CENTO ANNI DI BORSA IN ITALIA Presentazione di Mauro Maravalle
Situazione economica fine ‘800 Alla fine del diciannovesimo secolo l’Italia è in forte ritardo rispetto ai paesi concorrenti Stato Reddito pro capite 1895 Inghilterra 39 sterline Francia 23 Italia 14 Nel periodo 1897-1907 si sviluppa l’industria italiana: Tasso medio annuo di incremento della produzione industriale: 5,5% Tasso medio annuo di incremento degli investimenti: 10,5%
La borsa all’inizio del ‘900 E’ altamente rappresentativa della realtà industriale Le banche finanziano la crescita delle imprese, accompagnandole fino alle quotazione e sono interessate ad un sistema efficiente di negoziazione Nel 1905 le società quotate rappresentano il 70% del capitale azionario emesso Numero di società quotate: 59 nel 1900, 169 nel 1907
La crisi di borsa del 1907 E’ la peggiore crisi di tutto il Novecento Il valore dei titoli quotati scende dell’80% in termini reali tra il 1907 e il 1920 La crisi è determinata da un incremento dei tassi di interesse a breve, collegato a una crisi di liquidità internazionale. Ciò rende difficile il rifinanziamento dei riporti (su cui si basa la speculazione di borsa) e favorisce la fuoriuscita di capitali dalla borsa con conseguente caduta delle quotazioni
Nel 1907 viene approvato il decreto sul diritto di sconto con lo scopo di ridurre la speculazione al ribasso. Si costituiscono, inoltre, i consorzi per la difesa dei valori azionari, con risultati piuttosto modesti Nel 1913 viene varata la disciplina sull’intermediazione mobiliare che prevede una riserva di attività a favore degli agenti di cambio (norma sospesa fino al 1925). Forte scontro tra beneficiari della norma e banche.
Periodo bellico Chiusura delle borse per lunghi periodi, ma con consistenti scambi al di fuori dei mercati regolamentati. Indice di rendimento totale azionario (IRT): -60% in termini reali. Completamento dell’industrializzazione in importanti settori (siderurgia, meccanica), con incremento della produzione del 15% tra il 1914 e il 1918.
Anni Venti Forte instabilità del sistema finanziario dovuta alla crescita disordinata delle imprese nel periodo bellico. Si registrano tentativi di scalate e forti crisi bancarie (Banca italiana di Sconto e Banco di Roma). Tra il 1920 e il 1923 l’IRT si riduce del 25% in termini reali.
Nel 1924-25 si registra la ripresa di investimenti e produzione. I settori più dinamici sono quello tessile e meccanico. Emerge il peso del settore elettrico che, tra il 1925 e il 1935, raccoglie metà delle emissioni azionarie. Nel periodo 1923-26 la lira perde il 20% del proprio valore rispetto a dollaro e sterlina A partire dal 1927 viene attuata una politica deflattiva allo scopo di rivalutare il cambio. In realtà, tale politica prepara il terreno alla crisi del 1929.
La crisi del 1929 Nel 1928, di fronte ad un eccessivo incremento delle quotazioni, la Federal Reserve alza i tassi di interesse. Tutti i paesi legati al gold standard imitano la manovra. L’Italia ha intrapreso una politica deflattiva già due anni prima. Il crollo della borsa di Wall Street nel 1930 si propaga in tutti i paesi, Italia inclusa. L’IRT scende del 50% in termini nominali (la deflazione riduce il valore reale della perdita) Crollo dei profitti e riduzione degli investimenti, crescita del valore reale del debito La caduta delle quotazioni mette di nuovo in crisi le banche esposte nei confronti delle maggiori imprese.
Gli anni Trenta Viene istituito l’IRI, che garantisce il salvataggio di oltre la metà delle maggiori imprese industriali. Esso assume il controllo delle finanziarie che detengono le partecipazioni industriali delle banche miste, e tramite incroci azionari, anche le partecipazioni di controllo delle stesse banche Uscita dal listino di Comit, Credit e Banco di Roma. Impossibilità di cessione delle partecipazioni a privati
La seconda guerra mondiale Riduzione del 50% del reddito reale pro capite rispetto al periodo pre-bellico. Perdita dell’80% del valore delle azioni tra il 1942 e il 1947. Incremento del tasso di sconto e modifiche del meccanismo della riserva obbligatoria per contenere l’iperinflazione Tali manovre hanno effetti recessivi ma consentono il ritorno alla stabilità monetaria.
Il miracolo economico Tra il 1947 e il 1961 l’IRT aumenta di ben 14 volte in termini reali, mentre il 54% degli aumenti di capitale delle spa nel periodo 1947-53 ha luogo in borsa. La crescita economica molto sostenuta ha origine da diversi fattori: Stabilità politica Miglioramento relazioni sindacali Modernizzazione apparato produttivo Maggiore apertura internazionale Forte incremento della produttività fattori
Gli anni Sessanta Nel 1963 ha termine la fase del miracolo economico. Le possibili cause sono: Riduzione del tasso di investimento Peggioramento delle relazioni sindacali Incremento dei salari Mutamento quadro economico internaz. Esaurimento della possibilità di riallocazione di risorse dal settore agricolo a quello industriale
La performance negativa della borsa dal 1962 al 1972 va ricercata nella modesta crescita economica e nell’espansione delle partecipazioni statali. Uno dei provvedimenti più dannosi è la nazionalizzazione dell’industria elettrica (1964). Si riconosce un indennizzo alle società ma nessun rimborso diretto agli azionisti, con forte penalizzazione per quelli di minoranza. Vi è un’ulteriore penalizzazione dell’investimento in borsa con l’introduzione della ritenuta d’acconto del 15% sui dividendi.
