Le ragioni del migrare Protezione internazionale e accoglienza dei migranti Scienze delle Politiche e dei servizi sociali a.a. 2019/2020.

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Le ragioni del migrare Protezione internazionale e accoglienza dei migranti Scienze delle Politiche e dei servizi sociali a.a. 2019/2020

Chi è il migrante? Migrare testualmente significa lasciare, anche solo temporaneamente, il luogo di origine (in cui si è residenti o di cui si ha la cittadinanza) in cerca di condizioni migliori. Perché si migra? I migranti economici lasciano il loro paese volontariamente per trasferirsi, temporaneamente o definitivamente, in un altro Paese alla ricerca di migliori condizioni di vita e di lavoro. I migranti politici (i rifugiati) non si spostano per libera scelta ma sono costretti ad abbandonare il proprio Paese per sfuggire a gravi persecuzioni, violenze, tortura e rischio di morte. Spostarsi non è una libera scelta ma è conseguenza della mancanza di ogni scelta.

…segue Il migrante economico è colui che, sulla base di una scelta volontaria e tendenzialmente razionale, lascia il proprio Paese di origine o di residenza per stabilirsi, temporaneamente o permanentemente, in un altro Stato per motivi di lavoro, studio, ricongiungimento familiare, cure mediche etc. Il richiedente asilo (o protezione internazionale) è chi chiede la protezione ad un Paese diverso da quello di origine ed è in attesa del riconoscimento di uno degli status di protezione internazionale [rifugio, protezione sussidiaria, protezione temporanea) o di protezione umanitaria e/o altre forme «nazionali di protezione» (i permessi per ‘casi speciali’ che dal dicembre 2018 hanno sostituito la protezione umanitaria). Il rifugiato è chi si è visto riconoscere una qualche forma di protezione (internazionale o nazionale) dallo Stato al quale ha inoltrato la sua richiesta e che, di norma, è il primo Stato europeo nel cui territorio si è giunti (via terra, via mare, via area).

Le distinzioni Le migrazioni economiche e quelle politiche sono disciplinate, dal punto di vita giuridico, in maniera assai diversa così come diversi sono i sistemi normativi di riferimento. In entrambi i casi, però, si tratta di complessi normativi assai articolati e multilivello (livello internazionale, livello europeo, livello nazionale). In linea teorica, mentre gli Stati sono tendenzialmente liberi di scegliere se, come, quando e quanti stranieri ammettere sul proprio territorio per motivi economici, gli stessi Stati sono vincolati da alcuni strumenti di diritto internazionale (la Convenzione di Ginevra del 1951, in primis) e devono ammettere sul proprio territorio qualunque straniero faccia domanda di rifugio.

La validità pratica della distinzione La distinzione viene sempre più usata, nel discorso pubblico italiano ed europeo, non dal punto di vista giuridico o analitico ma per differenziare tra migranti «meritevoli» e migranti «non meritevoli». I primi da accogliere, i secondi da respingere. In realtà, negli attuali flussi migratori diretti in Europa non è possibile distinguere nettamente le migrazioni politiche da quelle economiche. Si parla, a tale proposito, di «flussi misti». Non c’è quasi mai un solo fattore che porta gli individui o i gruppi ad emigrare. C’è sempre un insieme complesso di concause e chi migra può essere contemporaneamente alla ricerca di lavoro e di protezione. Es.: Libia pre 2011 e post 2011 (lavoratori subsahariani che improvvisamente diventano profughi in fuga da una guerra); i curdi in Germania (migranti economici fino agli anni Novanta e poi richiedenti asilo).

… continua Si può fuggire da un conflitto o da una persecuzione e dover lavorare durante il lungo e (spesso) tormentato viaggio in Europa. Si può partire per cercare lavoro e dover subìre, lungo il percorso migratorio, vessazioni, stupri, torture, detenzioni arbitrarie, trattamenti inumani (ancora una volta, si veda il caso libico). Spesso si parte da contesti di totale deprivazione (economica e di servizi) e chi parte e giunge a «destinazione» ha comunque bisogno di lavorare per sostenere la famiglia di provenienza. In situazione di crisi economica persistente, con economie fragili, disoccupazione e precarietà, i richiedenti protezione internazionali, i rifugiati e i titolari di altre forme di protezione vivono terribili condizioni di sfruttamento e di ricattabilità (fenomeno del caporalato).

