazione è comunque contraria all’art. 10 CEDU, poiché rappresenta un’illegittima compressione del diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero, ovvero della libertà di cronaca. Questo però vale solo se il giornalista agisca «in buona fede, sulla base di fatti correttamente riportati, e fornisca informazioni "affidabili e precise" nel rispetto dell'etica giornalistica». La stampa gioca un ruolo indispensabile di “cane da guardia” del principio democratico, per la cui esplicazione può e deve ammettersi un certo ricorso all'esagerazione e persino alla provocazione.
Effetti del “caso Sallusti” Da diversi anni è in discussione in Parlamento un ddl sulla diffamazione: L’ultima versione (C 925-B), approvato dalla Camera in seconda lettura e trasmesso al Senato a gennaio 2015, prevede: eliminazione delle pene detentive per la diffamazione a mezzo stampa; solo pene pecuniarie, ma di ingente entità (fino a 10mila euro, ma fino a 50mila euro nei casi di diffamazione a mezzo stampa con attribuzione di un fatto determinato); si possono evitare le pene se si pubblicano immediatamente le rettifiche della parte offesa (le rettifiche vanno pubblicate senza possibilità di replica o commento da parte del giornalista o del direttore); aumento delle sanzioni amministrative in caso di mancata rettifica; condanna del querelante in caso di azione temeraria (sanzioni pecuniarie); diritto all’oblio: l'interessato può chiedere l'eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca (qualsiasi tipo di sito), dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge; in caso di rifiuto di cancellazione può rivolgersi al giudice.
Il reato di diffamazione: mezzi di tutela Art. 597 c. p., comma1: I delitti preveduti dagli articoli 594 e 595 sono punibili a querela della persona offesa. Azione penale, nell'ambito della quale può anche essere richiesto un risarcimento costituendosi parte civile nel processo (ma prima occorre accertare il reato). Azione civile per il risarcimento del danno ingiusto (art. 2043 c.c), a prescindere dal reato. NB: in sede penale il reato è punibile solo se si accerta il dolo; in sede civile invece il risarcimento per danni patrimoniali o morali può aversi anche in caso di condotta colposa; questo determina il più frequente ricorso a questa forma di tutela. Richiesta di rettifica (obbligo previsto dall’art. 8 legge 47/1948 sulla stampa, dall’art. 2 della legge 69/1963 sulla professione giornalistica, dall’art. 10 della legge 223/1990 sul sistema radiotelevisivo e oggi dall’art. 4 comma e e dall’art. 32 del testo unico della radiotelevisione, d. lgs. 177/2005). Possibilità di presentare un esposto all’Ordine regionale in cui il giornalista risulta iscritto, per sollecitarne l’azione disciplinare
La diffamazione tramite Internet Se la diffamazione avviene attraverso un sito internet diverso da un periodico registrato (ad esempio un blog), si tratta comunque di un “qualsiasi mezzo di pubblicità”, per cui può applicarsi il terzo comma dell’art. 595 c. p. (pene più severe e tribunale monocratico). Mancando il direttore responsabile, non può applicarsi la normativa sul diritto/dovere di rettifica e sulla responsabilità del direttore. Se l’autore della diffamazione è iscritto all’Albo, si può comunque presentare un esposto all’OdG per violazione della deontologia professionale. Alcune sentenze della Cassazione (es. 35511/2010) hanno sottolineato che il coordinatore di blog o forum telematici, anche se iscritto all’Albo, non può essere equiparato al direttore di una testata giornalistica, quindi non può essere ritenuto responsabile di reati a mezzo stampa.
La diffamazione tramite Internet (segue) Agli strumenti di comunicazione spontanea via Internet (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list. ecc.) non si applicano gli obblighi e le tutele previsti dalla disciplina sulla stampa. Costituiscono però “mezzi di pubblicità”, per cui in caso di diffamazione tramite questi canali può applicarsi l’aggravante del terzo comma art. 595 c.p. (es. Cass. Pen. n. 10594/2014). Ciò vale anche per la diffamazione attraverso i social network come Facebook, poiché anche tramite questi mezzi la diffamazione raggiunge un numero apprezzabile di persone (es. Cass. Pen. 8326/2016). Infatti, è sufficiente la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due (Cass. Pen. 16712/2014). Tuttavia, nel caso di diffamazione tramite Facebook non è applicabile l’aggravante dell’attribuzione di un fatto determinato con il mezzo della stampa (art. 13 legge n. 47 del 1948) proprio perché non si può applicare la disciplina della stampa (Cass. Pen. 4873/2017).
Onore e prestigio delle istituzioni (reati di oltraggio e vilipendio) Originariamente il codice penale del 1930 puniva severamente i reati contro lo Stato e la pubblica amministrazione, anche solo di opinione. Dopo vari interventi della Corte costituzionale, iniziati fin dalla fine degli anni sessanta e proseguiti in anni successivi, sono state dichiarate progressivamente costituzionalmente illegittime varie ipotesi delittuose. Successivamente la l. 205/1999 ha abrogato varie figure di reato di opinione (ad es. “pubblica istigazione ed apologia” oppure “eccitamento al dispregio e vilipendio delle istituzioni, elle leggi, degli atti dell’Autorità”). Altri reati sono stati abrogati dalla l. 85/2006 (es. propaganda, apologia sovversiva, attività antinazionale, vilipendio alla bandiera commessi dal cittadino all’estero) oppure depenalizzati (es.offesa, vilipendio, danneggiamento della bandiera, vilipendio della nazione, della Repubblica, delle istituzioni costituzionali, delle forze armate). Sono ancora punibili le seguenti fattispecie di vilipendio: della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze armate (art. 290 c. p.), della nazione italiana (art. 291 c. p.), della bandiera o altro emblema dello Stato (art. 291 c. p.), delle istituzioni, delle leggi o degli atti dell'Autorità (art. 327 c. p.)
Il limite della riservatezza
Il concetto di privacy Nasce in Inghilterra nel XIX secolo (right to be alone) e si afferma successivamente negli USA e poi in tutti gli ordinamenti democratici. Esso comprende: il diritto all’identità personale (rappresentazione veritiera della propria personalità); il diritto alla riservatezza del proprio domicilio, della propria corrispondenza, delle proprie comunicazioni in generale; il diritto alla protezione e al controllo dei dati personali (da persona fisica a corpo elettronico). Si tratta quindi di una pluralità di diritti, tutti riconducibili all’unità della persona.
Privacy = habeas data Il diritto alla privacy, originariamente considerato diritto dell’individuo borghese ad escludere gli altri dalla propria sfera privata, ha assunto via via i connotati del diritto di ogni persona di mantenere il controllo sui dati che la riguardano, ovunque essi si trovino. Si parla allora di habeas data, che costituisce il moderno sviluppo dell’habeas corpus dal quale si è storicamente sviluppato il diritto ala libertà personale. Quindi oggi con il termine privacy si intende un insieme di poteri che, prendendo le mosse dall’antico nucleo del diritto ad essere lasciati in pace, si sono diffusi nella società per consentire ai singoli il controllo sulle modalità di trattamento dei propri dati nei confronti di soggetti sia pubblici che privati che ha tali dati hanno accesso.
Il limite della riservatezza: il fondamento costituzionale Riservatezza = interesse di un soggetto a mantenere la propria sfera privata e intima al riparo dalle indiscrezioni altrui. Mancano disposizioni costituzionali esplicite, tuttavia il fondamento costituzionale può essere rintracciato nei seguenti articoli della Costituzione: Art. 2 = catalogo “aperto” dei diritti Art. 13 = inviolabilità della libertà personale, intesa anche come libertà morale Art. 14 = inviolabilità del domicilio Art. 15 = libertà e segretezza delle comunicazioni Art. 21 Cost. = diritto al silenzio
Il catalogo aperto dei diritti: la riservatezza Attraverso gli artt. 2 e 10 Cost. assumono valore costituzionale: Art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni. Art. 8 CEDU (1950): Diritto al rispetto della vita privata e familiare Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del paese, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.
Il limite della riservatezza: la normativa di riferimento Diritto all’immagine (art. 10 c. c. e artt. 96-97 l. 633/1941 sul diritto d’autore). Segretezza della corrispondenza (art. 616 c. p.), segreto professionale (art. 622 c. p.), inviolabilità delle pareti domestiche (art. 614 c. p.) anche attraverso congegni atti a captare azioni o immagini riservate della persona (artt. 615 bis e 623 bis c. p., introdotti nel 1974) . Tutela del lavoratore da indagini sulle proprie opinioni e sulla vita privata non rilevante ai fini della sua attitudini professionali (art. 8 l. 300/1970 statuto dei lavoratori). L. 675/1996: Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali Art. 1: La presente legge garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all'identità personale; garantisce altresì i diritti delle persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione. D. Lgs. 169/2003: In materia di protezione di dati personali (c. d. “codice privacy”) Art. 2, comma 1: Il presente testo unico, di seguito denominato "codice", garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all'identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali.
