La moda nell’antica grecia di: Francesca Caporossi, Eugenia D’Onofrio, Giulia Di Blasio, Benedetta Di Muzio e Lorenza Tedesco
L’ABBIGLIAMENTO FEMMINILE Sebbene agli inizi non esistessero grandi differenze fra l’abbigliamento maschile e quello femminile (anche se con il divieto di scambiarsi gli abiti le differenze divennero piuttosto evidenti) diversi particolari distinguevano le adolescenti dalle donne sposate, le prostitute dalle vedove, le donne dell’aristocrazia dalle popolane, le padrone dalle schiave. Le differenze tra le vesti semplici e quelle più sfarzose crebbero sempre più e si moltiplicarono le forme intermedie.
Allontanandoci dalla complicata questione della moralità, generalmente le donne greche indossavano il peplo, rettangolo di stoffa (generalmente lana bianca o color zafferano) che veniva drappeggiato intorno al corpo sino a formare una sorta di tunica, che lasciava le braccia scoperte, e veniva fermato in vita da una cintura. Comunemente il peplo veniva rimboccato al di sopra della cintura, creando un effetto simile a quello di una moderna blusa. Il peplo fu usato come vestito unico fino alla seconda metà del VI secolo, quando sostituito dal chitone, venne usato come camicia da notte o abito casalingo e a volte anche una specie di mantello. Il chitone, di origini ioniche, era costituito da due teli rettangolari sovrapposti e cuciti insieme sui lati. Mentre l’abito veniva fermato in vita da un cordone o una cintura, e fissato sulle spalle (inizialmente da spille fibule ed in seguito da vere e proprie cuciture) il seno era sorretto da una larga fascia, che aveva anche la funzione di nascondere l’apertura del vestito. Dal chitone ionico era possibile, tramite spille appuntate nella parte superiore dell’abito, ricavare anche delle maniche, ed era generalmente lungo sino ai piedi, a differenza del chitone dorico, che invece poteva essere anche più corto, ed era cucito soltanto su un lato. Il chitone era sempre vestito insieme ad un mantello, che poteva essere o il peplo o l’himation. L’himation (costituito da un grosso triangolo di stoffa messo doppio) poteva essere indossato intorno alla testa, oppure fatto passare da sotto l’ascella alla spalla opposta. Con la stessa funzione, nelle stagioni più calde erano usati il diplax ed il chlamidon ,versioni dell’himation ma di dimensioni più ridotte. Pochissime notizie sono giunte relative all’utilizzo di biancheria intima nella Grecia antica. Si sa per certo che le donne utilizzassero una fascia di tessuto a mo’ di reggiseno, chiamata stròphion. In alcune fonti spesso esso è indicato anche con i nomi di tainìa o di mìtra, molto probabilmente a seconda della forma e della grandezza dell’indumento.
Peplo, Chitone e himation femminili
L’ABBIGLIAMENTO MASCHILE L'abito nazionale degli uomini greci era il chitone, lunga tunica, cucita su un lato e fermata sulle spalle da fibule, o da una cucitura, e molto simile al suo corrispettivo femminile. Nel corso degli anni il chitone fu relegato ad abito per le circostanze formali e le cerimonie solenni, e sostituito a partire dal V secolo dal più pratico chitoniskos, lungo fino alle ginocchia e fermato in vita da una cintura. Gli uomini liberi lo indossavano fissato su entrambe le spalle, e spesso con l'illusione di due piccole maniche. Gli schiavi invece ne indossavano una versione meno pregiata, e fissata su una sola spalla, in modo da riconoscere la loro condizione e permettere loro maggiore comodità nel lavoro. La versione destinata ai bambini invece era lasciata libera senza cintura, così come quella indossata dai soldati al di sotto delle corazze. Materiale maggiormente diffuso era la lana, e soltanto in rare occasioni il lino. L'himation era il mantello utilizzato tanto dagli uomini quanto dalle donne, indossato al di sopra della tunica, semplicemente appoggiato sulla spalla e fatto ricadere sul fianco. Poteva eventualmente anche essere ripiegato a quadrata ed appoggiato sulla spalla, oppure portato appoggiato da una spalla all'altra, privo di cuciture o spille. In ogni caso, i modi in cui l'himation poteva essere drappeggiato erano innumerevoli, e spesso indicativi della posizione sociale e della professione di chi lo indossava. Il tribonio di provenienza spartana era un mantello più ruvido e più grezzo, che lasciava scoperte le gambe, e fu adottato come divisa distintiva dei filosofi. La clamide (o anche claina) era un corto mantello di lana infeltrito, di utilizzo prettamente militare, che veniva fissato sulle spalle o sul dorso da una fibula. L'utilizzo della clamide si diffuse anche fra i Romani e i goti e rimase in uso sino al 300 d.C. La clamide era il simbolo del comando fra i generali dell'esercito, ed era il simbolo del passaggio nell'età adulta per gli adolescenti che lo ricevevano in dono.