Quid iuris? Tanto la normativa internazionale che sovranazionale e nazionale prevedono importanti strumenti di tutela nei riguardi di chi è sottoposto a «condizioni lavorative di particolare sfruttamento» (condizioni che cioè incidono sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori ed è contraria alla dignità umana Direttiva 2009/52/CE. - Soggiorno per motivi di protezione sociale (art. 18, d. lgs. n. 286/98)

Rifugiati e migranti economici: le strategie Per quanto gli Stati europei siano vincolati dalle normative internazionali, sovranazionali e unionali spesso (e specie ultimamente) gli stessi adottano strategie politiche e comunicative assai diverse. Esempio. In Svezia nel 2007 dei 18.559 iracheni che hanno fatto domanda di asilo l’82% è stato riconosciuto come rifugiato; dei 5474 iracheni che lo hanno chiesto in Grecia lo ha ottenuto lo 0%.

Alcuni dati assai interessanti Il maggior numero di rifugiati è accolto da Paesi extraeuropei. A fine 2018, il numero totale dei rifugiati nel mondo è di 25,9 milioni, in crescita notevole rispetto al 2017 (poco meno di 20 milioni). Bisogna aggiungere i c.d. sfollati interni (profughi che restano nel proprio paese e che sono 41,3 milioni a fine 2018) e i richiedenti asilo (3.5 milioni): quasi 71 milioni di migranti forzati nel mondo. Ogni giorno, 37mila persone sono costrette a lasciare la propria casa. I principali Paesi di accoglienza sono: Turchia, Pakistan, Uganda, Sudan, Germania, Iran, Libano, Bangladesh, Etiopia, Giordania.

continua L’impatto del sistema di protezione internazionale sugli Stati di accoglienza si misura generalmente su due dati: la presenza dei rifugiati su un dato territorio e le richieste di asilo su base annua. In Europa nel 2016 si contavano 5,2 milioni di rifugiati (+18% rispetto al 2015, +68% rispetto al 2014). Però occorreva scomputare i rifugiati presenti in Turchia e quindi il numero si riduceva ulteriormente e cioè a 2,3 milioni. Tale ultima cifra è inferiore a quella registrata in Africa (più di 5 milioni di rifugiati), Asia (3,5 milioni), Medio Oriente-Nord Africa 82,7 milioni). Nel 2017, l’Europa ha ospitato in totale 6,5 milioni di rifugiati ma occorre ancora una volta scomputare i rifugiati in Turchia e, quindi, il numero scende a 3 milioni.

I rifugiati in Europa Numero rifugiati Ogni 1000 abitanti Turchia 3.480.348 43,6 Svezia 240.962 24,1 Malta 8.000 17,4 Austria 115.263 13,1 Germania 970.365 11,8 Norvegia 59.236 11,3 Svizzera 82.681 9,8 Danimarca 35.672 6,2 Olanda 103.860 6,1 Francia 337.177 5,0 Belgio 53.199 4,7 Serbia 27.913 4,0 Finlandia 20.805 3,8 Grecia 32.945 3,1 Italia 167.335 2,8 Regno Unito 121.837 1,9

continua La percentuale dei rifugiati rispetto alla popolazione totale è molto bassa, anche se in continua crescita. Esclusa la Turchia, che non fa parte dell’UE, la Svezia rimane il paese con il rapporto più alto tra rifugiati presenti e popolazione (il 2,4%). Valori alti (si fa per dire, comunque tra l’1% e il 2% della popolazione) in generale nei paesi nordici e dell’Europa centrale, più bassi invece nell’Europa mediterranea, con l’eccezione delle due piccole isole Malta e Cipro. Il numero dei rifugiati è comunque in forte aumento ovunque. Caso clamoroso quello della Germania, che pure aveva già un alto numero di rifugiati e nel giro di due anni li ha triplicati, portandoli dai 300 mila del 2015 ai 970 mila del 2017. È l’onda lunga della famosa politica delle porte aperte di Angela Merkel nel 2015, che ha portato centinaia di migliaia di persone a fare domanda di asilo in Germania, ottenendo lo status di rifugiato nel 2016 e 2017. La percentuale di rifugiati sul totale della popolazione tedesca è passata dallo 0,2% del 2013 all’1,2% del 2017. Un aumento del 45% solo tra il 2016 e il 2017. Incrementi significativi anche in Grecia (+53%, sono i siriani che vi sono rimasti bloccati dopo la chiusura della rotta balcanica), Belgio (+26%), Austria (+24%), Cipro (+16%), seguito dall’Italia (+13,5%).