Il limite della riservatezza: la giurisprudenza prima del 1996 Cassazione civ. , sentenza n. 4487/1956 (caso Caruso): Nessuna disposizione di legge autorizza a ritenere che sia sancito, come principio generale, il rispetto assoluto dell’intimità della vita privata, tanto meno come limite alla libertà dell’arte, salvo che l’operato dell’agente, offendendo l’onore o il decoro o la reputazione della persona, ricada nello schema generale del fatto illecito. Corte costituzionale, sentenza n. 122/1970 (in tema di sequestro degli stampati): La pubblicazione dell'immagine altrui, in quanto costituisca mezzo di manifestazione del pensiero, cade nell'ambito del diritto tutelato dal primo comma dell'art. 21 della Costituzione e soggiace ai limiti entro i quali tale garanzia costituzionale opera. Ma, ove tali limiti siano stati superati, il sequestro preventivo - naturalmente, allo stato della legislazione - é ammissibile solo quando la pubblicazione dell'immagine attraverso la stampa integri la fattispecie prevista dall'art. 528 del codice penale (pubblicazioni oscene), perché solo in tal caso concorrono le due condizioni prescritte dalla norma costituzionale di raffronto: si tratta, infatti, di un delitto e per esso espressamente la legge vigente (R.D.L. 31 maggio 1946, n. 561, art. 2, primo comma) autorizza il provvedimento.
Il limite della riservatezza: la giurisprudenza prima del 1996 (segue) Cassazione civ., sentenza n. 990/1963 (caso Petacci) Sebbene non sia ammissibile il diritto tipico alla riservatezza, viola il diritto assoluto di personalità, inteso quale diritto erga omnes alla libertà di autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell’uomo come singolo, la divulgazione di notizie relative alla vita privata, in assenza di un consenso almeno implicito, ed ove non sussista, per la natura dell’attività svolta dalla persona e del fatto divulgato, un preminente interesse pubblico di conoscenza Corte costituzionale, sentenza n 38/1973 (in tema di protezione del diritto d’autore): Non contrastano con le norme costituzionali ed anzi mirano a tutelare e a realizzare i fini dell'art. 2 affermati anche negli artt. 3, secondo comma, e 13, primo comma, che riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali rientra quello del proprio decoro, del proprio onore, della propria rispettabilità, riservatezza, intimità e reputazione, sanciti espressamente negli artt. 8 e 10 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo ...
Il limite della riservatezza: la giurisprudenza prima del 1996 (segue) Corte di cassazione, sentenza n. 2129/1975 (caso Soraya): In questa “storica” sentenza la Cassazione individua il fondamento costituzionale del diritto alla riservatezza negli articoli 2, 3, 13, 14, 15, 27, 29 e 41 Cost., oltre che nell’art. 8 della CEDU. Essa precisa che esso risiede «nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari, le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile». Inoltre, «la tutela giuridica deve ammettersi in caso di violazione del diritto assoluto di personalità, inteso quale diritto erga omnes, alla libertà di autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell’uomo come singolo». Tale diritto «è violato se si divulgano notizie della vita privata, le quali, per loro tale natura, debbono ritenersi riservate, a meno che non sussista un consenso anche implicito della persona, desunto dall’attività in concreto svolta, o, data la natura dell’attività medesima e del fatto divulgato, non sussista un prevalente interesse pubblico di conoscenza che va considerato con riguardo ai doveri di solidarietà politica, economica e sociale inerente alla posizione del soggetto».
Privacy e dati personali nel codice penale Inizialmente il codice penale prevedeva solo il reato di violazione di domicilio (art. 614) – intendendo con “domicilio” non solo l’abitazione, ma anche ogni luogo di privata dimora – e la particolare fattispecie di tale reato commesso da pubblico ufficiale (art. 615) Con la legge n. 547/1993 sono stati aggiunti gli articoli da 615 bis a 615 quinquies (quest’ultimo modificato con legge n. 48/2008): E’ punito chi si procura indebitamente notizie o immagini attinenti la vita privata che si svolge nel domicilio ex art. 614 c. p. con strumenti di ripresa visiva o sonora. E’ punito chi si introduce abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza. E’ punita la detenzione e la diffusione abusiva dei codici di accesso a sistemi informatici e telematici. E’ punita la produzione e la diffusione di programmi diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico.
Dopo il 1996: la legislazione sulla protezione dei dati personali Con la legge 675/1996, in attuazione della direttiva 95/46/CE sul trattamento dei dati personali, è stata introdotta per la prima volta nell’ordinamento giuridico italiano una legge sulla protezione dei dati personali, resa necessaria per via della crescente preoccupazione suscitata dal sempre più sviluppato trattamento automatico dei dati personali. Tale legge è stata oggetto di numerose modifiche e integrazioni successive, tanto che nel 2003 si è sentita l’esigenza di riordinare la materia con il d. lgs. n. 196, intitolato Codice in materia di protezione dei dati personali, in vigore dal 1°gennaio 2004.
La protezione dei dati personali nel codice del 2003: principi fondamentali TRATTAMENTO = qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione, l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati. DATI PERSONALI = qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione (eliminato con il d.l. 201/2011 “salva Italia”), identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale. DATI SENSIBILI = dati personali idonei a rivelare l'origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. DIRITTI DELL’INTERESSATO = ottenere la conferma dell'esistenza o meno di dati personali che lo riguardano; avere informazioni sull’origine dei dati, sulle modalità del loro trattamento, sui responsabili del trattamento; richiedere e ottenere l’aggiornamento, la modificazione, la rettifica o la cancellazione di tali dati; opporsi al trattamento di tali dati.
La protezione dei dati personali: principi fondamentali (segue) OBBLIGO DI INFORMATIVA = chi fornisce i propri dati personali deve essere esaurientemente informato, al momento della raccolta, dell’utilizzo che ne verrà fatto. CONSENSO INFORMATO = i dati personali sono utilizzabili solo se, una volta ricevuta l’informativa (scritta o orale), l’interessato abbia espresso il proprio consenso in forma libera, ma in modo inequivocabile. TRATTAMENTO DEI DATI = occorre la preventiva autorizzazione del Garante. TRATTAMENTO DEI DATI SENSIBILI = il consenso dell’interessato deve per forza essere prestato per iscritto ed è necessaria inoltre la previa autorizzazione del Garante. RISARCIBILITA’ DEL DANNO causato dal trattamento scorretto dei dati. I SOGGETTI PUBBLICI possono trattare i dati solo ed esclusivamente per lo svolgimento delle funzioni istituzionali e solo se ciò è consentito da una espressa disposizione di legge o da un provvedimento autorizzatorio del Garante. TRATTAMENTI PER RAGIONI DI GIUSTIZIA = in sede giudiziaria (fase investigativa e fase processuale) i dati possono essere trattati dalle procure e dai tribunali anche senza il consenso espresso dell’interessato. Per i dati sensibili, però, ci vuole sempre l’autorizzazione del Garante.
La protezione dei dati personali: principi fondamentali (segue) ALTRE MODALITA’ PARTICOLARI DI TRATTAMENTO: per scopi sanitari, per scopi di istruzione o ricerca, per scopi storici, statistici o scientifici, da parte del sistema di previdenza sociale, da parte del sistema bancario e assicurativo, nelle comunicazioni elettroniche, da parte degli investigatori privati, a fini di marketing diretto. TRATTAMENTO DEI DATI PER FINALITA’ GIORNALISTICHE = le norme (che si applicano solo a coloro che sono iscritti all’Albo in qualità di professionisti o pubblicisti, oppure che sono iscritti al registro dei praticanti) prevedono la possibilità di prescindere sia dal consenso dell’interessato sia (per i dati sensibili) dall’autorizzazione del Garante, purché il fine del trattamento sia esclusivamente quello giornalistico. Il giornalista che raccoglie i dati è tenuto però a qualificarsi come tale e a rispettare le norme del codice deontologico del 1998. FORME DI TUTELA = presentazione di un reclamo al Garante; presentazione di un ricorso al Garante (alternativo alla tutela giurisdizionale); ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria (tribunale monocratico).
Mezzi di tutela Segnalazione al Garante, al fine di sollecitare il controllo sulla corretta applicazione della disciplina. Reclamo circostanziato al Garante, per rappresentare una violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento di dati personali. Il reclamo è sottoscritto dagli interessati o dalle associazioni che li rappresentano. Ricorso al Garante (alternativo al ricorso giurisdizionale), per richiedere cancellazione/modifica/rettifica dei dati o opporsi al loro trattamento. Può essere proposto solo dopo aver rivolto analoga richiesta, senza successo, al responsabile del trattamento dei dati. Il Garante può disporre provvedimenti inibitori in via provvisoria. Se ritiene il ricorso fondato, il Garante ordina la cessazione del comportamento illegittimo. Ricorso al giudice ordinario per qualsiasi controversia riguardante l’applicazione delle norme del codice. Unica via per ottenere un risarcimento.
Sanzioni Il mancato rispetto delle norme del codice è punito con sanzioni amministrative pecuniarie che in alcune ipotesi possono essere anche ingenti. Es. fino a 36.000 Euro per mancata informativa all’interessato, fino a sessantamila euro per cessione illecita dei dati a terzi, fino a 50.000 per violazione delle disposizioni sulla conservazione dei dati di traffico, fino a 120.000 euro per omessa notificazione. Alcune violazioni, però, sono penalmente rilevanti e sono punite con sanzioni penali che possono prevedere anche una pena reclusiva fino a due o tre anni. Es. trattamento illecito dei dati a fini di profitto, falsità delle dichiarazioni o notificazioni al Garante, omessa adozione delle misure di sicurezza, inosservanza dei provvedimenti del Garante.
