una riflessione bioetica.

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Transcript della presentazione:

una riflessione bioetica. Il valore della sofferenza: una riflessione bioetica. RAFFELE SINNO, DOCENTE DI BIOETICA I. S. R. R. DI BENEVENTO FACOLTA’ TEOLOGICA DELL’ITALIA MERIDIONALE. . Corso di Formazione S.M.O.M. Benevento, 14 febbraio 2013.

Ho guardato il mio volto cosa ho visto? Non mi sono riconosciuto. Un colore appassito: la pelle tirata e tanta tristezza. E’ l’urgente necessità di riconoscere e accettare il volto di mia madre. Nicholas Ray

LA SOFFERENZA ESPERIENZA SOGGETTIVA PERSONALE; NEL CONTEMPO UNIVERSALE COSMICA; ESPERIENZA DEL LIMITE CHE LIMITA; SEPARAZIONE, NON PERDITA.

LA SOFFERENZA QUESTA ESPERIENZA NON COMPRESA ACCERCHIA DIVIDE!

LA SOFFERENZA QUESTA ESPERIENZA NON COMPRESA AMMUTOLISCE GRIDA!

g

La sofferenza può lacerale legami, in ogni caso non annulla il valore della vita nella singola persona umana.

Il dolore è misurabile,mentre la sofferenza è da: COMPRENDERE; ACCETTARE; CONDIVIDERE AMARE.

“La sofferenza e il dolore sono sempre doverosi per una coscienza vasta e per un cuore profondo”. Fëdor Dostoevskij , Delitto e castigo, 1866.

una costante inconciliabilità tra due Nell’attuale dibattito bioetico si assiste ad una costante inconciliabilità tra due posizioni che si situano all’interno di due matrici culturali: quella della sacralità della vita e della qualità.

appannaggio della nostra situazione culturale italiana, che risente di La questione non è di esclusivo appannaggio della nostra situazione culturale italiana, che risente di un adattamento sociale acritico di modelli anglosassoni.

“ Le due posizioni sono antitetiche, non conciliabili ed escludenti. La prima quella della sacralità si riferisce alla legge naturale, mentre la seconda ha come riferimento l’uomo principio e fonte della moralità. Esse continuano a riproporre modelli di necessità la prima, di indipendenza la seconda”. MAURIZIO MORI, L’etica della qualità della vita e la natura della bioetica, in “Rivista di Filosofia”, I, 2001,p.166.

tra l’etica della sacralità e quella della qualità”. “Legislatori, medici e comuni cittadini, devono riconoscere che il problema vero è se affermare e tutelare la sacralità di ogni vita umana, o se abbracciare un’etica sociale per i quali alcuni tipi di vita umana sono possibili, mentre altri non lo sono. Dobbiamo infine scegliere operativamente tra l’etica della sacralità e quella della qualità”. PETER SINGER, Ripensare la vita, Il Saggiatore, Milano 2000, p.17.

e infruttuoso scontro”. “La sofferenza umana rappresenta il confine estremo di questo assurdo, inutile, incapace e infruttuoso scontro”. RAFFAELE SINNO, Confronti fondativi in bioetica. La vita tra sacralità e qualità, Levante, Bari 2002, p. 32.

Nel limite connaturato della sofferenza, si ritrova la possibilità di ricondurre la ragione alla ragionevolezza, superando ogni schematismo del confine etico.

Nella sofferenza si mettono a nudo le questioni profonde del senso della vita umana.

Nella sua manifestazione emergono le illusioni di coloro che vogliono ridurre la vita a semplice epifenomeno.

oppositive al senso della vita. Emergono operativamente i fallimenti di chi estremizza, senza risposte, visioni culturali, filosofiche, antropologiche oppositive al senso della vita.

non vissuta, né valorizzata, Nel grido della sofferenza una sacralità non vissuta, né valorizzata, paradossalmente crolla nel vitalismo cieco, incapace di dare motivazione della stessa natura.

Nel terrore della solitudine della sofferenza, i sostenitori della qualità non riescono a motivare le esigenze delle teorie delle preferenze e quelle della perfezione della vita, lasciando via libera alla tristezza motivazionale dell’edonismo, come puro piacere che non sa più di cosa godere.