clamide, Chitone e himation maschili
I MATERIALI E I COLORI Quanto al materiale più utilizzato nella tessitura dei capi di abbigliamento la lana vinceva sugli altri tessuti. Dopo le campagne d’oriente ed attraverso Acotone e seta; si diffuse così una moda più sofisticata arricchita da tessuti leggeri e ricami e vennero introdotti altri colori come l’oro, il rosa ciclamino ed il verde pastello. La coltivazione del lino però negli anni fu abbandonata e ripresa soltanto molti secoli dopo. Per i vestiti più costosi e raffinati era impiegato il bisso. Bisso di Taranto I colori maggiormente presenti nell’abbigliamento erano, ovviamente, il bianco naturale dei tessuti, ma anche alcune colorazioni naturali come il giallo o il turchese. Meno comune era il rosso, in quanto la tecnica di colorazione impiegata, prevedeva l’utilizzo della porpora, e rendeva notevolmente più alti i costi di produzione. Tuttavia il rosso era il colore che veniva indossato lessandro Magno giunsero in Grecia stoffe più esotiche e costose quali dalle etere e dai ballerini, quindi, in ogni caso era ben poco diffuso.
LE CALZATURE Le calzature erano costose, e in casa si girava scalzi, ma uscire senza calzari era considerato un gesto che offendeva il buon gusto e la morale pertanto andavano scalzi solo gli schiavi e quanti portavano il lutto. Le calzature erano un indice di ricchezza. C’erano raffinati sandali bianchi o tinti di rosso, dorati o ricamati, ornati di perle e altre pietre preziose. Eleganti e pratiche erano le calzature babilonesi dalla punta rivolta all’insù, che proteggevano più efficacemente le dita dei piedi nelle regioni montuose. L’alto, rozzo calzare ricco di stringhe veniva detto perone. Il nome dell’imperatore Caligola veniva dagli stivali chiodati e semiaperti dei soldati romani, i caliga. I benestanti portavano infine il colceus di morbido cuoio rosso che arrivava fino agli stinchi.
Principale, e diffusissimo, modello di calzature greche erano i pedῖlon, una primitiva forma di sandali, costituita da un plantare di cuoio, ritagliato sulla forma del piede, a cui era assicurato tramite una serie di fasce che arrivavano sino al collo del piede. Tale calzatura si evolse nei sandάlia, più elaborati e resistenti, che nelle varianti femminili potevano persino essere colorati; erano costituiti da un pezzo di legno non lavorato, senza tacco, con legacci che passando intorno all’alluce arrivavano fino al collo del piede e venivano annodati alla caviglia o al polpaccio. pedῖlon sandάlia
CALZATURE FEMMINILI Tipica scarpa femminile per le occasioni particolarmente formali, come cerimonie e matrimoni, era il diάbaqron, impreziosita da applicazioni in metalli. Le costosissime baucides erano invece le tipiche calzature delle etere, la cui caratteristica era di aumentare notevolmente l’altezza dell’indossatore, stessa caratteristica che contraddistingueva i coturni (kόqornoς), gli altissimi stivaletti indossati dagli attori tragici. coturni
I COPRICAPI I copricapi nell'antica Grecia avevano una funzione meramente pratica, ed erano principalmente utilizzati per proteggere l'indossatore dai raggi del sole, durante il lavoro nelle campagne, o per proteggere dal freddo, come il ἀλωπεκίς, realizzato in pelle di volpe. Il πιλοσ invece era un copricapo in feltro destinato ai ceti più poveri, ed utilizzato principalmente a scopo "curativo" dai bambini e gli anziani. Le fattezze di tale copricapo potevano variare a seconda del luogo e della regione. La καυσία era un lungo cappello di feltro piatto, di origine macedone, mentre il berretto frigio era un copricapo conico con la punta ripiegata in avanti, di origine anatolica. L'unico cappello destinato alle donne era invece il κρήδεμνον, di forma simile al petaso maschile. Infine il polos (πόλος) era un copricapo di forma cilindrica o quadrangolare, tipico nelle rappresentazioni delle divinità femminili, ed effettivamente impegnato in cerimonie. Petaso Polos
LE ACCONCIATURE FEMMINILI Corona muralis Prima che si diffondesse l’uso del velo e di altri copricapi, le donne solevano legarsi intorno al capo una semplice corda di lino, lana o cotone per evitare che i lunghi capelli ricadessero loro sulla fronte. Da questa semplice cordicella derivò in seguito il diadema delle ricche matrone e delle principesse. «Gerusalemme dorata» era il nome di una corona muraria ornata di perle, oro, monete d’argento e porpora. Anche il capo della dea siriaca Iside era adornato da una corona muraria. .