Il Garante per il trattamento dei dati personali Organo collegiale costituito da quattro componenti, eletti due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica, con mandato non rinnovabile di sette anni. I componenti sono scelti tra persone che assicurano indipendenza e che sono esperti di riconosciuta competenza delle materie del diritto o dell'informatica, garantendo la presenza di entrambe le qualificazioni. I componenti eleggono nel loro ambito un presidente, il cui voto prevale in caso di parità. Eleggono altresì un vice presidente, che assume le funzioni del presidente in caso di sua assenza o impedimento. Per tutta la durata dell'incarico il presidente e i componenti non possono esercitare, a pena di decadenza, alcuna attività professionale o di consulenza, né essere amministratori o dipendenti di enti pubblici o privati, ne' ricoprire cariche elettive. COMPITI: controllare se i trattamenti sono effettuati nel rispetto della disciplina; esaminare i reclami e le segnalazioni; vietare il trattamento illecito o non corretto dei dati o disporne il blocco; promuovere la sottoscrizione di codici; segnalare al Parlamento e al Governo l'opportunità di interventi normativi; curare la conoscenza tra il pubblico della disciplina in materia di trattamento dei dati personali; denunciare i fatti configurabili come reati perseguibili d'ufficio; tenere il registro dei trattamenti; predisporre annualmente una relazione sulla sua attività.
Il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati Il 14 aprile 2016 sono stati finalmente approvati in seconda lettura il regolamento e la direttiva dell’Unione europea sulla protezione dei dati personali, di cui si discute fin dal 2012. In particolare, il regolamento abroga la direttiva 95/46/CE e, essendo direttamente applicabile, si sostituisce alle normative nazionali in materia (fra cui il nostro Codice della privacy). Gli Stati membri dell’UE hanno due anni di tempo per adeguarvisi. Il nuovo regolamento rafforza i diritti del titolare dei dati (consenso, rettifica, diritto all’oblio, divieto di profilazione senza consenso, misure di sicurezza, trasferimento dei dati all’estero).
Il limite della regolare amministrazione della giustizia (e del segreto investigativo)
Il fondamento costituzionale di questo limite va rintracciato in tutte le norme della Costituzione che riguardano la magistratura e la giurisdizione, ma in particolare: Art. 101: giustizia amministrata in nome del popolo e soggezione del giudice solo alla legge Art. 104: la magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere Art. 108: indipendenza anche anche dei giudici delle giurisdizioni speciali e dei p.m. Art. 106 e 107: carriera dei magistrati solo per concorso e inamovibilità Art. 111: giusto processo Art. 104-105: CSM
Il segreto investigativo (precedentemente definito “istruttorio”) Art. 329 c.p.p. Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’indagato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Quando però ciò sia necessario per la prosecuzione delle indagini, il P.M. può consentire la pubblicazione di alcuni atti o di parti di essi. Art. 335 c.p.p. Per specifiche esigenze investigative il P.M. può anche disporre il segreto, per un massimo di tre mesi, sulle iscrizioni al registro delle notizie di reato. Art. 391 quinques c.p.p. Il P. M. può vietare per un periodo massimo di due mesi alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine. La violazione di tale divieto è punita con la reclusione fino ad un anno ex art. 379 bis c. p.
La pubblicazione degli atti relativi alle indagini Art. 114 c.p.p. Gli atti investigativi coperti dal segreto (quindi quelli di cui l’indagato non ha avuto conoscenza o quelli de-secretati dal P.M.) non possono essere pubblicati, nemmeno in forma parziale o per riassunto. Possono però essere pubblicati prima della chiusura delle indagini gli atti di cui l’indagato acquista conoscenza (es. con l’invio dell’avviso di garanzia) o quelli di cui il P.M. autorizza la pubblicazione (riforma del 1989) Con la chiusura delle indagini preliminari, il segreto investigativo comunque decade. Però le sanzioni sono esigue: reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516 per violazione di segreto professionale (es. fuga di notizie commessa da un avvocato), art. 622 c.p.; arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da euro 51 a euro 258 per pubblicazione arbitraria di atti di procedimento penale (art. 684 c.p.); reclusione da 6 mesi a tre anni solo per pubblico ufficiale che divulga segreti d’ufficio (art. 326 c.p.)
Il limite (implicito) del regolare funzionamento della giustizia: la giurisprudenza costituzionale Sentenza n. 18/1966 (in tema di norme che puniscono la pubblicazione di determinati atti processuali): «La libertà di manifestazione del pensiero garantita dall'art. 21 della Costituzione trova, dunque, un limite in una esigenza fondamentale di giustizia. Ed il bene della realizzazione della giustizia, che, fra l'altro, vale a garantire ed assicurare l'esercizio di tutte le libertà, compresa quella in esame, è anche esso garantito, in via primaria, dalla Costituzione. La Corte rileva inoltre che lo stesso bene viene tutelato dalle norme impugnate [art. 114 c. p. e 164 c. p. p.], anche sotto un ulteriore duplice aspetto: a) assicurare la serenità e la indipendenza del giudice, proteggendolo da ogni influenza esterna di stampa, che possa pregiudicare l'indirizzo delle indagini e le prime valutazioni delle risultanze; ed assicurare altresì la libertà del giudice vietando quei comportamenti estranei che possano ostacolare la formazione del libero convincimento; b) tutelare, nella fase istruttoria, la dignità e la reputazione di tutti coloro che, sotto differenti vesti, partecipano al processo».
Il segreto investigativo: la giurisprudenza costituzionale Sent. 18/1981 (in tema di pubblicazione di atti coperti dal segreto) La Corte ha considerato «che una differenziata disciplina tra il segreto istruttorio e la divulgazione di notizie per il tramite della stampa si rende necessaria per il fatto che la rivelazione assume una diversa rilevanza giuridica a secondo del mezzo usato e della sua capacità di divulgazione. Ciò giustifica la rafforzata tutela che il vigente ordinamento appresta al segreto istruttorio nei confronti della stampa ...» Quindi, va salvaguardata la disciplina legislativa che ridotto la c.d. segretezza interna del processo, ampliando il diritto delle parti di conoscere determinati atti istruttori, ma non ha inciso sulla c.d. segretezza esterna, che si concreta nel divieto di pubblicazione degli atti istruttori in considerazione degli effetti derivanti dalla loro diffusione. «La disciplina dei rapporti tra giustizia e informazione non può che essere in via di principio rimessa alla discrezionalità del legislatore, al quale spetta individuare la soluzione più idonea a contemperare interessi attinenti all'attività istruttoria da un lato e all'informazione dall'altro, entrambi aventi rilievo costituzionale».
La pubblicità delle udienze: è possibile assistere ai processi, pubblicarne gli atti, riprendere e trasmettere ciò che avviene in aula? L’art. 21 Cost. (diritto di informare e di essere informati), l’art. 101 Cost. (la giustizia è amministrata in nome del popolo) e l’art. 111 Cost. (giusto processo, con obbligo di motivazione delle sentenze) fanno propendere parte della dottrina per una risposta affermativa. Tuttavia, l’indubbio interesse sociale che possono avere talune vicende giudiziarie talvolta è in contrasto con altre esigenze: tutela della riservatezza e della reputazione delle persone coinvolte nella vicenda; protezione dei minori (art. 31 cost.), se coinvolti nella vicenda; interesse pubblico alla corretta amministrazione della giustizia, che potrebbe essere intaccata dalla presenza di telecamere in aula.
La pubblicità delle udienze: la procedura Artt. 471-473 c.p.p.: Le udienze sono pubbliche e possono assistervi tutti i maggiorenni. In alcuni casi il giudice può disporre che il dibattimento o alcuni atti di esso o l’assunzione delle prove si svolgano a porte chiuse: quando la pubblicità può nuocere al buon costume o compromettere il segreto di Stato o pregiudicare la riservatezza dei testimoni o delle parti private o nuocere alla pubblica igiene o compromettere il regolare svolgimento delle udienze o nuocere alla sicurezza di testimoni o imputati oppure quando l’imputato o la persona offesa siano minorenni. A porte chiuse significa che possono essere presenti solo le persone che hanno il diritto o il dovere di intervenire. D. lgs. 271/1989: art. 147 disp. att. c.p.p.: Il giudice può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografia o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, purché non sia pregiudicato il regolare svolgimento dell’udienza o della decisione. Serve il consenso delle parti interessate, che però non è necessario “quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento”. Il giudice, anche quando autorizza la ripresa del dibattimento, vieta la ripresa di quei soggetti che non hanno prestato il consenso. Non si può autorizzare la ripresa di dibattimenti a porte chiuse (ma solo nei casi sottolineati sopra).