In questo dramma, non della sofferenza, ma dell’ incapacità umana, etica, e filosofica di non essere in grado di dare risposte, non si può neppure ricorrere al principio di precauzione, il quale conduce, se non motivato, ad una sorta di decisionismo deresponsabilizzato, per paradosso un’autonomia senza limiti.

“Fermezza di fronte al destino, grazia nella sofferenza non vuol dire semplicemente subire: è un’azione attiva, un trionfo positivo”. Thomas Mann, La morte a Venezia,1912

La sofferenza interroga il singolo individuo nella metastoria della sua comunità, una liberazione dai limiti e dilemmi fondativi.

Esiste nella società postmoderna un’ accidia culturale nel volere lasciare l’uomo nel baratro della sofferenza : esperienza da annullare, al massimo da rinviare, oppure da accettare con una sorta di rassegnazione.

il problema di fondo che ci tormenta: Nella solitudine esistenzialista, in cui siamo immersi, la sofferenza è espressione massima dell’angoscia, traspare il problema di fondo che ci tormenta: il limite della nostra natura, il richiamo ad una complementarietà che cerchiamo di annullare, il volto dell’altro, come il mio, in cerca del senso originario della vita.

quale espressione universale di appartenenza al fenomeno vitale e, Vi è un obiettivo nascosto è quello di non far emergere il significato profondo della sofferenza, quale espressione universale di appartenenza al fenomeno vitale e, contemporaneamente, suo trascendentale superamento.

Nella sofferenza ci troviamo volto a volto con ciò che siamo: creature con limiti che hanno la possibilità di trascenderli. Noi siamo costruttivamente chiamati ad integrare le nostre tre sfere esistenziali: quella biofisica, quella psichica e la spirituale .

La sofferenza nel suo valore universale, e particolare, si presta ad una capacità di narrazione didattica .

in un universo di universi, Grazie alla presenza della sofferenza possiamo riconoscere l’altro da me, come un me stesso, congiungere ogni isola in un arcipelago, in un continente, in un universo di universi, una valorizzazione della sacra qualità della vita di ogni singolo uomo inserito nella storia dei viventi.

E’ possibile riflettere sulla sofferenza senza accettare le contraddizioni delle teorie etiche e bioetiche che si contrappongono ?

la dignità della persona che soffre. E’ tempo di porre fiducia in una etica della responsabilità, che attende, da troppo tempo, di costruire una metodologia operativa, per far emergere la dignità della persona che soffre.

“La sofferenza peggiore è nella solitudine che l’accompagna”. André Malraux,La condizione umana, 1933

Le aporie proposte della lettura quotidiana della sofferenza in questo scenario antropologico, etico - culturale.

L’emiplegia della sofferenza. Si crede che l’esperienza della sofferenza conduca ad una sorta di emiplegia dell’animo umano, costretto a rileggere il proprio vissuto confrontandolo con norme e regole, delegittimandolo da ogni personale drammatica responsabilità. E’ più facile, meno complicato!

Miopia della Sofferenza Si ritiene, a torto, che tale esperienza in fondo sia incapace di gettare uno sguardo lontano sulle vicende di ogni singolo uomo e della sua storia. E’ il perché di sempre, dell’uomo ingiustamente sofferente, di Giobbe, di ogni martire che lega la sua esperienza drammatica della vita ad una vicenda, idea o lotta. Al contrario, la sofferenza stessa getta sguardi che vanno oltre l’esperienza non per annullarla, ma per arricchirla di contenuti e significati.

La sofferenza determina anoressia relazionale Si amplifica la convinzione che la sofferenza determini, in ogni caso, silenzio relazionale. Questo postulato non trova più nessuna ragione di essere, né sotto il profilo sociologico, né etico. E’ nell’impiego e sforzo di rappresentare i suoi limiti, che ogni essere mette in campo tutte le proprie capacità linguistiche, espressive, emozionali.

Potremo riavviare un percorso bioetico che faccia convergere limiti e motivazioni dell’agire umano, considerando la sofferenza un’opportunità più che una maledizione?

Una serena valutazione delle scelte Punti irrinunciabili di un futuro impegno: Una serena valutazione delle scelte di ogni singolo uomo.