Le donne dell’antica Grecia portavano tendenzialmente i capelli lunghi, ma li acconciavano in diversi modi: tagliavano una frangia corta e raccoglievano il resto della chioma in una lunga coda, oppure utilizzavano moltissimo lo chignon racchiuso in bende di tessuto con le quali incorniciavano anche la fronte. Molto apprezzati erano i capelli biondi tant’è vero che venivano lavati e schiariti in mille modi differenti. Per quanto riguarda la loro cura, per renderli lucidi, si usava grasso di capra, cenere di legno di betulla e olio d’oliva, mentre per fissare la pettinatura si ricorreva allo sterco bovino, all’argilla, alla cera o al burro. Infine si spruzzava sui capelli acqua fortemente profumata. Per dare un riflesso ramato ai riccioli che incorniciavano il volto Plinio consigliava il fiore del cipero, che cresceva a Gerico. Fra i reperti archeologici sono stati rinvenuti anche nastri e reticelle (di cui alcune in metallo), forcine, catenelle, spirali, pomate profumate, tinture, pettini d’avorio e non. I capelli corti, invece, non erano molto di moda a meno che non si volesse somigliare a schiave e serve, a volte obbligate, per il loro stato sociale, a portare i capelli al mento.
TRUCCO E BELLEZZA Gli antichi greci, forse anche spinti dalle accortezze egizie, tenevano molto al proprio aspetto personale. Ad Atene esisteva addirittura una sezione di magistrati pronta a multare le donne che se ne andavano in giro in maniera trascurata, senza mostrare cura ed igiene. Vediamo in dettaglio come e con cosa i greci erano soliti curare la propria bellezza.
Nell’antica Grecia accanto agli oli profumati, che secondo le opere di Omero erano presenti persino nella toeletta delle dee, le donne utilizzavano cosmetici ricavati da piante, e sostanze di origine minerale. Aspasia di Milete, compagna di Pericle, scrisse di cosmesi e sicché era così rilevante come argomento alcune ricette riportate sui suoi libri vennero incise su lamine di bronzo e messe nel tempio di Esculapio. Piuttosto frequente era anche l’uso della cosmesi naturale, da parte degli uomini dell’antica Grecia che ricorrevano a prodotti cosmetici per esaltare la propria bellezza fisica, utilizzando abitualmente unguenti e oli profumati. Le donne la mattina dopo il bagno profumato si spalmavano di oli essenziali di rosa, pulivano il viso con cosmetici spesso provenienti dall’Egitto.
La base del trucco era costituita da un preparato contenente carbonato di piombo, chiamato biacca, che conferiva alla pelle il colore bianco tanto richiesto dai canoni di bellezza femminile del tempo. Ma era allo stesso tempo pericoloso: alla lunga finiva con il danneggiare irrimediabilmente la struttura stessa dell’epidermide, e poteva addirittura provocare la morte se ingerito anche in minima parte. Toglierselo dalla faccia una volta applicato inoltre, non era affatto facile, in quanto resistente all’acqua. Per il trucco degli occhi, anche le donne greche davano molto risalto alla loro linea naturale e, come gli egizi, usavano il kohl per sfumare delle lunghe linee nere. La vera novità delle donne greche è l’uso dell’ombretto. In Grecia, infatti, si usava molto colorare le palpebre: gli “ombretti”, ottenuti dalla polverizzazione di diverse sostanze vegetali e minerali, era di vari colori, ma con una netta predominanza di rosso, verde e toni del marrone. Per raggiungere il risultato voluto, i bordi delle palpebre venivano accentuati con una spessa riga nera delineata con un pezzetto di carbone e allungata lateralmente per far sembrare gli occhi più grandi. Anche le sopracciglia avevano un loro ruolo estetico, per questo venivano messe in risalto e scurite con del carbone o con l’antimonio; avere sopracciglie lunghe e scure era sinonimo di forte carattere. La pelle veniva illuminata con degli estratti di minio, ancusa o fuco, dai colori forti e rossicci, per dare risalto alle guance e renderle rosee, sinonimo di perfetta salute. Si usava il rosso del minio (ossido di piombo), oppure quello che si otteneva da una pianta, l’anchusa tinctoria (hennè), o dal phukos (un’alga marina) o ancora dalle more essiccate. Anche le labbra avevano una loro tintura: solitamente si usava il rosso estratto dall’oricello e lo si passava sulla bocca con un apposito pennello. Questa pasta era addizionata con quella che chiamavano “polvere di cinabro", che serviva a farla durare più a lungo, ma che altro non era che solfuro di mercurio, una sostanza fortemente tossica.
«…Ogni nuova Moda è rifiuto di ereditare, sovvertimento contro l’oppressione della vecchia Moda; la Moda si vive come un diritto, il diritto naturale del presente sul passato… l’oggi della Moda è puro, distrugge tutto intorno a sé, smentisce il passato con violenza, censura l’avvenire… la Moda pura non è altro che una sostituzione amnesica del presente sul passato. Si potrebbe quasi parlare di una nevrosi di Moda…» tratto da «Come vestivano i Greci». Milano, 1993
LAVORO DI: Francesca Caporossi, Eugenia D’Onofrio, Giulia Di Blasio e Lorenza Tedesco