La pubblicità delle udienze: la giurisprudenza costituzionale Sentenza n. 25/1965 (in tema di pubblicazione di atti di dibattimento a porte chiuse): «L'art. 164 c. p. p., n. 3, limita la libertà di stampa in tutti i casi in cui il dibattimento viene celebrato a porte chiuse [...] Ma non tiene conto della circostanza che, in alcune delle ipotesi previste da tali articoli, ed attinenti soltanto alla presenza fisica del pubblico nelle aule di udienza, il principio della pubblicità del dibattimento viene sacrificato a tutela di interessi, che nulla hanno a che vedere con gli interessi della giustizia, e che non possono ricevere alcun pregiudizio dalla divulgazione a mezzo della stampa di notizie processuali. Nel caso in cui il dibattimento si tenga a porte chiuse "per ragioni di pubblica igiene, in tempo di diffusione di morbi epidemici o di altre malattie contagiose" e nel caso in cui la pubblicità del dibattimento possa "eccitare riprovevole curiosità" il collegamento fra le due tutele non trova alcuna giustificazione e la norma impugnata si pone in contrasto col precetto dell'art. 21 della Costituzione».
La pubblicità delle udienze: la giurisprudenza costituzionale Sentenza n. 16/1981 (in tema di divieto di pubblicità per dibattimenti riguardanti minorenni): La Corte «ha affermato che la regola della pubblicità del dibattimento è coessenziale ai principi, ai quali, in un ordinamento costituzionale fondato sulla sovranità popolare, deve conformarsi l'amministrazione della giustizia. Ed ha precisato che, quando si tratta del processo penale per il quale la pubblicità del dibattimento ha un valore particolarmente rilevante, le deroghe possono essere disposte soltanto a garanzia di beni a rilevanza costituzionale, mentre negli altri casi un più ampio potere discrezionale deve essere riconosciuto al legislatore nella valutazione degli interessi che possono giustificare la celebrazione dal dibattimento a porte chiuse. In proposito va posto in risalto che con la stessa sentenza n. 25 del 1965 questa Corte ha affermato il principio che la tutela costituzionale dei diritti ha sempre un limite nell'esigenza insuperabile che nell'esercizio di essi non siano violati beni ugualmente garantiti dalla Costituzione; limite che va stabilito non ricercando garanzia costituzionale privilegiata o non privilegiata, bensì accertando quale interesse, per il suo contenuto e per le sue modalità di esercizio, è garantito in concreto nell'armonica tutela di diversi fondamentali interessi». (segue)
(segue dalla slide precedente) Sentenza n. 16/1981 (in tema di divieto di pubblicità per dibattimenti riguardanti minorenni): «E, quanto al divieto dell'art. 164, n. 3, c.p.p., va rilevato che la deroga alla pubblicità del dibattimento costituisce un mezzo per il conseguimento di un'alta finalità di tutela dei minori, ai quali la pubblicità dei fatti della causa può apportare conseguenze gravi sia allo sviluppo spirituale, sia alla vita materiale, conseguenze che hanno rilevanza costituzionale ai termini dell'art. 31, secondo comma, della Costituzione, che prevede la tutela dei minori, intesa in correlazione con il principio fondamentale dell'art. 2 della Costituzione, per gli effetti che la diffusione di fatti emersi nel dibattimento può provocare sulla formazione sociale ove si svolge o potrà svolgersi la personalità del minore».
La pubblicazione degli atti processuali Art. 114 del codice di procedura penale E’ vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione: degli atti dei processi celebrati a porte chiuse, compresi quindi quelli riguardanti i minori, prima che siano trascorsi dieci anni dalla sentenza irrevocabile; delle generalità e dell’immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato finché essi non siano diventati maggiorenni; dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta; degli atti per cui il giudice disponga tale divieto, se non si procede al dibattimento: ciò può accadere quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie coperte da segreto di Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private; (segue …)
La pubblicazione degli atti processuali (segue ….) Art. 114 del codice di procedura penale E’ vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione: degli atti di indagine fino alla conclusione delle indagini preliminari, salvo i casi contemplati nell’art. 329 c.p.p.; degli atti non più coperti dal segreto (es. richiesta di riesame, ordinanza di archiviazione, indagini integrative) fino alla conclusione dell’udienza preliminare; degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento fino alla pronuncia della sentenza di primo grado; degli atti del fascicolo del pubblico ministero fino alla pronuncia della sentenza in grado di appello.
Le sanzioni (blande) attualmente vigenti Art. 684 c. p. (pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale): Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con arresto fino a trenta giorni o multa fino a 258 euro. Art. 685 c. p. (indebita pubblicazione di notizie concernenti un procedimento penale): Chiunque pubblica i nomi dei giudici, con l'indicazione dei voti individuali che ad essi si attribuiscono nelle deliberazioni prese in un procedimento penale, è punito [...] Però le pene sono irrisorie (contravvenzione oblazionabile, ovvero l’illecito penale si trasforma in illecito amministrativo, con estinzione del reato, dietro il pagamento di una somma pari alla metà del massimo dell’ammenda prevista, oltre alle spese del procedimento). Invece, ex art. 379 bis c.p., è punto con la reclusione fino ad un anno chiunque riveli indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale, da lui apprese per aver partecipato o assistito ad un atto del procedimento stesso.
Le proposte in discussione: la “legge bavaglio” L’esiguità delle sanzioni e alcuni casi di divulgazione di notizie relativi a processi e a indagini che hanno fatto scalpore hanno spinto il governo, dapprima con il disegno di legge n. 1512 del 2007 (ddl Mastella) e poi con il disegno di legge n. 1415 del 2008 (ddl Alfano) e poi con varie altre proposte di iniziativa governativa e parlamentare. Lo scopo è quello di rendere più difficile la pubblicazione di atti relativi ad indagini penali. Le modifiche proposte: - pena reclusiva fino a tre anni per chi prenda illecita cognizione di atti coperti dal segreto processuale (es. il giornalista e i suoi informatori); pena fino a cinque anni per chi riveli notizie segrete concernenti un procedimento penale apprese in ragione del proprio ufficio o servizio svolto; arresto fino a trenta giorni e ammenda fino a cinquemila euro per chi pubblichi in tutto o in parte, anche per riassunto, atti o documenti di un procedimento penale di cui è vietata per legge la pubblicazione (es. il giornalista e il direttore responsabile); se la pubblicazione riguarda le intercettazioni, arresto fino a tre anni e multa fino a diecimila euro. attribuzione di responsabilità amministrativa all’ente presso cui presta servizio l’autore della violazione (ad esempio la testata giornalistica), con condanna al pagamento di ingenti sanzioni.
Il limite della sicurezza dello Stato (e del segreto di Stato)
Il limite (implicito) della sicurezza dello Stato Art. 52 Cost.: La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Corte costituzionale, sent. 86/1977: «E proprio a questo concetto [la difesa della patria] occorre fare riferimento per dare concreto contenuto alla nozione del segreto politico- militare, ponendo il concetto stesso in relazione con altre norme della stessa Costituzione che fissano elementi e momenti imprescindibili del nostro Stato: in particolare vanno tenuti presenti la indipendenza nazionale, i principi della unità e della indivisibilità dello Stato (art. 5) e la norma che riassume i caratteri essenziali dello Stato stesso nella formula di "Repubblica democratica" (art. 1). Con riguardo a queste norme si può, allora, parlare della sicurezza esterna ed interna dello Stato, della necessità di protezione da ogni azione violenta o comunque non conforme allo spirito democratico che ispira il nostro assetto costituzionale dei supremi interessi che valgono per qualsiasi collettività organizzata a Stato e che, come si è detto, possono coinvolgere la esistenza stessa dello Stato. [...] È solo nei casi nei quali si tratta di agire per la salvaguardia di questi supremi, imprescindibili interessi dello Stato che può trovare legittimazione il segreto in quanto mezzo o strumento necessario per raggiungere il fine della sicurezza. Mai il segreto potrebbe essere allegato per impedire l'accertamento di fatti eversivi dell'ordine costituzionale. »
Il limite (implicito) della sicurezza dello Stato (segue) Art. 256 c. p., comma 1: Chiunque si procura notizie che, nell'interesse politico, interno o internazionale, dello Stato, debbono rimanere segrete è punito con la reclusione da 3 a 10 anni. Art. 261 c. p., comma 1: Chiunque rivela taluna delle notizie di carattere segreto indicate nell'art. 256 è punito con la reclusione non inferiore a 5 anni. Art. 262 c. p., comma 1: Chiunque rivela notizie, delle quali l'Autorità competente ha vietato la divulgazione, è punito con la reclusione non inferiore a 3 anni. Art. 202 c.p.p.: i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di pubblico servizio non possono essere interrogati in giudizio su quanto coperto da segreto di Stato; il giudice può ordinare che il testimone deponga solo nel caso in cui Il Presidente del Consiglio dei Ministri non dia conferma del segreto.
Il limite (implicito) della sicurezza dello Stato (segue) Legge n. 801/1977: Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato Questa legge, soprattutto il suo art. 12, ha suscitato non pochi dubbi di costituzionalità. La norma, infatti, dichiarava coperte dal segreto tutte le informazioni la cui diffusione fosse idonea a recar danno all’integrità dello Stato democratico. Legge 124/2007 (nuova disciplina del segreto di Stato), art. 39: Sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all'integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento, all'indipendenza dello Stato rispetto agli altri Stati e alle relazioni con essi, alla preparazione e alla difesa militare dello Stato. [...] In nessun caso possono essere oggetto di segreto di Stato notizie, documenti o cose relativi a fatti di terrorismo o eversivi dell'ordine costituzionale [...] Questa disposizione sostituisce l’art. 12 della L. 801/1977, legge che precedentemente disciplinava il segreto di Stato. La legge del 2007 ha previsto che la durata del segreto è di massimo 30 anni.