Evitare facili sensazionalismi e proclami acritici, e impegnarsi in una formazione delle coscienze delle future generazioni che consenta giuste valutazioni riguardo il valore della vita, con la possibilità di un equilibrio tra scelte personali e convivenza comunitaria.

Attuare una biopolitica sociale critica, non partigiana, e ancor meno autoritaria .

Nel silenzio dello scontro, a tutti i costi, si confondono gli orientamenti della realtà.

E’ tempo di avviare una programmazione etica che dia valore ai limiti, e faccia della sofferenza un punto di riflessione non di diniego, manifesto o taciuto. Il riconoscimento di un valore fondativo.

di ogni decisione dedotta La dignità dell’uomo, prima di ogni proclama, di ogni decisione dedotta dall’ osservazione della pura esperienza.

Si può andare oltre la sofferenza, se si evita di assolutizzarla o di contestualizzarla, assegnandole invece il contesto formativo che le spetta.

E’ tempo di attribuire senso alla vita , dove singolarità e comunità trovino convergenze possibili, una libertà di scelta non massificata da precostruite posizioni etiche o filosofiche, per rifondare il vivere comune sulla giustizia.

Oltre la sofferenza. Un modello di umanizzazione per la costruzione di una nuova relazione, in cui è la trascendenza il vero obiettivo.

Una soggettività diversa da quella prospettata dalle filosofie post-umanistiche, la quale non tiene conto di nessuna dimensione temporale, poiché capace di superare ogni residuo di dualismo tra tecnofilia e tecnofobia. MARIAPAOLA FIMIANI, Antropologia filosofica, Roma 2005, p.89

Dobbiamo essere capaci di sostenere l’incontro tra le scansioni biofisiche con quelle emozionali, non escludendo nessuna apertura alla trascendenza .

Proyecto: Mas del suffrimiento.

Percorso per ascoltare la voce dell’uomo nella sofferenza.

Evitare il tecnicismo dell’animo; Porsi con fare empatico; Motivare le prospettive; Dare senso a ciò che si svaluta; Condividere e rispettare; Proporre dopo avere percorso un cammino; Dare dignità al pianto, alla ribellione, alla rabbia; Trasformarle in ponti comunicativi; Ritrovarsi nella ragionevolezza dell’accoglienza, nell’amore di Dio.

La sofferenza come vocazione Nella ricerca di senso della vita, e di conseguenza del valore da attribuirle, l’incontro con la sofferenza non deve spaventare. Essa è una vocazione per chi come i cristiani credono nell’opera dell’Amore della Salvezza.

GIOVANNI PAOLO II, Salvifici doloris, 26. “La sofferenza è una chiamata. E’ una vocazione. Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma prima di tutto dice: Seguirmi! Vieni! Prendi parte con la tua sofferenza a questa opera di salvezza del mondo, che si realizza per mezzo della mia sofferenza! Per mezzo della mia Croce! L’uomo non scopre questo senso a livello umano , ma a livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso da questo livello di Cristo, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell’uomo e diventa sua risposta personale. E allora che l’uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e persino la gioia spirituale”. Vocazione non solo dal latino vocare ma dalla radice sanscrita varna scelta discernimento oppure scelta tra i colori. I colori stabilivano le caste le quattro caste. GIOVANNI PAOLO II, Salvifici doloris, 26.

NELLA SOFFERENZA OGNI PERSONA HA BISOGNO DI: DI ESSERE ASCOLTATA; DI ESSERE IN RELAZIONE; DI ESSERE CURATA; DI POTER EFFETTUARE DECISIONI; DI CAPIRE COSA GLI CAPITA; DI CAPIRE COSA GLI CAPITERA’ ; DI SPERARE.

NELLA SOFFERENZA OGNI PERSONA NECESSITA DI: UN’ INFORMAZIONE CONTINUA; DI TEMPO DEDICATO; DI SENTIRSI UNICA; DI MOTIVARE LA PROPRIA VITA; DI FARE EMERGERE L’ESSENZIALITA’.

O alto e glorioso Dio, illumina el core mio Dame fede diricta, speranza certa, carità perfecta, humiltà profonda, senno e cognoscemento, che io servi li tuoi comandamenti. Amen. Dagli scritti di S. Francesco d’ Assisi ( FF 276).