I dati sui richiedenti (2017) Richieste di asilo Ogni 1000 abitanti Grecia 58.650 5,4 Cipro 4.600 Malta 1.840 4,0 Austria 24.715 2,8 Germania 222.560 2,7 Svezia 26.325 2,6 Italia 128.850 2,1 Svizzera 18.015 Belgio 18.340 1,6 Francia 99.330 1,5 Olanda 18.210 1,1

continua La Germania è il paese che nel 2017 ha ricevuto più domande di asilo, anche se in netto calo rispetto alle 745 mila dell’anno record 2016, seguita dall’Italia, che ha ricevuto 128 mila domande, il 18% del totale europeo. A parte il tracollo delle domande di asilo in Germania (-70%), altri paesi hanno visto diminuire i richiedenti asilo in ingresso, tra cui eclatanti i casi di Ungheria (-89%), Polonia (-59%), Danimarca (-48%) e Austria (-42%), paesi i cui governi stanno facendo della chiusura delle frontiere dei punti forti della loro politica. Richieste di asilo in diminuzione anche in Olanda, Finlandia, Svezia e Regno Unito. Il numero di domande di asilo è invece cresciuto in Romania (+156%, ma si partiva da numeri prossimi allo zero), Cipro (+57%), Irlanda (+31%, ma anche qui su numeri bassi), Francia (+18%), Grecia (+15%). L’Italia si colloca in questo gruppo, con un aumento però molto limitato, del 5%.

E in Italia? Gli ultimi dati (Dossier Caritas-Migrantes) del settembre 2019 ci dicono che i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti sono 5.255.503 (8,7% della popolazione totale residente in Italia), collocandosi al terzo posto in Europa. L’incidenza degli alunni con cittadinanza straniera (841 mila nell’a.s. 2017/18 dei quali il 63,8% nati in Italia e il 9,7% dell’intera popolazione scolastica) è fermo tra il 9 e il 10% del totale da circa un decennio. In Italia nel 2017 circa il 40% delle 81 mila domande di asilo esaminate è risultata in una forma di protezione. Fonti: Unhcr (2018), Global Trends 2017.

La percezione Da un documento dell’UNHCR Quanti sono i rifugiati in Italia? Intendiamo quanti, fuggiti dal proprio paese perché vittime di persecuzioni, hanno ricevuto risposta positiva in questi anni alla domanda di protezione. E negli altri paesi europei, sono di più o di meno che da noi? È corretto parlare di invasione? E poi, l’Europa è davvero un continente sotto assedio? Un recente sondaggio in Grecia ha registrato un dato che può sorprendere riguardo la percezione che si ha del fenomeno: circa la metà della popolazione ellenica crede che i rifugiati siano più del triplo (200mila) rispetto a quelli che si trovano realmente nel paese (circa 60mila). E l’Italia? Due anni fa, in piena refugee crisis l’“invasione percepita” era in testa alle preoccupazioni e il 36% degli italiani riteneva che gli stranieri nel nostro paese fossero circa 20 milioni. Due ogni mille E allora, sono molti o sono pochi coloro che hanno ricevuto protezione in questi anni? Intanto sono quelli a cui la legge offre questo diritto. Ma proviamo ad avere uno sguardo obiettivo senza pregiudizi e facciamo qualche proporzione per avere un’idea della misura di questo fenomeno. 131mila su 60 milioni significa una proporzione del 2 per mille. Significa che per una cittadina di piccole dimensioni come Ivrea (To) che ha circa 24mila abitanti – se fosse rispettata la proporzione nazionale – sarebbero 46, in una come Avezzano (Aq) vivrebbero 90 rifugiati, in una città come Bologna sarebbero circa 800. Insomma, non proprio un’invasione. Sufficiente come immagine? Ma proviamo a immaginarli tutti insieme questi 131mila rifugiati che vivono in Italia, anche da molti anni. Prendiamo uno spazio di quelli usati per le grandi manifestazioni o i concerti. Ecco, tutti i rifugiati in Italia non riempirebbero neanche la metà del Circo Massimo a Roma che, secondo una stima, riuscirebbe al massimo a contenere 340mila persone. Oppure a Piazza San Giovanni sempre a Roma, il grande slargo davanti alla basilica teatro di molte manifestazioni. Ecco anche lì ci sarebbero molti vuoti, se è veritiera la stima di una capienza di 200mila persone.