Il limite (implicito) della sicurezza dello Stato (segue) Legge n. 133/2012: Modifiche alla legge 3 agosto 2007, n. 124, concernente il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e la disciplina del segreto Questa legge conferisce un maggior potere di controllo per il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica ) sul segreto di Stato. Infatti il Presidente del Consiglio sarà obbligato a riferire l’intero quadro informativo al Presidente e al vicepresidente del Copasir in caso di opposizione del segreto di Stato. Si abbassa inoltre a due terzi dei componenti del Comitato il quorum che determina l’impossibilità da parte del governo di opporre il Segreto di Stato, mentre prima era necessaria l’unanimità
Il (falso) limite dell’ordine pubblico
Il limite (implicito) dell’ordine pubblico? Il concetto di ordine pubblico non è presente nella Costituzione, anche se è stato “salvato” in varie sentenze (non recenti) della Corte costituzionale, chiamata più volte a pronunciarsi sulla legittimità delle disposizioni del titolo I (delitti contro la personalità dello Stato) e del titolo V (delitti contro l’ordine pubblico) del secondo libro del Codice penale. Qualche esempio: Sentenza n. 19/1962: «L'esigenza dell'ordine pubblico, per quanto altrimenti ispirata rispetto agli ordinamenti autoritari, non è affatto estranea agli ordinamenti democratici e legalitari, né è incompatibile con essi. [...] Non potendo dubitarsi che, così inteso, l'ordine pubblico è un bene inerente al vigente sistema costituzionale, non può del pari dubitarsi che il mantenimento di esso - nel senso di preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale, instaurate mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle o a renderle inoperanti mediante l'uso o la minaccia illegale della forza - sia finalità immanente del sistema costituzionale.» Sentenza n 168/1971: «È ovvio che la locuzione "ordine pubblico" ricorrente in leggi anteriori al gennaio 1948 debba intendersi come ordine pubblico costituzionale (sentenza n. 19 dell'anno 1962) che deve essere assicurato appunto per consentire a tutti il godimento effettivo dei diritti inviolabili dell'uomo. »
Il limite (implicito) dell’ordine pubblico (segue) In alcune pronunce, la Corte costituzionale ha distinto fra manifestazioni del pensiero “pure” e dirette a provocare un’azione contraria all’ordine pubblico (queste ultime, non rientranti nell’ambito dell’art. 21 Cost.). Alcuni esempi: Sentenza n. 84/1969: «...la libertà di propaganda è espressione di quella di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 della Costituzione e pietra angolare dell'ordine democratico. [...] Con tale criterio si pone in un certo contrasto l'art. 507 del Codice penale perché fa pensare alla inclusione in una sfera criminosa anche della propaganda di puro pensiero e di pura opinione [...] La propaganda è di per sé diretta a convincere ...» Sentenza n. 65/1970: «L'apologia (di reato) punibile ai sensi dell'art. 414, ultimo comma, del codice penale non è, dunque, la manifestazione di pensiero pura e semplice, ma quella che per le sue modalità integri comportamento concretamente idoneo a provocare la commissione di delitti». Sentenza n. 16/1973: « L'istigazione (di un militare all’infedeltà o al tradimento), infatti, non è pura manifestazione di pensiero, ma è azione e diretto incitamento all'azione, sicché essa non risulta tutelata dall'art. 21 della Costituzione ».
La libertà e segretezza delle comunicazioni interpersonali L’art. 15 Cost.
La libertà di comunicazione secondo l’art. 15 Cost. La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Questo articolo è collegato ai due precedenti (nel progetto originario redatto dall’Assemblea costituente i tre articoli erano riuniti in uno solo): art. 13 Cost. (libertà personale, quindi dimensione fisica), art. 14 Cost. (libertà di domicilio, quindi dimensione spaziale), art. 15 Cost. (libertà di comunicazione, quindi dimensione psicologica). Però, a differenza degli artt. 13 e 14, la libertà di comunicazione non può essere limitata, nemmeno nei casi urgenti, a limitazioni da parte di autorità pubbliche diverse da quella giudiziaria. Inoltre, a differenza dell’art. 21 Cost., qui il limite del buon costume non è operativo e non può giustificare interventi di tipo preventivo. Lo Statuto albertino non menzionava questa libertà: le leggi ordinarie garantivano la segretezza della corrispondenza fra privati, ma non rispetto all’autorità pubblica.
Raffronto con l’art. 10, comma 1, della CEDU (1950) Raffronto con l’art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) Nessun individuo potrà essere sottoposto ad interferenze arbitrarie nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa, nella sua corrispondenza, né a lesioni del suo onore e della sua reputazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o lesioni. Raffronto con l’art. 10, comma 1, della CEDU (1950) Ogni persona ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera. Raffronto con l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000) Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni.
Corte costituzionale, sentenza n. 366/1991 La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altro mezzo di comunicazione costituiscono un diritto dell’individuo rientrante tra i valori supremi costituzionali, tanto da essere espressamente qualificato dall’art. 15 Cost. come diritto inviolabile. Quindi, il suo contenuto essenziale non può essere oggetto di revisione costituzionale, in quanto incorpora un valore della personalità avente un carattere fondante rispetto al sistema democratico voluto dal Costituente.
Corte costituzionale, sentenza n. 81/1993 Dall’art. 15 Cost. deriva la protezione di una sfera privata attinente alla comunicazione tra due o più soggetti, nella misura e nei limiti in cui a tale sfera possa essere riferibile un valore espressivo e identificativo della personalità umana e della vita di relazione nella quale questa si svolge (art. 2 della Costituzione), assegnando alla stessa una posizione privilegiata al fine di salvaguardare l’intangibilità degli aspetti più significativi della vita intima della persona.
1. Che differenza c’è fra l’art. 15 Cost. e l’art. 21 Cost? Corte Costituzionale, sentenza n. 1030/1988 (in tema di legittimità di alcune disposizioni del codice postale): «L'essenziale distinzione tra i diritti di libertà garantiti dagli artt. 15 e 21 Cost. si incentra effettivamente [...] sull'essere la comunicazione, nella prima ipotesi, diretta a destinatari predeterminati e tendente alla segretezza e, nell'altra, rivolta invece ad una pluralità indeterminata di soggetti». Quindi, l’art. 15 Cost. si presta a fungere da base giuridica costituzionale per la disciplina dei mezzi di comunicazione, tutelando la libertà e la segretezza di tutte le forme di comunicazione interpersonale (comprese quelle nate dall’evoluzione tecnologica), purché tale comunicazione si rivolga a destinatari determinati o determinabili.
2. Che differenza c’è fra l’art. 15 Cost. e l’art. 21 Cost? (segue) Un’altra caratteristica propria della comunicazione ex art. 15 Cost. è l’ATTUALITA’: comunicazione temporalmente circoscritta. Momento iniziale: quanto il soggetto attivo si trasforma in mittente, manifestando l’animus di comunicare (es. affidamento di una lettera al servizio postale o invio di una email). Momento finale: è di difficile individuazione e in dottrina si riscontrano diverse teorie; le due principali sono: (1) quella della causa da determinare caso per caso; (2) quella della ricezione della comunicazione da parte del destinatario (apertura della lettera).
3. Che differenza c’è fra l’art. 15 Cost. e l’art. 21 Cost? (segue) Una terza differenza è che in entrambi i casi è prevista la riserva assoluta di legge (casi stabiliti dalla legge) e di giurisdizione (atto motivato dell’autorità giudiziaria), ma l’art. 15 non prevede alcuna procedura di urgenza, come invece fa l’art. 21 per il sequestro degli stampati. N.B.: l’art. 15 dice «con le garanzie stabilite dalla legge», mentre l’art. 21 dice si riferisce a specifici casi di riserva di legge (delitti previsti dalla legge sulla stampa, violazione di norme sull’indicazione dei responsabili, mancata indicazione dei mezzi di finanziamento della stampa periodica, mancato rispetto del limite del buon costume). Questo significa che il legislatore è tenuto a prevedere garanzie a favore del soggetto indagato e non soltanto limitarsi a disciplinare i casi e i modi della limitazione. Quindi, l’art. 15 non fa riferimento a limiti sostanziali (il buon costume come nell’art. 21, la sicurezza e l’incolumità pubbliche come nell’art. 14).
4. Chi sono i titolari delle situazioni giuridiche tutelate dall’art 4. Chi sono i titolari delle situazioni giuridiche tutelate dall’art. 15 Cost.? Le persone fisiche e le formazioni sociali. Anche gli stranieri. Anche i minorenni, pur con alcune limitazioni per via del diritto riconosciuto ai genitori di educare la prole (art. 30 Cost.). Le persone giuridiche di diritto privato (perché si tratta di una libertà civile). Per le persone giuridiche pubbliche non ha senso parlare di libertà individuale.
5. Chi riceve tutela dall’art. 15 Cost.? Non solo il mittente, ma anche il destinatario. Corte Costituzionale, sentenza n. 81/1993 (in tema di idoneità dei tabulati telefonici a costituire mezzo di prova del reato di molestie telefoniche): il requisito della “segretezza” comprende «non solo la segretezza del contenuto, ma anche quella relativa all’identità dei soggetti e ai riferimenti di tempo e di luogo della comunicazione stessa», compatibilmente con i requisiti del mezzo prescelto.