Gli anni Settanta Lo shock petrolifero del 1973 porta il tasso di inflazione al 20% e determina una forte svalutazione della lira, con l’uscita dal serpente monetario. Si registra una forte caduta delle quotazioni azionarie, non solo in termini reali, ma persino in termini nominali. Nel 1978 la congiuntura economica migliora e si evidenzia una ripresa delle contrattazioni borsistiche.
Gli anni Ottanta Fase di ripresa dell’economia italiana, con tassi di incremento annuo del PIL pari al 3% e riduzione dell’inflazione al 10%. L’IRT registra una crescita reale annua del 15% nel decennio considerato Nel solo 1986 il numero delle società quotate passa da 160 a 200 Con il crollo di Wall Street nel 1987 inizia una fase di riduzione delle quotazioni
A partire dagli anni ottanta, la normativa riguardante la borsa e i mercati finanziari viene integrata: nel 1983 vengono regolamentati i fondi di investimento mobiliari aperti nel 1985 la Consob viene trasformata in una authority indipendente nel 1991 si provvede all’introduzione della normativa sulle Sim e sull’insider trading nel 1992 è recepita la direttiva comunitaria sulla redazione dei bilanci civilistici.
Gli anni Novanta L’avvicinamento del mercato italiano agli standard più evoluti avviene nel periodo 1996-98. Vi sono due elementi alla base di tale cambiamento. Il piano di privatizzazioni prevede l’ingresso in borsa di colossi come ENI, ENEL, IMI, che portano la capitalizzazione del mercato quasi al 50% del PIL. Inoltre vengono privatizzate società già quotate come Telecom, CREDIT, COMIT. Ha luogo la quotazione di quaranta piccole e medie società private non legate ad altri gruppi quotati
Nel 1998 viene approvato il testo unico della finanza che accorpa numerose disposizioni precedenti, come la normativa sull’Opa e sull’insider trading. E’ introdotta la possibilità di optare per la ritenuta d’imposta a titolo definitivo del 12,50% sui dividendi azionari, il linea con quanto previsto per i titoli di debito.
Il rendimento della borsa nel lungo periodo Nel lungo periodo considerato (1906-98), il rendimento delle azioni è stato di gran lunga superiore a quello dei titoli a reddito fisso e dei titoli di stato (TdS). Tasso rendimento annuo reale azioni (intero listino): 1,1% Tasso rendimento annuo reale azioni (principali titoli): 2% Tasso rendimento annuo reale TdS a l/termine: -3,1% Tasso rendimento annuo reale TdS a b/termine: - 3,8% Tuttavia, la performance della borsa italiana è notevolmente inferiore a quella delle maggiori borse internazionali (rendimenti compresi tra il 6 e il 9%).
Il mancato sviluppo della borsa italiana Alla fine del ventesimo secolo la nostra borsa è meno sviluppata di quella dei maggiori paesi europei. In termini di capitalizzazione, essa ha una dimensione pari alla metà di quella tedesca e francese e a un quarto di quella inglese. Per individuare le cause del mancato sviluppo devono essere considerati diversi fattori.
Le regole di governo societario Nonostante le numerose norme introdotte negli anni ottanta e novanta, non è stato risolto il nodo fondamentale riguardante la struttura di gruppo. In sintesi, se il rendimento reale azionario in Italia è stato inferiore a quello di altri paesi, ciò può essere imputato alla mancata tutela degli azionisti di minoranza che ha mantenuto le quotazioni a livelli bassi e ha allontanato potenziali investitori.
2) La questione fiscale Fino agli anni settanta, il fisco ha colpito pesantemente la borsa italiana, limitando gli investimenti; solo nel 1977 si è giunti all’introduzione del credito d’imposta. Dal lato dell’offerta, il vantaggio fiscale a favore di debito e autofinanziamento è comune a diversi paesi e pertanto non può risultare determinante nella spiegazione della diversa crescita dei mercati.
3) La regolamentazione degli intermediari mobiliari L’istituzione della riserva di legge a favore degli agenti di cambio nel 1913 ha escluso le banche dall’attività di trading. Nonostante tale separazione sia comune a più paesi, il coinvolgimento delle banche italiane nel mercato primario è stato molto più scarso rispetto alle banche europee.
4) Dimensione delle imprese italiane Il sistema produttivo italiano è caratterizzato da una miriade di imprese di piccole dimensioni. Di conseguenza, il numero delle imprese quotabili sarebbe notevolmente inferiore a quello degli altri paesi europei, anche se il rapporto tra società quotate e quotabili non si discosterebbe troppo da quello delle altre economie sviluppate.
5) Le condizioni di arretratezza dell’economia italiana Le generali condizioni di arretratezza rispetto ai competitori europei avrebbero determinato una mancanza di liquidità e di spessore del mercato. Ciò avrebbe disincentivato la quotazione di nuove imprese e, a sua volta, avrebbe impedito l’incremento della liquidità, creando un circolo vizioso.
Conclusione In definitiva, il mancato sviluppo del mercato borsistico italiano non è imputabile ad una singola causa, ma va ricercato nella sovrapposizione di diverse cause che hanno assunto intensità variabile nel tempo.
GRAZIE PER L’ATTENZIONE