Che cosa si intende per “corrispondenza”? Parte della dottrina ritiene che il termine si riferisca solo alla comunicazione epistolare, cioè «qualsiasi invio chiuso, ad eccezione di pacchi, e qualsiasi invio aperto che contenga comunicazioni aventi carattere attuale e personale» (art. 24 d.P.R. 655/1982, regolamento di attuazione del codice postale). Secondo questo orientamento, l’art. 15 si riferirebbe alla sola libertà di comunicare “riservatamente”, cioè con riferimento alle sole comunicazioni assoggettate o assoggettabili a vincoli di segretezza. Quindi ci sarebbe una differenza fra una lettera in busta chiusa (art. 15 Cost.) e una cartolina (manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost.). Però la dottrina maggioritaria tende ad attribuire al termine “corrispondenza” un significato più ampio, considerando anche che l’art. 15 parla anche di “ogni altra forma di comunicazione”. In tal modo, il concetto può adattarsi alle nuove forme di comunicazione conseguenti allo sviluppo tecnologico.
6. Che cosa si intende per “comunicazione”? Il “codice postale” del 1973 (d.P.R. 156/1973) parla di comunicazioni telefoniche, telegrafiche e radioelettriche. All’art. 10 ribadisce la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione e all’art. 11 pone alcuni divieti: Non sono ammessi le corrispondenze postali, telegrafiche, radiotelegrafiche e messaggi che possano costituire pericolo alla sicurezza dello Stato o recare danno alle persone ed alle cose o che costituiscano esse stesse reato punibile d'ufficio. Non sono altresì ammesse [...] le corrispondenze di cui al precedente comma, che siano contrarie al buon costume o contengano frasi, parole, disegni ingiuriosi, scurrili o denigratori a chiunque riferiti. (segue)
(segue) La legge n. 98/1974 (Tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni) ha arricchito il codice penale di alcuni nuovi articoli per colare il vuoto normativo. Tale legge ha introdotto l’art, 623 bis c. p., che poi è stato ulteriormente modificato con legge 547/1993. Attualmente recita: Le disposizioni contenute nella presente sezione, relative alle comunicazioni e conversazioni telegrafiche, telefoniche, informatiche o telematiche, si applicano a qualunque altra trasmissione a distanza di suoni, immagini od altri dati. La stessa legge ha modificato anche l’u. c. dell’art. 616 c.p., riferito al reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza: Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per "corrispondenza" si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza.
Il nesso fra libertà e segretezza Corte costituzionale, sent. 1030/1988 (già citata prima): «L'essenziale distinzione tra i diritti di libertà garantiti dagli artt. 15 e 21 Cost. si incentra effettivamente [... ] sull'essere la comunicazione, nella prima ipotesi, diretta a destinatari predeterminati e tendente alla segretezza e, nell'altra, rivolta invece ad una pluralità indeterminata di soggetti. Nel caso degli apparecchi ricetrasmittenti di debole potenza, si tratta di strumenti tipicamente preordinati a realizzare comunicazioni interpersonali e non a diffondere messaggi alla generalità; ed il fatto che questi siano, per ragioni tecniche, captabili da terzi e che la legge non assicuri la protezione da interferenze (art. 334, ult. comma) non giova a mutarne l'essenziale destinazione». Quindi, il requisito della segretezza è collegato alle intenzioni del mittente e non all’idoneità tecnica del mezzo. Corollario: liceità della profilazione dell’utente che naviga in Internet?
Il nesso fra libertà e segretezza (segue) Corte Costituzionale, sent. n. 81/1993 (già citata prima): «Le speciali garanzie previste [...] a tutela della segretezza e della libertà di comunicazione telefonica rispondono all'esigenza costituzionale per la quale l'inderogabile dovere di prevenire e di reprimere reati deve essere svolto nel più assoluto rispetto di particolari cautele dirette a tutelare un bene, l'inviolabilità della segretezza e della libertà delle comunicazioni, strettamente connesso alla protezione del nucleo essenziale della dignità umana e al pieno sviluppo della personalità nelle formazioni sociali (art. 2 della Costituzione). In altri termini, il particolare rigore delle garanzie previste dalle disposizioni prima citate intende far fronte alla formidabile capacità intrusiva posseduta dai mezzi tecnici usualmente adoperati per l'intercettazione delle comunicazioni telefoniche, al fine di salvaguardare l'inviolabile dignità dell'uomo da irreversibili e irrimediabili lesioni. [...] (segue ...)
(segue dalla slide precedente) ... l'ampiezza della garanzia apprestata dall'art. 15 della Costituzione alle comunicazioni che si svolgono tra soggetti predeterminati entro una sfera giuridica protetta da riservatezza è tale da ricomprendere non soltanto la segretezza del contenuto della comunicazione, ma anche quella relativa all'identità dei soggetti e ai riferimenti di tempo e di luogo della comunicazione stessa. ... la stretta attinenza della libertà e della segretezza della comunicazione al nucleo essenziale dei valori della personalità [...] comporta un particolare vincolo interpretativo, diretto a conferire a quella libertà, per quanto possibile, un significato espansivo. ... la Corte ha desunto dall'art.15 della Costituzione la protezione di una sfera privata attinente alla comunicazione tra due o più soggetti, nella misura e nei limiti in cui a tale sfera possa essere riferibile un valore espressivo e identificativo della personalità umana e della vita di relazione nella quale questa si svolge (art. 2 della Costituzione), assegnando alla stessa una posizione privilegiata al fine di salvaguardare l'intangibilità degli aspetti più significativi della vita intima della persona. (segue ...)
(segue dalla slide precedente) ... il riconoscimento e la garanzia costituzionale della libertà e della segretezza della comunicazione comportano l'assicurazione che il soggetto titolare del corrispondente diritto possa liberamente scegliere il mezzo di corrispondenza, anche in rapporto ai diversi requisiti di riservatezza che questo assicura sia sotto il profilo tecnico, sia sotto quello giuridico. ... va riconosciuto il diritto di mantenere segreti tanto i dati che possano portare all'identificazione dei soggetti della conversazione, quanto quelli relativi al tempo e al luogo dell'intercorsa comunicazione. ... non può negarsi che al riconoscimento di tale diritto sia coessenzialmente legata la garanzia consistente nel dovere, posto a carico di tutti coloro che per ragioni professionali vengano a conoscenza del contenuto e dei dati esteriori della comunicazione, di mantenere il più rigoroso riserbo sugli elementi appena detti. ... dovere di riserbo, implicitamente contenuto nell'art. 15 della Costituzione come garanzia istituzionale del diritto della persona alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni».
La tutela penale della segretezza delle comunicazioni L’art. 616 c. p. punisce con reclusione o con multa, a querela della persona offesa, chiunque prende cognizione o sottrae o distrae o distrugge una corrispondenza chiusa o aperta diretta ad altri. Fino a tre anni di reclusione anche per chi, senza giusta causa, dopo averla intercettata rivela il contenuto della corrispondenza. Con legge n. 547/1993 è stato aggiunto un ultimo comma che precisa che per corrispondenza si intende quella epistolare, telegrafica, telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza. L’art. 618 c. p. punisce con pene pecuniarie o reclusive più lievi che riveli il contenuto di corrispondenza diretta ad altri di cui sia venuto abusivamente a conoscenza.
Teoria minoritaria: necessità del requisito materiale della segretezza L’interpretazione fin qui esaminata sostiene che la segretezza debba essere tutela poiché essa è nell’intenzione del mittente, a prescindere dalla effettiva idoneità del mezzo tecnico a garantirla. La segretezza sarebbe un elemento naturale rinunciabile. Secondo un’altra teoria, però minoritaria (es. Pace o Cuniberti), l’art. 15 Cost. garantisce solo la libertà di comunicare riservatamente. Quindi la segretezza rappresenta la ragion d’essere della libertà di comunicazione e pertanto rientrano nella garanzia dell’art. 15 Cost. solo quei messaggi che utilizzano modalità di trasmissione escludenti, in linea di principio, la conoscibilità da parte di terzi (quindi non le cartoline o la corrispondenza aperta). Applicazione di questa teoria ai nuovi media: se il mezzo è neutro rispetto al contenuto, ogni mezzo si presta a veicolare informazioni riservate e non riservate. Una comunicazione telematica può essere più riservata di una comunicazione telefonica attraverso la quale si riceve, ad esempio, materiale audiovisivo, comunicati stampa etc. Occorre quindi applicare caso per caso un criterio funzionale.
Le nuove forme di comunicazione Le comunicazione telematiche (es. videoconferenza, video-on-demand, email, newsgroup, chatlines, social networks) mettono in discussione il criterio della determinatezza dei destinatari, come pure l’idoneità del mezzo a garantire la segretezza, sia dei soggetti della comunicazione sia del suo contenuto. Sfuma la differenza fra manifestazione del pensiero e comunicazione interpersonale: quindi, alcuni ritengono che oggi bisognerebbe procedere ad una lettura integrata degli artt. 15 e 21 Cost. Questo accade anche perché è venuta meno la corrispondenza fra mezzo e attività (convergenza multimediale), quindi non si può stabilire se un mezzo sia destinato alla comunicazione interpersonale o alla manifestazione del pensiero. Altri, invece, propendono per mantenere distinte le diverse forme di comunicazione basandosi sulle intenzioni del mittente.
Alcuni esempi: Una videoconferenza che raggiunge una cerchia molto elevata di destinatari è una comunicazione riservata? Si applica il limite del buon costume? La TV interattiva o altre forme di video on demand: il rapporto fra utente ed emittente è una forma di comunicazione riservata? E che tipo di comunicazione è un messaggio pubblicato su una newsgroup? E la comunicazione via email ad una mailing list? Qui occorre distingue fra mailing list di tipo chiuso e aperto.... E la comunicazione fra gli “amici” di un social network? La diffamazione a mezzo di un messaggio postato su un forum via internet integra la fattispecie aggravata (offesa arrecata pubblicamente) o quella semplice? Questo dipende dal carattere più o meno aperto del forum?
Possibili risposte agli interrogativi Per rispondere, si può far leva sul concetto di INFUNGIBILITA’ DEI DESTINATARI: se esso manca, non si può parlare di comunicazione riservata. Oppure si può fare leva sull’idoneità del mezzo a consentire forme di selezione dei soggetti riceventi. Però talvolta l’identificazione dei destinatari è utile al solo fine di stipulare con essi un contratto di abbonamento, mentre il reale interesse del mittente è la diffusione più ampia possibile del messaggio. Oppure si può far leva sull’intenzione del mittente riguardo alla segretezza della comunicazione. Bisogna però anche dire che le nuove forme di comunicazione tecnicamente sono meno idonee a garantire la segretezza: fino a che punto la scelta del mezzo influisce sulla qualificazione della natura del messaggio? Inoltre, per le comunicazioni via internet c’è il problema della aterritorialità della rete, che rende difficile perseguire gli illeciti.
La normativa sulle intercettazioni
Le intercettazioni Il codice penale e di procedura penale del 1930 non fornivano una disciplina specifica per le intercettazioni (che in epoca fascista erano consentite senza riserva di giurisdizione a beneficio dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato). L’art. 15 Cost., però, fa riferimento alle limitazioni alla libertà di comunicazione consentite solo con le garanzie stabilite dalla legge. Su questo punto vi sono state varie sentenze della Corte costituzionale, fra cui in particolare la storica sentenza n. 34/1973 (in tema di legittimità di intercettazioni telefoniche su iniziativa della polizia in base al mero sospetto di reato). (vedi slide successiva)
Le intercettazioni: Corte cost. 34/1973 «Nel precetto costituzionale trovano perciò protezione due distinti interessi; quello inerente alla libertà ed alla segretezza delle comunicazioni, riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall'art. 2 Cost., e quello connesso all'esigenza di prevenire e reprimere i reati, vale a dire ad un bene anch'esso oggetto di protezione costituzionale. [...] Nel nostro sistema quindi la compressione del diritto alla riservatezza delle comunicazioni telefoniche, che l'intercettazione innegabilmente comporta, non resta affidata all'organo di polizia, ma si attua sotto il diretto controllo del giudice. [...] Nel compiere questa valutazione il giudice deve tendere al contemperamento dei due interessi costituzionali protetti onde impedire che il diritto alla riservatezza delle comunicazioni telefoniche venga ad essere sproporzionatamente sacrificato dalla necessità di garantire una efficace repressione degli illeciti penali. [...] Del corretto uso del potere attribuitogli il giudice deve dare concreta dimostrazione con una adeguata e specifica motivazione del provvedimento autorizzativo. [...] ... la Corte osserva che il legislatore gode di un ampio margine di discrezionalità nell'organizzazione del servizio, ma sente il dovere di formulare l'auspicio che si realizzino opportuni interventi legislativi idonei ad attuare anche sul piano tecnico le condizioni necessarie all'effettivo controllo di cui innanzi si é detto.
Le intercettazioni: Corte cost. 34/1973 (segue) Sulla base di questa premessa la Corte ritiene: 1) omissis; 2) le risultanze delle intercettazioni sono coperte dal segreto, al quale sono tenuti gli ufficiali di polizia giudiziaria e, nel corso dell'istruttoria, chiunque ne abbia preso conoscenza; 3) nel processo può essere utilizzato solo il materiale rilevante per l'imputazione di cui si discute. Omissis; 4) l'applicazione del suddetto principio non solo garantisce la segretezza di tutte quelle comunicazioni telefoniche dell'imputato che non siano rilevanti ai fini del relativo processo, ma garantisce altresì la segretezza delle comunicazioni non pertinenti a quel processo che terzi, allo stesso estranei, abbiano fatto attraverso l'apparecchio telefonico sottoposto a controllo di intercettazione ovvero in collegamento con questo. La Corte ritiene che il rigoroso rispetto di questo principio sia essenziale per la puntuale osservanza degli artt. 2 e 15 della Costituzione: violerebbe gravemente entrambe le norme costituzionali un sistema che, senza soddisfare gli interessi di giustizia, in funzione dei quali é consentita la limitazione della libertà e della segretezza delle comunicazioni, autorizzasse la divulgazione in pubblico dibattimento del contenuto di comunicazioni telefoniche non pertinenti al processo».
L’evoluzione della disciplina delle intercettazioni In seguito alla sentenza Corte cost. n. 34/1973, è stata emanata la legge n. 98/1974 (Tutela della riservatezza e della libertà e segretezza delle comunicazioni). Inoltre, nel 1989, dopo varie riforme parziali, è stato emanato il nuovo Codice di procedura penale (l. 81/1987), che attualmente prevede la disciplina delle intercettazioni agli artt. 240 e 266-271. La Corte costituzionale ha continuato ad occuparsi del tema con varie sentenze fra cui la n. 366/1991 e 63/1994 (utilizzabilità delle registrazioni in altri procedimenti) e n. 463/1994 (conservazione delle registrazioni).
L’evoluzione della disciplina delle intercettazioni (segue) Legge 281/2006 I fatti di cronaca nel 2005 e nel 2006 (caso Fazio, scandalo delle intercettazioni Telecom, calciopoli) hanno determinato alcune pronunce del Garante per la protezione dei dati personali (15 dicembre 2005 e 21 giugno 2006) e poi il d.l. 259/2006, convertito in l. 281/2006, che modifica l’art. 240 del codice di procedura penale, aggravando le sanzioni per la pubblicazione di intercettazioni illegali. Ulteriori proposte: Ddl n. 1415 (2008) e, più recente, il ddl Brunetta (C-1846 del 2013) Restrizioni alla possibilità di effettuare intercettazioni, nonché pene più severe per chi ne divulga arbitrariamente il contenuto.
Le intercettazioni dei parlamentari Legge 140/2003 Emanata per l’attuazione dell’art. 68 Cost., oltre a prevedere l’immunità penale per le 5 più alte cariche dello Stato (questa parte è stata dichiarata incostituzionale), ribadisce la necessità dell’autorizzazione della camera di appartenenza per sottoporre ad intercettazioni un parlamentare e prevede l’inutilizzabilità processuale delle intercettazioni indirette (cioè quelle relative a persone indagate o imputate con cui un parlamentare abbia avuto conversazioni telefoniche), a meno che il giudice non chieda autorizzazione alla camera di appartenenza del parlamentare. Ma l’inutilizzabilità processuale riguarda solo i procedimenti a carico dei parlamentari, non quelli a carico di soggetti terzi, per i quali le intercettazioni restano utilizzabili. (sentenza n. 390 del 2007). Il principio è stato ribadito con la sentenza n. 74/2013.
Le intercettazioni del Presidente della Repubblica Corte Cost., sentenza n. 1/2013 L’art. 7, comma 3, della legge n. 219 del 1989 vieta di disporre intercettazioni telefoniche nei confronti del Presidente della Repubblica, se non dopo che la Corte costituzionale ne abbia disposto la sospensione dalla carica, in seguito a un giudizio di accusa in relazione ai reati di cui all’art. 90 Cost. E le intercettazioni indirette? Secondo la Corte, l’immunità del PdR rende inammissibile anche l’utilizzazione di conversazioni del Capo dello Stato occasionalmente intercettate nell’ambito di indagini concernenti reati addebitabili a diversi soggetti. Infatti, per svolgere efficacemente il proprio ruolo di garante dell’equilibrio costituzionale il PdR deve necessariamente tenere contatti informali con vari soggetti e deve poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie comunicazioni, non in rapporto ad una specifica funzione, ma per l’efficace esercizio di tutte Quindi queste registrazioni non possono essere in alcun modo valutate, utilizzate o trascritte, e se ne dovrebbe piuttosto chiedere al giudice l’immediata distruzione.
Le intercettazioni abusive nel codice penale L’art. 616 c. p. punisce con multa o pene reclusive, a querela della persona offesa, il reato di sottrazione, distrazione e soppressione della corrispondenza, ma anche quello della rivelazione senza giusta causa del contenuto della corrispondenza, precisando che per corrispondenza si intende anche quella telefonica, informatica, telematica o comunque effettuata con qualsiasi tecnica di comunicazione a distanza. L’art. 617 c. p. punisce, con fino a 4 anni di reclusione, a querela della persona offesa, chiunque fraudolentemente prenda cognizione, interrompa o impedisca conversazioni telefoniche o telegrafiche fra altre persone. Inoltre punisce con pena analoga chiunque riveli, con qualsiasi mezzo di informazioni al pubblico, il contenuto di tali comunicazioni o conversazioni. La pena è aumentata e c’è la procedibilità di ufficio se il reato è commesso da oppure ai danni di un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Gli artt. 617 da bis a sexies c. p., introdotti con legge 547/1993 hanno introdotto pene per i reati di installazione abusiva di sistemi di intercettazione e di falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o conversazioni, aggiungendo all’originaria fattispecie delle comunicazioni telefoniche e telegrafiche anche quella delle comunicazioni informatiche e telematiche. L’art. 379 bis punisce con la reclusione fino ad un anno chiunque riveli notizie segrete concernenti un procedimento penale per avervi partecipato o assistito, o non osservi il divieto imposto dal PM ai sensi dell’art. 391 quinques (segreto investigativo).
Le norme del c.p.p. sulle intercettazioni (artt. 266-271) Elenco dei tipi di reato per cui sono ammissibili le intercettazioni. Le intercettazioni riguardano non solo le comunicazioni telefoniche, ma anche quelle relative a comunicazioni informatiche o telematiche. Il PM chiede al GIP di autorizzare le intercettazioni. Ciò può avvenire solo in presenza di gravi indizi di reato, se l’intercettazione è assolutamente indispensabile per la prosecuzione delle indagini. In casi di urgenza, per evitare pregiudizio alle indagini, il PM dispone l’intercettazione, comunicando il provvedimento al GIP entro 24 ore, che procederà all’autorizzazione entro 48 ore. In mancanza di tale autorizzazione, le risultanze delle intercettazioni non possono essere utilizzate. Le intercettazioni possono durare max 15 giorni, prorogabili per decisione del giudice per periodi successivi di 15 giorni (ad libitum). Le intercettazioni (telefoniche) possono essere compiute solo per mezzo di impianti installati nella procura. Per ragioni urgenti il PM può disporre l’utilizzo di impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria. Però per le intercettazioni informatiche e telematiche il PM può disporre l’utilizzo di impianti appartenenti a privati. (segue)
(segue dalla slide precedente) Delle intercettazioni è redatto verbale e registrazione/trascrizione, di cui possono prendere visione i difensori delle parti. Il GIP, alla presenza dei difensori e del PM, esegue lo stralcio delle parti irrilevanti, acquisisce le parti ritenute rilevanti, ne dispone la trascrizione e l’inserimento nel fascicolo del dibattimento. Le parti non eliminate sono conservate fino alla sentenza definitiva. Gli interessati possono chiedere al giudice che la autorizzato l’intercettazione la distruzione di esse anche prima della sentenza definitiva, se la documentazione non è più necessaria per il processo. Le intercettazioni possono essere utilizzate a fini probatori solo per il processo per cui sono state disposte, a meno che non risultino necessarie per l’accertamento di delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a persone tenute al segreto professionale. Se non si segue questa procedura, le intercettazioni sono illegali. Il giudice deve ordinarne la distruzione. Chiunque le acquisisca e le pubblichi è responsabile penalmente ed è tenuto al risarcimento a titolo di riparazione (art. 240 modificato dalla l. 281/2006).
La legge 281/2006: il contenuto Non utilizzabilità processuale di documenti anonimi e atti relativi ad intercettazioni acquisite illegalmente (cioè in modo diverso dalla procedura descritta). Obbligo della loro distruzione immediata e divieto di eseguirne copia; Pena della reclusione da 6 mesi a 4 anni per chiunque detenga atti, supporti, documenti di cui sia ordinata la distruzione; pena aggravata (da 1 a 5 anni di reclusione) se il fatto è commesso da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. A titolo di riparazione può essere richiesta all'autore della pubblicazione degli atti o dei documenti di cui al comma 2 dell'articolo 240 del codice di procedura penale, al direttore responsabile e all'editore, in solido fra loro, una somma di denaro determinata in ragione di cinquanta centesimi per ogni copia stampata, ovvero da 50.000 a 1.000.000 di euro secondo l'entità del bacino di utenza ove la diffusione sia avvenuta con mezzo radiofonico, televisivo o telematico. In ogni caso, l'entità della riparazione non può essere inferiore a 10.000 euro.
Attenzione: La legge del 2006 punisce la diffusione delle sole intercettazioni illegali (cioè quelle eseguite senza osservare la procedura indicata nel c.c.p. oppure stralciate in occasione dell’udienza-stralcio). Questa legge non riguarda le intercettazioni acquisite in modo legale che però vengono diffuse dai mezzi di comunicazione durante la fase delle indagini (cioè prima dell’udienza-stralcio), in violazione del segreto investigativo. Infatti attualmente le norme del codice penale puniscono (blandamente) solo chi viola il segreto (ad esempio l’impiegato della procura che trafuga documenti riservati e li mette a disposizione della stampa), non chi ne pubblica il contenuto.
Il dibattito in corso sulle intercettazioni Nel 2008 il governo ha presentato un ddl sulle intercettazioni (ddl Alfano), che è stato discusso ma non approvato. Il tema è tornato in auge nel 2013 (ddl Brunetta), tuttora in discussione. Le modifiche proposte: divieto di pubblicazione, anche parziale o per riassunto o del relativo contenuto, di atti di indagine preliminare, nonché di quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore, anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare; intercettazioni consentite solo per alcune categorie di reati gravi (pena superiore a 10 anni di reclusione o 5 anni se reati contro la P.A.); l’autorizzazione ad eseguire le intercettazioni può essere data solo quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini e sussistono specifiche e inderogabili esigenze relative ai fatti per i quali si procede, fondate su elementi espressamente e analiticamente indicati nel provvedimento. (segue ...)
(segue dalla slide precedente) competenza ad autorizzare l’intercettazione al giudice collegiale (non più tribunale monocratico); intercettazioni autorizzabili per un periodo massimo di tre mesi; la previsione dell’obbligo di compiere le intercettazioni per mezzo di impianti installati nei centri di intercettazione istituti presso ogni distretto di corte d'appello; intercettazioni non utilizzabili in procedimenti diversi da quello per cui sono state disposte; la previsione del divieto assoluto di pubblicazione (quindi anche del solo contenuto per riassunto), anche dopo la conclusione delle indagini o dell'udienza preliminare, degli atti e dei contenuti relativi a conversazioni o comunicazioni informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione; aggravamento delle pene per chi rivela segreti inerenti procedimenti penali (fino a cinque anni di reclusione) o accede abusivamente agli atti (fino a 3 anni di reclusione)
La nuova normativa sulle intercettazioni (decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216) Nuovo art. 617-septies c.p., che punisce con pene fino a quattro anni di reclusione «chiunque, al fine di recare danno all'altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione». Scriminante per diritto di cronaca: il secondo comma esclude la punibilità «se la diffusione delle riprese o delle registrazioni deriva in via diretta ed immediata dalla loro utilizzazione in un procedimento amministrativo o giudiziario o per l'esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca». Quindi, in nome del diritto di cronaca è possibile registrare di nascosto, nonché pubblicare successivamente, la conversazione fra il cronista e altre persone. Non è chiaro, però, se l’esimente del diritto di cronaca possa essere invocata solo dagli iscritti all’Albo dei Giornalisti, oppure da chiunque stia svolgendo in quel momento un’attività giornalistica.
La nuova normativa sulle intercettazioni (segue) Vietata la trascrizione delle intercettazioni il cui contenuto sia irrilevante ai fini delle indagini nonché di quelle, parimenti irrilevanti, che riguardino dati personali sensibili, a meno che il pubblico ministero non stabilisca la loro rilevanza e ne ordini la trascrizione. Il pubblico ministero, quindi, diventa “arbitro” della rilevanza dei contenuti intercettati, nonché tenutario dell’archivio dei verbali e delle registrazioni (anche di tutto il materiale “irrilevante”). Per evitare fughe di notizie, l’archivio non è pubblico e possono accedervi solo il giudice e i difensori delle persone intercettate. Sulla base delle osservazioni formulate dal pubblico ministero e dai difensori delle parti intercettate, il giudice deciderà quali parti andranno stralciate e quali invece confluiranno nel fascicolo del dibattimento; l’udienza stralcio però avviene in camera di consiglio, senza la presenza del pubblico ministero e delle altre parti. Successivamente, chiunque potrà prendere visione delle parti non stralciate e renderle pubbliche.
La nuova normativa sulle intercettazioni (segue) Intercettazioni effettuate mediante “captatori informatici” (trojan) inseriti all’interno di dispositivi elettronici portatili (es. telefoni, computer, tablet): ammesse soltanto se si procede per delitti di criminalità organizzata o terrorismo. L’uso dei trojan in ambito domiciliare è limitato allo svolgimento in atto, in tale luogo, di un’attività criminosa. Il divieto di utilizzo dei trojan al di fuori delle ipotesi indicate vige anche per chi vuole intercettare conversazioni o comunicazioni in esercizio del diritto di cronaca. ___ I colloqui tra un avvocato e il suo assistito non possono essere registrati né trascritti, nemmeno nei verbali della polizia. Nel caso dei reati più gravi commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (quelli con pena minima di 5 anni), il ricorso alle intercettazioni come strumento di indagine è consentito sulla base di due presupposti: sufficienti indizi di reato e necessità per lo svolgimento delle indagini.
Grazie per l’attenzione! Fine Grazie per l’attenzione!